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Dal pellegrinaggio di Paolo VI in Terra Santa all’oggi, la relazione del giornalista Gianpiero Goffi ai Quaresimali di Soresina

Nell’elegante cornice della Sala del Podestà di Soresina, giovedì 29 febbraio per il secondo dei cinque appuntamenti dei Quaresimali proposti dalla Parrocchia di San Siro, è intervenuto il giornalista e ricercatore Gianpiero Goffi con una riflessione sulla travagliata storia di Gerusalemme e della Terra Santa a 60 anni dal viaggio di papa Paolo VI in quei luoghi.

Goffi ha puntualmente documentato il pellegrinaggio del Pontefice in Terra Santa a 60 anni di distanza da quello storico viaggio, avvenuto dal 4 al 6 gennaio 1964. Un excursus che il giornalista ha collegato alla situazione attuale attraverso la voce di chi, all’epoca, ha documentato il pellegrinaggio di Paolo VI e di chi, nel tempo, ha scritto di quel viaggio epocale (il primo in aereo per un Papa, ma soprattutto il primo in Terra Santa).

Il giornalista cremonese ha reso particolarmente arricchente la sua relazione grazie alle citazioni di scritti di vescovi e storici cremonesi che hanno vissuto quei giorni “in diretta”. Particolare attenzione è stata data alle numerose presenze religiose a Gerusalemme e alla difficile situazione di convivenza nei luoghi sacri, tanto da dover redigere regole di condivisione a dimostrazione di una situazione di divisione e conflitto mai veramente risolta. Il ricco racconto ha permesso ai presenti di immedesimarsi e vedere idealmente i luoghi sacri visitati dal Papa, quasi attraverso gli occhi della folla che accolse Paolo VI.

Una riflessione che ha evidenziato come i gesti di Papa Paolo VI – dalla decisione, a pochi mesi dalla sua elezione al pontificato, di recarsi in Terra Santa fino alla scelta dei luoghi da visitare in prima persona e all’incontro con il patriarca ecumenico Antenagora – andassero in una sola direzione: la pace. Pace tra tutti i popoli, tra tutte le religioni, tra tutte le culture.

 

 

L’intervento di Goffi si è dunque ben inserito nel programma dei Quaresimali soresinesi che vogliono spingere a meditare sul tema “L’audacia della pace: compito e profezia”, perché, come sottolineato dal parroco don Angelo Piccinelli, che ha introdotto la relazione di Goffi, «non ci misuriamo mai abbastanza con l’importanza della pace».

Una pace che, a 60 anni dal viaggio di papa Paolo VI, rimane, purtroppo, evocata, ma mai raggiunta. E dunque, dalle parole del relatore e di don Piccinelli si può trarre la conclusione che resta la speranza che questo rievocare il pellegrinaggio di Paolo VI aiuti i presenti a “lavorare” in una prospettiva di pace, per Gerusalemme, il cui nome, ironia della sorte, significa “città di pace” e per tutto il mondo, perché la pace è speranza e dove c’è speranza, c’è vita.

Il prossimo appuntamento è giovedì 7 marzo. Interverrà, presso il salone parrocchiale “Mons. Natale Mosconi” a partire dalle 20.45, con il prof. Matteo Truffelli, presidente della Fondazione “Don Primo Mazzolari” di Bozzolo, docente di Storia del pensiero politico all’università di Parma e già presidente nazionale dell’Azione Cattolica, che relazionerà in merito a “L’ostinazione per la pace … la scomoda profezia di don Primo Mazzolari e don Lorenzo Milani”.

 

 

“L’audacia della pace: compito e profezia”, l’intervento di don D’Agostino al primo Quaresimale di Soresina




“L’audacia della pace: compito e profezia”, l’intervento di don D’Agostino al primo Quaresimale di Soresina

 

I Quaresimali proposti dalla parrocchia di San Siro in Soresina sono iniziati, giovedì 22 febbraio, con un invito a essere operatori di pace. Raccolti nell’intimità che offre la chiesa del Monastero della Visitazione, i presenti sono stati guidati dal don Marco D’Agostino nella meditazione della parola di Dio e di diverse testimonianze di pace proposte come lettura prima dell’intervento del biblista di origini soresinesi, rettore del Seminario diocesano.

Il primo incontro dei Quaresimali 2024 – intitolati “L’audacia della pace: compito e profezia” – è stato una sosta di preghiera per invitare a coltivare “pensieri di pace”. Hanno aiutato il messaggio di Papa Paolo VI per la X Giornata della Pace (1 gennaio 1977), le parole di don Primo Mazzolari (Tu non uccidere), la Lettera di San Paolo Apostolo ai Romani (12, 9-18), un passaggio del testamento spirituale del padre Christian de Chergé,priore dell’Abbazia di Tibhirine, ucciso in Algeria nel maggio 1996 con altri sei monaci trappisti (di cui la Chiesa ha riconosciuto il martirio e che ha beatificato l’8 dicembre 2018), il Vangelo di Matteo e l’invocazione di san Francesco d’Assisi: “Signore, fa di me uno strumento della tua pace”. Tutti testi poi commentati da don Marco D’Agostino per spingere i presenti a “sintonizzarsi” sull’essere operatori e promotori di pace.

Nel suo intervento don D’Agostino ha evidenziato come la pace sia prima di tutto una vocazione, un dono e anche una scelta. E come tutti i doni, anche quello della pace va usato: non si può aspettare che arrivi dagli altri, deve partire da ciascuno. Tutti devono essere “attori”, anzi portatori di pace. Perché la pace non va dimenticata, ma condivisa. E condividere è la missione a cui ogni cristiano, ogni uomo è chiamato. Fondamentale è anche pregare perché sia accolto il dono della pace per poi condividerlo.

