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Scuola, un pomeriggio di spiritualità con la «tac dell’anatomia dell’educatore»

È stato di profonda intensità l’incontro di spiritualità promosso dalla Pastorale scolastica della Diocesi di Cremona e rivolto ai docenti delle scuole, paritarie e non, di ogni ordine e grado, che ha avuto luogo nel pomeriggio di domenica 17 dicembre presso il Seminario di Cremona guidato dal vescovo Antonio Napolioni. 

Un momento, alla sua prima annualità ma destinato a ripetersi negli anni, riservato a chi nella scuola ricopre il ruolo di educatore, nel quale il vescovo ha tracciato l’identikit del «corpo vivo di un educatore cristiano» al giorno d’oggi, con tutta la complessità di bambini, ragazzi e giovani che gli insegnanti incontrano nel proprio percorso professionale e vocazionale. 

Al centro della disamina per punti che Napolioni ha affrontato a partire dal Libro dei Salmi e dalla Prima lettera di san Giovanni apostolo, l’esperienza che ciascuno è chiamato a vivere nel suo essere maestro, oltre a ciò che lo studio della materia comporta, ma dentro quello che il Vescovo ha definito «la sapienza della vita». 

«Questa esperienza – ha sottolineato – passa dalla mediazione della nostra umanità, perché ne sgorghi il succo vitale che non è solo nostro, ma del nostro Creatore».

Ne è scaturita una sorte di «tac dell’anatomia dell’educatore», che è testimonianza del dinamismo della crescita di ciascuno, che esiste a partire dal fatto che «solo chi si prende cura della propria persona si prende cura della persona cui insegna». 

Piedi, viscere, cuore, mani e poi labbra, orecchio e occhi: passando in rassegna il valore simbolico – e non solo – che ognuno di questi organi ha nella relazione dell’umano con Dio e con il fratello che incontra, il vescovo ha saputo condurre gli educatori presenti a una riflessione sul proprio essere testimoni di tutto ciò che Dio fa per noi, a partire dal dono del Figlio che si celebra a Natale. 

«Non tornate a casa scoraggiati – ha suggerito il vescovo al termine della sua riflessione – ma arricchiti dallo sguardo del Bambino Gesù che ci guarda così. Se Lui ci annuncia la densità e la ricchezza della nostra umanità è perché ci chiede di farlo vivere in noi». E ha poi proseguito: «Questo è un modo di intendere il Natale che ci coinvolge totalmente, perché ogni educatore è testimone di ciò che fa e di come lo fa, di ciò che dice e di come lo dice, di come sente, ascolta, parla, guarda, riflette. E se può sembrare difficile, ricordiamo che siamo stati creati per metà, affinché l’altra metà sia un’elevazione dell’uomo a Dio lungo l’albero della vita che parte dalla Creazione e si fa desiderio ardente di diventare fiore e frutto in un lungo cammino interiore segnato da maturità umana e spirituale, in questa società che ci vuole tutti consumatori di pancia».

Quindi, come Dio crea l’uomo «per metà», così anche gli educatori devono accompagnare i loro alunni a sbocciare a vita nuova dalle proprie radici, per nascere a se stessi dalla propria vita divina. In tutto questo, il vescovo ha concluso: «Voi siete testimoni di ciò che lo Spirito sta facendo di voi in questo cantiere di pienezza umana».

Il pomeriggio è proseguito, dopo un periodo di silenzio e riflessione personale, con la preghiera nella cripta della Chiesa del Seminario e con un momento informale condiviso tra colleghi con il vescovo. 

 

Scarica il testo della riflessione del Vescovo



Percorsi e soluzioni possibili per i minori: a Vho una serata tra progetti ed esperienze

Venerdì 24 novembre presso la cooperativa “La famiglia” al Vho di Piadena Drizzona si è tenuto un incontro della rassegna “Migrare: il diritto e la fatica”, promossa dall’associazione Emmaus Piadena nell’ambito delle Trame dei diritti di CSV Lombardia Sud. L’iniziativa, che ha avuto l’obiettivo di far conoscere l’esperienza del tutore per minori stranieri non accompagnati (MSNA), è stata resa possibile grazie a una fitta rete di associazioni tra cui Agnese’s friends, Arcigay La Rocca di Cremona, Società operaia di mutuo soccorso di Torre de’ Picenardi, Lega della cultura di Piadena, GCIL di Cremona e rete IOACCOLGO.

La serata, intitolata “Esperienze, percorsi e soluzioni possibili per i minori stranieri non accompagnati”, è stata incentrata sull’accoglienza di giovani provenienti da Paesi terzi in attesa dell’esito della richiesta di asilo presentato allo Stato italiano.

Grazie alla descrizione della normativa, a opera della direttrice del SAI di Piadena Drizzona Marketa Hulitova, l’assemblea ha potuto apprendere quel che sta alla base del progetto migratorio di interi nuclei familiari che investono sulla partenza del proprio figlio verso l’Europa, consapevoli che per un minorenne la legge è più elastica su alcuni punti. Ma, poiché per la normativa italiana il minore deve avere un tutore legale che lo assista e lo accompagni nella sua quotidianità (dalla gestione delle pratiche mediche a quelle dell’iscrizione alla scuola fino alla partecipazione alle udienze presso il Tribunale dei minori) è necessario che famiglie o singoli si prendano l’onere e l’onore di assumere questo ruolo, normato dalla legge 47/2017 che prevede che il singolo tutore possa assumere “la tutela di un minore straniero non accompagnato o di più minori, nel numero massimo di tre, salvo che sussistano specifiche e rilevanti ragioni”.

«Nel 2022 erano 379 i MSNA in carico al Comune di Cremona. Oggi sono più di 400, contro il Comune di Mantova che ne gestisce circa 270», ha spiegato Carlo Bassignani, responsabile dell’area accoglienza della cooperativa Nazareth, che è convenzionata con il Comune di Cremona e con diverse associazioni della provincia. «Non si tratta di un’emergenza, ma di un fenomeno strutturale, che coinvolge ragazzi provenienti da molti Paesi tra cui in primis l’Egitto. Molti di loro sono passati dai lager libici». La cooperativa Nazareth è l’ente gestore di molte realtà che erano presenti al tavolo dei relatori, tra cui il SAI (che ad oggi ha 113 MSNA). In particolar modo i minori in gestione a Nazareth e ai suoi partner appartengono a una realtà chiamata “di affido potenziato”, che si colloca in una filiera di accoglienza e di comunità. Trentacinque sono ad oggi i MSNA in affido potenziato con Nazareth.

