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Internet, la rivoluzione inavvertita

Le scelte diocesane che riguardano gli strumenti di comunicazione e le strategie sottese ai cambiamenti ormai prossimi – uno fra tutti il congedo dal settimanale cartaceo – sono strettamente legate all’avvento pervasivo di una nuova tecnologia: internet. Per cercare di comprendere alcuni snodi significativi di questo cambiamento abbiamo posto alcune domande a Claudio Gagliardini, esperto social media marketing di Seidigitale.com.

Che cos’è Internet?

«È la più clamorosa e impattante rivoluzione cui il genere umano abbia assistito nel corso della sua storia. Questo enorme cambiamento sta portando il genere umano verso un nuovo mondo in cui i computer, le macchine e l’intelligenza artificiale saranno in grado di interagire con gli esseri umani. Internet in primis e la rete mobile negli ultimi anni, con tutti i loro strumenti e dispositivi, hanno accelerato in modo significativo il corso di questa rivoluzione. Che cos’è Internet? Nel 1999 il mondo del marketing ha trovato una definizione affermando che “i mercati sono conversazione. Internet siamo tutti noi, connessi”. Non un mezzo, dunque, non una semplice tecnologia e nemmeno un luogo virtuale. Con l’avvento del cosiddetto Web 2.0 e dei social media, la rete è diventata in brevissimo tempo una grandissima opportunità e un enorme rischio. Una grande opportunità perché oggi siamo molto più vicini di quanto sia mai avvenuto nel corso della storia a un Premio Nobel, a un governante, ad un qualsiasi manager o capitano d’industria. Ma anche, allo stesso modo, costantemente vicini ai peggiori criminali, alla morbosa curiosità, esposti alla voracità delle aziende».

Come è cambiata la comunicazione?

«Siamo passati da una comunicazione di tipo “uno a uno” o “uno a molti” (tipica dei cosiddetti mass media) ad una comunicazione senza limite o confine, in cui tutti possono potenzialmente comunicare con tutti e con ciascuno in tempo reale. I media tradizionali hanno perso la propria esclusività sulla diffusione delle notizie, che ora passano in tempo reale sui social media, Twitter in primo luogo. Nessuno può più pensare di salire su un podio con un megafono in mano e urlare a tutti gli altri la sua verità, perché i social media e i social network possono mettere in discussione qualsiasi cosa e dar vita a infinite opinioni e controinformazioni. La rete è un vero e proprio tritacarne, in cui qualsiasi genere di notizia entra in circolo e prende infinite strade, ove non c’è nulla di scontato e la verità risulta sempre meno univoca e sempre più fragile. (Tanto che persino il Papa ha scelto di affrontare il problema delle “fakes news” nella prossima Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali. N.d.r.). In questo caos, apparentemente impossibile da gestire, si stanno ricostruendo e ricompattando milioni di piccole “communities”, simili alle antiche tribù. Il “villaggio globale” è un villaggio di villaggi e la rete è una rete di infinite reti, che si intrecciano tra loro. Tutto questo non necessariamente avrà esiti positivi, ma è innegabile che il cambiamento in atto sia drastico e irreversibile. In un futuro assai prossimo tenderanno a scomparire tutti quegli strumenti di comunicazione che rifiuteranno il confronto, la condivisione e l’interazione diretta e costante con gli utenti. I mezzi di comunicazione (stampa, radio e televisione) stanno convergendo e la società è sempre più votata ad un approccio definito “crossmediale”. In Italia su quasi 60 milioni di persone a inizio 2016, quasi 40 milioni utilizzano abitualmente la rete e quasi 30 milioni sono presenti su almeno una piattaforma sociale. Impressionante il dato legato alla rete mobile: oltre 80 milioni di dispositivi connessi per 24 milioni di utenti social da mobile».

Come cambia la vita della gente?