Il tutto senza dimenticare che Dio è pace, che la missione di pace voluta per il Figlio la chiede a tutti i suoi figli. Ecco perché essere figli, e avere questa consapevolezza, diventa il punto di partenza per essere operatori di pace ed essere beati, perché “saremo beati se opereremo la pace”.

Don Marco D’Agostino ha concluso la sua meditazione invitando a leggere e rileggere i testi proposti per questo primo Quaresimale e a sottolineare le parole forti per coltivarle, farle proprie, ispirarsi a loro e plasmare il proprio cuore affinché sia un cuore per la pace.

La serata, che ha visto la silenziosa partecipazione delle monache della Visitazione ed è stata accompagnata musicalmente dal Coro Psallentes, è stata guidata dal parroco di Soresina, don Angelo Piccinelli.

 

La meditazione di don Marco D’Agostino

 

Il prossimo incontro – dal titolo “Domandate pace per Gerusalemme” – sarà il 29 febbraio presso la Sala del Podestà in via Matteotti 4 con il giornalista, storico e critico letterario Gianpiero Goffi. Il secondo Quaresimale inquadrerà il primo “ritorno” di un pontefice in Palestina dopo la morte dell’apostolo Pietro a Roma, collocandolo dentro il contesto dell’attuale sanguinoso conflitto tra lo Stato d’Israele e Hamas.

 

 

“L’audacia della pace: compito e profezia”, il 22 febbraio al via i Quaresimali di Soresina




La coscienza del discepolo e la responsabilità ecclesiale, l’intervento don Enrico Parolari alla Plenaria del Clero

“Sono forse io? La coscienza del discepolo e la responsabilità ecclesiale”. Questo il tema dell’incontro plenario di formazione permanente che si è tenuto la mattina di giovedì 22 febbraio presso il Seminario di Cremona con la partecipazione di presbiteri, diaconi, religiosi e religiose della Diocesi di Cremona. Relatore don Enrico Parolari, sacerdote e psicoterapeuta della diocesi di Milano, impegnato con una équipe di altri professionisti (sacerdoti, laici e religiosi) ad accompagnare presbiteri e religiosi che vivono varie forme di difficoltà.

L’incontro è stato introdotto dal vescovo di Cremona Antonio Napolioni, che ha richiamato innanzitutto la ricchezza dei carismi di cui la Chiesa si nutre, testimoniata anche in questa occasione dalla presenza di varie forme di risposta alla vocazione e di servizio, come «esperienza sinfonica in questo cambiamento d’epoca». Non è mancato anche uno sguardo, segnato dalla gratitudine e dalla soddisfazione, alla recente Visita ad limina compiuta a Papa Francesco dai vescovi Lombardi, nel segno di una Chiesa «vegliata dallo Spirito, sempre, e che invita alla comunione», nonché al prossimo Giubileo, in cui i “pellegrini di speranza” sono chiamati a una feconda e credibile testimonianza, in ogni fase e situazione della vita.

Ha quindi preso la parola don Parolari, soffermandosi sull’orizzonte in cui viviamo e in cui le sfide pastorali si pongono come prova e occasione: sfide che diventano, appunto, opportunità per esprimere la testimonianza in un contesto di complessità, pluralità di mentalità e opinioni, difficile accettazione dell’autorità; di fragilità dei legami e di attacchi a essi e di instabilità delle relazioni; di crisi del desiderio e di percezione del futuro come minaccia, di insicurezza, garanzia, chiusura, benessere concepito come ideale assoluto.

Don Parolari è quindi passato ad analizzare e sviluppare le «tensioni polari per una integrazione profonda affettiva e spirituale», evocandone quattro, decisive, suggerendo a ciascuno personalmente di declinarle dentro al proprio contesto e dentro le risorse e fragilità della propria personalità: donare – ricevere; coinvolti – rispettosi dei confini; casti – generativi; presiedere – far partecipare.

Terzo punto della relazione è stata la «prospettiva di purificazione e di umiltà decisiva per la riforma di noi stessi nella comunione della Chiesa Cattolica: la prevenzione degli abusi».

«Commettere un abuso – ha affermato don Enrico Parolari – su un minore o un adulto vulnerabile significa tradire, anzitutto, la sua fiducia. Questo vale per ogni forma di abuso: sia di potere, di coscienza, spirituale o sessuale». «E quello che rimane nelle vittime – ha proseguito – anche a distanza di anni, è una ferita profonda. Papa Francesco più volte ha parlato degli abusi come di un crimine gravissimo, invocando la “tolleranza zero” verso chi lo commette». Una via di non ritorno, dunque, quella della Chiesa cattolica di fronte al crimine degli abusi, iniziata da papa Benedetto XVI e confermata e strutturata ulteriormente da papa Francesco.

Ecco quindi la disanima e l’approfondimento, da parte di don Parolari, di alcuni aspetti e dinamiche che caratterizzano questa realtà: dagli abusi sessuali si è passati anche a considerare quelli di potere, di coscienza, spirituali; l’esistenza di diverse reazioni verso il fenomeno (negazione, fastidio, superiorità, umiltà); la presenza nel servizio pastorale di tre aree che toccano le qualità delle relazioni (“i confini”, “il potere”, “l’intimità”).

