Riflessioni sulla Passione – Parte quarta

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Riflessioni sulla passione, morte,

discesa agli inferi e risurrezione di Nostro Signore Gesù

(dal commento al Credo di San Tommaso d’Aquino)

PARTE QUARTA

Insegnamenti che ne derivano

Da quanto si è detto si possono ricavare per la nostra istruzione quattro insegnamenti.

1- Ricavarne una ferma speranza.

Per quanto grande sia l’afflizione in cui si trova l’uomo, egli non deve disperare né diffidare dell’aiuto di Dio. Non c’è infatti uno stato più penoso di quello di trovarsi all’inferno. Se dunque Cristo liberò quelli che vi si trovavano, chiunque altro che sia amico di Dio deve avere grande fiducia di essere da lui liberato qualunque sia la tribolazione che lo affligge, perché (la Sapienza) “non abbandonò il giusto venduto … scese con lui nella prigione, non lo abbandonò mentre era in catene” (Sap 10,13-14). E poiché Dio aiuta in modo speciale i suoi servi, colui che serve Dio deve sentirsi molto sicuro. Dice infatti il Siracide: “Lo spirito di coloro che temono il Signore vivrà, perché la loro speranza è posta in colui che li salva” (Sir 34,14).

2 – Concepire il timore di Dio e bandire la presunzione.

Sebbene abbia patito per i peccatori e sia sceso agli inferi, Cristo non ha però liberati tutti, ma – come si è detto – solamente quelli che erano senza peccato. Vi lasciò invece quelli che erano morti in peccato mortale. Perciò, nessuno che muoia in peccato mortale può sperare nel perdono, ma rimarrà all’inferno per tutto il tempo che i santi rimarranno in paradiso, cioè in eterno, come si legge in Matteo: “Se ne andranno questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna” (Mt 25,46).

3 – Essere vigilanti.

Cristo infatti, scese agli inferi per la nostra salvezza. Analogamente, anche noi dobbiamo essere solleciti a scendervi frequentemente per meditare sulle pene che vi si soffrono, come faceva il santo Ezechia che scrisse: “io dicevo: a metà della mia vita me ne vado alle porte degli inferi” (Is 38,10). Infatti, chi mentre vive scende frequentemente col pensiero all’inferno, facilmente non vi scenderà dopo la morte, perché tale meditazione lo ritrarrà dal peccato. È infatti una constatazione, che gli uomini di questo mondo si guardano dal commettere cattive azioni per timore della pena temporale. E ancora di più staranno attenti a non peccare per non incorrere nella pena dell’inferno, che è ben maggiore sia per la durata che per l’intensità: “in tutte le tue opere – diceva il Siracide – ricordati della tua fine e non cadrai mai nel peccato” (Sir 7,40).

4 – Crescere nella carità.

Cristo scese infatti agli inferi per liberarvi i suoi. Analogamente, anche noi dobbiamo scendervi per portare aiuto ai nostri cari che per sé non possono fare nulla. Dobbiamo perciò aiutare le anime che sono in purgatorio. Si mostrerebbe infatti estremamente crudele chi non aiutasse un suo amico rinchiuso in un carcere; ma sarebbe ancor più crudele chi non aiutasse un suo amico che si trova in purgatorio, poiché non c’è alcun paragone tra le pene del purgatorio e quelle di questo mondo. “Pietà, pietà di me, almeno voi miei amici – diceva Giobbe – perché la mano di Dio mi ha percosso!” (Gb 19,21) e il Libro dei Maccabei diceva al riguardo: “è santo e salutare il pensiero di pregare per i defunti affinché siano liberati dai loro peccati” (2 Mac 12,46). Le anime dei defunti possiamo poi aiutarle – come dice Agostino – principalmente in tre modi: con le Messe, con le elemosine e la preghiera. E Gregorio ne aggiunge un quarto, cioè il digiuno. Né ci si deve poi meravigliare se per provare la possibilità di aiutare le anime del purgatorio abbiamo fatto ricorso al paragone che anche in questo modo l’amico può soddisfare per l’amico.
Preghiamo.

