SEPARATE… MA NON DIVISE: QUINTO CAPITOLO

image_pdfimage_print

 E’… necessario che alcuni cristiani,
chiamati a questa grazia (la vita contemplativa) dallo Spirito Santo,
col loro modo particolare di vita,
esprimano questa caratteristica contemplativa della Chiesa
ritirandosi realmente nella solitudine,
perché “in continua preghiera e intensa penitenza, attendano a Dio solo”.

(Istr. Venite Seorsum II)

    La sola parola ‘clausura’ agghiaccia il sangue e fa accapponare la pelle a tante persone.

   «… Anche per me, asserisce con sincerità suor Floriana, la clausura fu, per un certo tempo, qualcosa di incomprensibile».

   Bisogna ammettere che il ritmo frenetico della vita moderna male si concilia con l’idea e la realtà di una separazione completa dal mondo fra le mura di un monastero. S’aggiungano poi i tanti pregiudizi, diffusi anche tra cristiani praticanti, sulla ‘inutilità’ della vita claustrale …

   Cos’è la clausura? Qual è il suo scopo e significato? Quale la sua importanza nella vita della Chiesa?

   La migliore risposta a questi interrogativi è data dalla stessa suprema autorità ecclesiastica.

   La clausura ‘è un luogo nel quale il cielo e la terra si incontrano, luogo nel quale il mondo che è terra arida, per la presenza del Cristo torna ad essere Paradiso’ (Istr. Venite Seorsum, 3).

  ‘I membri degli istituti dediti interamente alla contemplazione – sono parole del Concilio Ecumenica Vaticano II – si occupano solo di Dio nella solitudine e nel silenzio, in continua preghiera e intensa penitenza… Essi offrono a Dio un eccellente sacrificio di lode, e producendo frutti abbondantissimi di santità, sono di onore e di esempio al popolo di Dio, cui danno incremento con una misteriosa fecondità apostolica’ (Decr. Perfectae caritatis, n. 7).

   In un magnifico, ispirato discorso alle c1australi, così si esprime Paolo VI:

  «… La Chiesa guarda a voi, che vi siete date a questo genere di vita per essere a continuo colloquio col Signore, per essere idonee a capire di più la Sua voce, a esprimere questa povera nostra voce umana con maggiore purezza e con maggiore intensità: avete fatto di questo rapporto tra cielo e terra, l’unico programma della vostra vita. Voi contemplative vi siete dedicate a questo assorbimento di Dio sopra la vostra anima. Ebbene, la Chiesa vede in voi l’ espressione più alta di se stessa… Perché che cosa vuol fare la Chiesa in questo mondo, se non congiungere le anime a Dio?… Siete chiamate a colloqui con Dio, ma non per voi sole; avete anche voi una missione… il mondo è per voi figliole, tutta la Chiesa è per voi… dovete portare la passione del mondo nel vostro cuore» (Discorso alle monache Camaldolesi, 23 marzo 1966).

   Certo la vocazione alla vita contemplativa è una vocazione tutta particolare, che presuppone determinate inclinazioni e disposizioni di animo, come quelle al silenzio e alla meditazione, i1 desiderio dell’unione con Dio.

   «Quando iniziai ad avvertire l’invito divino – ricorda suor Ada – non avevo idee ben chiare sulla distinzione che esiste tra vita attiva e contemplativa, sapevo solo di avere un gran desiderio di stare in solitudine per parlare con Gesù, per ascoltarLo nel silenzio. Ricordo di aver fatto un discorso molto ingenuo con una compagna che voleva farsi suora e che desiderava dedicarsi all’assistenza dei bambini: ‘Quando saremo in convento assieme, le dissi, tu attenderai ai bambini ed io mi dedicherò a qualche lavoro in cui possa continuare a stare raccolta in preghiera’. Siamo rimaste unite nella consacrazione camune a Gesù, ma la realtà delle nostre particolari aspirazioni ci ha condotte in luoghi necessariamente diversi: io in clausura e lei in una congregazione di vita apostolica».

   «Ho scelto la clausura – dichiara suor Marina – come lo stato di vita che meglio appaga le profonde esigenze dell’anima: l’adorazione e la lode incessante».

   Anche suor Camilla ha interrogato le aspirazioni più intime dell’anima per decidere della sua vita futura: «Nulla mi attirava, mi dava pace mi colmava nei miei desideri come la stare in contatto vivo di preghiera e di ascolto di Dio. La scelta della clausura venne come logica conseguenza di questa mia aspirazione interiore».

