La legislazione civile italiana

image_pdfimage_print

1. Violenza sessuale (Art. 609-bis).
Chiunque con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da cinque a dieci anni. Alla stessa pena soggiace chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali:
1) abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto;
2) traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona. Nei casi di minore gravità la pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi. Il concetto di atti sessuali è molto ampio. Secondo la Suprema Corte di Cassazione sono atti sessuali tutti i toccamenti che stimolano zone erogene del corpo, anche se commessi sopra i vestiti. Tali atti integrano violenza sessuale se compiuti senza il (preventivo) consenso della persona offesa.
La minaccia è la prospettazione di un male futuro, la violenza una “esplicazione di energia fisica diretta a piegare la volontà o vincere la resistenza del soggetto nei cui confronti viene esercitata”. Nel concetto di atti commessi mediante violenza rientrano gli atti compiuti in modo repentino poiché impediscono alla persona offesa di sottrarsi al toccamento.
Ulteriori ipotesi di violenza sessuale, caratterizzate questa volta dall’assenza di indici di costrizione, sono previste nel comma 2 dell’art. 609-bis, n. 1 e n. 2.
L’induzione consiste in un’attività di pressione morale, a carattere persuasivo o suggestivo, volta ad “influire sul processo di formazione dell’altrui volere”, determinando il destinatario “al comportamento avuto di mira”.

2. Atti sessuali con minorenne (Art. 609-quater).
“Soggiace alla pena stabilita dall’articolo 609 bis chiunque, al di fuori delle ipotesi previste in detto articolo, compie atti sessuali con persona che, al momento del fatto:
1) non ha compiuto gli anni quattordici;
2) non ha compiuto gli anni sedici, quando il colpevole sia l’ascendente, il genitore, anche adottivo, o il di lui convivente, il tutore, ovvero altra persona cui, per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia, il minore è affidato o che abbia, con quest’ultimo, una relazione di convivenza. A tali ipotesi viene esteso il medesimo quadro sanzionatorio predisposto per la violenza sessuale.
Il secondo comma incrimina l’ipotesi in cui gli atti sessuali siano stati realizzati, nei confronti di un minore ultrasedicenne, dalle stesse tipologie di agenti di cui al n. 2 del primo comma, con l’abuso dei poteri connessi alla relativa posizione. Qui la pena va dai 3 ai 6 anni di
reclusione.
La fattispecie di cui al primo comma dell’art. 609-quater, accanto a quella di violenza sessuale di cui all’art. 609-bis, costituisce, per così dire, la seconda colonna portante del sistema dei delitti sessuali. Sono qui incriminati gli atti sessuali realizzati con un minore consenziente, in assenza dunque degli indici di costrizione richiesti dall’art. 609-bis.
Sulla base di una valutazione di incapacità dovuta all’età, il legislatore nega dunque ogni rilevanza al consenso naturalistico prestata dal minore di anni 14, costruendo una fattispecie modulata su di una presunzione assoluta di incapacità. Il bene giuridico tutelato è qui non la libertà sessuale – libertà che non viene infatti riconosciuta alla vittima in ragione della giovane età – ma la sua integrità fisiopsichica, nella prospettiva di un corretto sviluppo della sessualità: “Il problema è quello di proteggere il minore … da un tipo di esperienza che, se non vissuta nel momento e nelle circostanze opportune, può determinare traumi tutt’altro che indifferenti, o comunque può compromettere il successivo sviluppo della personalità … nella sfera sessuale”.

