image_pdfimage_print

Author: monastero

PRESENTAZIONE DEL SIGNORE

ADORNA, O SION,

LA STANZA PER LE NOZZE

ACCOGLI CRISTO TUO SIGNORE

(dalla Liturgia delle Ore)

   Noi tutti che celebriamo e veneriamo con intima partecipazione il mistero dell’incontro del Signore, corriamo e muoviamoci insieme in fervore di spirito incontro a lui. Nessuno se ne sottragga, nessuno si rifiuti di portare la sua fiaccola. Accresciamo anzi lo splendore dei ceri per significare il divino fulgore di lui che si sta avvicinando e grazie al quale ogni cosa risplende, dopo che l’abbondanza della luce eterna ha dissipato le tenebre della caligine. Ma le nostre lampade esprimano soprattutto la luminosità dell’anima, con la quale dobbiamo andare incontro a Cristo. Come infatti la Madre di Dio e Vergine intatta portò sulle braccia la vera luce e si avvicinò a coloro che giacevano nelle tenebre, così anche noi, illuminati dal suo chiarore e stringendo tra le mani la luce che risplende dinanzi a tutti, dobbiamo affrettarci verso colui che è la vera luce.

   La luce venne nel mondo (cfr. Gv 1,9) e, dissipate le tenebre che lo avvolgevano, lo illuminò. Ci visitò colui che sorge dall’alto (cfr. Lc 1,78) e rifulse a quanti giacevano nelle tenebre. Per questo anche noi dobbiamo ora camminare stringendo le fiaccole e correre portando le luci. Così indicheremo che a noi rifulse la luce, e rappresenteremo lo splendore divino di cui siamo messaggeri. Per questo corriamo tutti incontro a Dio. Ecco il significato del mistero odierno.

   La luce vera che illumina ogni uomo che viene in questo mondo (cfr. Gv 1,9) è venuta. Tutti dunque, o fratelli, siamone illuminati, tutti brilliamo. Nessuno resti escluso da questo splendore, nessuno si ostini a rimanere immerso nel buio. Ma avanziamo tutti raggianti e illuminati verso di lui. Riceviamo esultanti nell’animo, col vecchio Simeone, la luce sfolgorante ed eterna. Innalziamo canti di ringraziamento al Padre della luce, che mandò la luce vera, e dissipò ogni tenebra, e rese noi tutti luminosi. La salvezza di Dio, infatti, preparata dinanzi a tutti i popoli e manifestata a gloria di noi, nuovo Israele, grazie a lui, la vedemmo anche noi e subito fummo liberati dall’antica e tenebrosa colpa, appunto come Simeone, veduto il Cristo, fu sciolto dai legami della vita presente.

   Anche noi, abbracciando con la fede il Cristo che viene da Betlemme, divenimmo da pagani popolo di Dio. Egli, infatti, è la salvezza di Dio Padre. Vedemmo con gli occhi il Dio fatto carne. E proprio per aver visto il Dio presente fra noi ed averlo accolto con le braccia dello spirito, ci chiamiamo nuovo Israele. Noi onoriamo questa presenza nelle celebrazioni anniversarie, né sarà ormai possibile dimenticarcene.

(Dai “Discorsi” di san Sofronio, vescovo)

Immagine: Beato Angelico, Presentazione al Tempio, Cella n. 10, Firenze, Museo di S. Marco.

condividi su

Battesimo di Gesù

OGGI SI APRONO I CIELI,
SI FANNO DOLCI LE ACQUE DEL MARE;
ESULTA LA TERRA,
LE COLLINE FREMONO DI GIOIA:
CRISTO E’ BATTEZZATO NEL GIORDANO SA GIOVANNI.

(dalla Liturgia delle Ore)

 

   In tutte le solennità del tempo natalizio ci troviamo di fronte allo stesso concetto, quello dell’Epifania, vale a dire dell’apparizione della luce di Dio in questo mondo. Così queste solennità rispondono a una domanda e a un’esigenza che nell’uomo sono sempre state vive e che anche oggi si pongono in maniera più o meno chiara, poiché sono insite nella nostra natura. Anche se apparentemente il mondo di oggi vive molto lontano da Dio, anche se la parola di Dio sembra essere diventata quasi un forestierismo, tuttavia non possiamo fare a meno di chiederci se dietro alle forze e ai poteri di questo mondo, dietro a tutto quello che in esso c’è di grande, di bello e di terribile non ci sia la forza originaria del divino. Pertanto nel cuore dell’uomo resta indelebile anche il desiderio che questa forza, se esiste, si manifesti. Che la sua luce risplenda nell’oscurità delle nostre domande, perché si possa sapere da dove veniamo e dove andiamo, perché questa luce ci sia di conforto e al tempo stesso di guida.