A raccontare direttamente l’esperienza di tutore era presente Silvana Galimberti, assistente sociale casalasca tutrice di numerosi minori, alcuni dei quali anche molto lontani dalla zona in cui vive. «Le storie di questi ragazzi sono tutte diverse tra loro e questo mi spaventava molto quando stavo prendendo la decisione di iniziare questa esperienza – ha raccontato –. Come mi spaventava la possibilità di soffrire di solitudine, abbandonata dalla rete dei Servizi che a volte investono sulle persone responsabilità che dovrebbero essere da loro gestite». Anche se Galimberti ha sottolineato l’impegno causato dall’entrare a far parte di una nuova storia, come quella che ogni minore porta con sé, il suo intento è stato quello di motivare le persone presenti a prendersi quella che ha definito una «responsabilità sociale» e fare ciascuno la sua parte per rappresentare al meglio gli interessi dei ragazzi arrivati nel nostro Paese.

A concludere la serata la relazione di due componenti dell’associazione “Il girasole” di Cremona. Stefano Rustici e Claudia Barbieri, partendo dalle loro esperienze personali di famiglie affidatarie, hanno narrato un altro modo di prendersi in carico minori (in questo caso anche italiani) quando la famiglia d’origine non è in grado di farlo. «L’associazione “Il Girasole” – ha spiegato Rustici – nasce a Cremona nel 1996 e si è costituita attorno a un nucleo di famiglie o singoli che, genitori o meno di figli naturali, si sono resi disponibili a ricevere presso le proprie abitazioni bambini e ragazzi dagli 0 ai 18 anni» che abbiano bisogno di reimparare l’alfabeto degli affetti.

Nella provincia di Cremona sono 12 le famiglie affidatarie che fanno capo all’associazione Il Girasole (ciascuno con uno o più minori in affido). L’associazione è convenzionata con il Comune di Cremona e prevede un sostegno mensile interno grazie all’aiuto di uno psicologo.

«Perché farlo? – ha concluso Rustici – Perché se non dai a questi bambini questa opportunità, sono in pasto al peggio che c’è per strada. Quello che noi facciamo è un “bene sociale”».

Un bene sociale dettato dall’interruzione di una «catena», come l’ha definita Barbieri, che «se tu interrompi permette ai bambini di volare. Perché nelle nostre famiglie i bambini provano delle sensazioni e delle emozioni che non hanno mai provato prima nella loro vita».

Oltre a questo è stato presentato anche, unico esempio in Italia, il pronto intervento dell’ ”affido in emergenza”, che prevede che in 6 ore venga trovato un posto dove lasciare un bambino dagli 0 ai 14 anni per un massimo di 10/15 giorni, mentre i Servizi sociali cercano una famiglia affidataria.

Da ultimo Barbieri ha presentato un nuovo progetto scolastico, che prevede che ogni bambino si possa prendere cura di un suo compagno. E un progetto di “affido culturale” per far sì che, grazie a una famiglia affidataria “per un giorno”, anche un bambino senza una rete famigliare forte, possa visitare un museo o andare al cinema e a teatro.  Un’esperienza tutta da provare.

Durante la serata, a corollario delle relazioni sull’infanzia, è stata inaugurata la mostra fotografica “Through our eyes” realizzata dagli studenti dell’associazione “Still I rise” fondata dal cremonese Nicolò Govoni, che narra la vita in campi profughi e slam per bambini in fuga da guerre e condizioni di disagio sociale. La mostra, a ingresso libero, sarà visitabile presso la cooperativa “La famiglia” in via Cavour 2 al Vho di Piadena Drizzona, fino al 3 dicembre: dal lunedì al venerdì dalle 16 alle 18, i sabati dalle 16 alle 18 e le domeniche dalle 11 alle 13 e dalle 16 alle 18.




Il Vescovo in Cattedrale: «La Festa del Ringraziamento ci deve riproporre il grazie come prima parola, come strategia e atteggiamento, come sapienza di vita»

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La Cattedrale di Cremona era gremita domenica 12 novembre per la celebrazione diocesana in occasione della 73ª Giornata nazionale del Ringraziamento, come tradizione occasione in cui rendere grazie a Dio del raccolto ricevuto anche quest’anno.

«Siamo in un periodo dell’anno in cui ci si prepara alla stagione della semina, all’inverno, all’attesa», ha esordito durante l’omelia il vescovo Antonio Napolioni che, insieme ai canonici del Capitolo, al vicario episcopale per il clero don Gianpaolo Maccagni e all’assistente ecclesiastico di Coldiretti don Emilio Garattini, ha celebrato l’Eucaristica.

«Sono i nuovi inizi, colmi di fatica e di speranza», che riguardano però non solo il mondo dell’agricoltura, che il Vescovo non ha mancato di definire «timone della nostra Diocesi, nostra storia e nostro futuro», ma l’intera umanità che va verso venti di guerra sempre più prossimi.

«Siamo qui a ringraziare ciascuno secondo il suo bilancio economico e umano», ha proseguito il Vescovo richiamando l’attenzione alla Parola del giorno e al rischio cui tutti andiamo incontro. «C’è il rischio che il grazie come ultima parola sia solo un gesto di galateo o una sorta di amuleto» che preserva noi, ad esempio, dalle conseguenze dei cambiamenti climatici, lasciandole ad altri, meno fortunati e forse un po’ meno grati.

«Invece, la Festa del Ringraziamento ci deve riproporre il grazie come prima parola, come strategia e atteggiamento, come sapienza di vita. Il Vangelo ci sfida perché ci chiama a questa vigilanza, all’attesa delle giovani e all’arrivo dello sposo. Come ci prepariamo a questo?» Il riferimento al Vangelo odierno (Mt 25,1-13) e all’incontro tra le vergini e lo sposo suggerisce che occorre saper vigilare in ogni ambito della vita e in ogni professione. Ancora di più in quella legata al ciclo delle stagioni, perché «la competenza di chi lavora in agricoltura è tale da vigilare in mille modi».

Eppure il Vescovo non si ferma alla sola competenza professionale, ma amplia il suo discorso a una dimensione integrale dell’umano, guardando alla «competenza del cuore», quella dettata da una vigilanza fondamentale che è insita in ogni uomo e che produce frutti ancora maggiori del lavoro o del guadagno, chiamati dal Vescovo «alleanza tra gli uomini e con Dio». Concretamente questo si traduce in un lavoro incentrato sul “modello cooperativo”, che ci chiama a «cooperare filialmente con Dio, senza smarrire il senso dell’orizzonte da cui proveniamo e a cui siamo destinati». A cui si aggiunge, se si vuole declinare totalmente la nostra filialità, una cooperazione fraterna, che rende forte una comunità davanti agli imprevisti della natura o di altra sorte.

