04 – Cristo non ha mani
I gesti dei discepoli-missionari

 

 

Per un approfondimento personale o di gruppo, le note offrono abbondanti rimandi alla Scrittura e al magistero di Papa Francesco, usando le seguenti sigle:

AL: Amoris laetitia, esortazione apostolica del 19.3.2016
CV: Christus vivit, esortazione apostolica del 25.3.2019
EG: Evangelii gaudium, esortazione apostolica del 24.11.2013
GeE: Gaudete et exsultate, esortazione apostolica del 19.3.2018
LS: Laudato sì, lettera enciclica del 24.5.2015

 

 

Cristo non ha mani
ha soltanto le nostre mani
per fare oggi il suo lavoro.

Cristo non ha piedi
ha soltanto i nostri piedi
per guidare gli uomini
sui suoi sentieri.

Cristo non ha labbra
ha soltanto le nostre labbra
per raccontare di sé agli uomini di oggi.

Cristo non ha mezzi
ha soltanto il nostro aiuto
per condurre gli uomini a sé oggi.

Noi siamo l’unica Bibbia
che i popoli leggono ancora
siamo l’ultimo messaggio di Dio
scritto in opere e parole.

(testo attribuito ad un Anonimo fiammingo del XIV secolo, e diffuso da Raoul Follereau)

 

 

1. Vi scrivo di mia mano[1]

aprendo il cuore
alla nostalgia di un abbraccio
con ciascuno di voi,
fratelli e sorelle
ricevuti in dono da Dio
per un servizio di paternità
nella Chiesa di Cremona.
Vi scrivo senza pretese
di insegnare o tanto meno progettare.
Il tema sarebbe la Chiesa
in divenire
e la sua ricchezza di vocazioni e ministeri[2],
ma lo voglio esplorare
sottovoce,
per immagini,
evocando gesti e segni
di chi segue Gesù e il suo Vangelo, insieme agli altri.
Lo scopo è tracciare una possibile pista spirituale
che animi e motivi da dentro
i tanti impegni e servizi nelle comunità.
Se Cristo non ha mani,
tutti
gliele prestiamo,
magari senza saperlo
e diventiamo tracce della sua pasqua,
inedite figure della sua presenza oggi[3].
Vi scrivo piccoli pensieri,
da tenere a portata di mano,
magari per svilupparli ancora,
con tanti preziosi frammenti
della vita quotidiana di ciascuno.
Cercherò, così, di onorare un debito:
dire grazie
alla testimonianza di bene semplice
che ogni giorno percepisco concreta e diffusa[4],
come spero anche voi abbiate sperimentato
nei giorni della grande prova
e solitudine.
Vorrei prendervi per mano
come lo fa Dio, come lo fanno gli angeli[5],
e camminare insieme quaggiù
giorno dopo giorno
fino al Cielo,
orizzonte ultimo e certo
di ogni nostro desiderio,
della vita come attesa.

 

2. Dare la mano

è un gesto
non più scontato, un po’ temuto,
ma che viene ancora così spontaneo,
per il bisogno del contatto,
il galateo dell’incontro,
la nostra stessa natura[6].
Incrociarsi e faticare a riconoscersi,
persino evitarsi, passare al largo,
selezionare le frequentazioni,
quanto fa male[7]!
Fasciati da giusta prudenza
cerchiamo sguardi che non bastano,
perché gli occhi
non sanno parlare come le mani,
e viceversa.
Siamo come dei mutilati
in attesa di fruttuosa riabilitazione
ai rapporti,
alla serena convivenza umana.
Avvicinare incerti gomiti
non saprà inaugurare una società migliore
se non stringeremo patti
di alleanza con chi è diverso,
ma anche tanto uguale,
vicino, necessario al mio futuro[8].
Che bella la fantasia del Papa, Francesco,
nel trovare modi di far giungere a tutti,
anche ora,
il saluto accogliente e benedicente
di Dio.

 

3. Dare una mano

invece
è sempre possibile,
oggi più che mai.
Anche a distanza,
anche on line.
I giorni del dolore e della paura
hanno scatenato, io credo,
più il bene che il male[9],
solo che – come sempre – la luce non fa notizia.
Da qualunque parte venga.
Vorrei scrivere un fiume di nomi,
testimoni generosi di servizio ed altruismo,
in ogni campo.
Tanti che, così, umilmente
han dato una mano persino a Dio!
Ricordo ovviamente le mani dei medici,
degli infermieri, di altri operatori
a servizio del fratello malato e solo.
Erano e sono
le mani
che incarnano la logica del dono[10],
come segreto ultimo della vita,
fonte di speranza.
Anche nelle case e nei quartieri
l’aiuto fraterno del prossimo
ha sfidato
le moderne pratiche
di illusoria e triste autosufficienza.
Tanti sacerdoti e laici credenti
non si sono fatti bloccare,
aggiornando i modi del loro ministero.
Dare una mano che,
piena o vuota,
semina se stessa,
è segno di fiducia nella vita,
gioia di essere accanto,
più forti nella prova,
più capaci di farcela
insieme.

 

4. Mano nella mano:

i “congiunti” potevano
stare vicini, condividere, camminare fianco a fianco,
grazie al sacrosanto privilegio dell’amore[11].
Lo stesso che, drammaticamente,
ne ha tradotto la fragilità in morte
condivisa a poche ore,
strappati al tocco degli affetti familiari.
Sappiano i giovani fidanzati
quanto vale quella mano nella mano,
non solo come linguaggio del primo innamorarsi
ma come sacramento carnale
di fedeltà e unità
feriale e indissolubile.
L’amicizia ne è umile parabola educativa.
Ogni carezza ne è conferma.
Anche io ho ritrovato, commosso,
disinteressate vicinanze
di tanti, incontrati nelle diverse stagioni
e avventure della vita,
che così si distende e costella
di volti da ricordare e ringraziare
sempre.
L’antica canzone si fa ancor più vera:
Noi marciam nella notte fonda, la man nella man…
E quando il buio che si avvicina
fosse quello dell’ultima notte,
ognuno di noi cerca
una mano da stringere.
Per andare incontro al Giorno senza tramonto
con fiducia di figli. E fratelli.
Benedette siano quelle mani che,
magari in guanti di lattice,
hanno stretto a nome di tutti
la mano cadente di chi ci lasciava.

