«Umiltà e nascondimento per servire Dio e i fratelli»
La profetica testimonianza delle monache visitandine a Soresina dal lontano 1816
Si dicono felicissime e onorate che Benedetto XVI abbia scelto di risiedere nel monastero del loro ordine in Vaticano, sono particolarmente contente del nuovo Papa Francesco, così affabile e vicino alla gente, non mancano di pregare per l’amata Chiesa cremonese e in modo particolare per le intenzioni più care al vescovo Dante. Pur essendo separate dal mondo da una spessa grata, le dodici monache visitandine di Soresina seguono con attenzione tutto ciò che accade al di fuori degli spessi muri delle loro celle: l’adorazione di Dio, l’abbandonarsi al suo amore, spinge quasi naturalmente ad amare e a preoccuparsi per i fratelli immersi nelle preoccupazioni del mondo. A pochi giorni dalla festa della Visitazione di Maria a Santa Elisabetta (31 maggio) abbiamo varcato la soglia dell’austero edificio di Largo Cairoli per conoscere meglio la vita quotidiana, il carisma e le aspirazioni di queste donne che hanno scelto di nascondersi agli occhi degli uomini per dedicarsi con tutto se stesse alla lode di Dio e alla salvezza delle anime.
Ascolta l’intervista alla Madre
È appena suonata la campana che richiama alla lettura personale: manca un quarto d’ora alle quattro del pomeriggio e le dodici monache visitandine hanno appena terminato la recita dell’ora nona e il canto delle litanie in chiesa. È tempo di appartarsi per immergersi in qualche testo di spiritualità o di teologia. La giornata ormai sta giungendo al termine, manca da dire il Rosario e il vespro, poi, dopo cena, ci sarà il tempo per un po’ di ricreazione e alle 21.15, dopo Compieta, avrà inizio il grande silenzio.
La vita di queste donne è regolata alla perfezione: l’ordine esteriore è specchio di quello interiore conquistato con anni di esercizio ascetico quotidiano.
Una suggestiva immagine del cortile interno del monastero sotto la neve
Ad accogliere i visitatori che ogni giorno bussano numerosi al monastero, per consegnare un aiuto o per chiedere un consiglio, c’è la monaca addetta alla portineria: è l’unica che può uscire dalla clausura e avere un contatto diretto con il mondo. La voce gentile e i modi delicati rivelano una serenità interiore così assente nelle strade della città.
Il parlatorio è una sala minuscola: due sedie, un tavolino e una grande grata di ferro massiccio. Le maglie sono così strette che non è possibile nemmeno infilare una mano. Pochi secondi di attesa e le imposte di legno che impediscono di invadere la clausura, anche solo con lo sguardo, si aprano. La Madre che guida la comunità si è staccata per qualche istante dal suo impegno di lettura spirituale per raccontarci della sua vita e di quella delle sue consorelle.
Il tono della voce è basso, i gesti misurati, gli occhi ardenti, quasi febbricitanti, di quelli abituati a vedere solo l’essenziale. «Siamo a Soresina da quasi 200 anni – esordisce la religiosa -. Era il 24 aprile 1816 quando due consorelle del monastero di Alzano, in provincia e diocesi di Bergamo, giunsero in città per riaprire il monastero soppresso dalle leggi napoleoniche. Prima la casa era abitata da un gruppo di terziarie francescane che, costrette a sciogliere la comunità, mantennero gli impegni della vita religiosa. Quando finì il dominio francese l’allora vescovo di Cremona, mons. Omobono Offredi, grande estimatore del nostro fondatore, san Francesco di Sales, chiese e ottenne due monache per iniziare una nuova comunità. La madre di Alzano all’inizio fu parecchio titubante, perchè si doveva privare di due ottime religiose, ma alla fine cedette alle insistenze del presule cremonese avvalorate dal confratello di Bergamo e nacque il monastero della Visitazione in cui confluirono anche le terziarie rimaste fedeli alla loro antica consacrazione».
«Piccolezza, nascondimento, umiltà, dolcezza: qui sta tutto il nostro carisma, così come fu pensato dal Salesio e dalla nostra cofondatrice santa Giovanna di Chantal – prosegue la visitandina -. Nostro compito quotidiano è quello di cercare in ogni cosa la volontà di Dio e di seguirla con determinazione. Tendiamo a essere indipendenti da tutto ciò che ci circonda tranne che dalla volontà di Dio».