«Allora, quando sarà fatta questa giustizia, il Regno dei cieli comincerà a germogliare anche su questa terra». Perché la Parola di Dio ci invita a essere operosi, vigilanti e protagonisti attivi dell’opera che Dio sta compiendo attraverso Cristo in una continua nuova creazione».

In questo tempo, infine, in cui dobbiamo reimparare a ragione secondo la logica del dono, il Vescovo esorta a non dimenticare che «la terra è ricevuta in amministrazione fiduciaria e che dobbiamo renderne conto non solo ai nostri figli ma anche a Dio».

Tra i banchi erano presenti rappresentanti di Coldiretti e Libera agricoltori, nonché le Cooperative sociali Rigenera e Inchiostro. La celebrazione è stata aperta dal benvenuto di Eugenio Bignardi, incaricato diocesano per la Pastorale sociale e del lavoro, che ha rivolto un accorato appello ad essere tutti «custodi del creato, casa comune» secondo le sollecitazioni di Papa Francesco che, nell’esortazione apostolica Laudate Deum (LD 2), dichiara: “A otto anni dalla pubblicazione della Laudato si’, mi rendo conto che non reagiamo abbastanza, poiché il mondo che ci accoglie si sta sgretolando e forse si sta avvicinando a un punto di rottura. (…) L’’impatto del cambiamento climatico danneggerà sempre più la vita di molte persone e famiglie”.

Bignardi ha poi voluto ricordare anche don Primo Mazzolari. «Gli uomini e le donne che vivono costantemente a contatto con la “cara terra”, come la chiamava il parroco di Bozzolo, e che godono dei suoi frutti, si sentono particolarmente impegnati in questo ruolo di cura e custodia. Così, “lo stile cooperativo come modello d’impresa”, secondo il messaggio dei Vescovi, dà spazio a tutti coloro che stanno sperimentando nuovi stili di vita e di relazione.  In queste esperienze, dove tutti hanno pari dignità, si favorisce la crescita di ciascuno, l’educazione a lavorare insieme per il bene comune e la consapevolezza che ogni persona è dono. Tutti insieme – ha poi concluso – aiutiamo le nostre comunità a diventare luoghi di discernimento sui temi della cura e della custodia del creato e delle sue creature, e assumiamo la responsabilità nei confronti dei più fragili che rischiano di essere i più colpiti dai disastri derivanti dai cambiamenti climatici».

 

 

 

 

Giornata ringraziamento, Cei: “modello cooperativo educa a lavorare insieme per realizzare bene comune e promuove consapevolezza che ogni persona è dono”




“Popoli in movimento”, fino al 12 novembre a Casalmaggiore la mostra del fotoreporter Francesco Malavolta

«Sono felice di inaugurare “Popoli in movimento” – che in una trentina di fotografie racconta gli ultimi dodici anni di migrazioni verso l’Europa – proprio a Casalmaggiore, un Comune virtuoso in fatto di accoglienza». Così ha esordito il fotoreporter Francesco Malavolta, autore della mostra fotografica sul fenomeno migratorio “Popoli in movimento”, nella mattinata di mercoledì 1° novembre in Auditorium Santa Croce a Casalmaggiore.

Malavolta, noto al grande pubblico per aver dialogato con Papa Francesco durante la trasmissione Rai “Un selfie con il Papa”, quando a partire da una sua fotografia il Pontefice scelse di parlare di migrazione, è stato introdotto dal sindaco di Casalmaggiore Filippo Bongiovanni che, accompagnato dalla Giunta comunale e da numerosi sindaci del Casalasco, ha aperto la Fiera cittadina presenziando alle varie iniziative culturali.

«Mi preme sottolineare come questo sia un evento culturale – ha continuato Malavolta –. Perché non solo parla di migrazioni, che sono un fenomeno mondiale di cui il nostro Paese è protagonista, pur tenendo conto che lo è in una percentuale infinitamente più piccola rispetto a quella di nazioni al confine con i territori da cui i popoli fuggono, che spesso si trovano nel Sud del mondo. Ma lo è anche perché a parlarne sono delle fotografie, scelte in un catalogo di migliaia, che possono raccontare al pubblico una grande storia, quella di intere popolazioni che per ragioni note come guerre, fame, disastri ambientali, cercano rifugio altrove. E quell’altrove ci interpella. Quell’altrove, nelle fotografie che vedrete, siamo noi».

Fortemente voluta da una fitta rete di associazioni del territorio, tra le quali ricordiamo il Circolo Acli di Casalmaggiore con Fotocine Casalasco 1966, Anpi Casalmaggiore, Tenda di Cristo e Istituto G. Romani, la mostra è promossa a livello nazionale da Banca Etica, presente in sala con Claudia Barbieri, portavoce dei Gruppo di iniziativa territoriale di Cremona, che ha raccontato i principi che animano Banca Etica e il sostegno dato a iniziative di promozione culturale con carattere umanitario.

“Popoli in movimento”, che fa inoltre parte degli eventi promossi dal Centro Servizi per il Volontariato Lombardia Sud nell’ambito del Festival dei Diritti 2023  “Si può fare!”, sarà visitabile fino al 12 novembre dalle 10 alle 12.30 e dalle 14.30 alle 19.30, grazie ai volontari che si succederanno e al sostegno di un gruppo di studentesse dell’Istituto G. Romani, formate per l’occasione dallo stesso Malavolta, che condurranno i visitatori alla comprensione delle storie che sottendono ad ogni immagine. Possibile prenotare una visita guidata per scolaresche. Per info o prenotazioni whatsapp al numero 328-3310143 o email a casalmaggiore@acli.it.




Con lo sguardo al cielo azzurro di Maria: il Vescovo alla chiusura del Giubileo della Fontana a Casalmaggiore

È stata una celebrazione eucaristica molto partecipata quella che si è svolta nella mattinata di martedì 15 agosto presso il Santuario della Madonna della Fontana di Casalmaggiore, in occasione della solennità dell’Assunzione della Beata Vergine Maria.

Il vescovo Antonio Napolioni, che ha presieduto Messa delle 10.30, è stato accolto dal rettore del Santuario, padre Francesco Serra, che ha introdotto la celebrazione ricordando la ricorrenza dei sessant’anni dall’Incoronazione dell’immagine della Beata Vergine avvenuta proprio il 15 agosto del 1963 per mano del vescovo Danio Bolognini, e aggiungendo che con questo anniversario si è concluso il Giubileo aperto lo scorso 25 marzo in occasione della festa patronale, nella solennità dell’Annunciazione del Signore. 