 

5. Una catena di mani

… questa è la Chiesa,
tutta intera, nel tempo e negli spazi,
in ogni nostra comunità:
una cordata di forze e debolezze,
un cerchio che accoglie, esulta e non si chiude,
una staffetta in cui passa la Parola viva,
scorre la grazia,
si assapora la comunione.
Fatta di pochi? Purché vivi!
Questa catena ha i due estremi sempre aperti,
uno verso la fonte, il mistero di Dio,
uno verso il mondo, il fratello assente, da ritrovare.
C’è spazio per tutti,
perché è la catena della gente[12],
vero nome del popolo cui apparteniamo,
prima di ogni ulteriore identità.
Nuove reti di comunità, oggi,
ci aiutano a moltiplicarne il gusto, per tutti.
Non averne paura.
Nessuno comanda, anche se occorre un’umile regia
perché la danza della comunità,
sociale e religiosa,
sia figlia di un’autentica armonia.
Chi è stanco e comincia a pesare, a frenare,
invoca un supplemento di tenerezza
che gli impedisca la triste deriva della sterilità.
Chi è lontano e sembra ostile
attende un invito diverso,
espresso con segni credibili per il suo cuore incerto.
Chi confonde, pretende e giudica
semina ruggine che prelude al conflitto,
intacca il cemento che regge la casa
di tutti.
È una catena di cui prendersi cura[13],
con passione forte e delicata insieme,
quale si esige in tempi di burrasca
come quelli che abbiamo in sorte.
Una catena così stretta e viva
da rivelarsi come unico corpo,
in cui il sangue scorre
e scocca la scintilla[14],
quella di Cristo.

 

6. Mani di donna

possono fare il capolavoro
della vita che nasce e rifiorisce,
al di là
del guerreggiare infantile di mondi troppo al maschile.
Il primato è indiscusso:
di Maria e di ogni madre,
prima ancora, di ogni bimba e di ogni donna,
carezza dolcissima di Dio
all’universo creato e ai suoi operai.
Le mani di Maria
sono onnipotenti
in preghiera e nel ricamo
del Verbo che in Lei si fa carne per noi[15].
Le mani di Maria,
povere e limpide,
fanno scuola
anche ai pastori della Chiesa,
bisognosi della medesima docilità allo Spirito,
per essere testimoni del Risorto
che Lei per prima ha visto e conosciuto.
Anche la Chiesa è donna,
se in essa le donne[16] valgono quanto i don!
Se il Vangelo viene accolto
da Marta e da Maria[17],
che ottengono da Gesù,
con lacrime intrise di fiducia,
la risurrezione di Lazzaro[18].
La storia insegna
che la Chiesa è santa e peccatrice[19],
divina come Maria e opaca come Giuda,
e che Cristo non smetterà mai
di specchiarsi in essa,
perché il suo riflesso la renda viva[20].
E bella… perché è la Sua sposa.

 

7. Mani pure

ne conosco poche
se cerco la perfezione
di un diamante che ignori di essere parente del carbone.
Ne conosco tante, invece,
di mani lavate,
ma non per l’ossessione dell’igiene,
purificate invece
dal fuoco del dolore[21],
che spreme vero amore dai cuori trafitti e infranti[22].
Quante mani benedette
dal travaglio della vita,
anche le mani dei nostri morti:
meritano il bacio dell’adorazione
che riconosce il passaggio di Dio,
proprio in quella storia imperfetta,
bagnata da tanta misericordia.
È il perdono
di Dio
e dei fratelli cui il Padre nostro l’ha consegnato[23]
il sapone profumato
che fa la differenza,
anche nelle nostre comunità.
Luoghi della festa, perché luoghi del perdono.
Celebrato nel misterioso incontro
tra una fragile coscienza e il Padre buono,
e condiviso in prassi di riconciliazione,
che generino nuova giustizia
e vera pace, ora.

 

8. Mani sapienti

perché esperte della vita,
ne vedo tante quando dò loro in cibo
il corpo di Gesù:
mani callose,
a volte con un dito rimasto in qualche macchina!
Mani piccole e grandi, rugose o sudate,
ma mani d’oro, fedeli al mandato antico:
“vivrai del lavoro delle tue mani”[24].
Sono ancora le mani di Gesù,
attivo in ogni gesto veramente umano.
Mani di artisti e di artigiani,
mani per costruire e per giocare,
mani che raccontano altre mani,
scambio di doni e di doveri,
senza i quali la vita si inceppa!
È bello intuire la stoffa di una comunità
dalle mani che vi si incontrano,
nei giorni di festa che tanti radunano
e nel segreto di servizi umili
che molti eviterebbero.
Il grazie di Dio e del Suo popolo
sta nella dignità che trapela da quelle mani,
e che non ci stanchiamo di ammirare,
senza alcun bisogno di medaglie mondane.
Il Signore costruisce così la sua città[25],
scenario del Regno che viene,
con le vocazioni e i ministeri
di tutti,
quelli che lavorano e quelli che governano,
quelli che studiano e quelli che curano,
quelli che pensano e quelli che fanno,
sperando che gli uni e gli altri
si stimino, si ascoltino, si aiutino.
Un unico corpo e le sue membra:
immagine classica, profezia cristiana[26],
progetto sempre attuale,
tremendamente urgente,
perché l’unica casa comune[27] resti aperta
e ospitale.

 

9. Mani fiacche

che il Profeta[28] vuole irrobustite!
È un comando dato a tutti,
perché a ciascuno può venir meno la forza
di credere,
di lottare, di cambiare[29].
Nelle terre del “fare”
straordinariamente fecondo fino ad oggi[30],
si è insinuato il virus dell’incertezza,
dell’indolenza, del pessimismo,
che spinge alla fuga le giovani energie,
attratte da ciò che è diverso e lontano,
o peggio ripiegate su di sé[31].
Ma lo Spirito di Dio rinnova la promessa:
“i vostri anziani faranno sogni,
i vostri giovani avranno visioni”[32].
Questo è il dialogo
tra le generazioni[33]
che solo salverà il meglio di una tradizione,
con l’innesto del nuovo che Dio prepara.
Cessi lo sperpero
che impoverisce i figli dei nostri figli[34],
per condividere saggiamente
beni veri e duraturi.
Così la politica resta servizio e carità,
altrimenti nessuno osi dirla cristiana.

