A Soresina le Visitandine rinnovano i loro voti
Le parole di una monache: «Non un ergastolo ecclesiastico ma una porta aperta sul mondo»
Mercoledì 21 novembre, festa liturgica della presentazione al tempio della Beata Vergine Maria, è stata celebrata la Giornata “Pro Orantibus”. Istituito da Pio XII nel 1953, successivamente questo appuntamento fu fissato al 21 novembre, perché nell’offerta totale della Vergine si riconosce l’ideale della vita consacrata. In questa Giornata, in tutte le Chiese del mondo si prega per i claustrali e le claustrali. La nostra diocesi si stringe spiritualmente attorno ai due monasteri presenti sul suo territorio: quello delle monache domenicane di San Sigismondo a Cremona e quello della Visitazione a Soresina. E proprio le monache visitandine il 21 novembre rinnovano i loro voti di consacrazione al Signore. Di seguito proponiamo una riflessione di una monaca di clausura tratta dal sito www.agensir.it.
Ci chiamano “claustrali”, l’impressione immediatamente suscitata è quella di una chiusura, di una serratura che si chiude dietro una persona e la reclude in uno spazio misurato e immoto. Per sempre. Una sorta di condanna in vita, un ergastolo che non conceda scampo. E se invece si adottasse un altro sguardo, forse non si potrebbe entrare nel mistero della persona chiamata e afferrarne qualche luce?
In quest’anno della fede, proclamato dal nostro Pastore Benedetto, l’immagine guida non può che essere una: la porta. Indubbiamente quella porta che si varca entrando in monastero che però indica un’altra porta quella “che introduce alla vita di comunione con Dio”.
Non è una scelta che isola, che rende nulli i rapporti con le persone che stanno dall’altra parte della porta e che azzera il legame vivo con la storia, quella universale e quella quotidiana che ci attraversa, nostro malgrado, in ogni momento. Infatti, chi vive in monastero non si colloca al di là della porta ma la trova inscritta in sé e si ritrova posto proprio sulla soglia. Non con un piede di qua e un piede di là, in una posizione instabile e traballante ma in una postura ben diversa.
Per certi aspetti, diventa custode vigile e vibrante della porta, “sempre aperta”, pronta ad accogliere chi desideri rendersi partecipe di una vita avventurosa come quella segnata dalla comunione amorosa con Dio; non in bilico bensì distesa al soffio dello Spirito, perché la preghiera d’intercessione pervade la giornata, solca gli anni.
Presenza silente, non muta perché non priva della voce, ma ricca delle modulazioni interiori, dei desideri d’Infinito, di pace e di gioia che, in una modalità impercettibile ma reale, si espande e si diffonde dovunque.
Sì, proprio dovunque, dovunque l’urgenza esista, avvertita o ignorata, misconosciuta o richiesta.
Come in rete in cui il campo non manchi mai e la risposta sia sempre garantita e precisa.
La soglia consente di percepire tutta la vivacità e la drammaticità della storia, quella che scrive il nostro secolo diverso dal passato e differente dal futuro.
Si crea un continuo flusso irradiante, non perché chi abbia varcato la porta e viva sulla soglia sia eccellente, ma solo perché è consapevole del dono ricevuto: una ricettività attenta e vigile, perché la fede rende testimoni.
Di che cosa? Di fatti sconvolgenti da cui ci si è sottratti? Di eventi cosmici che non possiamo controllare, su cui possiamo piangere ma standosene al margine e bene alla larga? L’interrogativo “di che cosa?” è molto riduttivo. Deve essere posto molto più incisivamente, testimoni “di chi?”. Per di più con una sottolineatura “di Chi?”.
La soglia, allora, s’illumina perché la porta è incandescente e non può non colpire: il Figlio di Dio fattosi carne, questa la grande Luce.
Paradossalmente, chiunque l’abbia incontrato e per Lui e con Lui abbia varcato la porta e viva i suoi giorni sulla soglia, è pellegrino/a inesausta, non conosce soste, tempi morti, vacanze o ferie.
Sta immobile sul limite che non avrebbe senso se non esistesse la Porta, Gesù Cristo, ed è in continuo e dinamico movimento nel mondo e nel cosmo. Accoglie e conduce dentro di sé ogni ombra, ogni tenebra e lascia che lo Spirito la trasfiguri in una restituzione di dedizione e di amicizia.
Non è vagheggiare astratto o romantico, compensazione per “l’ergastolo ecclesiastico”, è vita di fede in Chi è l’Amen, in Gesù Cristo, nostra Porta, nostra Soglia. Come fu per Maria, Porta e Soglia fra l’annuncio profetico e la venuta del Salvatore.
Una monaca di clausura