Data l’eccezionalità della giornata, sono giunti a Casalmaggiore il provinciale dei Frati Minori Cappuccini, padre Angelo Borghino, padre Dieudonné Oued e padre Andrea Cassinelli, che hanno concelebrato la Messa insieme ai frati cappuccini del Santuario: padre Claudio Bobbio, padre Maurizio Fiorini, padre Gianfranco Gatti e padre Domenico Tonani. 

«Sono felice di essere alla casa di mamma. Maria. Infatti il Signore ce l’ha regalata come mamma. La vita del mondo è dentro l’abbraccio di Maria. La festa dell’Assunta ci indica il destino di gloria di tutto l’universo. Siamo nel travaglio del parto. Ma lei ci nutre, ci sostiene, ci dona la Parola, che è il Figlio. E ci dona gli uni agli altri», ha esordito  il vescovo invitando poi l’assemblea numerosa a una riflessione attorno al ruolo di Maria, a partire dal racconto dell’esperienza emozionante e commovente avuta durante la Giornata mondiale della gioventù, da cui è appena rientrato con una delegazione di cremonesi. 

«Maria è stata madre di ciò che abbiamo vissuto e che anche oggi può succedere a ciascuno di noi perché – ha proseguito – se siamo venuti qui è per dissetarci a questa sorgente e per alimentare le ragioni della speranza». E ha aggiunto: «Una speranza c’è, è possibile, ha un nome. E quel nome è Cristo, che Maria ha donato al mondo». 

Alla base della riflessione del vescovo l’incontro tra Maria ed Elisabetta narrato dal Vangelo del giorno. E ancor di più c’è la motivazione che ha spinto Maria a partire “in fretta” per dare aiuto alla cugina. Per rispondere alla sua vocazione personale.

Così il vescovo ha esortato il popolo di Dio presente in assemblea a fare altrettanto: «C’è bisogno che ci alziamo tutti e diciamo sì alla chiamata di Dio. Ma verso dove? Per quale motivo?». 

Non servono grandi opere, o grandi numeri (il riferimento è al milione e mezzo di persone presenti a Lisbona per la Gmg). Quel che fa la differenza è la capacità di commuoversi ancora di fronte alla vita e di trovare la forza di alzarsi e andare incontro a Gesù. 

Allo stesso modo i sessant’anni anni dall’Incoronazione della Vergine non avrebbero senso se fossero letti solo in un’ottica temporale. Ma assumono il loro vero significato se compresi per quello che realmente sono: sessant’anni di preghiere, di richieste e di risposte, di chiamate di Maria dall’azzurro del cielo, in riferimento alla struttura che a Lisbona ha accolto la rappresentazione in arte della Via Crucis, arricchita da danza, teatralità, colori. 

In questo modo «il calvario diventa un anticipo di paradiso, azzurro come il cielo da cui Maria ci parla e proclama il suo Magnificat», che tutti noi possiamo cantare accogliendo Gesù che viene. Perché la vita, che pure è peccato, merita sempre di essere cantata. 

«Non aspettiamo grandi segni dal cielo – ha quindi concluso il Vescovo – perché Gesù è già venuto e ci aspetta alla destra del Padre con sua madre Maria, che è nostra consolazione e nostra speranza». 

La celebrazione si è conclusa con la benedizione impartita di fronte alla copia dell’immagine della Beata Vergine con il Bambino, posta di fronte all’altare maggiore per permettere a tutta l’assemblea di assistervi in preghiera.

In serata la consueta processione cittadina con l’effige di Maria in partenza dalla chiesa di San Francesco alle 21 e con arrivo proprio al Santuario della Madonna della Fontana. 




Tenda di Cristo, nel Casalasco un weekend all’insegna dell’integrazione

La felicità non è vivere senza problemi, ma essere messo nelle condizioni di poter affrontare i problemi che si hanno. E mai da soli. Si potrebbe riassumere così il serrato e partecipato dialogo intitolato “L’accoglienza è il primo passo per la pace: i corridoi umanitari” avvenuto sabato 24 giugno presso l’auditorium Giovanni Paolo II dell’oratorio Maffei di Casalmaggiore nell’ambito della “Famiglia dei Popoli… I care” promossa da Tenda di Cristo di Rivarolo del Re.

Al tavolo, con la conduzione della giornalista di Telecolor di Claudia Barigazzi, le voci di alcuni protagonisti dell’accoglienza, con diramazioni nazionali e internazionali. La Comunità di Sant’Egidio, rappresentata da Alessandro Gnavi, insieme a Caritas Cremonese con il suo direttore don Pierluigi Codazzi e Tenda di Cristo con padre Francesco Zambotti, suo fondatore.

«Preghiera, poveri, pace. Sono le tre “p” con cui Papa Francesco ha riassunto l’impegno della Comunità di Sant’Egidio – ha introdotto Gnavi- Questa sintesi descrive perfettamente quello che cerchiamo di fare in termini di accoglienza». L’occasione è stato un incontro in Sala Nervi il 18 marzo scorso in cui 7.000 persone che, tramite la comunità hanno vissuto o vivono storie di accoglienza, sono state ricevute dal Pontefice. «Da quel momento è emerso che nell’accoglienza ad essere protagonista è l’abbraccio. La vera integrazione passa dal rapporto di amicizia che si instaura tra chi accoglie e chi è accolto». E l’abbraccio che gli amici di Sant’Egidio danno, passa necessariamente dai corridoi umanitari, il progetto di accoglienza realizzato dalla Comunità con la Federazione delle Chiese Evangeliche, la Tavola Valdese, Cei e Caritas Italiana, che ha portato in Italia dal febbraio 2016 ad oggi 6.018 “salvati” tra i più fragili del mondo, in fuga da paesi come Siria, Corno d’Africa e Grecia. Il progetto, completamente autofinanziato, vede l’impegno di famiglie, parrocchie, comunità accoglienti che decidono di investire almeno 18 mesi del loro tempo e del proprio denaro per instaurare insieme ai più fragili tra i fragili un rapporto di amicizia e di accompagnamento per portare le persone o le famiglie accolte (spesso provenienti da campi profughi) ad apprendere la lingua italiana e a trovare un lavoro nel nostro Paese. Anche sul territorio cremonese e casalasco sono attivi i corridoi, grazie all’accoglienza fatta da Caritas Cremonese (anche nella sua sede di Casalmaggiore) e da Casa Paola – Tenda di Cristo Rivarolo del Re.