 

10. Mani sporche

non sono quelle intrise di terra, di grasso,
di ogni pesante lavoro materiale,
ma quelle di chi ha scelto la via larga e falsa
del crimine,
quelle che invece di aprirsi all’incontro umano,
siglano patti scellerati,
si alzano sui deboli, sulla scia di Caino[35].
Un pugno chiuso,
certificato di vile arroganza,
minaccia violenza
che instilla paura talvolta anche in casa,
tra i piccoli, le donne, i più indifesi.
È un pugno di mosche, alla fin fine,
che però avvelena l’aria di tutti.
Come le mani insanguinate di Giuda
e di tanti, troppi, anche tra noi.
Sono le mani del peccato,
schiave di un cuore non purificato.
Non sapremo lavarle
se non proveremo a pregare,
supplicare il perdono,
incrociando lo sguardo
misericordioso
di Gesù.

 

11. Le mani di Gesù

esigono silenzio:
è buio sulla terra[36]
quando i suoi occhi si spengono.
Ma le braccia spalancate
restano benedizione in eterno,
dopo una vita d’amore, per essere
l’indiscutibile volto umano del Padre, Dio Amore[37].
Da allora, ogni giorno
i buoni cristiani si fanno discepoli e pellegrini
nelle pagine dei Vangeli,
per cercare Gesù,
ascoltare Gesù, vedere Gesù,
imparare Gesù … e seguirlo.
I suoi gesti varcano la soglia dei secoli
e innestano in Cristo ogni nostro presente[38]:
le sue mani ci toccano, ci rialzano[39]
e benedicono,
ci danno pani e pesci[40], l’eucaristia[41],
ci riaprono gli occhi[42],
ci raccontano la sua Passione.
Il segno dei chiodi[43]
è lì,
stigmata originaria e sorgente inesauribile
della grazia che ci salva
tutti,
una scelta sua che non ci è dato riformare.
“Come gli occhi di una schiava alla mano della sua padrona…”[44]
dovremmo tenere i nostri incollati alle mani di Gesù[45]
per seguirne la parabola,
impararne il metodo[46]
e dilatarne gli effetti, per la vita del mondo[47].
Così la Chiesa non ha più dubbi
di fare ciò che è giusto e necessario,
se imita il suo Signore[48]
che la abita.

 

12. Mani ferite

che guariscono e salvano.
Com’è possibile?
Potenza dei sentimenti, delle viscere di Gesù[49].
Dalla croce… e nella gloria, per sempre,
così si dispiega l’umiltà di Dio,
strategia inaudita e vincente
perché il mondo creda e viva.
Anche ogni uomo di Chiesa, se onesto,
è un piccolo guaritore ferito[50],
toccato dalla misericordia di Dio
per esserne testimone e strumento in mezzo agli altri.
Non ha forza propria per guarire e per salvare,
ma sa piangere[51].
La fede nel Vivente[52] lo spinge
a scendere negli inferi,
del proprio cuore prima che nel cuore dei fratelli,
per l’appuntamento con la Redenzione.
E con la vera libertà.
Cristo Risorto lo ha fatto con Adamo, Eva e gli antichi padri:
le ferite della Passione rendono la sua presa irresistibile,
e il polso del morto,
liberato dalle catene, riprende a battere,
torna alla vita, santa ed eterna.
L’annuncio del Paradiso,
vero orizzonte e premio del cammino terreno,
ha bisogno di questa credibilità,
che tante storie di passione e croce
ci consegnano, mai in prima pagina.
Ma, almeno, è questo il fulcro della nostra vita ecclesiale,
di tanta pastorale, vecchia e nuova, che ci affanna?
Questo è il progetto di Dio,
ciò a cui Egli mette mano ogni istante.
Non ci capiti di agitarci inutilmente altrove[53].
Avremmo le mani ferite solo dai rovi in cui ci siamo cacciati.

 

13. Mani in pasta

Acqua, farina e uova,
quando si incontrano in cucina,
non possono restare distanti.
Sono fatte per diventare cose buone,
nelle mani di chi non teme di sporcarsi.
Così Dio ci ha voluto creare:
impastando polvere e Spirito,
con la Sua Parola e con le Sue mani[54].
Lo ha fatto, al culmine,
nel grembo di Maria:
carne di vergine e Spirito Santo[55],
per darci Gesù, il più bello tra i figli dell’uomo[56],
il Figlio unigenito di Dio
nostro fratello.
Nato nella “casa del pane”[57],
fatto alla maniera del pane, per essere il pane del cielo[58].
Non possiamo guardarlo da lontano,
come i discepoli in fuga.
Dobbiamo impastarci anche noi,
rimanere in lui e con lui,
come Giovanni e Paolo:
in-con-tatto con Dio.
Come la vite e i tralci[59].
Mistero di comunione, verità profonda della vita.
Tommaso voleva toccare con mano[60]
tutto questo, nelle ferite di Gesù,
per invitare la Chiesa,
lievito del Regno nella massa del mondo[61],
a non staccarsi mai da Lui,
a vivere solo di fede[62],
a gettarsi nella storia con lo stesso amore[63].
Gratis, a perdere.
Facendo spazio, in se stessa,
alla multiforme creatività dei credenti
e alla trama di unità che la permette.

 

14. Nelle mani degli uomini

si rischia,
perché non sempre sono buoni amici[64].
Anche tra i compagni di Gesù
si annidava il traditore[65].
E Lui si è messo liberamente
nelle mani dei nemici,
di tutti gli uomini[66].
Si era messo nelle mani di Maria e Giuseppe,
la minuscola chiesa di Nazareth,
scuola sicura di confidenza filiale[67].
Si è messo nelle mani di pescatori e peccatori,
per farne i pilastri della comunità.
Si mette nelle mie mani,
nonostante me stesso.
Nelle mani di ogni prete,
di ogni uomo e donna che cooperano al dono della vita.
Nelle mani della nostra sbrindellata storia
coi suoi mostri e con i suoi eroi.
D’altronde, ognuno di noi
è un po’ nelle mani degli altri,
e guai a chi rompe
questo tacito patto di fiducia.
Guai a chi ne abusa!
Anche nella Chiesa
siamo tutti nelle mani di Dio
e dei suoi strumenti sempre inadeguati:
lo penso ogni volta che le mani di un giovane
promettono obbedienza in quelle del vescovo.
Garanzia non di successo
ma di compagnia, e di pace.

