Chiamati col “due”. Intervista a don Marco d’Agostino

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Negli ambienti del seminario ci è capitato di incontrare un prete, mezza età, che a livello diocesano pare ricoprire un ruolo di discreta importanza.

Stiamo parlando di don Marco D’Agostino, rettore del seminario.

Abbiamo voluto rivolgergli qualche domanda a proposito di “Chiamati col due”, il testo sulla formazione presbiterale che il vescovo presenta oggi ai sacerdoti della nostra diocesi.

Don Marco, partiamo dal titolo: “Chiamati col ‘due’. Appunti sulla formazione presbiterale”. Suggestivo…

Beh, un po’ sì. L’idea è quella di partire dall’esempio della briscola in cinque per dire che questo è il meccanismo con cui Dio ci chiama. Noi, che siamo idealmente il suo socio, abbiamo solo il due. Le altre briscole le ha Lui, quindi non possiamo che confidare in Colui che ci ha chiamati. Allo stesso tempo, però, è un modo per dire: giochiamoci la vita! Qualcosa abbiamo in mano anche noi e dobbiamo provare a giocare da buon socio, che collabora e aiuta il chiamante. Ecco, la formazione in seminario dovrebbe accompagnarci ad avviare questo processo di affidamento e relazione con il Signore affinchè un domani, da preti, possiamo continuare su questa strada.

Come mai la scelta di presentarlo proprio al ritiro diocesano del clero?

Il testo non vuole essere un libro fatto e finito, ma uno strumento che serve al presbiterio per ragionare sulle linee da dare alla formazione. Sarebbe bello che ci si potesse confrontare insieme a partire da esso.

E’ un atto di onestà. Negli ultimi anni ci siamo accorti che non sempre si capisce quali siano le indicazioni, a livello di formazione, che vengono date in seminario. Con questo testo proviamo a fare chiarezza. Certo, sappiamo di non avere ricette definitive o soluzioni miracolose, ma proviamo a camminare insieme a questi giovani, cercando di farli appassionare e sperando che ognuno si prenda cura del proprio cammino formativo.

Il testo ha come target esclusivo il presbiterio o può far bene anche al tessuto laicale della nostra chiesa?

Onestamente lo vedo molto legato al presbiterio nella sua nascita. E’ ai sacerdoti che si rivolge in modo peculiare. Peculiare non significa esclusivo, perché è anche aperto al confronto con chi ha a che fare con la formazione. Penso alle famiglie che ospitano i seminaristi per la condivisione della Parola; penso alle comunità che li accolgono per il servizio pastorale… Anche i laici possono dire la loro! E magari scopriamo che ci sono dei capisaldi della formazione che valgono per tutti, non solo per i seminaristi. In fondo lo scopo principale del seminario è quello di formare degli uomini, non semplicemente dei preti. In questo senso la lettura del testo da parte dei laici potrebbe sdoganare l’idea che, chi esce dal seminario, non è un supereroe, ma una persona normale, che porta dentro di sé risorse e ferite, come tutti.

Quando si parla briscola bisogna tenere presente che i carichi hanno un ruolo spesso decisivo. Quali sono quelli che l’equipe formativa del seminario ha deciso di giocare?

Il carico fondamentale è quello delle relazioni, con Dio e con i fratelli. Attorno a questo ruotano tutti gli altri: quello dello studio, che deve essere a servizio della formazione, e quello dell’esperienza pastorale a servizio di una comunità. Aggiungerei che ha un peso particolare anche tutto ciò che riguarda la formazione interiore: come noi ci rapportiamo con noi stessi, con Dio e con i fratelli. Ovviamente non tutti e quattro sono giocabili “nella stessa mano”. Però è opportuno che, all’interno della partita, si cerchi di farli girare al meglio.

Un’ultima domanda. Tanti, e per leggere, e per giocare a briscola, devono indossare un paio di occhiali. Lei che lenti consiglia di utilizzare per approcciarsi a questo testo?

Direi che ci si può approcciare al testo con due prospettive e, di conseguenza, due tipi di lenti.

Per vedere da vicino, a bereve distanza, userei lenti di grande libertà. Bisogna essere liberi nel considerare la realtà attuale e la formazione dei giovani di oggi nella Chiesa di oggi. Non è un rifiuto del passato, ma il tentativo di vivere il Vangelo in modo incarnato.

Per guardare lontano servono le lenti della proposta: cosa può servire a un futuro prete? Cosa ci si aspetta?

E’ proprio in questa prospettiva che ci aspettiamo un confronto all’interbo del presbiterio.

 

Ringraziamo don Marco per il tempo che ha voluto dedicarci e ci prepariamo a giocare la nostra partita, provando a dare, anche noi, il nostro contributo.