«È necessario che oltre all’accoglienza, che è il nostro dna, si parli anche delle ragioni che portano alla migrazione – ha esortato don Codazzi, direttore della Caritas diocesana –. Non dobbiamo dimenticare che se la migrazione è un diritto lo è anche il restare nel proprio Paese. Nessuno deve essere obbligato a emigrare». Alla base della sua relazione, il protagonismo della persona accolta nel costruire una vera integrazione a partire dalle sue capacità, affinché venga superata la logica assistenzialistica e si entri nella logica del diritto. «Riconoscere la dignità e i diritti della persona, significa riconoscere la sua capacità alla quale io non devo sostituirmi», ha proseguito don Codazzi. Che ha aggiunto: «Non esiste la cura dell’altro se questo non è in grado di prendersi cura di se stesso». La felicità e l’integrazione passano allora necessariamente dallo stare a fianco di chi ha bisogno di essere accompagnato per una fase transitoria della sua vita.

Questo qualcuno è una «persona che ha bisogno di essere ascoltata e di essere capita», è poi intervenuto padre Zambotti nel riassumere lo spirito che anima l’accoglienza presso le Tende di Cristo. Al centro il tema del bisogno. «Questo è il mio primo impegno e la mia prima preghiera. Prego di essere in grado di capire la persona che ho di fronte». Il punto di partenza nel fare accoglienza presso le Tende, quindi, è «la mentalità di avvicinarsi alla persona non giudicandola. Questo è possibile grazie all’azione dello Spirito che mantiene umili nel nostro cammino».

La festa è proseguita il giorno seguente presso Casa Paola, a Rivarolo del Re, con diversi momenti di riflessione, preghiera e divertimento a cui hanno preso parte molti amici delle Tende e, a sorpresa, anche il vescovo Antonio Napolioni.

Da segnalare in particolar modo la proiezione del film “Dai tuoi occhi” prodotto dal Circolo Acli di Casalmaggiore nell’ambito del progetto Champs, incentrato sull’integrazione delle seconde generazioni residenti nel territorio casalasco. Anche questa è stata l’occasione per riflettere insieme a padre Zambotti e a Gnavi sul motore che anima il fare accoglienza.

È seguito un momento di spiritualità con la celebrazione della Messa e una preghiera interreligiosa con gli amici musulmani e sikh e la lettura collettiva di una preghiera di Papa Francesco redatta in occasione dei numerosi naufragi nel Mar Mediterraneo definito “un muro imprevedibile”.

Dopo il pranzo multietnico, il pomeriggio è stato condotto da Luca Maffi, dj di Radio del Rey, alla presenza di numerosi amici delle Tende. Sul palco Jolanda Moro accompagnata dai “The Bad Boys” che hanno proposto un repertorio vario, da Mina a Mariah Carey. Inoltre le danze dei bambini del Grest della Parrocchia di Rivarolo del Re, il cantastorie Daniele Goldoni, gli abiti di Spazio Tenda, la musica ucraina con la cantante Illarija.

La giornata è terminata con le percussioni del gruppo “Oghene Damba -Boys Musical Theater” di Cremona e un arrivederci al prossimo anno.




Don Primo, modello sacerdotale per una Chiesa capace di accendere le anime

Venerdì 9 giugno ha preso avvio a Bozzolo la quarta edizione della “tre giorni mazzolariana”, consueto appuntamento di riflessione attorno ai grandi temi affrontati da don Primo Mazzolari durante il suo ministero nella parrocchia mantovana. Quest’anno l’associazione Isacco, che organizza l’evento con il patrocinio del Comune e della Parrocchia, insieme alla Fondazione don Primo Mazzolari e l’Istituto superiore di Scienze religiose San Francesco di Mantova, ha scelto come tema cardine l’avventura del mondo.

Ad aprire il ciclo di incontri e conferenze, oltre che di proiezioni e spettacoli teatrali e musicali in programma in questo intenso fine settimana, è stato il vescovo Antonio Napolioni, accompagnato dalla presidente di Fondazione Mazzolari Paola Bignardi e dal sindaco di Bozzolo Giuseppe Torchio.

«A conclusione dell’assemblea dei vescovi italiani – ha introdotto monsignor Napolioni – Papa Francesco ha fatto un discorso molto concreto citando don Primo, che metteva in guardia dai “preti soffocatori di vita”. «Che contrasto – ha osservato ancora riferendosi tanto ai sacerdoti quanto ai laici impegnati nelle comunità – quando la nostra vita  spegne la vita delle anime. Ci può essere un modo per essere Chiesa che spegne invece di accendere».  E ha concluso con quella che ha definito «una piccola battuta pepata», riprendendo una celebre espressione evangelica “nessuno è profeta in patria”: «Così è stato don Primo. Troppo poco amato a Bozzolo e a Cremona. Allora grazie ai mantovani che ci aiutano a voler bene a don Primo e a non dimenticarlo, grazie a tanti in Italia che diffondono,, leggono, si ispirano… Grazie al Papa. Forse un piccolo mea culpa come bozzolesi e cremonesi dobbiamo farlo. Che la “tre giorni” ci aiuti».

Dopo i saluti di Paola Bignardi e del sindaco Torchio, protagonisti del pomeriggio sono stati Bruno Tabacci, già sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e già presidente di Regione Lombardia, e Andrea Monda, giornalista e scrittore, direttore de L’Osservatore Romano dal 2018.

Tabacci ha voluto tracciare alcune linee guida per interpretare il pensiero di don Primo a partire da alcune letture del suo “Testamento” (che si può reperire dal sito di Fondazione Mazzolari). Anche in punto di morte il suo pensiero andava ai contadini e ai poveri della sua Bozzolo. Lui che aveva speso una vita nell’antifascismo e nella lotta alle diseguaglianze sociali.

Monda, invece, ha fatto del suo intervento una narrazione poetica di quanto la vita e gli scritti di don Primo hanno significato e significhino ancora oggi. La potenza della parola (passando anche attraverso Karl Rahner), la questione del laicato, il rapporto tra bellezza e poesia, il personalismo comunitario di Mounier, la formazione delle coscienze. Senza sottovalutare i punti di contatto tra Mazzolari e Papa Francesco, che più di una volta pare citarne anche non esplicitamente il pensiero e il giudizio. Entrambi provenienti dalla periferia del mondo. Entrambi spesso rivolti alla poesia. «Senza poesia non c’è fede. Senza poesia l’apostolato muore». Questo don Primo. «Le parole degli scrittori mi hanno aiutato ad approfondire il mio compito anche nel mio attuale ministero perché la parola letteraria è come una spina nel cuore». Così Papa Francesco lo scorso 27 maggio rivolgendosi a scrittori e artisti. Entrambi convinti antimilitaristi al punto da definire la guerra e in particolar modo quella atomica come «animo di Caino». «La sola risposta alla guerra è la fratellanza», diceva don Primo. A distanza di qualche decennio, papa Francesco scriverà l’enciclica Fratelli tutti.