 

15. Nelle mani del Padre

Gesù, morendo
consegna il suo spirito[68],
dopo una vita, giovane[69],
tutta vissuta all’ombra delle Sue mani[70].
Davvero “le anime dei giusti sono nelle mani di Dio”[71],
purché sia certezza che rischiara il cammino
e non elogio funebre di rito.
Come un bimbo svezzato in braccio alla madre[72]
o per mano al papà,
così il figlio di Dio, unigenito o adottivo,
gode del sapersi amato[73]
e non cede alla paura, che pur conosce.
Esercizio di consapevolezza filiale
da rinnovare con stupore ogni mattino,
con gratitudine ogni sera,
anche nella lotta e nella prova.
Questa palestra spirituale forma
missionari e artefici di pace[74],
pace che come sorgente zampilla nel cuore
di chi osa vivere di fede.
È l’abbandono in cui nessuno si perde,
perché il Padre ha tutto in serbo
per chi a Lui si affida.
Il terzo giorno risuscitò[75],
nell’ultimo giorno risusciteremo,
e nelle mani del Padre[76], tutti
troveremo scritto
il nostro nome nuovo
ed eterno.

 

16. Le mani del vasaio

incantano Geremia,
condotto da Dio
in quella speciale bottega[77]
per imparare la Sua pedagogia.
E perché anche noi ci chiediamo
se siamo felici
di essere argilla nelle Sue mani[78].
Egli non intacca la libertà che ci ha dato
mentre delle Sue creature si prende cura.
Chiama con la parola e con i fatti della vita
a prendere forma[79] e trovare sicurezza
nel rimetterci completamente nelle Sue mani.
Fino a riconoscere,
in una crescente resa d’amore,
che siamo l’opera delle Sue mani[80].
Lo cantano i cieli,
e lo testimonia anche Giobbe, il giusto provato:
“le tue mani mi hanno plasmato”[81].
Ecco, la vita è vocazione
non pre-scritta sul libro del destino
ma plasmata con amore nella carne e nel tempo
di ciascuno.
Chiamata a personale e collettiva responsabilità[82].
Il vasaio non si arrende al primo errore
e rinnova la sua azione,
con fantasia e pazienza,
perché “l’opera che Dio ha cominciato
giunga a compimento”[83].
Non vogliamo farlo scoprire a tutti?
La vita è vocazione[84].

 

17. Il dito di Dio

è lo Spirito Santo,
discreto e potente
consolatore del mondo.
Solo in Lui respira e cresce la Chiesa.
Il mistero di Dio, Trinità, si schiude,
e qualcuno può ancora fare il lavoro di Cristo.
Le nostre mani diventano le Sue.
Di questo è in attesa la creazione:
che i figli di Dio si manifestino,
uno per uno,
non da vincitori di epiche battaglie,
ma trasparenti della grazia che li ha portati.
A questo i fiumi battono le mani[85],
affidando anche la loro muta speranza di un futuro[86].
Lui non si stanca
di provocare i cuori ad un sussulto
di contemplazione e di azione[87],
rinnovando la Chiesa
dove i piccoli si fidano e lo seguono.
Guai a chi li scandalizza[88] o li impedisce[89].
Gesù scriveva col dito sulla terra[90],
insegnando la potenza del perdono.
Che ha affidato alla Chiesa la sera di Pasqua.
Quel dito santo vuole toccare ancora
tanti emarginati, peccatori e ultimi arrivati,
perché siano battezzati nella luce gioiosa di Gesù
e fioriscano a nuova libertà e comunione.
Vieni, Spirito Santo.
E rinnova la faccia della terra.
E il volto della nostra Chiesa.

 

18. La mano sulla bocca

Il silenzio di Maria è fecondo
ed essenziale
ad una Chiesa che può ancora essere madre.
Come è triste, e inutile
contare adesioni e rimarcare assenze
intorno ad un Vangelo che spesso non parla più
neanche a noi.
Anche per il troppo rumore che gli facciamo attorno.
Il nuovo giovane profeta riceve da Dio
la Parola sulla bocca[91],
a lui è chiesto solo di ascoltare, obbedire, ripetere,
con tutto se stesso, anche quando ci sarà da soffrire.
Fermiamoci,
magari insieme[92],
intorno alla Parola che ci rivela
il senso di tutto,
per condividere lo stupore dell’ascolto
di Dio con noi,
e il discernimento delle strade
su cui metterci in cammino,
dei campi da arare e delle cose da fare
davvero.
Il giorno dell’ascolto[93]
sia la mano di Dio sulla nostra bocca,
per tacere e meditare,
cambiare l’ansia e la fretta
in conoscenza sapiente e ispirata
della Sua santa volontà.
Giovani e adulti, uomini e donne,
preti e laici, ricchi e poveri…
ogni diversità concorra
alla sinfonia dell’ascolto e della fede.

 

19. Tendere le mani

verso l’alto, verso il cielo
ad implorare pioggia e sole,
grazia e vita.
Lo sanno fare i poveri
più dei ricchi,
e Dio non resiste
davanti a mani vuote e giunte[94].
Protese
anche verso di me, di te,
per chiedere aiuto
in nome di Dio.
E io, che faccio?
Sono chiamato a coerenza di mendicante,
e a giustizia di fratello,
per poter continuare
a pregare in verità.
“Tutta la notte la mia mano è tesa e non si stanca”[95]
grida la carne di ogni uomo
nella ricerca incessante del volto di Dio[96].
Gesù ci viene incontro,
fa lui il grosso della strada[97],
e la mano inaridita viene sanata[98],
nello stupore dell’assemblea,
che teme un Dio così libero di amare[99],
anche al di là della legge.
Costa caro quel gesto di Gesù,
se decisero di farlo morire.
Una grazia a caro prezzo
che esige dalla mia preghiera[100]
altrettanta totalità.
Quella vissuta[101] da tante anime belle,
carissime sorelle,
che si son votate a Dio
e al servizio dei poveri.