La mattinata è proseguita con la condivisione a gruppi, libera e responsabile, di suggestioni, sensibilità, valutazioni, proposte, per terminare con la preghiera corale e il pranzo vissuto in fraternità.

 

La relazione di don Enrico Parolari




Al Cambonino una serata su Mazzolari con la proiezione del documentario inedito di Ermanno Olmi

 

La proiezione del documentario su don Primo Mazzolari che Ermanno Olmi realizzò con Corrado Stajano, su proposta della Rai nel 1967, e che mai fu mandato in onda, ha reso davvero unica la serata sul parroco di Bozzolo promossa nella serata di giovedì 22 febbraio dall’unità pastorale di Cremona che proprio a lui è stata intitolata (visto che comprende anche la parrocchia del Boschetto dove Mazzolari nacque il 13 gennaio 1890). Il docufilm, di 25 minuti, fortunosamente ritrovato alcuni mesi fa negli archivi dell’emittente di Stato, è stato proposto nella chiesa San Giuseppe, nel quartiere Cambonino.

La serata si è aperta con il saluto del parroco moderatore dell’unità pastorale “Don Primo Mazzolari” (formata dalle parrocchie di Sant’Ambrogio, Cambonino, Boschetto e Migliaro). Don Paolo Arienti ha voluto sottolineare il «bisogno di cultura»: «a volte – ha detto – fuori dalla Chiesa manca e ci possiamo accorgere di quanta cultura invece ci serve. Ma se manca anche dentro alle comunità ecclesiali succede che ci si occupa solo del rito rendendo sterile la vita».

Ha quindi preso la parola in collegamento da New York il prof. Stefano Albertini, originario di Bozzolo e oggi direttore di Casa Italia, che ha introdotto la visione del cortometraggio «che ripropone la realtà e la vita di don Mazzolari in maniera poetica: una narrazione discreta che ha lasciato molto spazio alle immagini». «La sera prevista della messa in onda, il Giovedì Santo del 1967 – ha ricordato Albertini – fu trasmesso invece un documentario sulle farfalle: questo provocò molte polemiche, anche a livello politico, fino ad arrivare a interrogazioni parlamentari. La Rai non trasmise mai il filmato, pur assicurando l’inserimento della trasmissione in palinsesto in una data successiva».

La pellicola non fu mai trasmessa e il filmato fu perso. Contemporaneamente la Rai commissionò a un altro Olmi, il giornalista Massimo, un altro documentario su don Primo, intitolato “Il profeta della Bassa” (disponibile anche sul sito della Fondazione e su YouTube). «Massimo Olmi produsse, con la consulenza di Arturo Chiodi, ragazzo di Mazzolari divenuto giornalista, un documentario giornalistico più che decoroso, con molte interessanti testimonianze ai bozzolesi sul loro parroco». E ancora: «In Rai il film di Ermanno Olmi scomparse da ogni archivio e da ogni teca, ma a un certo punto a Ennio Chiodi, figlio di Arturo, venne l’idea di cercare nel “nastro bobinone”, una bobina dove la Rai registrava tutte le trasmissioni della giornata come registrazione di sicurezza in caso di problemi e proprio lì fu trovato questo film. Nulla ad oggi si sa, invece, dei motivi e dei mandanti della censura».

 

L’intervento del prof. Stefano Albertini

 

La serata è poi proseguita con la riflessione di don Bruno Bignami, postulatore della causa di beatificazione di don Mazzolari e direttore dell’Ufficio nazionale Cei per i problemi sociali e il Lavoro. Il sacerdote cremonese ha riflettuto sulla centralità dei poveri nel pensiero del parroco di Bozzolo: «Mazzolari, partendo dalla visione dei Padri della Chiesa, acquisisce la grande consapevolezza che i poveri sono il cuore e la presenza stessa di Cristo nella Chiesa. È possibile trovare Cristo in tre luoghi: l’Eucarestia, la Parola di Dio, i poveri». «La valorizzazione del povero – ha detto ancora don Bignami – permette di rivedere tanti assetti e tante modalità di pensare la pastorale e la vita cristiana». E ha precisato: «Uno dei testi mazzolariani fondamentali è “Il Samaritano”, che dice esattamente qual è l’approccio al povero: va accolto per quello che. Ed è curioso che nel Vangelo è uno straniero colui che accoglie e dà una risposta di carità al povero». Il cristiano allora «deve farsi povero come Cristo, così come la Chiesa deve fare l’esperienza della povertà. Tutti temi recuperati dal Concilio Vaticano II quando si è compreso in maniera approfondita che la via della povertà di Cristo è anche la via della testimonianza della Chiesa».

 

L’intervento di don Bruno Bignami

 

Infine, ha preso la parola in collegamento video il sindaco di Cremona, Gianluca Galimberti, che ha incentrato la sua riflessione sul senso della complessità e della povertà da vedere non solo nel prossimo, ma anche in se stessi: «Bisogna assumere uno sguardo nuovo che accetta la complessità della realtà, quindi domandarsi chi sono i poveri nella nostra città: i giovani, gli immigrati, chi ha problemi nel complesso mondo del lavoro, le persone sole. Ma il clima non favorisce: perché quando si apre lo sguardo su chi sono i poveri, la presenza della persona povera mette in crisi, perché mette in discussione i propri diritti». E ha aggiunto: «La risposta a questo problema è già in atto: dobbiamo provare a trasformare la risposta di una generosità personale rispetto alla povertà in una risposta politica, nella consapevolezza che non esistono ricette semplici. Servono risposte che hanno bisogno di tempo, accettando la fatica di cercarle insieme riconoscendo quanto già è stato fatto».