   Il ciclo delle solennità natalizie ci parla della nascita di Gesù nella stalla, annunciata dagli angeli circonfusi dallo splendore luminoso di Dio. Ci parla della stella che guida i Magi giunti dall’Oriente fino alla mangiatoia di Betlemme. E infine ci parla del cielo che si apre sul giordano e nel quale risuona la voce di Dio. Sono tutti segni che Dio ha posto nella storia e tramite i quali ci dice: “Sì, sono qui. Vi conosco. Vi amo. C’è una strada che da voi sale a me”. Dio ha assunto dimensioni per così dire umane nel bambino e nell’uomo Gesù, perché noi lo possiamo toccare, vedere e comprendere. E al tempo stesso, con questo suo farsi piccolo, ha fatto risplendere la luce della sua grandezza. Perché, proprio come colui che può permettersi di abbassarsi fino all’impotenza dell’amore, egli dimostra che cosa sia la vera grandezza, anzi, che cosa sia essere Dio.

   Il significato di tali solennità, e in genere il significato dell’anno liturgico, è soltanto quello di avvicinarci ancora una volta a questi segni di Dio, al di là della nostra smemoratezza e del buio della nostra quotidianità, a questi segni che una volta per tutte sono impressi nella storia, affinché il nostro cuore si apra nuovamente e affinché li vediamo e ne siamo guidati. Se il Natale e l’Epifania servono soprattutto a renderci capaci di vedere, ad aprirci gli occhi e il cuore, la festa del battesimo di Gesù ci introduce alla quotidianità della vita. Infatti tramite il battesimo Gesù si è unito a noi, il battesimo è per così dire il ponte che egli ha costruito tra sé e noi, la strada tramite la quale diventa a noi accessibile.

   Così il battesimo di Gesù ci ricorda soprattutto il nostro battesimo e ci chiede che cosa è cambiato nella nostra vita con l’ingresso in essa di Dio. Ci chiede: “Che cosa significa in realtà per me essere battezzato”?

(Dalle omelie di papa Benedetto XVI)

 

Immagine: Beato Angelico, Battesimo di Cristo, Cella n. 24, Firenze, Museo S. Marco.

condividi su

ABBIAMO VISTO LA SUA STELLA IN ORIENTE…

I re di Tarsis e delle isole porteranno offerte,
i re degli Arabi e di Saba offriranno tributi”

(Sl. 71, 10)

   Non molto tempo fa abbiamo celebrato il giorno in cui il Signore è nato dai giudei; oggi celebriamo il giorno in cui è stato adorato dai pagani. Poiché, come dice Gesù alla Samaritana, la salvezza viene dai giudei. Ma questa salvezza non sarà solo per i giudei, essa sarà portata sino agli estremi confini del mondo. Dio disse ad Abramo: saranno benedette in te tutte le nazioni della terra.

   In quel giorno in cui nacque, lo adorarono i pastori. Oggi i Magi.

   A quelli lo annunciarono gli Angeli, a questi un stella.

   Tutti e due (pastori e Magi) lo appresero per intervento celeste.

   Quando il Bambino nacque era già pietra angolare del mondo; già da quel momento cominciò a congiungere in sé le due pareti dell’umanità poste in direzioni diverse, chiamando i pastori dalla Giudea, i Magi dall’oriente: per creare in se stesso, dei due, un uomo nuovo e ristabilire la pace; pace tanto a quelli che erano lontani, quanto a quelli che erano vicini…

   I pastori, accorrendo da vicino lo stesso giorno della nascita, i Magi arrivando da lontano, hanno consegnato ai posteri due giorni diversi da celebrare, pur avendo ambedue contemplato la medesima luce del mondo.

   Oggi bisogna parlare dei Magi che la fede (questa fede cristiana universale, senza confini di razza, di cultura), ha condotto a Cristo da terre lontane, significando la diffusione della Chiesa di Cristo in tutto il mondo.