«Entro il 2020 avremo nel mondo un numero prossimo ai 50 miliardi di dispositivi connessi in rete. I progressi tecnologici rivoluzioneranno la vita. Se solo pensiamo che nel 2007, 10 anni fa, usciva (anche in Italia) il primo iPhone e che oggi abbiamo qui da noi oltre 100 milioni di contratti mobili, possiamo facilmente comprendere quanto rapidamente stiano cambiando le cose, e quale impatto e capacità di penetrazione abbiano le nuove tecnologie. Oggi non solo telefoniamo in mobilità, leggiamo e inviamo messaggi ed email da quello che ci ostiniamo a chiamare telefono cellulare, ma con esso facciamo pressoché tutto ciò che per diversi decenni abbiamo potuto fare solo con il computer. È forse proprio questo, l’aspetto più sconvolgente della trasformazione digitale: le tecnologie sono sempre più alla portata di tutti e sempre meno difficili da imparare e da utilizzare».

 

Se lo scopo della comunicazione ecclesiale è di partecipare al dibattito pubblico, di raggiungere efficacemente il proprio territorio e la vita di singoli e comunità cristiane, di offrire ai media laici un’accurata e tempestiva informazione sulle dinamiche ecclesiali, di annunciare la visione cristiana sull’attualità nelle modalità che oggi sono compatibili con i ritmi mutati della vita e del lavoro… tutto ciò trova concreta attuazione mediante le applicazioni della rivoluzione informatica, e le potenzialità offerte dalla rete.

Di questo si è parlato domenica 29 ottobre nella trasmissione televisiva “Giorno del Signore”, all’interno della rubrica “Comunicazione in diocesi… la partita del futuro” incentrata su “Internet, la rivoluzione inavvertita”.

Pagina “Focus” de “La Vita Cattolica” del 2 novembre

 




L’educazione di don Bosco in mostra a Casalmaggiore

Con l’intervento di don Elio Cesari, direttore delle Opere sociali “Don Bosco”, la sera del 30 ottobre all’auditorium S. Giovanni Paolo II di Casalmaggiore, è stata ufficialmente inaugurata la mostra “L’educazione è cosa di cuore e le chiavi del cuore le possiede solo Dio. Il sistema preventivo: la risposta di don Bosco all’emergenza educativa” visitabile sino all’8 novembre nella chiesa di S. Chiara (via Formis 4). L’iniziativa è promossa dalle Parrocchie di S. Stefano e S. Leonardo in sinergia con l’Associazione Famiglie S. Stefano.

In esposizione 53 pannelli rigidi formato 70×150 cm che pongono all’attenzione il sistema educativo di don Bosco: più che una riflessione sulla realtà, esperienza vissuta e pedagogia raccontata.

L’esposizione vuole così introdurre il visitatore in una tipica “esperienza educativo–evangelizzatrice” – quella salesiana – caratterizzata dall’esperienza dell’oratorio, luogo che diventa criterio secondo cui ogni struttura educativa deve caratterizzarsi come casa che accoglie, cortile per incontrarsi da amici, scuola che avvia alla vita, parrocchia che evangelizza. Un’esperienza, quella di don Bosco, capace di rispondere ancora oggi all’emergenza educativa dei giovani.

La gioia, l’allegria che viveva e trasmetteva don Bosco è esattamente quella che Papa Francesco ricorda: la certezza che “il Destino non ha lasciato solo l’uomo”, ma gli è venuto incontro per accompagnarlo nel suo cammino. Questa è l’esperienza che facevano i ragazzi di don Bosco: si sentivano amati in modo vero. E per chi ha fatto questo incontro la vita non può essere che “allegra” anche nelle circostanze più difficili e dolorose, come accadeva per i carcerati che don Bosco andava a trovare e che riscoprivano la propria dignità facendo catechismo con lui dietro le sbarre.

La mostra itinerante, curata dei Salesiani di Lombardia – Emilia Romagna – Svizzera – San Marino, è adatta in modo particolarmente per ragazzi, adulti ed educatori.