Nella sua profonda saggezza san Francesco di Sales preferì imporre alle sue monache al posto di pesanti mortificazioni corporali quelle interiori: «Siamo chiamate – spiega la Madre – a morire a noi stesse, al nostro amor proprio, alla nostra volontà e al nostro giudizio, a quelle passioni come l’irascibilità o la pigrizia che rendono tiepidi. Più che ai digiuni e alle veglie dobbiamo essere attente alla pratica della virtù in ogni momento della giornata».
La cappellina della Madonna di Lourdes nel grande giardino del monastero
E la giornata di una visitandina è particolarmente impegnativa. L’alzata è alle 5.25, quindi alle 6 è prevista un’ora di preghiera personale seguita dalla celebrazione delle Lodi, dalla Messa e dal ringraziamento per la comunione e dall’ora terza. Uscite finalmente di chiesa le religiose hanno tempo per una piccola colazione, poi tutte al lavoro: c’è chi è impegnata in cucina, chi nel rammendare gli abiti, chi nella pulizia degli ambienti, c’è anche una monaca che si occupa di aggiustare le scarpe: «Cerchiamo di essere il più indipendenti possibile dal mondo esterno». Un’attività importante, che è anche una modesta forma di autofinanziamento, è il confezionamento e la vendita delle particole alle parrocchie del circondario.
Alle 10.45 l’appuntamento è nuovamente in chiesa per l’ufficio delle letture, la recita dell’ora sesta e per l’esame di coscienza. Segue il pranzo, un piccolo momento di ricreazione dove è possibile parlare e il tempo del riposo. Quindi si riprende il lavoro fino alle 15.15 con la recita dell’ora nona, il canto delle litanie e mezz’ora di lettura personale. Alle 16.30 si recita il Rosario e il Vespro. Una mezz’ora di orazione personale precede la cena che solitamente è alle 18.15.
La preghiera comune nel coro
Una volta lavati i piatti e riassettata la cucina, le dodici monache si godono la ricreazione. Alle 20.15 si riunisce l’assemblea nella quale si mettono in comune le letture o i pensieri fatti durante la giornata. Tocca poi alla madre riportare le notizie della giornata, ricavate dalla lettura dell’Osservatore Romano e del settimanale diocesano “La Vita Cattolica”. Seguono quindi le istruzioni per il giorno successivo e le intenzioni per cui pregare: «In questo modo tutte sanno ciò che devono fare e non ci si perde in chiacchere durante la giornata». Sì perchè, tranne le due ricreazioni, tutti gli altri momenti sono vissuti in silenzio, compresi i pasti. «La giornata – precisa la Madre – si chiude alla 21 con la recita di Compieta. Poi ognuna va nella sua camera e, fino alle 22.30, può leggere o scrivere».
La ricreazione nel giardino del monastero
Un programma quotidiano certamente impegnativo dove la preghiera e la riflessione hanno un posto privilegiato: «Molte volte ci è stato chiesto se non sia più giusto uscire dalla clausura per aiutare le persone in difficoltà. A chi ci fa questa domanda rispondiamo che il primo dovere del cristiano è l’adorazione di Dio e che la carità più grande che si possa fare è pregare per la salvezza delle anime dei fratelli. Questo è il nostro impegno, compiuto sempre nel nascondimento, nel silenzio, in un atteggiamento di umile e pronta obbedienza e in piena comunione con la Chiesa cremonese, della quale ci sentiamo parte attiva».
Le suore visitandine, però, sono molto più moderne di quanto possano sembrare. I grandi eventi ecclesiali – come il ritiro di Benedetto XVI e l’elezione di Papa Francesco – li hanno seguiti tutti quasi in diretta grazie ad internet: «È uno strumento che permette di vedere i filmati degli eventi in qualsiasi momento, per cui abbiamo utilizzato la ricreazione per congedarci da Papa Ratzinger e per conoscere il nuovo Pontefice: tutte le monache sono state profondamente ammirate dalla semplicità di Jorge Mario Bergoglio e dalla sua capacità di stare in mezzo alla gente. Abbiamo anche provato tanto dolore, e all’inizio anche smarrimento, di fronte alla rinuncia di Benedetto XVI, un pastore che ha dato e ha sofferto moltissimo per la Chiesa. Il fatto, però, che abbia deciso di risiedere nel monastero visitandino in Vaticano ci riempie di gioia e ci onora».
Il tempo è scaduto, la religiosa deve presiedere la recita del Rosario e presentare a Dio gli uomini e le donne che percorrono le strade del mondo, spesso senza neanche sapere il perché. La campana suona, la madre si alza e pronuncia il tradizionale saluto visitandino – «Dio sia benedetto» -, poi le imposte si chiudono e il silenzio ripiomba su questo piccolo angolo di Paradiso.