3. Pornografia minorile (Art. 600-ter).
È punito con la reclusione da sei a dodici anni e con la multa da euro 24.000 a euro 240.000 chiunque:
1) utilizzando minori di anni diciotto, realizza esibizioni o spettacoli pornografici ovvero produce materiale pornografico;
2) recluta o induce minori di anni diciotto a partecipare a esibizioni o spettacoli pornografici ovvero dai suddetti spettacoli trae altrimenti profitto.
Alla stessa pena soggiace chi fa commercio del materiale pornografico di cui al primo comma.
Chiunque, al di fuori delle ipotesi di cui al primo e al secondo comma, con qualsiasi mezzo, anche per via telematica, distribuisce, divulga, diffonde o pubblicizza il materiale pornografico di cui al primo comma, ovvero distribuisce o divulga notizie o informazioni finalizzate all’adescamento o allo sfruttamento sessuale di minori degli anni diciotto, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da euro 2.582 a euro 51.645.
Chiunque, al di fuori delle ipotesi di cui ai commi primo, secondo e terzo, offre o cede ad altri, anche a titolo gratuito, il materiale pornografico di cui al primo comma, è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa da euro 1.549 a euro 5.164. Nei casi previsti dal terzo e dal quarto comma la pena è aumentata in misura non eccedente i due terzi ove il materiale sia di ingente quantità. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque assiste a esibizioni o spettacoli pornografici in cui siano coinvolti minori di anni diciotto è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa da euro 1.500 a euro 6.000.
Ai fini di cui al presente articolo per pornografia minorile si intende ogni rappresentazione, con qualunque mezzo, di un minore degli anni diciotto coinvolto in attività sessuali esplicite, reali o simulate, o qualunque rappresentazione degli organi sessuali di un minore di anni diciotto per scopi sessuali.
La rilevanza penale della pornografia minorile è disciplinata dall’art. 600-ter c.p.

Sono incriminate:
1. attività di realizzazione di materiale pornografico, di esibizioni o spettacoli pornografici;
2. attività di reclutamento o induzione di minori di 18 anni a partecipare ad esibizioni o spettacoli pornografici;
3. ricavo di qualsivoglia profitto da esibizioni e spettacoli pornografici;
4. attività di commercio del materiale pornografico;
5. attività di distribuzione e diffusione, pubblicizzazione del materiale pornografico o di informazioni finalizzate all’adescamento dei minori;
6. attività di cessione anche a titolo gratuito del materiale pornografico.
Con “materiale pornografico” si indica un supporto fisico o telematico, di tipo cartaceo, fotografico, cinematografico, in cui vengono rappresentati atti sessuali compiuti su un minore o da un minore.
A seguito della legge n. 172 del 2012 è oggi presente una definizione legislativa di pornografia minorile: “ogni rappresentazione, con qualunque mezzo, di un minore degli anni diciotto coinvolto in attività sessuali esplicite, reali o simulate, o qualunque rappresentazione degli organi sessuali di un minore di anni diciotto per scopi sessuali”, dispone oggi l’art. 600-ter, comma 7, c.p.
Il termine pornografia designa la rappresentazione filmica o fotografica di condotte che possono costituire un pericolo per lo sviluppo fisico, psichico e morale del minore: gli atti sessuali. Quando a essere coinvolti nelle immagini sono soggetti minori, il termine pornografia non è interpretabile come specificazione della categoria dell’oscenità. Il disvalore della pornografia minorile non è legato all’eventuale impatto emotivo di immagini sessualmente esplicite; le norme sulla pornografia minorile non si pongono a presidio di un sentimento collettivo, o con eventuali risvolti moralistici: oggetto di tutela è la persona del minore.
In questo senso, non è necessario che la rappresentazione in forma di immagini o di filmati assuma il grado di esplicitezza richiesto per definire pornografica una scena sessuale tra soggetti adulti; l’atto dovrà essere sì visibile, anche se non necessariamente col grado di dettaglio che si richiederebbe per la valutazione di oscenità.
Il materiale pornografico deve essere prodotto utilizzando soggetti minori. Il termine “utilizzando” risale alla novella legislativa del 2006, la quale aveva così sostituito la precedente formulazione “sfruttando”.
Il mutamento estende l’ambito della punibilità: tramite il concetto di utilizzo la norma è suscettibile di comprendere anche condotte nelle quali sia stato ritratto un minore in rappresentazioni fotografiche o filmiche per semplici riprese destinate a rimanere in ambito privato; “utilizzare” nel senso di usufruire del mero apporto strumentale del minore all’interno di esibizioni o quale soggetto ritratto in immagini o video pornografici, a prescindere da ulteriori scopi.