 

20. Imporre le mani

senza paternalismo
ma per la potenza dello Spirito:
Gesù lo fa[102]
e gli apostoli ci provano[103].
I malati guariscono,
i peccatori sono perdonati,
persino alcuni morti risuscitano.
Non sono solo miracoli e prodigi,
ma gesti sacramentali
che si rinnovano con l’autorità
della fedeltà di Dio
e per le mani consacrate
di noi poveri ministri ordinati
a questo.
A rendere presente Gesù
per obbedirgli
non per usarlo
da padroni[104].
Con la Messa nel cuore,
fonte e culmine di tutto,
la Chiesa vede eucaristicamente
la realtà
lodando Dio che vi dimora,
e rifornendo di carità i cuori
chiamati a vivere in Cristo ogni cosa.
Le mani del vescovo Dante sul mio capo
mi han fatto vescovo,
ultimo anello dell’unica sequela di Gesù
che tiene unita la Chiesa
di Cremona[105] con la Chiesa di Pietro.
Voi, popolo sacerdotale per il battesimo,
pregate per queste nostre mani di preti,
perché siano docili e feconde
nell’obbedienza allo Spirito
in ogni tempo.

 

21. Le mani dei piccoli

sono le mani dei poveri[106]
che ci giudicano
e così ci aprono le porte del Regno[107],
se le avremo onorate come le mani di Gesù.
Sono le mani dei bambini
che ci chiedono
di esser loro padri affidabili, madri amabili,
umili e credibili maestri di vita[108],
un passo avanti sul sentiero,
gareggiando nel desiderio della Mèta.
Da mani così[109],
fragili come quelle degli anziani e dei malati,
è costruita con speciale vigore
la comunità cristiana.
A partire da ogni famiglia[110], anche la più semplice
e provata.
Non per dimenticare gli adulti,
ma per imporre loro il metro di Gesù,
che così pensa e così agisce.
Secondo scelte preferenziali per i piccoli[111],
per chi sa farsi piccolo,
come Sua Madre.
Non dimenticherò mai
quel chierichetto che ogni sera
pregava per la salute del suo vescovo.
Piccolo maestro di ecclesialità,
per me, per tutto il presbiterio,
per chiunque è arrivato a leggere fin qui.

 

22. La mano che benedice

è forte e potente,
è la mano del Signore
sempre sopra di me[112],
sempre alla guida del popolo.
La benedizione non è facile congedo,
o peggio
una sorta di sacro ombrello
che autorizza la fuga
dalle nostre responsabilità.
Per Abramo,
la benedizione si dilata all’infinito
attraverso la disponibilità alla prova estrema[113].
Benedetti da Dio, bene-diciamo come Dio
che ci fa dare inizio a nuovi passi
nella giusta direzione.
Le nostre mani ricevono
il testimone dal Creatore e Signore
che, quando bene dice, bene fa.
Benedire è dunque la nostra missione[114]:
pronunciando parole di Vangelo e di verità,
compiendo fatti che siano buona notizia per i poveri,
spartendo con tutti la gioia di essere figli di Dio.
Perciò,
permettetemi stavolta di salutarvi
baciando io la mano di ciascuno di voi,
fratelli e sorelle che date corpo
al Cristo
mentre vivete la vita e la fede come servizio
umile.
Nelle famiglie, nella società, nella Chiesa.
Dove risuonano ancora, attualizzate da voi,
le parole di don Primo:

 

23. Ci impegniamo…

Ci impegniamo noi e non gli altri
unicamente noi e non gli altri,
né chi sta in alto né chi sta in basso,
né chi crede né chi non crede.
Ci impegniamo
senza pretendere che altri s’impegnino,
con noi o per suo conto,
come noi o in altro modo.
Ci impegniamo
senza giudicare chi non s’impegna,
senza accusare chi non s’impegna,
senza condannare chi non s’impegna,
senza disimpegnarci perché altri non s’impegnano.
Ci impegniamo
perché non potremmo non impegnarci.
C’è qualcuno o qualche cosa in noi,
un istinto, una vocazione, una grazia,
più forte di noi stessi.
Ci impegniamo
per trovare un senso alla vita,
a questa vita, alla nostra vita,
una ragione che non sia una delle tante ragioni,
che ben conosciamo e che non ci prendono il cuore.
Si vive una sola volta
e non vogliamo essere “giocati”
in nome di nessun piccolo interesse.
Non ci interessa la carriera,
non ci interessa il denaro,
non ci interessa la donna o l’uomo
se presentati come sesso soltanto,
non ci interessa il successo né di noi né delle nostre idee,
non ci interessa passare alla storia.
Ci interessa di perderci
per qualche cosa o per qualcuno
che rimarrà anche dopo che noi saremo passati
e che costituisce la ragione del nostro ritrovarci.
Ci impegniamo
a portare un destino eterno nel tempo,
a sentirci responsabili di tutto e di tutti,
ad avviarci, sia pure attraverso un lungo errare,
verso l’amore.
Ci impegniamo
non per riordinare il mondo,
non per rifarlo su misura, ma per amarlo;
per amare
anche quello che non possiamo accettare,
anche quello che non è amabile,
anche quello che pare rifiutarsi all’amore,
poiché dietro ogni volto e sotto ogni cuore
c’è, insieme a una grande sete d’amore,
il volto e il cuore dell’amore.
Ci impegniamo
perché noi crediamo all’amore,
la sola certezza che non teme confronti,
la sola che basta per impegnarci perpetuamente.

(don Primo Mazzolari)

 

24. Carissimi,

nel tempo incerto, duro e complesso
che stiamo insieme affrontando,
ho pensato di confidarvi pensieri così,
un po’ diversi dal solito.
Per riconoscerci come Dio stesso ci vede:
il corpo del Suo unico Figlio.
E diventarlo ancora. Di più.
Fatto di tutti discepoli-missionari,
dal più grande al più piccolo.
Proseguendo il cammino di comunione
che il Vangelo ci ha tracciato,
io conto sulle vostre mani,
magari su ciò che anche voi vorrete scrivermi[115],
condividendo il frutto della vostra riflessione,
per contribuire alla ricerca della volontà del Padre
e all’accoglienza fruttuosa della Sua grazia.
Intanto, ogni giorno,
siete in mezzo alla mia povera preghiera.

 

+ Antonio, vescovo

Natale 2020

 

 

[1] Cfr. Gal 6,11.

[2] “In virtù del Battesimo ricevuto, ogni membro del popolo di Dio è diventato discepolo missionario… Ogni cristiano è missionario nella misura in cui si è incontrato con l’amore di Dio in Cristo Gesù; non diciamo più che siamo ‘discepoli’ e ‘missionari’, ma che siamo sempre ‘discepoli missionari’” (EG 120).