Il terzo giorno risuscitò da morte

È necessario che gli uomini conoscano due cose: la gloria di Dio e la pena dell’inferno, perché essi, allettati dalla gloria e spaventati dalla pena, possano star lontani dal peccato ed evitarlo. Ma sono cose queste molto difficili da conoscere. Per cui, della gloria si dice: “A stento ci raffiguriamo le cose terrestri, scopriamo con fatica quelle a portata di mano; ma chi può rintracciare le cose del cielo?” (Sap 9,16). Ed è questa un’impresa difficile per chi è terreno, perché, come dice Giovanni (Gv 3,31): “Chi viene dalla terra, appartiene alla terra e parla della terra“; non è cosa invece difficile per chi è spirituale, perché “chi viene dal cielo è al di sopra di tutti”. Per questo il Signore è disceso dal cielo e si è incarnato: per insegnarci le cose celesti.
Era anche difficile venire a conoscere le pene dell’inferno. Il Libro della Sapienza pone sulla bocca degli stolti queste parole: “Non si è trovato alcuno che sia tornato dagli inferi” (Sap 2,1). Ma ora non si può più dire così, perché Cristo, com’è disceso dal cielo per insegnarci le cose celesti, così è risorto dai morti per insegnarci le cose degli inferi. È perciò necessario che noi crediamo non solo che egli si è fatto uomo ed è morto, ma anche che risuscitò dal morti. Perciò nel Simbolo viene detto: “
il terzo giorno risuscitò dai morti“.

Caratteristiche della sua risurrezione

Sappiamo che molti sono risuscitati dai morti, come Lazzaro, il figlio della vedova e la figlia dell’archisinagogo. Ma la risurrezione di Cristo differisce da quella di costoro e degli altri per quattro motivi.

1 – Quanto alla causa.

Gli altri risuscitati non risorsero per virtù propria ma, o per quella di Cristo o per le preghiere di qualche santo. Cristo, invece, risuscitò per virtù propria, perché egli non era soltanto uomo ma anche Dio, e la divinità non fu mai separata né dalla sua anima né dal suo corpo. Perciò, quando egli volle, il suo corpo riassunse l’anima e l’anima il corpo. Lo affermò lui stesso: “Io ho il potere di offrirla (la mia vita) e il potere di riprenderla di nuovo” (Gv 10,18). E, pur avendo subita la morte, questa non avvenne per infermità o per necessità, ma per propria volontà, spontaneamente: il che risulta anche dal fatto che egli, nel momento di emettere lo spirito gridò ad alta voce: cosa che non possono fare gli altri che muoiono a causa della loro infermità. Fu questo il motivo che fece dire al centurione: “Davvero costui era Figlio di Dio” (Mt 27,54). Pertanto, come per virtù propria depose l’anima, così per virtù propria la riprese, per cui giustamente si dice che egli “risuscitò” e non che “è stato risuscitato“, come se ciò fosse avvenuto per intervento altrui. Egli può dire di sé quanto dice il salmista: “Io mi corico e mi addormento, mi sveglio (perché il Signore mi sostiene)” (Sal 3,6). Né questo è in contraddizione con quanto si legge negli Atti: “Questo Gesù Dio l’ha risuscitato” (At 2,32), perché il Padre lo risuscitò e il Figlio risuscitò se stesso, essendo unica la potenza del Padre e del Figlio.

2 – Quanto alla nuova vita del risorto.

Cristo risuscitò a una vita gloriosa e incorruttibile. Lo afferma l’Apostolo quando dice: “Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre” (Rm 6,4), mentre gli altri tornano alla medesima vita di prima, come sappiamo di Lazzaro e degli altri risorti.

3 – Quanto ai frutti che ne derivarono.

Tutti gli altri risorgono in virtù della risurrezione di Cristo. Infatti, dice il Vangelo che, alla risurrezione di lui, “molti corpi di santi morti risuscitarono” (Mt 27,52) e S. Paolo afferma che “Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti” (1 Cor 15,20). Non sfugga, però, che Cristo giunse alla gloria attraverso la passione, come egli stesso dichiarò ai suoi discepoli: “Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?” (Lc 24,26).
Così ci insegnò come anche noi potessimo giungere alla gloria, perché – come afferma S. Paolo – “
è necessario attraversare molte tribolazioni per entrare nel regno di Dio” (At 14,22).

4 – Quanto al tempo.