4. Detenzione di materiale pedopornografico (Art. 600-quater).
Chiunque, al di fuori delle ipotesi previste dall’articolo 600-ter, consapevolmente si procura o detiene materiale pornografico realizzato utilizzando minori degli anni diciotto, è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa non inferiore a euro 1.549. La pena è aumentata in misura non eccedente i due terzi ove il materiale detenuto sia di ingente quantità. Il contrasto a forme di sfruttamento sessuale di minori viene affrontato dal legislatore non solo incriminando condotte di produzione e divulgazione di materiale pornografico: la strategia di intervento arriva a punire anche coloro che si limitino a detenere o a procurarsi il materiale di cui all’art. 600-ter.
La norma costituisce un reato di pericolo indiretto: l’incriminazione della mera detenzione del materiale pornografico rappresenta un’azione di contrasto al consumo anche privato.
Le condotte incriminate dall’art. 600-quater consistono nel procurarsi e nel detenere materiale pornografico realizzato utilizzando minori dei 18 anni. “Procurarsi” indica ogni attività idonea ad entrare in possesso del materiale pornografico. Il termine “detenzione” implica che tali immagini o filmati debbano essere “scaricati” e debbano entrare dunque nella sfera di materiale disponibilità del soggetto.

5. Pedopornografia virtuale (Art. 600-quater.1).
Le disposizioni di cui agli articoli 600-ter e 600-quater si applicano anche quando il materiale pornografico rappresenta immagini virtuali realizzate utilizzando immagini di minori degli anni diciotto o parti di esse, ma la pena è diminuita di un terzo. Per immagini virtuali si intendono immagini realizzate con tecniche di elaborazione grafica non associate in tutto o in parte a situazioni reali, la cui qualità di rappresentazione fa apparire come vere situazioni non reali.
Condotte come la produzione, il fare commercio, la distribuzione e diffusione, la pubblicizzazione, la cessione a titolo gratuito, il procurarsi e la detenzione sono ritenute penalmente tipiche anche ove il materiale pornografico sia costituito da immagini virtuali. Il termine virtuale costituisce un’antitesi del termine “reale”. Le immagini pornografiche virtuali non hanno dei protagonisti in carne ed ossa, bensì sono il risultato di elaborazioni grafiche. Oggetto della pornografia virtuale non sono soggetti reali, bensì rappresentazioni di situazioni che, ove fossero reali, potrebbero integrare i delitti di cui agli artt. 600-ter e 600-quater c.p.

