Dio ha dato il Suo Figlio per salvare tutti noi

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   Il Cristo uomo non si può proporre a esempio di felicità terrena, come egli stesso ha rivelato nel messaggio del Nuovo Testamento, che non riguarda la vita temporale ma quella eterna. Donde la sua umiliazione, la passione, i flagelli, gli sputi, i disprezzi,la croce, le piaghe e la stessa morte, come a uno vinto e completamente assoggettato. Tutto questo perché i suoi fedeli imparassero quale dono d’amore chiedere e sperare da colui del quale sarebbero divenuti figli. Non sarebbe quindi giusto servire Dio per raggiungere una felicità terrena, avvilendo e disprezzando la propria fede, considerandola come cosa tanto da poco.

   Cristo è uomo e nello stesso tempo anche Dio: dalla sua umanità così piena di misericordia e dal suo aspetto di servo dovremmo imparare cosa disprezzare in questa vita e sperare nell’altra. Egli nell’ora della sua passione, quando sembrava che i nemici riportassero una grande vittoria, si espresse con la voce della nostra debolezza, nella quale veniva crocifisso il nostro vecchio uomo, onde annullare il corpo del peccato: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Sal 21,2). Con la voce della nostra infermità, nella quale il nostro Capo si trasfigurò, nel salmo 21 è detto: «Dio mio, Dio mio», guardami, «perché mi hai abbandonato?», poiché chi prega, se non è esaudito, si sente abbandonato.

   Gesù diventò questa voce, la voce del suo corpo, cioè della Chiesa, che doveva essere cambiata dall’uomo vecchio in quello nuovo; voce veramente della sua debolezza umana, alla quale erano stati negati i beni dell’Antico Testamento perché imparasse a desiderare e sperare quelli del Nuovo.

Responsorio Mt 8,17; Is 53,6

Egli ha preso le nostre infermità *

e si è addossato le nostre malattie.

Il Signore fece ricadere su di lui l’iniquità di noi tutti.

E si è addossato le nostre malattie.

Lettera 140, 13-15” di sant’Agostino, vescovo

Immagine: Beato Angelico, Crocifissione, Museo di S. Marco, particolare.