La risurrezione degli altri viene, infatti, differita alla fine del mondo, a meno ché ad alcuni non sia stata anticipata per privilegio, come alla Beata Vergine e, come piamente si crede, al beato Giovanni Evangelista. Cristo, invece, risuscitò al terzo giorno. La ragione è che la nascita, la morte e la risurrezione di lui erano ordinate alla nostra salvezza, e pertanto egli volle risorgere appena la nostra salvezza fu compiuta. Ma se fosse risorto subito dopo la morte, non si sarebbe creduto che egli fosse veramente morto; e se l’avesse differita di molto tempo, i suoi discepoli non avrebbero perseverato nella fede e di conseguenza la sua passione non sarebbe stata di alcuna utilità, come dice il salmo: “Quale vantaggio dalla mia morte, dalla mia discesa nella tomba?” (Sal 30,10). Risuscitò perciò il terzo giorno affinché fosse creduto morto e i suoi discepoli non perdessero la fede.

Quattro insegnamenti da ricavarne

Da quanto si è detto della risurrezione di Cristo possiamo ricavare a nostra erudizione quattro insegnamenti.

1 – Dobbiamo impegnarci per risorgere spiritualmente dalla morte dell’anima, in cui incorre l’uomo col peccato, alla vita di grazia che si riacquista mediante la penitenza. Dice infatti l’Apostolo: “Svegliati, o tu che dormi, destati dai morti e Cristo ti illuminerà” (Ef 5,14). È questa quella prima risurrezione cui allude l’Apocalisse quando dice: “Beati e santi coloro che prendono parte alla prima risurrezione” (Ap 20,6).

2 – Non dobbiamo differire questa nostra risurrezione al momento della morte, ma dobbiamo attuarla subito, perché Cristo è risorto al terzo giorno. A tanto ci invita anche il Siracide: “Non aspettare a convertirti al Signore, e non rimandare di giorno in giorno” (Sir 5,8). Come potresti, infatti, pensare alla salvezza dell’anima quando sarai oppresso dalla malattia? Inoltre, perché perseverando nel peccato, vorresti privarti della partecipazione di tanti beni che si fanno nella Chiesa e incorrere in tanti mali? Il diavolo, inoltre, – come dice Beda quanto più a lungo possiede un’anima, tanto più difficilmente la lascia.

3 – Dobbiamo risorgere a una vita incorruttibile, per non morire di nuovo, cioè col proposito di non peccare più, come Cristo che “risuscitato dai morti non muore più; la morte non ha più potere su di lui” (Rm 6,9). Perciò, “Anche voi consideratevi morti al peccato, ma viventi per Dio, in Cristo Gesù. Non regni più dunque il peccato nel vostro corpo mortale, sì da sottomettervi ai suoi desideri; non offrite le vostre membra come strumenti di ingiustizia al peccato, ma offrite voi stessi a Dio come vivi tornati dai morti” (Rm 6,11-13).

4 – Sforziamoci di risorgere a una vita nuova e gloriosa, tale cioè da evitare tutte quelle cose che prima ci erano state occasione e causa di morte e di peccato. “Come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova” (Rm 6,4), e questa vita nuova è una vita di grazia che rinnova l’anima e porta alla vita di gloria.
Alla quale dobbiamo tutti aspirare.

È salito al cielo, siede alla destra del Padre

Dopo che alla risurrezione di Cristo, dobbiamo credere anche alla sua ascensione al cielo, perché Cristo vi salì quaranta giorni dopo. Perciò si dice nel Simbolo “Salì al cielo“. Ma sulla sua ascensione vogliamo fare tre considerazioni: che fu un fatto eccezionale, ragionevole e utile.

1 – Fu un fatto eccezionale.