 

L’intervento del prof. Gianluca Galimberti

 

“La parola ai poveri” era il titolo dell’incontro, ispirato alla rubrica che negli anni ’40 e ’50 apparve su Adesso, il quindicinale di don Primo Mazzolari, dedicata proprio alla condizione dei poveri e recentemente ripubblicata con una breve ma profonda prefazione di Papa Francesco. Quello dei poveri è uno dei temi centrali della spiritualità di don Primo Mazzolari: un’attenzione che diventa impegno personale e richiamo sociale su cui riflettere e levare anche voci di denuncia.

La serata – cui ha preso parte una delegazione di Bozzolo, con il parroco don Luigi Pisani e il sindaco Giuseppe Torchio, insieme ad alcuni membri della Fondazione Mazzolari – è stata realizzata grazie alla sinergia tra l’Unità pastorale “Don Primo Mazzolari”, il Comune di Cremona, la Fondazione “Don Primo Mazzolari” di Bozzolo e la Postulazione della Causa di beatificazione.




50 anni di Fism, una scuola che mette “prima i bambini”

 

Fondata nel 1957, la Federazione italiana scuole materne (Fism) festeggia quest’anno mezzo secondo di storia. Un compleanno festeggiato nella mattinata di sabato 17 febbraio a Cremona con il convegno “I bisogni educativi dell’infanzia nella realtà cremonese” promosso dall’Adasm (Associazione diocesana asili scuole materne) e Fism di Cremona insieme all’Ufficio diocesana di Pastorale scolastica. Una occasione di approfondimento e riflessione che ha visto la partecipazione di esperti nel settore dell’educazione.

A introdurre l’iniziativa, organizzata in collaborazione con la Fondazione comunitaria della Provincia di Cremona e ospitata presso il Centro pastorale diocesano di Cremona, è stato il presidente provinciale Adasm-Fism Sergio Canevari, che ha sottolineato che «le difficoltà economiche sono il principale problema delle scuole. Abbiamo fatto questo convegno per far conoscere la Fism a livello diocesano e provinciale, per questo abbiamo accolto anche insegnati provenienti dalla scuola pubblica. L’obiettivo è quello di lavorare insieme per il bene dei bambini: la scuola è fatta per il bene dei bambini. Bisogna superare quelle differenze fra scuole comunali, statali e paritarie, lavorando come comunità, senza per questo perdere la propria unicità».

Dagli anni ’70 la federazione si impegna a promuovere e sviluppare attività solidali nel campo dell’istruzione e dell’educazione, a beneficio ed assistenza anche economica delle scuole per l’infanzia paritarie, dedicando una particolare attenzione ai servizi prescolastici svolti dalle scuole aderenti. Oggi Fism conta più di 9mila istituti affiliati, composti da scuole materne, sezioni primaverili e nidi, per un totale di oltre 500mila bambini, di cui il 50% provenienti dalla Lombardia.

Dopo i saluti di don Gianpaolo Maccagni, vicario episcopale per la Pastorale che ha portato anche la vicinanza del vescovo Antonio Napolioni, impossibilitato a essere presente a motivo della Visita pastorale, e dell’assessore all’Istruzione e alle Risorse umane del Comune di Cremona Maura Ruggeri, è intervenuta Cinzia Parimbelli, del Consiglio nazionale Fism, che ha anzitutto ricordato il motto Fism: “Prima i bambini”. «Per i 50 anni la Federazione ha ritenuto di aggiungere al motto anche le parole “prendiamo il largo”: finalmente prendiamo il largo in un’ottica di tutela, di servizio e di sostegno a tutte le nostre realtà, che di fatto sono funzionali alle famiglie, all’impiego femminile e soprattutto ai bambini, che saranno gli adulti di domani». Una questione educativa che, però deve fare i conti ogni giorno con le risorse disponibili. «Quest’anno siamo riusciti ad ottenere dal Ministero dell’istruzione 90 milioni di euro in aggiunta a quelli stanziati attraverso il Mef, che si tradurranno tra il 2024 e il 2025 in una disponibilità di circa 200 euro in più a bambino. Non siamo solo venali, ma è vero che questi fondi potranno aiutare le scuole a fornire un servizio migliore alle famiglie».

 

L’intervento di Cinzia Parimbelli

 

È poi intervenuto il professor Franco Verdi, che con entusiasmo e passione ha raccontato la storia di questi 50 anni,  «un excursus storico che parte dal bisogno educativo e si evolve fino a diventare diritto educativo. Passare da una scuola finalizzata a una forma assistenziale di cura a una scuola centrata sul diritto all’istruzione, sul diritto alla formazione, è un operazione che avviene in un contesto familiare e di vita comunitaria». Il professor Verdi si è soffermato sulla figura di don Ferrante Aporti, sacerdote cremonese, ma anche pedagogista e uomo politico, pioniere dell’educazione scolastica infantile. Vero fondatore di quella che oggi è chiamata scuola per l’infanzia. «Il paradigma aportiano – ha evidenziato il professor Verdi – segna la traccia del percorso educativo italiano, che vede caratteristiche interessanti, soprattutto nell’evidenziare che c’è una forte necessità di una convergenza, un mettere in opera quella che è la responsabilità educativa della società. Prima c’è la promozione dell’uomo, dargli cultura, sapere, conoscenza e abilità, e solamente dopo si potrà parlare di evangelizzazione».

