SEPARATE… MA NON DIVISE: SEDICESIMO CAPITOLO

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Ogni monaca abbia la propria cella…

(e) ritorni volentieri alla solitudine della cella

quando non è tenuta a restare altrove in forza del proprio ufficio,

di un lavoro o per obbedienza”.

Dalle Costituzioni

  La piccola stanza, semplice e luminosa, che è riservata ad ogni monaca, porta il nome di “cella”. Essa non ha nulla che ricordi le tetre abitazioni dei carcerati, ma si presenta come un nido di silenzio e di raccoglimento, un piccolo deserto dove la monaca può stare tutta “sola col Solo”.

  Le nostre regole danno uno squisito compendio di ciò che deve essere per ognuna di noi questo asilo di solitudine: “La cella monastica – recitano – non è tanto un luogo di riposo, ma un chiostro nel chiostro, una stanza chiusa per la preghiera nascosta (Mt. 6,6); è il luogo della lettura spirituale, della meditazione, dello studio”.

  È anzitutto “una stanza chiusa per la preghiera personale e per la penitenza segreta”, dove l’unico testimone silenzioso e invitante è il Crocefisso che, appeso sopra l’inginocchiatoio, ci attira ai suoi piedi, si può dire, ogni volta che vi entriamo.

  “Lo guardo con affetto – confida Suor Maria Amata – e se ho qualche pena attendo questo incontro con Lui per contemplarLo con uno sguardo di più profonda intesa”.

  “Ritieni la cella come il paradiso, ivi raccogli i vari frutti delle Scritture”, scrive S. Girolamo. La cella è infatti il luogo più adatto per rivedere, meditare e approfondire quei sacri testi che durante il giorno, nelle letture della Messa o nella Liturgia delle Ore, hanno suscitato un particolare interesse invitandoci ad assimilarli per diventare “spirito e vita”. Nel silenzio e nella solitudine si percepisce meglio la voce di Dio che ci rivolge, attraverso la sua Parola rivelata, sempre nuovi inviti. La mente, che si intrattiene nella lettura spirituale e nello studio, può colmare la sua profonda sete di conoscere la Verità che è Cristo e il mistero d’amore nascosto in Lui.

  Il Beato Angelico, in uno dei suoi capolavori, raffigura la Vergine che riceve l’Annuncio, raccolta in una stanzetta, la “sua cella”, col libro aperto sulle ginocchia, come se l’angelo “entrato da Lei” (Lc. 1,28) l’avesse sorpresa in uno dei suoi abituali atteggiamenti di ritiro, durante i quali Ella soleva conversare col suo Signore, leggendo la sua parola e rispondendoGli con un umile e generosa disponibilità. Ovunque, ma in particolar modo nella cella, la Vergine Maria ci è vicina come soave modello da imitare. A volte, anzi, la cella si trasforma in un luogo di incontro filiale con Lei, che più di ogni altro può insegnarci ad amare Gesù.

  “La mia gioia – manifesta Suor Sandra – è di intrattenermi con la Madonna, specialmente quando l’orario della giornata mi permette di stare in cella. Allora, come fa una figlia con la madre, Le confido tutto quello che mi sta a cuore e che desidero chiedere a Gesù per i miei fratelli; spesso glielo dico recitando il Rosario… oppure meditando la S. Scrittura con Lei. Riconosco che la Madre di Dio mi aiuta ad uscire dalla cella e a rientrare in comunità rivestita più intimamente di Gesù, con l’animo colmo di pace e di gioia”.

  La cella materiale ci ricorda un’altra “cella”, quella interiore, tanto amata da S. Caterina da Siena. È in quest’ultima cella che dobbiamo dimorare ogni momento della giornata, anche quando la regola monastica ci chiama ai doveri della vita comune. Qui la Trinità attende la nostra attenzione amorosa. Quanto silenzio interno ed esterno occorre per non perdere di vista questa adorabile Presenza! E “per non lasciare mai solo” l’Ospite divino delle nostre anime.

  La legge del silenzio ci è prescritta dalla nostra Regola di vita per facilitarci questo dialogo con il cielo. Ecco come ce la presentano: “…la legge santissima del silenzio, bella e salutare osservanza, presidio di tutte le altre osservanze e della stessa carità, sia osservata con somma diligenza nella casa della preghiera e della contemplazione qual è il Monastero”.

  Le giovani che hanno ricevuto il carisma della divina chiamata a possedere ‘la parte migliore’ (Lc 10,42) non hanno paura del silenzio, anzi lo desiderano e lo cercano. Lo sta a dimostrare il fatto che uno dei motivi che ci fanno particolarmente grate al Signore per averci accolte nel sacro recinto della clausura è proprio quello di averci offerto un angolo di terra, un ambiente qual è il Monastero, dove regna, desiderato e amato, il silenzio. L’anima in tal modo può più liberamente e facilmente incontrare Gesù nella preghiera, e offrire un ininterrotto cantico di lode alle Sue divine perfezioni meditate e approfondite nel raccoglimento.

  La monaca domenicana ha un modello sublime da imitare nel suo amore al silenzio: il fondatore stesso, S. Domenico; i suoi testimoni al processo di canonizzazione hanno potuto affermare che “Egli non parlava se non con Dio o di Dio”.