La mostra, realizzata in occasione del “Meeting per l’Amicizia fra i popoli” del 2010, sarà visitabile dal 1° al 5 novembre dalle 10 alle 12.30 e dalle 15.30 alle 19; dal 6 all’8 novembre solo per gruppi e su prenotazione (info contattando il 338-9453670 o il 342-6220651).

Locandina




Chi abbandona chi? Il prof. Mauri alla seconda serata dirigenti CSI

Scenario, obiettivi, strategia e metodo: questi i quattro passaggi che Roberto Mauri, pedagogista e formatore CSI, da tempo affezionato a Cremona, ha suggerito, lunedì 30 ottobre, la seconda delle tre Sere Dirigenti. Il focus verteva sugli adulti e sul loro lavoro con i ragazzi per uno sport di qualità, con un obiettivo ambizioso: “zero abbandoni”!

Molto ricche le suggestioni pedagogiche che hanno permesso ai moltissimi intervenuti di verificare la propria prassi e vedersi confermato lo stile CSI di fare sport.

Gli obiettivi: restituire ai ragazzi un’esperienza migliore, più bella, una sorta di scoperta vocazionale per loro, un aiuto al distacco emotivo per i genitori e un lavoro di squadra per gli educatori. In particolare autostima e resilienza hanno costituito gran parte della riflessione di Mauri che ha insistito sulla plasmazione della forza di volontà che oggi poche agenzie educative pongono al centro del loro operare. Non sono mancati affondi alle diverse tipologie di accesso allo sport, in quel continuum di ragazzi dai difficili ai facili che – va riconosciuto – partono da condizioni e punti di forza differenti, ma sono nella stessa squadra, compiono i passi nello stesso percorso sportivo e costituiscono una compresenza anche feconda. Davvero coinvolgente anche il metodo suggerito, articolato in quattro passaggi: individuare una qualità del ragazzo, proporre un compito adeguato, richiedere su quel compito una prestazione e… aprire allenatore e giovane al sogno, che va destato e tenuto in tensione. La conclusione è stata affidata alla celebre immagine del Discorso della Montagna “voi siete il sale… la luce”, applicata all’identità e al lavoro degli educatori sportivi: “siete voi oggi il sale e se perdete sapore, i ragazzi giocheranno male. Voi siete la luce e, se voi vi spegnete, loro saranno al buio”.

La terza serata, dedicata più espressamente alla narrazione di esperienze, è prevista per lunedì 6 novembre, sempre alle 21 presso il Centro pastorale diocesano di Cremona. Condurranno l’incontro il prof. Massimo Puerari, insegnante di Scienze motorie e storico allenatore del Corona, e Flavio Gulinelli, già allenatore nazionale di volley.

Slide della seconda serata

 

I precedenti incontri:




Il 29 ottobre visita del vescovo Antonio alla Fondazione Caimi di Vailate

Prima la preghiera in cappellina poi la visita ai reparti. Dopo aver amministrato a Vailate il sacramento della Cresima nella messa delle 10 in chiesa parrocchiale, domenica 29 ottobre il vescovo Antonio Napolioni ha fatto visita alla Fondazione Ospedale Caimi Onlus.

Accolto dal presidente Mario Berticelli, dal Consiglio d’amministrazione e dal direttore generale Paolo Regonesi – presenti anche il sindaco di Vailate Paolo Palladini, il suo vice Roberto Sessini, la parlamentare vailatese Cinzia Fontana, un gruppo di dipendenti e alcuni volontari dell’associazione Avulss – il Vescovo ha guidato una breve riflessione in chiesetta.

Non prima, però, di aver ascoltato il messaggio di saluto ufficiale del presidente Berticelli che, illustrandogli le caratteristiche del Caimi, ne ha ricordato lo spirito di carità cristiana che lo ha sempre animato e lo anima tuttora.

«In questa società nella quale sembra si debba rimanere sempre giovani – ha detto il Vescovo nel proprio intervento – c’è bisogno di essere felicemente adulti. E gli adulti sono quelle persone attente sia ai bambini che agli anziani per percepire ciò che loro pensano, custodiscono, preparano e soffrono. Voi della Fondazione Ospedale Caimi Onlus, che fate della cura alle persone la vostra professionalità, non riducete questa cura ai puri numeri, perché non contano solo i conti, ma le persone, i valori, i racconti».