 

La relazione di Franco Verdi

 

Nella seconda parte della mattinata è intervenuta la professoressa Angela Biscaldi, docente del dipartimento di Scienze sociali e politiche dell’Università Statale di Milano, che ha descritto il processo educativo da un punto di vista più antropologico, focalizzando l’attenzione sull’importanza del ruolo del genitore, ad oggi estremamente complesso. «Porto oggi la mia esperienza ventennale sui temi della responsabilità educativa – ha spiegato la professoressa Biscaldi –, bisogna cercare di capire come il processo di deistituzionalizzazione della famiglia e del matrimonio abbia portato l’attenzione sociale a concentrarsi sul bambino e sui suoi desideri e bisogni, ma non tutti i desideri e bisogni sono veramente bisogni educativi. Si tende sempre più spesso a realizzare ogni desiderio che il proprio figlio esprime, ma essere buoni genitori non significa necessariamente accontentare sempre, certe volte è necessario distinguere quello che è veramente importante da quello che invece è un bisogno istantaneo, e quindi superfluo».

 

La relazione di Angela Biscaldi

 

Al termine della conferenza i presenti hanno potuto confrontarsi con i relatori sui temi che sono stati descritti durante gli interventi, portando le proprie esperienze personali in ambito non solo scolastico, ma anche familiare e più in generale anche educativo.




Cure palliative, per curare comunque chi è inguaribile

 

La moderna medicina palliativa è nata nel 1967 per mano di Cicely Saunders, infermiera, medico e assistente sociale inglese che si dedicò, anche attraverso la diffusione degli hospice, al sollievo dei malati senza speranza di guarigione. Nacque così il concetto moderno di “cura palliativa”, che divenne presto un movimento scientifico-culturale basato su un solido principio: la persona gravemente malata, seppur inguaribile, è però curabile. Una cura intesa come cura della persona nella sua interezza, del suo nucleo familiare e amicale, della complessità dei suoi bisogni in ottica multidimensionale.

E proprio il tema “Nella sofferenza una speranza: il malato inguaribile e le cure palliative” è stato il fulcro del convegno promosso nel pomeriggio di domenica 4 febbraio, in occasione della 46ª Giornata nazionale della vita, nella sala Bonomelli del Centro pastorale diocesano di Cremona. Relatore il professor Marco Maltoni, oncologo ed ematologo, direttore dell’unità cure palliative di Forlì e medico coordinatore della rete di cure palliative della Romagna. L’evento è stato moderato dal dottor Paolo Emiliani, presidente del Centro di aiuto alla vita di Cremona.

Ma in che modo l’hospice e le cure palliative possono rappresentare una speranza? La risposta del professor Maltoni è stata chiara: «L’hospice può essere identificato come un luogo di vita e speranza perché nella condizione reale di vita, che è una condizione di limite che un malato non si è scelto, può accadere qualcosa – ha spiegato –. Può accadere che dentro a delle relazioni ci sia come un richiamo a cercare il significato dell’istante presente, anche quando questo istante presente è scandaloso». «Può accadere l’annichilimento, la chiusura in se stessi – ha aggiunto –, ma può anche nascere un grido».

«La sfida di una persona malata, che quindi deve fare un percorso di accettazione di una condizione che lo porta a significativi condizionamenti, è quello di non vivere questa condizione da solo – ha specificato Maltoni a margine dell’evento –. Le cure palliative sono dunque nate come innesto sulla tradizione di cura secolare, come nuovo modo di guardare al paziente e alla sua famiglia, sapendo di avere a che fare con persone segnate non solo da un dolore fisico, ma da una sofferenza totale».

Non un abbandono ma una speranza. Un nuovo modo di pensare la medicina, un metodo “fatto insieme” perché «le cure palliative – conclude Maltoni – hanno come caratteristica il lavoro di équipe: è un gruppo che si prende cura di un altro gruppo, della persona malata e della sua famiglia».

 

L’intervento del prof. Maltoni

 

A chiudere gli eventi della 46ª Giornata nazionale per la vita domenica 4 febbraio, nel tardo pomeriggio, nella chiesa dell’Immacolata Concezione, nel quartiere Maristella di Cremona, è stato “Oy khodit son – Ninne nanne dal mondo”, concerto nel quale l’orchestra “Phantasia & Co” e il coro parrocchiale dell’Immacolata hanno eseguito brani “della buonanotte” di diverse culture e tradizioni.

La serie di eventi promossi in diocesi per la 46ª Giornata nazionale per la vita si chiuderà la sera di lunedì 5 febbraio con l’adorazione eucaristica per la vita che si terrà presso Cascina Moreni alle ore 21. La consueta iniziativa promossa tutti i primi lunedì del mese nella cappella della cascina, nel mese di febbraio avrà come particolare intenzione proprio il tema della vita. L’adorazione sarà presieduta da don Graziano Ghisolfi, consigliere spirituale della “Fraternità Famiglia Buona Novella”, la cui associazione ha sede proprio a Cascina Moreni.

 

 

 

 

Giornata della vita, al Maristella una serata di preghiera e testimonianze

“Una chat per la vita”, la presentazione del libro del Movimento per la vita di Varese ha aperto gli eventi della 46ª Giornata della vita

Chiesa di casa, la forza della vita ci sorprende

Giornata per la vita: “ogni vita ha immenso valore” e “stupefacente capacità di resilienza”




Giornata della vita, al Maristella una serata di preghiera e testimonianze

 

Silvia Gerevini ha 49 anni, è moglie e mamma di cinque figli. È sua la testimonianza che, insieme a quella di don Maurizio Lucini, incaricato diocesano per la Pastorale della salute e assistente spirituale dell’Hospice di Cremona, ha arricchito la veglia di preghiera alla viglia della Giornata nazionale per la vita che nella serata di sabato 3 febbraio è stata organizzata a Cremona, nella chiesa dell’Immacolata Concezione del quartiere di Maristella, per la Zona pastorale 3 e il territorio circostante.