L’appuntamento si è concluso con la proiezione, presso la Casa della gioventù, del film di Ermanno Olmi su don Mazzolari (1967), la cui visione fu interdetta per molti anni dalla RAI a causa di alcune prese di posizione di don Primo contro il fascismo. In serata poi, in chiesa parrocchiale, il Masci di Cerese – Mantova 1 ha proposto un dialogo teatrale in parole e musica tra don Primo e Umberto Bellintoni.

Molti ancora gli appuntamenti anche sabato e domenica. Il 10 giugno, dopo la mattinata e il pomeriggio “in libreria” nella chiesa di San Francesco, alle 17.30 sotto la loggia del Comune la lectio magistralis dal titolo “L’umano alla prova” di mons. Pierangelo Sequeri, preside del Pontificio istituto Giovanni Paolo II e consultore del Sinodo dei vescovi. In serata, alle 19, presso in chiesa parrocchiale, il concerto dell’orchestra filarmonica Esagramma; seguito dall’apericena in oratorio.

La giornata di domenica 11 giugno si aprirà con la Messa delle 10 presieduta da don don Bruno Bignami, direttore dell’Ufficio nazionale della Cei per i problemi sociali e il lavoro, oltre che postulatore della causa di beatificazione di don Primo Mazzolari. Nel pomeriggio alle 17.15, presso la Casa della Gioventù, don Paolo Cugini dialogherà con Stefano Albertini riguardo al tema “Una Chiesa popolo di Dio: inculturata e inclusiva”. Alle 19, nella stessa location, il tema dell’educazione sarà sviluppato da Eraldo Affinati in dialogo con Stefania Albertini e don Bruno Bignami: sotto la lente don Mazzolari insieme a don Milani.

 

Brochure con il programma completo della tre giorni:   pagina 1   pagina 2




La “Pacem in terris” e il bisogno di pace oggi: incontro nel ricordo del vescovo Tonino Bello e di Papa Giovanni XXIII

Era l’aprile del 1963 quando Papa Giovanni XXIII, in pieno Concilio Vaticano II, scriveva la sua ottava enciclica che intitolava “Pacem in terris”, la prima nella storia della Chiesa a essere indirizzata, oltre che al mondo cattolico, a “tutti gli uomini di buona volontà”. Una ventina d’anni più tardi, nel 1985, assurgeva al ruolo di presidente di Pax Christi un giovane sacerdote chiamato don Tonino Bello, pugliese d’origine ma uomo con il mondo negli occhi e la capacità, già allora piuttosto rara, di sognare un mondo non violento, un mondo in pace.

Queste due figure, apparentemente lontane tra loro ma unite dall’amore per il Vangelo e dall’operosità nel realizzarlo, sono state al centro dell’incontro “In piedi costruttori di pace”, che si è tenuto giovedì 18 maggio presso il Centro pastorale diocesano di Cremona e che ha visto tra i relatori Carla Bellani per Pax Christi Cremona e l’assistente ecclesiale delle Acli provinciali di Cremona don Antonio Agnelli. L’evento è stato promosso in collaborazione con la Pastorale sociale e del lavoro della Diocesi, che ha visto la presenza dell’incaricato diocesano Eugenio Bignardi.

«Don Tonino Bello è stato paladino di tante battaglie per la pace – ha introdotto Bignardi –. In tutta la sua vita ha denunziato le cause che producono la fame e si è schierato contro le spese militari e a favore dell’obiezione di coscienza». E per questa sua operosità alla causa della pace Papa Francesco lo ha dichiarato venerabile il 25 novembre 2021 e la Congregazione delle cause dei santi ne ha avviato il processo di beatificazione. Ha proseguito Bignardi: «Nella “Pacem in terris”, che oggi andremo ad attualizzare, la pace è vista come conquista, che richiede lotta e tenacia e non tollera atteggiamenti sedentari. La pace non ha nulla da spartire con la banale vita pacifica, perché al contrario è un cammino e un cammino in salita». Al termine del suo intervento Bignardi ha chiesto di fare un minuto di silenzio in ricordo delle vittime delle alluvioni in Emilia-Romagna e di tutte le vittime del giorno a causa della guerra in Ucraina e in tutti i conflitti in corso nel mondo.

A don Antonio Agnelli, invece, è stato affidato il compito di rileggere l’enciclica “Pacem in terris” alla luce di quanto avviene oggi nel mondo e della deriva militare a cui si sta assistendo. Due i passaggi fondamentali del suo intenso intervento. La contestualizzazione della nascita dell’enciclica e gli strascichi che ha lasciato.

«Papa Giovanni XXIII redige la “Pacem in terris” – ha ricordato il sacerdote – l’11 aprile 1963, a due anni dalla costruzione del Muro di Berlino e a sei mesi dall’inizio della crisi di Cuba, quando il mondo sarà sull’orlo di un olocausto, non ancora del tutto scongiurato nemmeno oggi». E lo fa perché è convinto che «nel cuore umano esista una scintilla di pace, che può e che deve emergere a livello della ragione, per diventare strumento con cui lavorare ad un mondo migliore». Nonostante, infatti, siano molte le aggressioni ai diritti umani in essere già all’uscita del testo, Papa Giovanni riconosce “i segni dei tempi” quali avvenimenti che narrano di una sensibilità in crescita su determinati aspetti del sociale. Ne sono esempio la coscientizzazione dei lavoratori, o l’accresciuto ruolo della donna nella società, o la sensibilità che cresce tra i popoli perché le contese si risolvano nel negoziato e non nel conflitto. Alla cui base vi è il valore inalienabile della dignità della persona.

«Questi segni proiettano il Papa nell’avere fiducia che un mondo di pace è possibile – ha proseguito don Agnelli –. Anche là dove ci sono contraddizioni, queste sono considerate “sporgenze utopiche necessarie”, finalizzate nella storia dell’umanità a creare condizioni per cui lottare».

Quelle che, qualche decennio dopo, verranno chiamate “utopie realistiche che sono alla nostra portata” da un altro segno dello spirito che aleggia nella Chiesa, il cardinale Carlo Maria Martini.

«I cristiani, dunque, devono lavorare dentro alla storia anche con i non credenti per costruire un mondo migliore, alla luce della “Pacem in terris”», ha concluso don Agnelli. «Perché la pace per Papa Giovanni si fonda su verità, giustizia, amore e carità, che sono presenti nel cuore di ogni uomo e donna».