Terminata la sua riflessione, mons. Napolioni ha guidato una preghiera, recitata anche in ricordo di chi al Caimi ha prestato il proprio servizio ed ora non c’è più.

A seguire il Vescovo, accompagnato da Berticelli, è salito a visitare i reparti di Cure Intermedie e la RSA, intrattenendosi con tutti i 129 ospiti, ad uno ad uno. Tra loro anche don Pierino Macchi, sacerdote arzaghese ed ex parroco di Vidalengo che da un mese è ospite della struttura.

«Abbiamo avuto la gioia di accogliere il nostro vescovo Antonio per la sua prima visita ufficiale ai reparti e alle strutture della Fondazione – si legge nel post pubblicato dal Caimi al termine della visita -. È stato un bel momento di condivisione, di riflessione, di preghiera insieme e di scambio di affetto con i nostri Ospiti, che si sono confidati e affidati a lui con dolcezza. Grazie Vescovo Antonio!».

Photogallery




A un anno dal terremoto la visita del vescovo Napolioni

Anche una delegazione cremonese ha preso parte alla “giornata di ricordo” promossa dall’Arcidiocesi di Camerino-S. Severino Marche a un anno esatto dalla grande scossa di terremoto di magnitudo 6.5 che, il 30 ottobre 2016, con epicentro fra Norcia, Preci e Castelsantangelo sul Nera, sconvolse nuovamente il Centro Italia con quello che risultò il terremoto più forte sul territorio nazionale dopo quello dell’Irpinia del 1980.

Proprio nel segno del gemellaggio stretto dopo il sisma tra le due Chiese, anche il vescovo Antonio Napolioni, insieme a una delegazione di Caritas Cremonese, ha preso parte all’iniziativa nella sua terra d’origine, potendo toccare con mano la situazione attutale in quelle zone, tra le tante difficoltà nel rimettesi in piedi dopo la catastrofe.

L’appuntamento è stato in mattinata presso la Curia di Camerino alla presenza dell’arcivescovo di Camerino-S. Severino Marche, mons. Francesco Giovanni Brugnaro, e dei suoi più stretti collaboratori, tra cui il direttore della locale Caritas, mons. Luigi Verolini.

Accanto al vescovo Antonio Napolioni, oltre al segretario don Flavio Meani, c’era il direttore di Caritas Cremonese, don Antonio Pezzetti, e l’operatrice Nicoletta D’Oria Colonna, che dal novembre dello scorso anno ha prestato servizio nelle zone terremotate coordinando le diverse fasi del gemellaggio, con gli interventi a sostegno delle popolazioni locali e l’alternarsi in loco dei volontari. Tra loro anche alcuni studenti del liceo Vida di Cremona, rappresentati in questa occasione da Diego Manfredi. Presente anche Fermano Nobili, della Caritas di Crema, che ha condiviso i mesi di servizio a sostegno dei terremotati con Nicoletta D’Oria Colonna.

All’incontro ha preso parte anche il vescovo di Cesena-Sarsina, mons. Douglas Regattieri, (in rappresentanza delle diocesi emiliane) e don Arnolfo le per Caritas della Liguria.

«Aiutateci a evangelizzare questo tremendo episodio», ha esordito mons. Brugnaro ricordato la necessità di stare accanto agli sfollati, in particolare agli anziani e i ragazzi. Poi il ringraziamento per la solidarietà dimostrata da tanti, anche in modo molto materiale. «Tanta Chiesa, bella e generosa, – ha affermato – ci è stata vicina».

Prendendo la parola mons. Napolioni, da natio di questa terra, ha raccontato dell’attenzione che ancora continua a trovare nelle varie parrocchie della diocesi di Cremona, operose ancora oggi nel promuovere iniziative a sostegno di questo territorio ferito.