                                                                                        Da un sermone di Sant’Agostino, Vescovo

Immagine: Beato Angelico, L’Adorazione dei Magi, Armadio degli argenti, Firenze, Museo di S. Marco.
condividi su

VIENI, SIGNORE, VIENI!

Domani si rivelerà

la gloria del Signore,

e ogni uomo vedrà la salvezza

del nostro Dio.

 

Dai libri
Le origini

di Origene, sacerdote

   Tra tutte le cose meravigliose che si possono dire del Cristo, ce n’è una che supera assolutamente l’ammirazione di cui è capace lo spirito umano, e la fragilità della nostra intelligenza mortale non sa come comprenderla o immaginarla: che l’onnipotenza della maestà divina, la Parola stessa del Padre, la Sapienza di Dio, nella quale sono state create tutte le cose – le visibili e le invisibili – si sia lasciata racchiudere nei limiti di un uomo apparso in giudea. Questo è l’oggetto della nostra fede; ma c’è di più. Noi crediamo che la sapienza di Dio è entrata nel seno di una donna ed è nata tra i vagiti e i pianti come tutti i mortali. E sappiamo che più tardi il Cristo ha conosciuto la paura della morte al punto da esclamare: “La mia anima è triste fino alla morte” (Mt 26,38), e che alla fine è stato condotto alla morte più ignominiosa, anche se poi è risuscitato il terzo giorno.

   Riscontriamo in lui contemporaneamente i lineamenti umani comuni alla nostra debolezza di mortali, e i lineamenti divini propri soltanto di quella natura sovrana e ineffabile. Di fronte a ciò l’intelligenza umana, troppo piccola, è presa da tale ammirazione da non sapere che dire e come orientarsi. Sa che Cristo è Dio, e tuttavia lo vede morire; se poi lo considera un uomo, ecco che lo vede risorgere col suo bottino di vittoria dopo aver distrutto il regno della morte.

   La nostra contemplazione, meditando nello stesso Gesù la verità delle due nature, deve procedere con riverente timore, evitando sia di attribuire cose indegne o sconvenienti all’ineffabile essenza divina, sia di considerare gli avvenimenti storici come apparenze illusorie. In verità spiegare tali cose a intelligenze umane e cercare di esprimere parole, è impresa superiore alle nostre forze e ai nostri meriti e supera l’intelligenza e le parole. Anzi, penso che superi le capacità degli stessi apostoli. Ancor più: la spiegazione di questo mistero trascende probabilmente tutto l’ordine delle potenze celesti.

Immagine: Chiesa di S. Sigismondo, Gervasio Gatti (1587), Il riposo durante la fuga in Egitto (particolare).

condividi su

Solennità di Tutti i Santi

Alle fonti della vita”
di fr. Raffaele M. Ferrari, o.p., sacerdote

ed. Cateriniana, Roma

   I Santi, “che hanno amato il Signore, saranno ammantati di luce come un’aurora di profondi sereni” (Gdc. 5,31); brilleranno come firmamenti e come fulgidissime stelle nelle perpetue eternità (Dn. 12,3); saranno belli come i giorni di cielo (Sl. 88), al cui confronto tutta la poesia, tutta la solennità, tutto l’azzurro, tutti i colori, tutte le glorie del giorno terrestre non sono che evanescenze, ombre insignificanti, senza luce, senza armonia, senza vita, senza alcuna beltà: i Beati saranno veri soli in paradiso, incorruttibili, purissimi, fulgidissimi, abbaglianti, riverberanti l’infinita, l’eterna, l’amorosissima gloria del Creatore.  Anche il Vangelo afferma che essi “splenderanno come sole nel regno del Padre” (Mt. 13,43).

   … I Santi regneranno nell’ eternità dei secoli (Ap. 22,5). Nessuno potrà mai rapir loro la gioia (Gv. 16,22). Armonie che faranno trasalire il fondo dell’anima si riverseranno piene di amore dalle beatissime labbra, e canteranno la magnificienza della gloria santa (Sl. 144).

   Là tutto è bello della beltà dell’Amore, tutto è soave della soavità dell’Amore, tutto è giocondo della felicità dell’Amore, tutto è amabile dell’amabilità dell’Amore, tutto è vita eterna dell’eternità dell’Amore; tutto è infinitamente più vero, più reale e ideale di quanto possiamo desiderare e sognare.

