Solennità di S. Domenico

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    Era tale la perfezione morale dei suoi costumi, tale lo slancio di fervore divino che lo trasportava, da non potersi minimamente dubitare ch’egli fosse un vaso di onore e di grazia (Rm 9,21), un vaso ornato d’ogni specie di pietre preziose (Sir 50,10). Aveva una volontà ferma e sempre lineare, eccetto quando si lasciava prendere dalla compassione e dalla misericordia. E poiché un cuor lieto rende ilare il viso (Pr 15,31), l’equilibrio sereno del suo interno si manifestava al di fuori nella bontà e nella gaiezza del volto. Era, però, talmente irremovibile nelle cose ch’egli aveva giudicato ragionevolmente farsi secondo Dio, che mai o quasi mai consentiva di mutare una decisione una volta presa dopo maturo consiglio. E poiché la testimonianza della sua buona coscienza, come s’è detto, rischiarava continuamente d’una grande gioia il suo volto, lo splendore del suo viso non si perdeva per la terra (Gb 29,24).

    Per questo egli s’attirava facilmente l’amore di tutti; senza difficoltà appena lo conoscevano, tutti cominciavano a volergli bene. Dovunque si trovasse, sia in viaggio coi compagni, sia in casa con l’ospite e la sua famiglia, oppure tra i grandi, i principi e i prelati, con tutti usava parole di edificazione, dava a tutti abbondanza di esempi capaci di piegare l’anima degli uditori all’amore di Cristo e al disprezzo del mondo. Ovunque si manifestava come un uomo evangelico, nelle parole come nelle opere. Durante il giorno, nessuno più di lui si mostrava socievole coi Frati o con i compagni di viaggio, nessuno era con loro più allegro di lui.

    Viceversa, di notte, nessuno era più di lui assiduo nel vegliare in preghiera. Alla sera prorompeva in pianto, ma al mattino raggiava di gioia (Sal 29,6). Il giorno lo dedicava al prossimo, la notte a Dio, ben sapendo che Dio concede la sua misericordia al giorno e il suo canto alla notte (Sal 41,9).

    Piangeva spesso e abbondantemente; le lacrime erano il suo pane giorno e notte (Sal 41,4): di giorno, soprattutto quando celebrava spessissimo o quotidianamente la Messa; di notte, invece, quando più di ogni altro prolungava le sue veglie estenuanti.

    Aveva l’abitudine di passare assai spesso la notte in chiesa, a tal punto che si pensava che mai o raramente egli usasse un letto per dormire. Di notte, dunque, pregava e prolungava le sue veglie fino a quando glielo permetteva la fragilità del suo corpo. Quando poi alfine sopravveniva la stanchezza e la mente s’intorpidiva, vinto dal bisogno del sonno, appoggiava la testa all’altare o in qualunque altro luogo, ma in ogni caso su una pietra come il Patriarca Giacobbe (Gen 28,11), e riposava un momento. Poi si risvegliava e riprendeva la sua fervorosa preghiera.

    Accoglieva tutti gli uomini nell’ampio seno della sua carità e perché tutti amava, da tutti era amato. Faceva suo quel motto: godere con chi gode, piangere con chi piange (Rm 12,15). Traboccante com’era di pietà, si spendeva tutto per aiutare il prossimo e sollevare le miserie. Imitiamo perciò, o fratelli, come possiamo, le orme del padre e nello stesso tempo ringraziamo il Redentore per aver dato ai suoi servi, sulla via che percorriamo, un tale condottiero.

Dagli “Scritti” del beato Giordano di Sassonia