Dedicata al tema della vita in tutte le sue fasi, è stata una serata di preghiera e di riflessione aiutata anche da alcune testimonianze, dalla riflessione del Vescovo e da alcuni passi del messaggio dei vescovi per la 46ª Giornata nazionale della vita, focalizzata sul tema La forza della vita ci sorprende. “Quale vantaggio c’è che l’uomo guadagni il mondo intero e perda la sua vita?” (Mc 8,36). Ad aiutare il clima di meditazione gli strumenti e le voci del coro parrocchiale del Maristella.

Silvia Gerevini ha voluto portare la sua testimonianza di vita: «Sono qui per gratitudine verso il buon Dio, che nella vita mi ha regalato tanto: la vita stessa, il marito, la famiglia, gli amici, il figlio fatto, i figli presi già fatti, i figli desiderati, i figli indesiderati, i figli sani, il figlio malato». Un elenco inusuale, che ha fatto sintesi di una storia di accoglienza che Silvia e il marito, Cristiano Guarneri, vivono da quando sono sposati. Non un progetto, ma un “sì” al disegno di Dio. «Questo per me è essere madre: dare la vita per l’opera di un Altro, attraverso ciò che ci fa vivere», ha detto Silvia. «Così – ha raccontato ancora – negli anni abbiamo accolto diversi figli, tramite l’affido. Di questi figli, c’è chi si è fermato solo 15 giorni, chi qualche mese, chi anni e chi è ancora con noi e sta studiando medicina». L’ultimo cenno è dedicato al figlio Alessandro, 18 anni, cerebroleso: «Non riesce a fare quasi nulla, ma ama e si lascia amare. Che è quello che dovremmo fare tutti noi».

La testimonianza di Silvia Gerevini

 

Molto forte e profonda anche la testimonianza di don Maurizio Lucini, in servizio come assistente spirituale presso l’Hospice dell’Ospedale di Cremona, che attraverso il racconto di alcuni incontri ha portato all’attenzione il tema del fine vita: «L’argomento dell’assistente spirituale è certamente complesso e ho pensato di portare a voi alcuni dialoghi con pazienti incontrati in questo reparto». Incontri in cui il confronto con il sacerdote è stato di una profondità sincera, nel quale sono emerse le fragilità di ogni essere umano e il desiderio di riconciliarsi con il Padre o con esperienze di vita vissute con dolore e sofferenza, con un accenno speciale alla problematicità relazionale con alcune figure della propria famiglia.

La testimonianza di don Maurizio Lucini

 

Non è mancata la riflessione del vescovo Antonio Napolioni, che ha presieduto la veglia: «C’è una Chiesa fatta di vita e che veglia sulla vita, magari senza rendersene conto», le sue parole. Quindi ha condiviso con i presenti tre incontri avuti durante i giorni della Visita ad limina in Vaticano, esperienze segnate dall’incontro con situazioni di vita particolari, ma pieni di umanità e di gioia. «Non c’è solo la veglia per la vita, ma c’è una vita per la veglia –ha quindi proseguito –. È pieno il mondo di vita da vegliare perché morente, perché nascente, da vegliare con cuore vigile e con sguardo contemplativo e innamorato, da vegliare per riconoscere davvero le membra del corpo di Gesù».

La riflessione del vescovo Antonio Napolioni

 

 

Gli appuntamenti del 4 febbraio

Doppio appuntamento, invece, domenica 4 febbraio, in cui ricorre la 46ª Giornata nazionale per la vita, sul tema La forza della vita ci sorprende. “Quale vantaggio c’è che l’uomo guadagni il mondo intero e perda la sua vita?” (Mc 8,36).

Alle 16, presso la sala Bonomelli del Centro pastorale diocesano di Cremona (via S. Antonio del Fuoco 9A), il professor Marco Maltoni, medico coordinatore della rete di cure palliative della Romagna, affronterà il tema: “Nella sofferenza una speranza: il malato inguaribile e le cure palliative”.

Alle 18, inoltre, nella chiesa del Maristella, il coro parrocchiale dell’Immacolata Concezione intonerà le “Ninne Nanne dal mondo”, un concerto caratterizzato dall’esecuzione di diversi brani “della buonanotte” di culture e tradizioni diverse.

La serie di eventi promossi a Cremona in occasione della 46ª Giornata nazionale per la vita si chiuderà la sera di lunedì 5 febbraio, con l’adorazione eucaristica per la vita che si terrà presso Cascina Moreni alle ore 21.

 

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“Nel giardino, maschio e femmina lì creò”, la riflessione della teologa De Vecchi per la Giornata sacerdotale

“Nel giardino, maschio e femmina lì creò”. È il tema della relazione tenuta dalla teologa moralista Gaia De Vecchi in occasione della Giornata sacerdotale vissuta a Rivolta d’Adda, in Casa Madre delle Suore Adoratrici, giovedì 1° febbraio. Il primo atto delle proposte in calendario per la festa del fondatore dell’Istituto religioso, san Francesco Spinelli, che ricorre il 6 febbraio.