Fu veramente un fatto eccezionale questo suo salire nei cieli. E ciò per tre motivi. Innanzitutto perché egli salì al di sopra dei cieli materiali, essendo salito – come afferma l’Apostolo – “al di sopra di tutti i cieli” (Ef 4,10) e fu il primo a compiere una tale ascensione, perché prima di lui un corpo terrestre era rimasto sempre sulla terra, tanto è vero che lo stesso Adamo era vissuto in un paradiso terrestre.
Ma egli salì anche al di sopra dei cieli di natura spirituale, perché come scrive S. Paolo agli Efesini – il Padre “
lo fece sedere alla sua destra nei cieli, al di sopra di ogni principato e autorità, di ogni potenza e dominazione e di ogni altro nome che si possa nominare non solo nel secolo presente ma anche in quello futuro. Tutto infatti ha sottomesso ai suoi piedi” (Ef 1,20-22). Egli inoltre salì fino al trono di Dio Padre, come profetizzò Daniele: “Ecco apparire, sulle nubi dei cielo, uno, simile ad un figlio di uomo; giunse fino al Vegliardo e fu presentato a lui” (Dan 7,13); e Marco conferma, che: “Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu assunto in cielo e sedette alla destra di Dio” (Mc 16,19). Quando però si dice che egli sedette alla destra del Padre, non dobbiamo intenderlo in senso materiale ma soltanto metaforico, perché questo è un modo umano di esprimersi. Egli come Dio siede alla destra del Padre nel senso che è partecipe dei beni più eccellenti di lui. Questo lo aveva preteso il diavolo, quando, ai dire di Isaia, aveva pensato: “Salirò in cielo, sulle stelle di Dio innalzerò il trono, dimorerò sul monte dell’assemblea, nelle parti più remote del settentrione. Salirò sulle regioni superiori delle nubi, mi farò uguale all’Altissimo” (Is 14,13-14). Ma a tali altezze non pervenne che il Cristo, del quale il Simbolo dice appunto, che “salì al cielo, siede alla destra del Padre” e il salmo dice: “Oracolo del Signore al mio Signore: siedi alla mia destra” (Sal 110,1).

2 – Fu un fatto ragionevole.

Lo dimostriamo con tre motivi, il primo dei quali è che il cielo era dovuto a Cristo in forza della sua natura. È infatti conforme a natura che ogni cosa ritorni là da dove ha tratto origine. Orbene, l’origine di Cristo è da Dio, il quale è sopra ogni cosa, ed era perciò giusto che egli salisse sopra tutte le cose. Lo dice Gesù stesso: “Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo; ora lascio di nuovo il mondo e vado al Padre” (Gv 16,28) e “nessuno è mai salito al cielo, fuorché il Figlio dell’uomo che è disceso dal cielo” (Gv 3,13). È vero che anche i santi salirono e salgono al cielo, ma in maniera diversa da quella di Cristo; perché, mentre egli vi salì per virtù propria, i santi vi salgono perché attratti da lui: “Attirami dietro a te” (Ct 1,4). E si può anche dire che nessuno è salito al cielo tranne Cristo, perché i santi non vi salgono se non in quanto sono membra di lui, che è il capo della Chiesa (cf. Mt 24,28).
Ma il cielo era dovuto a Cristo anche per la sua vittoria. Egli era infatti stato mandato nel mondo per combattere contro il diavolo, e lo aveva sconfitto. Perciò si meritò di venire esaltato sopra tutte le cose. Ne dà conferma l’Apocalisse: “
Io ho vinto e mi sono assiso presso il Padre mio sul suo trono” (Ap 3,21).
Infine, il cielo gli era dovuto per la sua umiltà. Non c’è infatti umiltà più grande di quella di Cristo, il quale, essendo Dio, volle diventare uomo, ed essendo il Signore, volle – come dice S. Paolo – assumere la condizione di servo… “
facendosi obbediente fino alla morte” (Fil 2,8) e discese fino agli inferi. Meritò perciò, di venire esaltato fino al trono di Dio, dato che “chi si umilia sarà esaltato” (Lc 14,11). E giustamente, quindi, l’Apostolo dice di lui: “Colui che discese è lo stesso che anche ascese ai di sopra di tutti i cieli” (Ef 4,10).

3 – Fu un avvenimento utile.

Lo fu per tre motivi, il primo dei quali è quello di essere guida per noi. Salì infatti al cielo, per guidarvici noi, alla stessa maniera che risorse per far risorgere noi. Non ne conoscevamo infatti la strada e Cristo ce la mostrò accessibile: “Chi ha aperto la breccia li precederà… e marcerà il loro re innanzi a loro” (Mi 2,13), assicurandoci in pari tempo della possibilità di possedere il regno celeste, perché egli disse: “Vado a prepararvi un posto” (Gv 14,2).
Rafforzò poi, questa nostra speranza il fatto che egli vi salì per esservi nostro intercessore, perché così, come dice l’Apostolo, egli “
può salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si accostano a Dio, essendo egli sempre vivo per intercedere a loro favore” (Eb 7,25). E Giovanni aggiunge: “Abbiamo un avvocato presso il Padre: Gesù Cristo” (1 Gv 2,1).
Fu utile infine, per attrarre a sé i nostri cuori, dato che “
dov’è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore” (Mt 6,21) e indurci a disprezzare le cose temporali: “Se dunque siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio; pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra” (Col 3,1-2).