Ha quindi fatto seguito un vero e proprio tour per la diocesi. Prima tappa a Visso, una delle zone più martoriate. Accompagnati da don Gilberto, tutti con il caschetto protettivo in testa, hanno varcato il limite della “zona rossa” e, camminando tra le macerie, hanno raggiunto il cuore della martoriata cittadina.

Non è mancata poi una sosta presso il suggestivo santuario di Macereto, situato a circa 1000 metri di altitudine sull’omonimo altopiano del versante occidentale dei Monti Sibillini, sempre nel territorio comunale di Visso.

Il gruppo si è poi spostato nella frazione di Pastorello di Cupi, per vedere uno dei 15 progetti sostenuti anche attraverso il gemellaggio. In particolare, qui dove persiste il problema dell’acqua, vi è stata la visita a una realtà che, allevando un migliaio di ovini e trenta bovini, si occupa della produzione di latte e formaggio. Alimenti che a lungo, però, non è stato possibile produrre a causa dei danni provocati dal sisma. Il contributo delle varie diocesi ha permesso l’acquisto di un nuovo pastorizzatore dando nuova speranza, anche se le spese sono state tante e ora rimangono ancora molti “buchi” da ripianare.

Dopo il pranzo, in un ristorante di Montecavallo da poco riaperto, il pomeriggio è continuato con la visita alle casette di Pieve Torina, alla presenza anche delle autorità locali.

Qui la giornata si è conclusa con l’Eucaristia presieduta dall’arcivescovo Brugnaro nella tensostruttura del paese, alla presenza anche della comunità locale. In questa occasione è stata distribuita la sintesi della mappature svolta in questi mesi.

In questa giornata, che a Camerino ha visto anche la presenza del presidente della Camera Laura Boldrini (originaria della provincia di Macerata), molti sono gli insediamenti di casette ancora da terminare. Le prospettive per la consegna in alcuni casi sono per Natale, in altri si potrebbe arrivare a Pasqua. Questo anche a motivo dei cantieri bloccati a seguito di alcune irregolarità riscontrate, in particolare degli operai sottopagati. E tra la gente la preoccupazione è forte, anche perché sembra che a marzo finirà l’erogazione del contributo di autonoma sistemazione.

Photogallery della visita del 30 ottobre

 

Termina il gemellaggio, ma non la solidarietà 

La visita in terra marchigiana del 30 ottobre segna a tutti gli effetti la chiusura del gemellaggio, anche se iniziative di promozione culturale e sostegno economico comunque continueranno ancora. Perché le persone coinvolte a vario titolo sono state molte e si sono creati veri “sotto-gemellaggi” che dunque potranno essere portati avanti in autonomia. In particolare in ambito scolastico con il progetto “Gatti di calza”, che prevede già un calendario di appuntamenti per la realizzazione e la vendita dei manufatti a favore di una scuola danneggiata dal sisma.

A tale progetto si potrebbe presto aggiungere anche quello dei “Gufi”, ipotesi editoriale per poter sostenere una mamma terremotata, Enrica, di San Severino, che ha scritto le “storie di Gufi”, corredate da bellissimi disegni acquarellati. L’idea sarebbe quella di destinare il ricavato del libretto alla sua famiglia, con i due figli di 6 e 13 anni, e il marito che per il terremoto è rimasto senza lavoro.

Continuerà anche il sostegno economico ad una famiglia della vicaria di San Ginesio tramite l’acquisto di prodotti alimentari. Questo padre di famiglia, disoccupato a causa del terremoto, si è “inventato” un nuovo lavoro di vendita a domicilio di alimenti. Ambito nel quale è impegnata anche Filiera corta solidale, con un’attenzione solidale proprio rivolta a queste terre.

Da non dimenticare, infine, l’impegno del Gruppo H Quartiere Brolo onlus di Soncino che tramite Nicoletta D’Oria Colonna il 29 ottobre hanno fatto giungere una donazione di 5mila euro all’Anffas Sibillini.