Un momento bello di Chiesa che ha visto il riunirsi a Rivolta di oltre 50 sacerdoti provenienti dalle diocesi in cui le Adoratrici sono inserite: Cremona, Crema, Modena-Nonantola, insieme anche ad alcuni religiosi.

La giornata è iniziata con l’accoglienza e la relazione della teologa che ha concentrato la riflessione sulla complessità delle relazioni maschio-femmina. A partire da Genesi 1-3, la professoressa De Vecchi ha accennato gli sviluppi del rapporto maschile/femminile nel corso della storia della Chiesa. L’analisi si è poi spostata sull’oggi, in cui sono proposti modelli sviluppati nei secoli precedenti, non più in grado di contenere la complessità del presente. Spesso si restringe il campo della relazione maschile/femminile al piano della coppia, ma questa modalità si rivela escludente, in quanto non considera il piano comunitario nel quale tutti sono chiamati a vivere le relazioni. Quale nome dare a questo nuovo modello, più aperto e comprensivo di tutte le sfaccettature della nostra realtà? La professoressa De Vecchi non ha lasciato risposte o ricette preconfezionate; ha piuttosto indicato un punto di partenza per un partecipato dibattito, segno della pregnanza dell’argomento, ormai realtà quotidiana anche nelle nostre Chiese.

 

La relazione dalla teologa moralista Gaia De Vecchi 

 

 

I partecipanti hanno poi celebrato insieme l’Eucaristia, presieduta da don Giampaolo Maccagni, vicario episcopale per il Clero e il Coordinamento pastorale della Diocesi di Cremona. Nell’omelia don Maccagni ha sottolineato come san Francesco Spinelli possa essere una luce per i sacerdoti di questo tempo, per vivere appieno l’oggi, perché possano riportare sempre tutto non a sé, ma a Lui, nell’Eucaristia. «Il lamento quando le iniziative pastorali non funzionano o hanno poco successo può risuonare sulla bocca dei preti con queste parole: “Non mi è rimasta che la Messa”. Un’espressione di san Francesco, che sembra dire ai sacerdoti: Ti sembra poco? L’Eucaristia è tutto! È la sorgente: celebrare e vivere l’Eucaristia è il centro e il cuore di tutta la vita sacerdotale. Il Signore ha chiamato i preti a preparare la tavola ogni giorno, a chiamare ogni giorno, come un padre, i componenti della famiglia e dire: C’è pronto! Venite puntuali!». «Proprio questo – ha continuato Maccagni – è il senso dell’essere preti, dell’essere cristiani. Perché essere cristiani significa alimentarsi di Gesù e così, vivere di Lui». Come riecheggia dalle letture proprie della festa di san Francesco Spinelli: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui”. Sì, vivere di Lui.

La giornata sacerdotale si è conclusa con un pranzo in fraternità.

 

San Francesco Spinelli, tanti appuntamenti in preparazione alla festa del fondatore delle Suore Adoratrici




Diventare cittadini onlife, incontro per i sacerdoti del Pio X

“Diventare cittadini onlife: le sfide dell’educazione al tempo del web social”. Questo il tema, di pressante e stimolante attualità, dell’incontro che si è tenuto nella mattinata di giovedì 25 gennaio presso l’oratorio di Castelverde e che ha visto interessati i sacerdoti ordinati negli ultimi anni, insieme ad altri comunque interessati all’argomento. Relatore il prof. Stefano Pasta, del Centro di ricerca dell’educazione ai media, all’innovazione e alla tecnologia (Cremit) e docente presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.

Prendendo le mosse dalle logiche comunicative che stanno alla base della comunicazione, il prof. Pasta ha offerto una analisi profonda, articolata e aggiornata di quanto e di come la comunicazione nei web social si stia evolvendo con grande rapidità, certo con non pochi rischi, ma anche innegabili grandi opportunità: una relazione comunicativa che supera il paradigma geografico, che si determina come spazio di estensione della realtà, che è “in vita”, necessariamente esige che si assumano atteggiamenti educativi ed equilibrati nella fruizione degli strumenti che la permettono e sostengono. Ecco allora che il web sociale, nel panorama dei media, postula che in questa dinamica di attenta e responsabile consapevolezza si ponga sia il fruitore che il produttore culturale, tenendo conto che uno degli scopi è quello di raggiungere un pubblico quanto più possibile vasto. Nasce così la figura dello “spettautore”.

Particolarmente coinvolti ne sono i cosiddetti “nativi digitali”, individuati come tali non solo e non tanto per ragione anagrafiche, ma sulla base della formazione familiare e della educazione ricevuta. Condizione, questa, che determina anche l’appartenenza – come ha precisato il relatore – al gruppo della “saggezza digitale” o della “cyber stupidity”, nella accezione di superficialità nella fruizione e nell’uso dei mezzi.

Si pone dunque un problema di “competenza digitale”, intesa non solo dal punto di vista tecnico, fondata sull’educazione al pensiero critico e alla responsabilità.

Ancora: gli strumenti digitali, ora caratterizzati dalla “portabilità” e dall’”indossabilità”, comportano che saltino i corpi intermedi della comunicazione; che ci sia un sovraccarico informativo; che non si possa non tenere conto della forza degli algoritmi  e dell’Intelligenza Artificiale; che ci si debba porre il problema della selezione delle informazioni, mediati appunto dall’algoritmo, il quale non è mai neutro; che saltino gli apparati tradizionali dell’informazione e che ne nascano di nuovi.

