“Spariamo” sulle vocazioni

image_pdfimage_print

Ecco alcune domande / provocazioni / tentazioni che di solito si presentano soprattutto durante la fase iniziale di una vocazione, specialmente se autentica. Si tratta di questioni da verificare, miti da sfatare o, semplicemente, attacchi ingiustificati che situazioni, persone o, perché no, anche semplicemente il maligno potrebbero scagliare contro una potenziale chiamata di Dio per metterla in dubbio, destrutturarla, farla cadere. Cerchiamo, con questi pochi spunti, semplicemente di combattere un po’ di ignoranza in merito, di modo che una maggiore consapevolezza aiuti a compiere scelte mature. Come negli altri casi, il ricorso all’aiuto di una persona competente rimane comunque irrinunciabile.
1. D: La chiamata di Dio non dovrebbe essere una cosa luminosa e solare? Perché io, invece, mi sento tormentato da dubbi e timori, che non mi lasciano tranquillo? R: La vocazione chiama in causa la vita intera, la posta è alta e, come tutte le cose importanti, assume le caratteristiche di un parto, con tutti i fenomeni ad esso connessi, doglie incluse. IL fatto che si tratti di un parto travagliato, cioè, fuor di metafora, di una scelta sofferta, non toglie nulla alla grandezza ed alla bellezza di quanto nascerà, che, anzi, potrà essere più bello e splendente quanto più è stato soppesato in maniera matura e responsabile. IL fatto, quindi, di passare attraverso attriti e tensioni, nel momento della scelta, non è affatto segno del fatto che la vocazione sia una strada sbagliata, anzi…. Basta considerare la storia di S. Paolo per rendersene conto.
2. D: la presunta vocazione si affaccia in un periodo della mia vita piuttosto difficile. E se fosse un tentativo, magari inconscio da parte mia, di evadere da precise responsabilità legate al mio attuale ruolo nella società o nel lavoro? R: questo è un elemento da non trascurare e qui, ancor più che in altri ambiti, si rivela insostituibile la guida di una persona spiritualmente profonda, umanamente equilibrata, emotivamente non coinvolta e a sua volta guidata dallo Spirito Santo (l’ideale sarebbe un direttore spirituale) che aiuti a compiere, con calma e senza forzature, il dovuto discernimento, proprio per escludere che la vocazione sia uno scappare da qualcosa, anzichè uno scegliere Dio. La persona in questione saprà suggerire passi concreti per escludere questa eventualità.
3. D: Mi sento chiamato, ma ho già trenta o più anni, che senso può avere una chiamata a questo punto della mia vita? R: Il Signore chiama operai nella Sua vigna ad ogni ora ed il punto non è tanto l’età, quanto l’autenticità delle motivazioni, da verificare con un accompagnamento, che si sentono dentro. L’ultima parola, ad ogni modo, spetterà al responsabile dell’istituzione religiosa a cui ci si rivolge. Il fatto di avere già un bel tratto di strada alle spalle può facilitare nella comprensione delle dinamiche mondane in cui ci si troverà ad operare una volta consacrati, escludendo i rischi di un atteggiamento clericale che non ha più motivo di esistere. Oggi, del resto, la conformazione stessa della società porta a prendere sempre più tardi le decisioni importanti, si tratti di matrimonio, consacrazione o altro. Ciò che si perde in precocità, sarà guadagnato sul versante della maturità e della consapevolezza. D’altro canto, occorrerà probabilmente un extra di impegno di conversione per avere il coraggio di vagliare, alla luce del Vangelo, stili di vita e convinzioni ormai cristallizzati, qualora col Vangelo stesso non siano molto allineati.