[3] “Tutti siamo chiamati ad essere santi vivendo con amore e offrendo ciascuno la propria testimonianza nelle occupazioni di ogni giorno, lì dove si trova. Sei una consacrata o un consacrato? Sii santo vivendo con gioia la tua donazione. Sei sposato? Sii santo amando e prendendoti cura di tuo marito o di tua moglie, come Cristo ha fatto con la Chiesa. Sei un lavoratore? Sii santo compiendo con onestà e competenza il tuo lavoro al servizio dei fratelli. Sei genitore o nonna o nonno? Sii santo insegnando con pazienza ai bambini a seguire Gesù. Hai autorità? Sii santo lottando a favore del bene comune e rinunciando ai tuoi interessi personali” (GeE 14).

[4] “Mi piace vedere la santità nel popolo di Dio paziente: nei genitori che crescono con tanto amore i loro figli, negli uomini e nelle donne che lavorano per portare il pane a casa, nei malati, nelle religiose anziane che continuano a sorridere… Questa è tante volte la santità ‘della porta accanto’, di quelli che vivono vicino a noi e sono un riflesso della presenza di Dio, o, per usare un’altra espressione, ‘la classe media della santità’” (GeE 7).

[5] Cfr. Sal 91,12.

[6] “Oggi, quando le reti e gli strumenti della comunicazione umana hanno raggiunto sviluppi inauditi, sentiamo la sfida di scoprire e trasmettere la ‘mistica’ di vivere insieme, di mescolarci, di incontrarci, di prenderci in braccio, di appoggiarci, di partecipare a questa marea un po’ caotica che può trasformarsi ina una vera esperienza di fraternità, in una carovana solidale, in un santo pellegrinaggio” (EG 87).

[7] “Non si vive meglio fuggendo dagli altri, nascondendosi, negandosi alla condivisione, se si resiste a dare, se ci si rinchiude nella comodità. Ciò non è altro che un lento suicidio” (EG 272).

[8] “Tutti siamo invitati ad accettare questa chiamata: uscire dalla propria comodità ed avere il coraggio di raggiungere tutte le periferie che hanno bisogno della luce del Vangelo” (EG 20).

[9] “I mali del nostro mondo – e quelli della Chiesa – non dovrebbero essere scuse per ridurre il nostro impegno e il nostro fervore. Consideriamoli come sfide per crescere” (EG 84).

[10] “Quanti cristiani danno la vita per amore… ringrazio per il bell’esempio che mi danno tanti cristiani che offrono la loro vita e il loro tempo con gioia. Questa testimonianza mi fa tanto bene e mi sostiene nella mia personale aspirazione a superare l’egoismo per spendermi di più” (EG 76). “Solo a partire dal dono di Dio, liberamente accolto e umilmente ricevuto, possiamo cooperare con i nostri sforzi per lasciarci trasformare sempre di più. La prima cosa è appartenere a Dio” (GeE 56).

[11] “Dopo l’amore che ci unisce a Dio, l’amore coniugale è la ‘più grande amicizia’. E’ un’unione che possiede tutte le caratteristiche di una buona amicizia: ricerca del bene dell’altro, reciprocità, intimità, tenerezza, stabilità, e una somiglianza tra gli amici che si va costruendo con la vita condivisa. Però il matrimonio aggiunge a tutto questo un’esclusività indissolubile, che si esprime nel progetto stabile di condividere e costruire insieme tutta l’esistenza” (AL 123).

[12] “Per essere evangelizzatori autentici occorre anche sviluppare il gusto spirituale di rimanere vicini alla gente, fino al punto di scoprire che ciò diventa fonte di una gioia superiore. La missione è una passione per Gesù ma, al tempo stesso, è una passione per il suo popolo” (EG 268).

[13] “La comunità che custodisce i piccoli particolari dell’amore, dove i membri si prendono cura gli uni degli altri e costituiscono uno spazio aperto ed evangelizzatore, è luogo della presenza del Risorto che la va santificando secondo il progetto del Padre” (GeE 145).

[14] “La Chiesa non cresce per proselitismo, ma per attrazione” (EG 14, citando Benedetto XVI).

[15] Cfr. Gv 1,14.

[16] “La Chiesa riconosce l’indispensabile apporto della donna nella società, con una sensibilità, un’intuizione e certe capacità peculiari che sono solitamente più proprie delle donne che degli uomini… Ma c’è ancora bisogno di allargare gli spazi per una presenza femminile più incisiva nella Chiesa” (EG 103).

[17] Cfr. Lc 10,38-42.

[18] Cfr. Gv 11,1-46.

[19] “Preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze” (EG 49).

[20] “Bisogna che la Chiesa non sia troppo concentrata su sé stessa, ma che rifletta soprattutto Gesù Cristo” (CV 39).

[21] Cfr. 1Pt 1,7.

[22] Cfr. Sal 51,19; Dan 3,39; At 2,37.

[23] Cfr. Mt 6,12.

[24] Cfr. Sal 128,2.

[25] Cfr. Sal 127,1.

[26] Cfr. 1Cor 12,12-27.

[27] “La nostra casa comune è anche come una sorella, con la quale condividiamo l’esistenza, e come una madre bella che ci accoglie tra le sue braccia… Questa sorella protesta per il male che le provochiamo, a causa dell’uso irresponsabile e dell’abuso dei beni che Dio ha posto in lei” (LS 1-2).

[28] Cfr. Is 35,3.

[29] “A volte perdiamo l’entusiasmo per la missione dimenticando che il Vangelo risponde alle necessità più profonde delle persone, perché tutti siamo stati creati per quello che il Vangelo ci propone: l’amicizia con Gesù e l’amore fraterno” (EG 265).

[30] “La mancanza di un riconoscimento sincero, sofferto e orante dei nostri limiti è ciò che impedisce alla grazia di agire meglio in noi” (GeE 50).

[31] “Se i giovani sono cresciuti in un mondo di ceneri, non è facile per loro sostenere il fuoco di grandi desideri e progetti” (CV 216).

[32] Gl 3,1.

[33] “Al mondo non è mai servita né servirà mai la rottura tra le generazioni.  Sono i canti di sirena senza radici” (CV 191). “Come vorrei una Chiesa che sfida la cultura dello scarto con la gioia traboccante di un nuovo abbraccio tra i giovani e gli anziani!” (AL 191).