I partecipanti hanno poi approfondito nei lavori di gruppo le tematiche  e le suggestioni proposte ed emerse, per poi condividerle, facendone tesoro anche per le possibilità che aprono per l’annuncio del Bene a chi vive nel mondo di oggi.

 




Unità dei cristiani, veglia ecumenica a Sant’Abbondio

Una preghiera corale e sentita; l’espressione di una concreta e bella fraternità; la convinzione della necessità di condividere un fecondo e credibile cammino verso l’unità dei cristiani: questo ha caratterizzato la veglia ecumenica che nella diocesi di Cremona si è svolta la sera di lunedì 22 gennaio a Cremona nella chiesa di Sant’Abbondio, accolta dal parroco don Andrea Foglia.

Inserita organicamente  nella Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, che ogni anno si svolge dal 18 al 25 gennaio, è stata celebrata, alla presenza di un’assemblea numerosa e partecipe, dal vescovo di Cremona mons. Antonio Napolioni, dal pastore Nicola Tedoldi della Chiesa Metodista di Parma-Mezzani e del pastore Franco Evangelisti delle Chiese Cristiane Avventiste del Settimo Giorno di Cremona, Mantova e Parma. Molto a malincuore padre Lucianu Munteanu, delegato della parrocchia ortodossa romena di Cremona, non ha potuto presenziare, a causa di improvvise e improrogabili necessità.

Dopo la solenne processione iniziale è stato richiamato il tema che accompagna la Settimana quest’anno, che è stata affidata dal Dicastero per la promozione dell’unità dei cristiani al Gruppo ecumenico locale del Burkina Faso, nell’Africa occidentale, coordinato dalla Comunità locale di Chemin Neuf, con la feconda e attiva collaborazione di fratelli e sorelle dell’Arcidiocesi cattolica di Ouagadougou e delle Chiese protestanti: “Amerai il Signore tuo Dio e il tuo prossimo come te stesso”, tratto dal vangelo di Luca, ispirato alla pericope del Buon Samaritano.

Introducendo la veglia, il vescovo Antonio Napolioni ha espresso un intenso, affettuoso e riconoscente ricordo per padre Doru Fuciu, della chiesa ortodossa rumena di Cremona, e per il prof. Mario Gnocchi, a lungo presidente nazionale del Segretariato attività ecumeniche, che quest’anno sono stati chiamati alla gloria del Padre: l’espressione davvero sentita di una vera vicinanza ai familiari, presenti alla veglia, e alle loro comunità.

La Parola, proclamata ecumenicamente, è stata al centro dell’incontro, con le coinvolgenti riflessioni dei celebranti.

«Che cosa vuol dire seguire le orme di Cristo, nelle situazioni concrete della vita?», ha preso le mosse il pastore Evangelisti, che ha condiviso con l’assemblea una sua toccante esperienza. Tempo fa, in visita ai malati in un ospedale, si era imbattuto in una giovane donna nigeriana, vittima della tratta, che era rimasta paralizzata a causa delle brutali percosse subite per il suo rifiuto a sottoporsi alle richieste dei suoi sfruttatori, fedele al Vangelo. Una testimonianza autentica di sequela fino alle estreme conseguenze, questa, che interpella: «Siamo in un mondo che soffre – ha detto il pastore – in cui è necessario uscire per incontrare l’altro ed esprimere la fraternità, con il Signore dentro di noi; perché quando abbiamo il Signore abbiamo l’altro, che è una parte di noi».

La riflessione del pastore Evangelisti

 

«Il cammino ecumenico esige una sana fretta – ha quindi affermato il vescovo Antonio Napolioni prendendo la parola – e un passo spedito». Tuttavia nella vita ci può essere anche «una fretta malata, come quella del levita, caratterizzata da una frenesia vuota». Altra cosa, invece, la fretta di Abramo e del Buon Samaritano, fatta di sollecitudine e di attenzione, caratterizzata dalla pacatezza dei gesti: una «santa sosta nell’incontro tra Dio e l’umanità, che fa ripartire la vita». Sono necessarie dunque, «vere soste interiori, affinché si metta in atto ciò che più è necessario, nella santa urgenza della carità, senza la quale nessuna unità è possibile».

La riflessione del vescovo Napolioni

 

“Gesù risponde auna domanda sbagliata”, gli ha fatto eco il pastore Tedoldi: che cosa “devo” fare. Ma non è questione di “fare”, ha sottolineato, ma di “amare”. Perché l’amare porta al fare, ma non sempre è vero il contrario. Oggi, infatti c’è un amore che deruba, come quello dei briganti della parabola, esplicitato in tante forme di cui sono vittime giovani, lavoratori, donne, operatori di pace e di giustizia. Ma dove c’è violenza o intimidazione, ecco la necessità della “disciplina della misericordia”, al cui centro “non ci sia la legge, ma il cuore, e l’uomo sia al centro della necessità  e della cura. Perché il prossimo siamo noi che ci mettiamo accanto all’altro”.

La riflessione del pastore Tedoldi

 

La veglia è quindi continuata con la “conversazione nello Spirito”, grazie alla quale i partecipanti, suddivisi in gruppi, hanno condiviso le bellezze e le profondità di quanto la Parola suggeriva e animava negli animi e nelle vite.

La preghiera e il canto, sostenuti all’organo dal maestro Lino Binda, hanno condotto verso la conclusione questo intenso momento di fraternità condivisa, di ringraziamento, di affidamento. Nel segno della passione per l’unità dei cristiani, condizione vera e imprescindibile della credibilità dell’annuncio.