Il secondo intervento è stato affidato invece a Carla Bellani, che nella sua lunga permanenza in Pax Christi ha avuto l’onore di conoscere e condividere un pezzo di cammino con don Tonino Bello, alla presidenza dell’associazione dal 1985 al 1992. Erano gli anni delle grandi campagne che don Bello conduceva con una parte della società civile al suo fianco. Da quella contro i venditori di armi del 1989, che portò all’approvazione della legge 185/1990 finalizzata al controllo sull’esportazione delle armi a Paesi con conflitti in corso; alla dichiarazione che invitava i cittadini a prendere posizione contro l’invasione dell’Iraq del 1991 ad opera degli Stati Uniti d’America. E poi l’accoglienza della popolazione albanese durante lo sbarco di 20mila persone nel 1991 al porto di Bari. Fino alla marcia sulla Sarajevo assediata durante la guerra degli anni ’90 quando, nel 1992 con 500 pacifisti, don Bello entrava nella capitale bosniaca sfidando i cecchini, per portare una proposta di pace ideata dal gruppo del professor Papisca dell’università di Padova.

«Con quel movimento di persone e di idee che don Tonino definì “l’ONU dei poveri”, abbiamo sperimentato che ci sono alternative alla logica della violenza – ha detto la Bellani –. Dobbiamo promuovere queste forme di utopia altrimenti non saremo le sentinelle profetiche che annunciano cieli nuovi e terre nuove».

Diverse le eredità a lungo termine lasciate dal sacerdote pugliese, che sono state elencate a termine dell’incontro. Tra cui vengono ricordate il percorso di pace istituto da “Europe for Peace”, coalizione composta dalla società civile internazionale europea che si riunirà il prossimo giugno a Vienna per richiedere una conferenza di pace internazionale che poni fine al conflitto in Ucraina, a nome di una società italiana e internazionale che svolge attività di non violenza attiva. O ancora la campagna internazionale per la messa la bando delle armi nucleari, che nel 2017 ha ricevuto il Premio nobel per pace e che è emanazione di “Italia ripensaci”. O ancora le azioni promosse da Banca Etica, ACLI, Tavola della Pace di Cremona che nei prossimi mesi verranno realizzate anche nella nostra provincia.

«Queste esperienze di non violenza attiva – ha concluso la Bellani – traggono spunto da don Tonino Bello e sono “i segni dei tempi” di cui parlava Papa Giovanni XXIII».

 




La Festa dei lavoratori con il Vescovo all’Imbal Carton di Piadena Drizzona

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È stata una celebrazione eucaristica decisamente fuori dal comune quella che si è svolta presso l’azienda Imbal Carton di Piadena Drizzona in occasione della Festa del 1° maggio, promossa dalla Pastorale sociale e del lavoro della Diocesi di Cremona e presieduta dal vescovo Antonio Napolioni. Molti i presenti, tra cui le autorità del territorio, i sindacati, i maestri del lavoro, le rappresentanze del settore economico e imprenditoriale oltre alle associazioni che si occupano del mondo del lavoro sul territorio cremonese. Oltre naturalmente a dirigenti e operi della Imbal Carton, con presidente e ceo Michele Lancellotti.

Tre le parole chiave riassunte dal vescovo Napolioni a partire dalle letture del giorno: unità, diversità e responsabilità.

«Così come la nostra Costituzione si fonda sul lavoro, anche il Cristianesimo è fondato sul lavoro e sul lavoro di Dio», ha esordito monsignor Napolioni attualizzando la lettura di Genesi e descrivendo il lavoro come «un’idea di Dio» in cui trovano spazio «verità, forza, sapienza e bellezza». Perché nell’uomo «Dio vede l’universo che esce dal suo amore, vede l’umanità, la sua opera da portare a compimento. E questo compimento è possibile se non si perde di vista il bene comune e non ci si dimentica che nessuno si salva da solo». L’uomo dunque non è solo lavoratore, ma umanità più complessa che parte dalla sua unità con il creatore, di cui è immagine e somiglianza. Il che non significa omologazione, cancellazione della diversità, ma esaltazione della reciproca differenza. Così anche nel mondo professionale va data «pari dignità all’uomo e alla donna pur nel rispetto delle diverse vocazioni lavorative che la natura affida al maschile e al femminile, così come delle diverse culture ed età».

Al centro dell’attenzione della “Commissione episcopale della CEI per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace” quest’anno è stato posto l’accento sul rapporto tra giovani e lavoro. Anche il vescovo si è soffermato, nella sua omelia, a riflettere sulle ragioni che portano un quarto di popolazione giovanile a non trovare un lavoro adeguato alle proprie aspettative e ambizioni. «Quei giovani – ha detto – sono i cittadini di oggi a cui dobbiamo dare speranze e invece diventano sempre più marginali, fino a lasciarli fuggire dall’Italia mentre assaporano il viaggio come condizione esistenziale». E ha proseguito «dobbiamo sognare un’economia che sa prendersi cura di tutti e non lascia indietro nessuno». Il riferimento è all’Economia di Francesco, che da alcuni anni riflette con i giovani di tutto il mondo su un nuovo modo di pensare il lavoro e la società.

Da ultimo, il tema della responsabilità. Tema vasto che comprende aspetti ambientali e di ecologia integrale a cui papa Francesco ci ha abituato con le sue due encicliche Laudato si’ e Fratelli tutti. E anche aspetti relazionali, che il vescovo Napolioni ha riassunto nel riposo divino del settimo giorno. «Reimpariamo a far prevalere la cura delle relazioni con le persone che abbiamo vicino, dialogando e pregando insieme». E conclude «Il riposo è il tempo dello stupore. Lasciamoci stupire da chi lavora con l’obbedienza del cuore e la volontà di fare sempre di più. È come vivere un sussulto di santità, quella santità del lavoratore e della lavoratrice che fanno della loro fatica lo strumento nobile per costruire insieme il futuro».

 

Ascolta l’omelia del vescovo Napolioni

 

Hanno concelebrato con il vescovo don Antonio Pezzetti parroco dell’unità pastorale di Piadena-Drizzona-Vho e vicario della Zona pastorale 4, insieme anche ad alcuni altri sacerdoti diocesani: don Gianpaolo Maccagni (vicario episcopale per il Clero e il Coordinamento pastorale), don Francesco Fontana (incaricato diocesano Pastorale giovanile), mons. Franco Sarzi Sartori (originario di Piadena), don Mario Martinengo (della Commissione di Pastorale sociale e del lavoro), don Cristino Cazzulani (residente in paese), don Claudio Rossi (parroco di Torre de’ Picenardi), don Giovanni Fiocchi con don Alessandro Bertoni e don Pierluigi Capelli (parroci di Vescovato) e don Fabrizio Gobbi, parroco di Prevalle (in diocesi di Brescia) dove si trova un’altra sede dell’Imbal Carton.