[34] “Non si può parlare di sviluppo sostenibile senza una solidarietà tra le generazioni. Quando pensiamo alla situazione in cui si lascia il pianeta alle future generazioni, entriamo in un’altra logica, quella del dono gratuito che riceviamo e comunichiamo. Se la terra ci è donata, non possiamo più pensare soltanto a partire da un criterio utilitarista di efficienza e produttività per il profitto individuale. Non stiamo parlando di un atteggiamento opzionale, bensì di una questione essenziale di giustizia, dal momento che la terra che abbiamo ricevuto appartiene anche a coloro che verranno” (LS 159).

[35] Cfr. Gen 4,8; 16,12.

[36] Cfr. Mt 27,45.

[37] Cfr. 1 Gv 4,7.

[38] “Dall’inizio del mondo, ma in modo particolare a partire dall’incarnazione, il mistero di Cristo opera in modo nascosto nell’insieme della realtà naturale, senza per questo ledere la sua autonomia” (LS 99).

[39] Cfr. Lc 8,54-55.

[40] Cfr. Mt 14,19; 15,35; Mc 6,41; 8,6; Lc 9,16; Gv 6,11.

[41] Cfr. Mt 26,26-27; Mc 14,22-24; Lc 24,30.35.

[42] Cfr. Gv 9,6-7; Mt 20,34 e At 9, in cui le mani della Chiesa liberano gli occhi di Paolo dalla cecità.

[43] Cfr. Gv 20,25.

[44] Sal 123,2.

[45] “Che dolce è stare davanti a un crocifisso, o in ginocchio davanti al Santissimo, e semplicemente essere davanti ai suoi occhi! Quanto bene ci fa lasciare che Egli torni a toccare la nostra esistenza e ci lanci a comunicare la sua nuova vita!” (EG 264).

[46] Cfr. Gv 13,15.

[47] Cfr. Gv 14,12.

[48] “L’autentica fede nel Figlio di Dio fatto carne è inseparabile dal dono di sé, dall’appartenenza alla comunità, dal servizio, dalla riconciliazione con la carne degli altri. Il Figlio di Dio, nella sua incarnazione, ci ha invitato alla rivoluzione della tenerezza” (EG 88).

[49] Cfr. Mt 14,14; Gv 11,33-35; Lc 10,33.37; Col 2,5-11.

[50] “… accettare di essere ferito per primo da quella Parola che ferirà gli altri, perché è una Parola viva ed efficace” (EG 150).

[51] “Chi non sa piangere non è madre. Noi vogliamo piangere perché la società sia più madre, perché invece di uccidere impari a partorire, perché sia promessa di vita… La misericordia e la compassione si esprimono anche piangendo. Se non ti viene, chiedi al Signore di concederti di versare lacrime per la sofferenza degli altri. Quando saprai piangere, soltanto allora sarai capace di fare qualcosa per gli altri con il cuore” (CV 75-76).

[52] “Lui vive e ti vuole vivo! Lui è in te, Lui è con te e non se ne va mai. Per quanto tu ti possa allontanare, accanto a te c’è il Risorto, che ti chiama e ti aspetta per ricominciare” (CV 1-2).

[53] “A volte sentiamo la tentazione di essere cristiani mantenendo una prudente distanza dalle piaghe del Signore. Ma Gesù vuole che tocchiamo la miseria umana, che tocchiamo la carne sofferente degli altri” (EG 270).

[54] Cfr. i due racconti della creazione: Gen 1,3; 2,7.

[55] Cfr. Lc 1,35.

[56] Cfr. Sal 45,3.

[57] Betlemme: cfr. Lc 2,4.

[58] Cfr. Gv 6,32-33.

[59] Cfr. Gv 15,1-8.

[60] Cfr. Gv 20,25-27.

[61] Cfr. Mt 13,33. “La proposta è il Regno di Dio (Lc 4,43); si tratta di amare Dio che regna nel mondo. Nella misura in cui Egli riuscirà a regnare tra noi, la vita sociale sarà uno spazio di fraternità, di giustizia, di pace, di dignità per tutti” (EG 180).

[62] Cfr. Gv 20,29.

[63] “La Chiesa ‘in uscita’ è la comunità dei discepoli missionari che prendono l’iniziativa, che si coinvolgono, che accompagnano, che fruttificano e festeggiano” (EG 24).

[64] Cfr. Sal 55,13ss.; Sir 6,13; Lc 21,16.

[65] Cfr. Mt 26,49-50.

[66] Cfr. Mt 17,22.

[67] Cfr. Lc 2,51.

[68] Cfr. Lc 23,46.

[69] “Il Signore ‘emise lo Spirito’ (Mt 27,50) su una croce quando aveva poco più di trent’anni (cfr. Lc 3,23). E’ importante prendere coscienza che Gesù è stato un giovane. Ha dato la sua vita in una fase che oggi è definita come quella di un giovane-adulto” (CV 23, cfr. l’intero cap.II della CV: “Gesù Cristo sempre giovane”).

[70] Cfr. Is 49,2.

[71] Sap 3,1.

[72] Cfr. Sal 131,2.

[73] “Ogni bambino ha il diritto di ricevere l’amore di una madre e di un padre, entrambi necessari per la sua maturazione integra e armoniosa… Entrambi, uomo e donna, padre e madre, sono ‘cooperatori dell’amore di Dio Creatore e quasi suoi interpreti’. Mostrano ai loro figli il volto materno e il volto paterno del Signore” (AL 172).

[74] Cfr. Mt 5,9.

[75] “La risurrezione di Cristo produce in ogni luogo germi di questo mondo nuovo; e anche se vengono tagliati, ritornano a spuntare, perché la risurrezione del Signore ha già penetrato la trama nascosta di questa storia, perché Gesù non è risuscitato invano” (EG 278).

[76] Cfr. Is 49,16.

[77] Cfr. Ger 18,1-10.

[78] Cfr. Is 64,7.

[79] “Quello che conta è che ciascun credente discerna la propria strada e faccia emergere il meglio di sé, quanto di così personale Dio ha posto in lui” (GeE 11).

[80] Cfr. Sal 138,8.

[81] Gb 10,8; cfr. Sal 139.

[82] “Il Vangelo invita prima di tutto a rispondere al Dio che ci ama e ci salva, riconoscendolo negli altri e uscendo da sé stessi per cercare il bene di tutti” (EG 39).