6. Adescamento di minorenni (Art. 609-undecies).
Chiunque, allo scopo di commettere i reati di cui agli articoli 600, 600-bis, 600-ter e 600-quater, anche se relativi al materiale pornografico di cui all’articolo 600-quater.1, 600-quinquies, 609-bis, 609-quater, 609-quinquies e 609-octies, adesca un minore di anni sedici, è punito, se il fatto non costituisce più grave reato, con la reclusione da uno a tre anni. Per adescamento si intende qualsiasi atto volto a carpire la fiducia del minore attraverso artifici, lusinghe o minacce posti in essere anche mediante l’utilizzo della rete internet o di altre reti o mezzi di comunicazione.
Introdotto dalla legge n. 175 del 2012, l’art. 609-undecies, comma 1, sanziona con la reclusione da uno a tre anni, qualora non risultino integrati gli estremi di un più grave reato, il fatto di chiunque, allo scopo di commettere i reati di cui agli articoli 600, 600-bis, 600-ter e 600-quater, anche se relativi al materiale pornografico di cui all’art. 600-quater.1, 600-quinquies, 609-bis, 609-quater, 609-quinquies e 609-octies, adesca un minore di anni sedici.
L’art. 23 della Convenzione di Lanzarote impegna gli Stati a incriminare l’adescamento (grooming) di minore di anni 14 – e non di 16 –, qualora realizzato mediante una proposta di incontro, peraltro operata per il tramite – esclusivo – di “tecnologie di comunicazione e di informazione”.
La scelta del legislatore italiano è di maggiore estensione e si inserisce in un trend politicocriminale volto ad ampliare estremamente, nel nostro Paese, la tutela dei minori in materia sessuale. Non può non rilevarsi, in proposito, come nella frequentissima introduzione di nuove disposizioni incriminatrici, o di modifica di norme preesistenti, la posizione del limite di età – alle volte 14 anni, altre 16, altre ancora 18 – sembri oramai abbastanza casuale, o comunque non sempre rispondente a una riconoscibile razionalità.
L’art. 609-undecie configura un delitto a dolo specifico alternativo: la condotta di adescamento rileva solo se posta in essere con lo scopo di realizzare (almeno) uno tra i delitti richiamati dalla disposizione. Per adescamento deve intendersi (comma 2) qualsiasi atto volto a carpire la fiducia del minore attraverso artifici, lusinghe o minacce posti in essere anche mediante l’utilizzo della rete internet o di altre reti o mezzi di comunicazione. A rilevare non è qualsiasi atto, ma soltanto gli artifici, le lusinghe e le minacce, sempre che siano strumentali a carpire la fiducia del minore – obiettivo mediato e strumentale rispetto allo scopo ultimo perseguito dall’agente –, e obiettivamente idonei a determinare tale risultato.
Per quanto attiene agli artifici, si tratta di un concetto ampio, integrato dunque da ogni tipologia di attività volta a ingannare il minore per carpirne la fiducia. Il riferimento alle lusinghe non appare in nessun’altra disposizione codicistica. È integrato da un’ampia tipologia di possibili condotte: allettamenti, adulazioni, parole falsamente amiche, atti apparentemente benevoli, finte attenzioni, e così via, accomunate dalla loro strumentalità ad accattivarsi la fiducia del destinatario.
Le minacce, ultima tra le opzioni modali di cui al secondo comma dell’art. 609-undecies, costituiscono probabilmente il riferimento meno complesso sul piano concettuale – la minaccia è la prospettazione credibile di un male futuro –, ma nel contempo maggiormente problematico se contestualizzato allo specifico della fattispecie di adescamento. Il punto è che tutte le attività richiamate – artifici, lusinghe e minacce – rilevano qui nella loro strumentalità a carpire la fiducia del minore. Come è evidente, le minacce non posseggono in alcun modo tale potenzialità: possono sì incidere sulla libertà di autodeterminazione del loro destinatario, inducendolo a sottostare alle “richieste” dell’agente, ma ciò accadrà in ragione del timore in lui ingenerato, e non certo di una fiducia del tutto estranea a tali dinamiche relazionali. La conseguenza è che – a rigore – un soggetto che minacci un minore allo scopo di creare una situazione consona alla realizzazione di uno dei reati richiamati dal primo comma dell’art. 609-undecies non realizzerà un fatto riconducibile a tale fattispecie, perché del minore non sta carpendo la fiducia.

7. Atti osceni (Art. 527 c.p.).
È penalmente rilevante la condotta di chi compie atti osceni in luogo pubblico, aperto o esposto al pubblico: la pena prevista è la reclusione da 3 mesi a 3 anni (art. 527 c.p.). Si tratta di fattispecie di mera condotta commissiva.
Luogo pubblico è un luogo che “normalmente e indiscriminatamente di fatto e di diritto è accessibile a tutti”: ad esempio, strade, piazze, campagna.
Luogo aperto al pubblico è un luogo al quale chiunque può accedere ma che presenta determinate regolamentazioni, ad esempio in base all’orario, o con ingresso a pagamento, o la cui fruibilità sia finalizzata al soddisfacimento di interessi determinati: esempi tipici, cinema, musei, scuole, stazioni, chiese, ospedali.
Luogo esposto al pubblico è un luogo non pubblico, al quale non vi sia un libero accesso per chiunque, e che tuttavia, o per la naturale collocazione, o in virtù di determinate condizioni, risulti visibile da un novero indeterminato di soggetti: ad esempio, il balcone di un’abitazione.
Al di là della categoria di atti definiti come assolutamente osceni (ad esempio, congiungimento carnale), la casistica giurisprudenziale evidenzia che il requisito essenziale perché un atto possa definirsi osceno è che le modalità con cui esso è realizzato denotino un’inequivoca attinenza alla sfera degli atti sessuali. Non è oscena la mera ostentazione di parti intime ove non accompagnata da gestualità tipiche di atti sessuali: la semplice nudità, parziale o integrale, può integrare la contravvenzione di cui all’art. 726 (atti contrari alla pubblica decenza), o risultare penalmente irrilevante a seconda del contesto in cui si è verificata.
La fattispecie è costruita come reato di pericolo: non si richiede che il pudore di terzi sia stato effettivamente offeso.