   L’Angelico Dottore – S. Tommaso d’Aquino – compendia questo mistero di paradiso con un concetto sublime:

      I Santi sono in cielo totalmente beati della piena beatitudine,

      la quale è perfezione consumata che esclude ogni difetto,

      e perciò si comunica loro in modo immutabile

      per quella divina virtù che solleva l’uomo

      alla partecipazione dell’eternità trascendente ogni mutazione

      (I-II, q. V. a. IV, ad 1)

 

Immagine: Chiesa di S. Sigismondo, Bernardino Campi, Gloria del Paradiso, Affresco nella cupola.
condividi su

Solennità della B. Vergine Maria del S. Rosario

O Rosario benedetto di Maria,

catena dolce che ci rannodi a Dio,

vincolo di amore che ci unisce agli Angeli…”

(dalla Supplica alla Madonna di Pompei)

dalla lettera apostolica

ROSARIO DELLA VERGINE MARIA

del Sommo Pontefice S. Giovanni Paolo II

 

 

dalla lettera apostolica
ROSARIUM VIRGINIS MARIAE
del sommo pontefice san G
iovanni Paolo II
sul santo rosario

Il Rosario della Vergine Maria, sviluppatosi gradualmente nel secondo Millennio al soffio dello Spirito di Dio, è preghiera amata da numerosi Santi e incoraggiata dal Magistero. Nella sua semplicità e profondità, rimane, una preghiera di grande significato, destinata a portare frutti di santità. Essa ben s’inquadra nel cammino spirituale di un cristianesimo che, dopo duemila anni, non ha perso nulla della freschezza delle origini, e si sente spinto dallo Spirito di Dio a « prendere il largo » per ridire, anzi ‘gridare’ Cristo al mondo come Signore e Salvatore, come « la via, la verità e la vita » (Gv 14, 6), come « traguardo della storia umana, il fulcro nel quale convergono gli ideali della storia e della civiltà ».

Con il Rosario il popolo cristiano si mette alla scuola di Maria, per lasciarsi introdurre alla contemplazione della bellezza del volto di Cristo e all’esperienza della profondità del suo amore. Mediante il Rosario il credente attinge abbondanza di grazia, quasi ricevendola dalle mani stesse della Madre del Redentore. 

Carissimi fratelli e sorelle! Una preghiera così facile, e al tempo stesso così ricca, merita davvero di essere riscoperta dalla comunità cristiana.

Conto su di voi, consacrati e consacrate, chiamati a titolo particolare a contemplare il volto di Cristo alla scuola di Maria.

Guardo a voi tutti, fratelli e sorelle di ogni condizione, a voi, famiglie cristiane, a voi, ammalati e anziani, a voi giovani: riprendete con fiducia tra le mani la corona del Rosario, riscoprendola alla luce della Scrittura, in armonia con la Liturgia, nel contesto della vita quotidiana.

Che questo mio appello non cada inascoltato!

Faccio volentieri mie le parole toccanti con le quali egli chiude la celebre Supplica alla Regina del Santo Rosario: « O Rosario benedetto di Maria, catena dolce che ci rannodi a Dio, vincolo di amore che ci unisci agli Angeli, torre di salvezza negli assalti dell’inferno, porto sicuro nel comune naufragio, noi non ti lasceremo mai più. Tu ci sarai conforto nell’ora dell’agonia. A te l’ultimo bacio della vita che si spegne. E l’ultimo accento delle nostre labbra sarà il nome tuo soave, o Regina del Rosario di Pompei, o Madre nostra cara, o Rifugio dei peccatori, o Sovrana consolatrice dei mesti. Sii ovunque benedetta, oggi e sempre, in terra e in cielo ».

condividi su

Assunzione della Beata Vergine Maria

 

Cremona – Cattedrale. Sacrestia dei Canonici. Giulio Campi (c. 1500-1572). Stendardo professionale, olio su seta.

“Benedetta tu fra le donne, e benedetto il frutto del tuo grembo!”

Se il figlio della Vergine è benedetto, come potrebbe non esserlo anche lei?
Il fondamento di tutti i suoi privilegi è la maternità divina. Profondamente coinvolta nell’incarnazione redentrice del figlio di Dio, Maria non può non partecipare allo stesso modo alla sua risurrezione.

 

 

SIGNUM MAGNUM

condividi su