[83] Sono le significative parole che suggellano i riti di ordinazione e di professione religiosa.

[84] “In definitiva, si tratta di riconoscere per che cosa sono fatto, per che cosa passo da questa terra, qual è il piano del Signore per la mia vita. Egli non mi indicherà tutti i luoghi, i temi e i dettagli, che io sceglierò con prudenza, ma certamente ci sarà un orientamento della mia vita che Egli deve indicarmi perché è il mio Creatore, il mio vasaio, e io ho bisogno di ascoltare la sua voce per lasciarmi plasmare da Lui. Allora sarò ciò che devo essere e sarò anche fedele alla mia realtà personale” (CV 256, cfr. tutto il cap. VIII della CV sulla vocazione).

[85] Cfr. Sal 98,8.

[86] “La cura autentica della nostra stessa vita e delle nostre relazioni con la natura è inseparabile dalla fraternità, dalla giustizia e dalla fedeltà nei confronti degli altri” (LS 70).

[87] “Non è sano amare il silenzio ed evitare l’incontro con l’altro, desiderare il riposo e respingere l’attività, ricercare la preghiera e sottovalutare il servizio. Tutto può essere accettato e integrato come parte della propria esistenza in questo mondo, ed entra a far parte del cammino di santificazione. Siamo chiamati a vivere la contemplazione anche in mezzo all’azione, e ci santifichiamo nell’esercizio responsabile e generoso della nostra missione” (GeE 26).

[88] Cfr. Mc 9,42.

[89] Cfr. Mt 19,14; Lc 11,53.

[90] Cfr. Gv 8,1-11.

[91] Cfr. Ger 1,9.

[92] “Che buona cosa che sacerdoti, diaconi e laici si riuniscano periodicamente per trovare insieme gli strumenti che rendono più attraente la predicazione!” (EG 159).

[93] E’ la proposta diocesana diffusa a partire da questo 2020.

[94] “Senza momenti prolungati di adorazione, di incontro orante con la Parola, di dialogo sincero con il Signore, facilmente i compiti si svuotano di significato, ci indeboliamo per la stanchezza e le difficoltà, e il fervore si spegne. La Chiesa non può fare a meno del polmone della preghiera” (EG 262).

[95] Sal 77,3.

[96] Cfr. Sal 27,8; 42,3.

[97] “Chi rischia, il Signore non lo delude, e quando qualcuno fa un piccolo passo verso Gesù, scopre che Lui già aspettava il suo arrivo a braccia aperte” (EG 3).

[98] Cfr. Mt 12,9-14.

[99] “Anzitutto voglio dire ad ognuno la prima verità: ‘Dio ti ama’. Se l’hai già sentito, non importa, voglio ricordartelo: Dio ti ama. Non dubitarne mai, qualunque cosa ti accada nella vita. In qualunque circostanza, sei infinitamente amato” (CV 112).

[100] “Dunque mi permetto di chiederti: ci sono momenti in cui ti poni alla sua presenza in silenzio, rimani con Lui senza fretta, e ti lasci guardare da Lui? Lasci che il suo fuoco infiammi il tuo cuore?” (GeE 151).

[101] “Anche tu hai bisogno di concepire la totalità della tua vita come una missione. Prova a farlo ascoltando Dio nella preghiera e riconoscendo i segni che Egli ti offre. Chiedi sempre allo Spirito che cosa Gesù si attende da te in ogni momento della tua esistenza e in ogni scelta che devi fare, per discernere il posto che ciò occupa nella tua missione. E permettigli di plasmare in te quel mistero personale che possa riflettere Gesù Cristo nel mondo di oggi” (GeE 23).

[102] Cfr. Mt 9,18; 19,13; Mc 6,5; 8,23; Lc 4,40; 13,13.

[103] Cfr. At 9,12; 28,8.

[104] “E’ vero che bisogna aprire la porta a Gesù Cristo, perché Lui bussa e chiama (cfr. Ap 3,20). Ma a volte mi domando se, a causa dell’aria irrespirabile della nostra autoreferenzialità, Gesù non starà bussando dentro di noi perché lo lasciamo uscire” (GeE 136).

[105] Con le sue esperienze di cooperazione missionaria con altre Chiese nel mondo.

[106] “Dalla nostra fede in Cristo fattosi povero, e sempre vicino ai poveri e agli esclusi, deriva la preoccupazione per lo sviluppo integrale dei più abbandonati nella società” (EG 186). “Per questo desidero una Chiesa povera per i poveri. Essi hanno molto da insegnarci” (EG 198).

[107] Cfr. Mt 25,31-46.

[108] Cfr. Mt 18,1-5.

[109] “Tra questi deboli, di cui la Chiesa vuole prendersi cura con predilezione, ci sono anche i bambini nascituri, che sono i più indifesi e innocenti di tutti…” (EG 213).

[110] “Una coppia di sposi che sperimenta la forza dell’amore, sa che tale amore è chiamato a sanare le ferite degli abbandonati, a instaurare la cultura dell’incontro, a lottare per la giustizia. Dio ha affidato alla famiglia il progetto di rendere ‘domestico’ il mondo, affinché tutti giungano a sentire ogni essere umano come un fratello” (AL 183).

[111] “Oggi e sempre, ‘i poveri sono i destinatari privilegiati del Vangelo’, e l’evangelizzazione rivolta gratuitamente ad essi è segno del Regno che Gesù è venuto a portare. Occorre affermare senza giri di parole che esiste un vincolo inseparabile tra la nostra fede e i poveri. Non lasciamoli mai soli” (EG 48, citando Benedetto XVI).

[112] Cfr. Ez 3,14.22; 8,1; 33,22; 37,1; 40,1.

[113] Cfr. Gen 22,15-18.

[114] “Io sono una missione su questa terra, e per questo mi trovo in questo mondo. Bisogna riconoscere sé stessi come marcati a fuoco da tale missione di illuminare, benedire, vivificare, sollevare, guarire, liberare. Lì si rivela l’infermiera nell’animo, il maestro nell’animo, il politico nell’animo, quelli che hanno deciso nel profondo di essere con gli altri e per gli altri” (EG 273).

[115] Potete inviare una vostra email, personale o di gruppo, purché firmata, a: vescovo@diocesidicremona.it

 

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