Sinodo, presentato lo strumento di lavoro

Concluso il tempo degli ascolti, il Sinodo diocesano dei giovani si appresta a vivere la sua terza fase, quella pre-sinodale. Nello specifico, nei mesi di novembre e dicembre 2017, nelle cinque zone pastorali, saranno promossi cinque incontri nei quali, a tutti i giovani che interverranno, sarà presentato lo strumento di lavoro. Proprio l’Istrumentum laboris è stato ufficialmente illustrato alla stampa la mattina di mercoledì 25 ottobre.

La conferenza stampa, che si è svolta all’interno della nuova sede della Federazione Oratori Cremonesi, presso il Centro pastorale diocesano di Cremona, ha visto intervenire il vescovo Antonio Napolioni, affiancato dall’incaricato diocesano per la Pastorale giovanile, don Paolo Arienti, e tre giovani che compongono la Segreteria del Sinodo: Mattia Cabrini, Paolo Mazzini ed Elena Poli. Ha moderato l’incontro con i giornalisti don Enrico Maggi, incaricato diocesano per le Comunicazioni sociali.

Intervento del vescovo Napolioni

 

Istrumentum laboris – Futuro

Lo strumento di lavoro – che è il testo base su cui si svolgeranno i lavori dell’assemblea sinodale – si inserisce nella collana Soul is young come suo terzo volume, dal titolo Futuro. Continua, infatti, la serie di approfondimenti e voci giovanili su alcuni temi decisivi: dopo il dolore e il viaggio, tocca al futuro, la questione cardine del Sinodo dei giovani.

La struttura. Il volume è aperto da una introduzione del vescovo di Cremona, S. E. mons. Antonio Napolioni, che focalizza le ragioni di un Sinodo dei giovani della Chiesa cremonese e ribadisce il tenore ecclesiale e prospettico dell’iniziativa. Seguono una rilettura storica delle tappe sinodali e la time line degli eventi.

La prima parte raccoglie in cinque aree (chiesa, affetti, futuro, fede e stili di vita) gli ascolti raccolti nel passato anno pastorale da Oratori, Associazioni, Movimenti e interazioni varie, come indica la “geografia” degli ascolti alle pagine 12 e 13. Ognuna delle cinque articolazioni si chiude con una rosa di domande, frutto di quanto emerso dagli ascolti e provocazione per ognuna delle cinque assemblee sinodali programmate dal prossimo gennaio 2018 sino al 20 maggio dello stesso anno: in altre parole i giovani in assemblea lavoreranno sulle domande frutto della sintesi, alla ricerca di alcune proposizioni da offrire al Vescovo e alla Chiesa cremonese.

La seconda parte ospita alcuni approfondimenti sulla condizione giovanile e sul senso dell’ascolto: un intervento di papa Francesco, un affondo di mons. Sequeri e una riflessione del direttore della pastorale giovanile cremonese.

L’ultima sezione è un agile prontuario delle celebrazioni che accompagneranno la fase celebrativa del Sinodo.

Una appendice preziosa racconta di possibili interazioni tra il cammino del Sinodo e le comunità cristiane.

Il volume, pubblicato in formato cartaceo, è disponibile anche in formato digitale sul sito internet della Federazione Oratori Cremonesi.

 

Presentazione di don Paolo Arienti

Caratteristiche dello strumento di lavoro (Elena Poli)

La grafica dell’Istrumentum laboris (Paolo Mazzini)

Il lavoro della Segreteria del Sinodo (Poli e Cabrini)

https://www.facebook.com/234763276623260/videos/1183028331796745/

 




Settimana Sociale: chiusi i lavori, ma il cantiere rimane aperto

Cala il sipario sulla 48esima Settimana sociale. Il sole di Cagliari non abbandona mai l’evento, e anche questo è un segno. I volti dei partecipanti sono sorridenti: si è costruita una rete che fa sentire ciascuno non solo connesso, ma in comunione. È esperienza di Chiesa…

I lavori dell’ultima mattinata, quella di domenica 29 ottobre, tastano il polso dell’assemblea: alcune voci significative raccontano questi giorni. Parole come talenti, generativi, relazioni, creatività, intraprendenza… si sono rincorse di continuo.