4. D: Prete, suora, religioso /a…. Possibile che il Signore mi chiami a una scelta del genere proprio in un’epoca in cui c’è un bisogno estremo di testimonianze cristiane negli ambiti lavorativi, di istruzione, di vita civile e familiare? Che senso ha tirarsene fuori per una scelta di consacrazione? R: Questa è una finta domanda, perché ce la immaginiamo rivolta a noi, mentre è questione che spetta direttamente a Dio. E’ Lui, cioè, che decide se destinare una persona alla consacrazione, o ad una testimonianza cristiana laica nella famiglia o nel lavoro. E’ un falso dilemma, dunque, che non si può affrontare a livello intellettuale in maniera astratta: si tratta invece di capire cosa Dio sta chiedendo personalmente a noi, ora. Va comunque detto che la scelta di consacrazione manterrà sempre un suo valore prezioso, perché Dio si serve, per pascere il Suo gregge, della Chiesa, che a sua volta deve fornire segni visibili, in fatto di scelte di vita, di segnali chiari ed anche di ruoli che permettano un accompagnamento ordinato ed efficace del popolo di Dio, il che vale per tutti i consacrati. Per l’amministrazione dei Sacramenti, poi, attraverso i quali l’anima dei credenti è nutrita e guarita, la presenza dei sacerdoti e dei diaconi, come aiutanti dei Vescovi (che sono i successori degli Apostoli) è sommamente necessaria, anzi, indispensabile. Il fatto di rivestire anche un ruolo nulla toglie alla sensibilità che queste figure potranno dimostrare rispetto alle problematiche del proprio tempo, fermo restano che il loro coinvolgimento necessariamente avverrà su un piano in genere più spirituale e meno “operativo” in senso stretto.
5. D: Come può trattasi di una cosa che viene da Dio se, anziché incoraggiamento e sostegno, sto sperimentando soprattutto incomprensione se non addirittura opposizione aperta? R: Generalmente, una vocazione incontra le difficoltà maggiori proprio sul nascere. Questo obbliga la persona “chiamata” a guardarsi dentro con onestà, a sottoporre ad un vaglio impietoso le proprie motivazioni e a rispondere subito a domande che, comunque, si affaccerebbero più avanti nella vita. E’ quindi normale, sano e salutare che gli ostacoli più grandi si presentino subito e che il percorso appaia in salita. Ma può anche darsi che avvenga il contrario, cioè che il Signore prospetti inizialmente una visione gioiosa e attraente della chiamata, distribuendo più avanti in maniera opportuna gli elementi faticosi e problematici. Dio dispone il giusto mix di onori ed oneri tenendo conto della persona, del suo temperamento e della sua storia.
6. D: Cosa penseranno di me quelli che mi conoscono? E’ giusto renderli partecipi di quello che sto provando, oppure no? Avrò il loro sostegno nella mia vocazione? R: Rispondere “Sì” alla chiamata di Dio è e rimane una scelta di rottura, di svolta rispetto al passato e, soprattutto all’inizio, bisogna mettere in conto una certa solitudine umana, per poi ritrovare questi legami, ancora più solidi e convinti, una volta consolidata la propria scelta. L’importante, detto in breve, è “giocare pulito”, avendo il coraggio di dire chiaramente a genitori, parenti, amici più stretti ed, eventualmente, fidanzato /a, quali sono le proprie intenzioni. Ragioni di opportunità possono talora consigliare di dosare o procrastinare l’annuncio, senza per forza dover mentire, ma semplicemente tenendo presente che la vocazione, al suo nascere, è una creatura fragile che va difesa da possibili scossoni troppo prematuri. Facendosi sempre consigliare dal proprio accompagnatore spirituale, il principio che vale, in questa prima fase, è comunque soprattutto quello della “legittima difesa”: fermo restando che non è proprio desiderio il far soffrire qualcuno, questo non deve significare il sacrificio della propria vocazione. La volontà di Dio è comunque superiore ai desideri degli uomini e sono i secondi a doversi semmai allineare alla prima, non il viceversa.
7. D: Dovrò mettere da parte tutti i miei talenti per seguire Gesù? E allora perché me li ha donati? R: una temporanea “sospensione” della messa a frutto dei miei talenti non significa che il Signore non mi chieda, più avanti, di adoperarli per una causa più grande. Per ora, devo imparare che i miei talenti sono solo mezzi, non il fine supremo, che rimane l’amore per Dio e per i fratelli. Una volta conquistata questa convinzione, anche l’utilizzo dei propri talenti diventa più libero e sereno (e certamente non meno fruttuoso).