   E suor Gioconda così si esprime: «Compresi che in me Gesù voleva continuare l’atteggiamento interiore della sua anima in continua adorazione del Padre e in preghiera implorante per i fratelli, come faceva nelle lunghe notti trascorse in solitudine sul monte».

  Molti pensano – e questo ci addolora profondamente – che la nostra scelta sia stata determinata da una specie di egoismo spirituale e di conseguente disinteresse per il prossimo. Ma non è così. Alla base della nostra vocazione c’è il desiderio di dare tutto a Dio, proprio tutto, e di raggiungere col nostro sacrificio e la nostra vita di preghiera un maggior numero di fratelli, anzi di giovare in modo misterioso ma reale al Corpo Mistico e a tutta l’umanità. Se così non fosse, saremmo fuori del pensiero della Chiesa la quale vuole che sentiamo dentro di noi ‘la tensione di tutto il mondo profano, di tutto il mondo che non crede, di tutto il mondo peccatore e anche di quello buono, della Chiesa che sta per salire ma con fatica’ (Paolo VI).

  «Sapete perché ho scelto la vita claustrale? – confessa con rinnovato entusiasmo suor Pierina – perché volevo dare tutto a Gesù, anche la gioia di vedere i frutti di bene che la mia azione verso i fratelli avrebbe potuto determinare. Le parole di Gesù: ‘per loro santifico me stesso’ (Gv 17.19) mi avevano fatto riflettere molto. In questo vedevo appagato il mio desiderio di attirare molti fratelli a Cristo».

  «Se il desiderio di vivere in continua comunione con Dio era grande – rievoca suor Candida – non era meno intenso l’anelito di dare tutta me stessa per attirare le anime a Dio. Gesù mi ha fatto ben comprendere che ritirarmi dal mondo per stare unita a Lui non era dimenticare i fratelli; era, anzi, dare la vita per loro e ‘nessuno ha amore più grande di colui che dà la vita per i suoi amici’» (Gv 15.13).

  Suor Odilla, quando ricorda la sua vocazione e le aspirazioni che l’hanno accompagnata in clausura, addita il crocifisso: «Gesù sulla croce non poteva più predicare, né imporre le mani sugli ammalati;la sua unica attività era pregare e soffrire, e così ha salvato il mondo. Anch’io ho scelto di amare gli altri in questo modo».

  Nessuna di noi ha avuto vita facile per realizzare la propria vocazione contemplativa! L’incomprensione del mondo, il compatimento, le derisioni e gli aperti contrasti sono stati il prezzo che tutte, più o meno, abbiamo dovuto pagare per entrare in monastero. Ma siamo felici di averlo fatto.

  «Quando si seppe della mia decisione – ci rivela suor Daniela – qualcuno commentò con un certo disprezzo: ‘Non aveva altro da scegliere?’ Ma non mi preoccupavano i commenti: io e Gesù ci intendevamo, e questo mi bastava».

  Suor Bianca aveva preso come arma di difesa il Vangelo: «È una follia, mi dicevano. Ed era una follia, ma la follia del Vangelo. Gesù aveva approvato Maria che se ne stava ai suoi piedi ad ascoltarlo, anzi aveva detto: ‘Maria ha scelto la parte migliore che non le sarà mai tolta’ (Lc 10,92). La figura di Maria Maddalena che rompe il vaso di unguento prezioso per ungere i piedi di Gesù mi era molto familiare e tutte le volte che mi si dava dell’egoista per via dei talenti che andavo a sciupare in c1ausura, mentre avrei potuto fare tanto bene restando nel mondo, ricordavo la Maddalena e mi ‘sentivo orgogliosa di aver anch’io qualcosa da ‘sciupare’ per Gesù solo».

  «Abbiamo creduto all’Amore!» (1 Gv 4,16). Lo ripetiamo con gioia. Abbiamo riposto fiducia piena nell’aiuto della grazia divina, perché pur sentendoci piccole e deboli, come e forse più di tante nostre compagne, non abbiamo avuto paura di accogliere quell’anelito di Assoluto, di Infinito, di Totalità che vibrava nel fondo della nostra anima, sicure che lasciavamo il mondo solo per poterlo meglio abbracciare e amare col Cuore di Cristo crocefisso.