Prosegue poi il dialogo con le istituzioni. Dopo il Governo italiano, è la volta dell’Europa, con la presenza in sala di Antonio Tajani, presidente del Parlamento europeo. Le proposte della Settimana sociale si riconducono a tre: l’armonizzazione fiscale con il superamento dei “paradisi” interni all’Europa, la necessità di investimenti strutturali per sostenere il lavoro, l’integrazione nello statuto della Banca centrale europea del parametro dell’occupazione accanto a quello dell’inflazione come riferimento per le scelte di politica economica. Si è scesi nel tecnico, ma l’esigenza di concretezza non può che confluire in proposte puntuali. Non a caso la risposta di Tajani è stata positiva e di gratitudine: l’attività del Parlamento europeo non può che riconoscere il valore sociale dell’impresa.

La conclusione tocca al presidente del Comitato scientifico e vescovo di Taranto: mons. Filippo Santoro.

Il momento più sentito è la richiesta di un minuto di silenzio per le vittime del lavoro.

Il lavoro è vita: lacerano il cuore storie drammatiche come quella di Stefano Arcuri, che ha perso la moglie, vittima del caporalato. Il lavoro giusto chiede una conversione culturale, che comprende la volontà di fare spazio alla festa. La domenica è un punto fermo, se si vuole evitare che il lavoro si trasformi in idolo. Ma occorre anche aprire gli occhi sulle molteplici buone pratiche disseminate sui territori italiani.

A Cagliari si apre un cantiere per la Chiesa. La sinodalità valorizza le persone. Le tappe della denuncia, dell’ascolto, del racconto delle buone pratiche e l’attivazione di proposte possono diventare uno stile di lavoro nelle diocesi.

Cosa fare, dunque? L’impegno deve muoversi su più fronti: dal rilancio del Progetto Policoro all’aggiornamento dei Carcatori di LavOro, dalla valorizzazione del patrimonio dell’insegnamento sociale della Chiesa all’esigenza che ogni diocesi italiana organizzi un gruppo di cattolici motivati a dare impulso alla pastorale sociale e del lavoro. “La vita delle nostre comunità – ha esortato mons. Santoro – non può limitarsi alla catechesi, liturgia, processioni e benedizioni”!

La pastorale sociale ritrovi i giusti spazi e piena dignità nelle comunità cristiane. Da figlia di un dio minore, diventi la cartina di tornasole della passione formativa e caritativa. È Vangelo che si fa carne.

don Bruno Bignami
vicedirettore Ufficio nazionale CEI
per i problemi sociali e il lavoro

 

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Settimana sociale, il sabato dedicato all’ascolto

La Settimana sociale ha dedicato all’ascolto la terza giornata, quella di sabato 28 ottobre. Come sempre, è la Parola a rimettere in cammino l’assemblea. La riflessione di Rosanna Virgili ha condotto i presenti tra la precarietà di Abele, la forza generatrice della donna e la bellezza della manualità artistica. Il mondo biblico parla il linguaggio del lavoro umano.

Il cuore della mattina ha visto protagonista il sociologo Mauro Magatti, segretario del Comitato Scientifico. La sua relazione ha messo al centro l’esigenza di un rinnovato patto tra le generazioni.

Veniamo da un’Italia che, a partire dagli anni ‘80, si è ripiegata su di sé in nome di un individualismo improduttivo. La recente crisi economica e le trasformazioni tecnologiche del lavoro esigono ora un cambio di paradigma. Si tratta di mettersi in ascolto dei germogli di una nuova primavera che è alle porte. È tempo di semina e non di raccolto: ci sono ragioni per sperare.

