QUARESIMA 2020

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Sono stato crocifisso con Cristo;

non sono più io che vivo, ma vive in me Cristo,

che mi ha amato e ha dato se stesso per me.

   Non senza motivo, carissimi, vi abbiamo esortato a partecipare alla passione di Cristo, affinché la vita dei credenti attui in se stessa il mistero pasquale, e ciò che è venerato nella festa, venga celebrato dalla vita.

   Quanto poi ciò sia utile, lo avete sperimentato voi stessi, avete imparato dalla vostra pietà quanto giovino alle anime e ai corpi i prolungati digiuni, la preghiera insistente e le generose elemosine. Non vi è quasi nessuno che abbia progredito in questi esercizi e non racchiuda nel segreto della sua coscienza qualcosa di cui possa giustamente rallegrarsi.

   Se dunque vogliamo impegnarci in questa osservanza di quaranta giorni, così

   da sperimentare qualcosa del mistero della croce nel tempo della passione del Signore, dobbiamo anche sforzarci di esser trovati partecipi della risurrezione di Cristo, passando così dalla morte alla vita mentre siamo ancora in questo corpo.

   Per chiunque passi da un modo di vivere a un altro, qualunque sia la sua trasformazione, lo scopo non è quello di rimanere ciò che era, ma di rinascere quale non era.

   Ma è fondamentale conoscere per chi si vive o si muore: perché vi è una morte che è fonte di vita, e una vita che è causa di morte. E solo nel tempo presente si può scegliere l’una o l’altra: dalla natura delle azioni compiute in questa vita che passa, dipende una differente retribuzione per l’eternità.

   Si deve perciò morire al diavolo e vivere per Dio; venir meno al male per risorgere alla giustizia. E poiché, come dice la stessa Verità, «nessuno può servire a due padroni» (Mt 6,24), il Signore non sia per noi colui che abbatte i superbi, ma piuttosto colui che esalta gli umili alla gloria. Dice l’Apostolo: «Il primo uomo tratto dalla terra è di terra, il secondo uomo viene dal cielo. Quale è l’ uomo fatto di terra, così sono quelli di terra; ma quale il celeste, così anche i celesti. E come abbiamo portato l’immagine dell’uomo di terra, così porteremo l’immagine dell’uomo celeste» (l Cor 15,48-49). Dobbiamo gioire grandemente di questa trasformazione, per cui passiamo dalla ignobile condizione terrena alla dignità celeste, per ineffabile misericordia di colui che, per elevarci a sé discese fino a noi: e discese al punto da assumere non solo l’umana sostanza, ma anche la condizione della natura soggetta al peccato, accettando che la divina impassibilità patisse nella sua persona ciò che miseramente sperimenta l’umana mortalità.

Disc. 71 sulla Risurr. Del Signore, 1-2, San Leone Magno , papa

Immagine: Beato Angelico, Cristo coronato di spine Livorno, Duomo, Cappella del Sacramento.