Al termine della celebrazione ha preso la parola Eugenio Bignardi, incaricato diocesano per la Pastorale sociale e del lavoro, per un ringraziamento a tutti i presenti e per sottolineare come i temi della disoccupazione giovanile e della sicurezza sul lavoro siano centrali nell’azione che la Pastorale sta conducendo al fianco di altri attori, tra cui le ACLI.

A seguire ha parlato Bruno Alessio Tagliati, presidente delle ACLI Provinciali, che ha colto l’occasione della celebrazione per inaugurare l’opera “Fondata sul lavoro.. sicuro” ideata dall’artista Francesco Sbolzani. «L’ispirazione di questo lavoro è alla nostra Carta Costituzionale, che resta per noi la base e la colonna dorsale delle nostre associazioni. Sulla base dell’albero, vicino alle radici, si trova una scritta che è per noi un monito a fare sempre meglio. “Fondata sul lavoro.. sicuro”. Con l’auspicio che quest’aggettivo, sicuro, entri a far parte della nostra Carta costituzionale così come delle politiche sul lavoro». E ha concluso associandosi all’impegno preso da Bignardi di mettere in campo delle azioni concrete volte a coinvolgere tutti gli attori del mondo del lavoro affinché vengano creati dei percorsi di sensibilizzazione e di approfondimento inerenti la sicurezza sul lavoro.

La mattinata si è conclusa con un monito da parte del Vescovo Napolioni a celebrare sempre più fuori dalle chiese, in luoghi significative per la cittadinanza. Aziende ma anche carceri, centri sportivi e giovanili, strade. Dove si incontra l’umanità di cui parla il Vangelo.

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Lunedì 1° maggio alla Imbal Carton di Piadena Drizzona la celebrazione diocesana per la Festa dei lavoratori

Primo Maggio: giovani e lavoro, dalla depressione alla speranza

Società e lavoro, guarda alla festa dei lavoratori la nuova puntata di Chiesa di casa




Napolioni alla Fontana: «Al Santuario in questo tempo di grazia per attingere alla fonte la potenza della risurrezione»

La Messa presieduta dal vescovo Antonio Napolioni al Santuario della Madonna della Fontana di Casalmaggiore nel pomeriggio di domenica 26 marzo ha idealmente chiuso le celebrazioni patronali, che in santuario sono state vissute sabato 25 marzo, solennità dell’Annunciazione, con l’inizio del Giubileo. Tempo di grazia in cui poter ottenere l’indulgenza plenaria che si protrarrà sino alla solennità dell’Assunta, il prossimo 15 agosto, quando ricorreranno i 60 anni dall’incoronazione dell’immagine della della Beata Vergine da parte del vescovo Danio Bolognini, avvenuta il 15 agosto 1963 nel quinto centenario del santuario.

La celebrazione, conclusa con la solenne benedizione papale, è stata concelebrata dal rettore del Santuario, padre Francesco Serra, insieme agli altri cappuccini della comunità e il vicario parrocchiale di Casalmaggiore, don Arrigo Duranti, e a don Alfredo Assandri,  parroco dell’unità pastorale di Camminata, Cappella e Vicoboneghisio.

A partire dalle scritture del giorno, che ricordano la promessa della risurrezione in Isaia e l’avvenuta risurrezione per l’amico di Gesù, Lazzaro, nel vangelo di Giovanni, l’omelia del Vescovo è stata incentrata sul tema dell’attesa e della fiducia che l’uomo ripone in Dio attraverso l’esempio di Maria. «La figura di Maria è indispensabile – ha detto monsignor Napolioni – perché lei ci insegna a vivere. Lei che è madre di Gesù, è anche madre della risurrezione e della vita».

La fatica che l’uomo sente nel riconoscere a Dio il primato nella propria esistenza, lo induce a coltivare il dubbio che davvero Dio possa operare in lui la salvezza. Ma la riflessione del Vescovo ha voluto dare un senso al tema del dolore e dell’accettazione della morte, come via per la gloria di Dio. «Perché vogliamo ridurre la potenza del Signore Gesù? Noi stessi facciamo lo sconto alla salvezza. Ma Gesù risponde che la malattia di Lazzaro è per la gloria di Dio». E a darne significato sono le lacrime di Cristo che esprimono il proprio affetto per Lazzaro e le sue sorelle. Con il suo dolore Gesù non ci illude e dice ci che dobbiamo attraversare la morte, non solo la nostra ma anche quella delle persone care.

«Quello che ci fa male è il pensiero sbagliato della morte» ha proseguito monsignor Napolioni. Esiste dunque un pensare alla morte in maniera differente. A sostenerci di fronte a questa prova è l’accettazione che «Il Signore è con noi. E prima ancora fa sì che la nostra terra sia già cielo. Perché esistono già qui uomini e donne che testimoniano la resurrezione».

Tutte le volte che l’uomo tocca il suo limite e incontra le sue fragilità, fa i conti con la morte. «Se ogni volta che abbiamo nostalgia e soffriamo riconosciamo che il Signore non ci tradisce ma ci prepara una terra nuova» ha avvio per noi un nuovo inizio, ha sottolineato il Vescovo. E ancora: «Maria è già quella terra nuova, quel nuovo inizio. Anche per noi c’è spazio per le obiezioni, le fatiche, ma l’ultima parola dev’essere una parola di disponibilità, un sì, una parola di adesione come ha fatto Maria».

Sull’esempio del «suo piccolo “sì” che rinnova tutti i giorni, nella sua vita nascosta, feriale, a distanza dal figlio quando inizia la sua missione», così anche a ciascuno è richiesto di dire sempre il proprio “sì” alla potenza della «vita nuova che bussa alla nostra vita vecchia, alla nostra schiavitù della morte». Anche il nostro futuro dipende, dunque, da questa fede che il Vescovo ha definito «semplice, asciutta, robusta, essenziale» e che tanti testimoni insegnano già su questa terra.

«Allora – ha concluso il vescovo Napolioni – siamo qui in questo tempo di grazia e in questo santuario per attingere alla fonte non le grazie che ci farebbero comodo, ma la potenza della resurrezione e la certezza delle fede che ci rende credenti e testimoni anche nel momento della prova. E lo facciamo con Maria, che è donna della Pasqua e che ci insegna a fare Pasqua tutte le volte in cui un duro venerdì santo ci tocca e lei ci ricorda che è solo l’attesa del mattino di Pasqua. E che la morte è l’appuntamento sponsale a cui il Signore non mancherà».

La celebrazione si è conclusa con la benedizione conferita dal Vescovo in preghiera alla fonte di Maria nella cripta del Santuario.

 

Santuario della Fontana, la celebrazione per la festa patronale ha aperto il Giubileo

Santuario della Fontana, il 25 marzo si apre il Giubileo