Di fronte al bivio che vede da una parte lo sfruttamento e la disuguaglianza perpetrata e dall’altra un nuovo modello di sviluppo, non c’è alternativa. Tre strade possono guidarci. La prima viaggia sulla capacità di tenere insieme le diverse dimensioni dell’umano: non basta né il sapere puramente teorico né solo quello pratico. L’educazione va compresa come bene comune. La seconda strada è quella di costruire un sistema favorevole a chi crea lavoro. La terza, infine, è “il passaggio dall’economia della sussistenza a quella dell’esistenza”, secondo una felice espressione di Magatti. Il lavoro va umanizzato. Per farlo, non basta una generica ripresa economica, ma serve uno sforzo straordinario di accompagnamento dei giovani.

L’assurdo in cui ci troviamo è che, oggi in Italia, chi ha il patrimonio non investe, mentre chi vuole investire non può farlo perché non dispone di risorse. Da qui l’idea del patto tra le generazioni. I patrimoni siano messi in circolo per offrire occasioni ai giovani. Ciò vale anche per la Chiesa! La transizione in corso può davvero farci ripartire con slancio…

Il Convegno ha poi dato spazio ad un fecondo momento di confronto sui temi dei giovani, della creazione di nuove opportunità di impresa e sul senso del lavoro di fronte alle sfide dell’innovazione. Si è partiti dalle sintesi emerse ieri nei tavoli di discussione.

L’arrivo alla fiera, nel pomeriggio, del presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, è stata occasione per un dialogo con le istituzioni. A lui sono state consegnate alcune proposte frutto del lavoro di Cagliari: la necessità di rimettere al centro i processi formativi, soprattutto al servizio dei giovani, l’esigenza di canalizzare i risparmi dei Piani individuali di risparmio, il bisogno di far coniugare sostenibilità ambientale e responsabilità sociale nei contratti pubblici, la rimodulazione delle aliquote Iva delle imprese. Come si vede, ha prevalso la linea della concretezza…

Ha concluso l’intensa giornata la visione del docufilm “Il lavoro che vogliamo”, seguito dal dialogo, coordinato dall’economista suor Alessandra Smerilli, tra il sen. Maurizio Sacconi e l’on. Giuliano Poletti, attuale ministro del lavoro. Il documentario di Andrea Salvadore racconta esperienze di lavoro degno. Presentato ieri al Festival del Cinema di Roma, è stato salutato dal pubblico di Cagliari con unanime consenso. Anche il linguaggio della cinepresa aiuta a presentare il volto affascinante di chi crede nel lavoro: splendido omaggio alla creatività. Il lavoro è un miracolo quando le persone da costi diventano ricchezza, patrimonio e valore aggiunto. Allora sì che fa rima con oro!

don Bruno Bignami
vicedirettore Ufficio nazionale CEI
per i problemi sociali e il lavoro

 

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Settimana sociale, vetrina delle buone pratiche

La Settimana sociale di Cagliari è entrata nel vivo. E lo ha fatto con una potente iniezione di fiducia. Nella mattinata di venerdì 27 ottobre, la meditazione biblica dell’economista Luigino Bruni ha letto una pagina di Qoelet in termini di felicità e salvezza che provengono dal lavoro. Le due follie umane sono il lavoro-mai e il lavoro-sempre, che rendono schiavi e dipendenti.

Il successivo dialogo tra il card. Peter Kodwo Appiah Turkson, prefetto del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, e il gesuita Francesco Occhetta ha riportato il dibattito al prezioso contributo del magistero di papa Francesco dopo Laudato si’. Sullo sfondo le preoccupazioni per i cambiamenti in atto nel mondo del lavoro. Se è vero che la corruzione offusca le coscienze e che il lavoro ha a che fare con la dignità umana, la Chiesa non si tira indietro dell’educare e nel dare l’esempio perché il lavoro sia riconosciuto anche nei propri ambiti. Umanizzare il lavoro rimane la grande sfida.

Il Convegno si è messo poi a guardare in faccia la realtà, ma non più semplicemente per denunciare. La Chiesa dismette gli abiti lamentosi e amletici del “c’è del marcio in Italia” intorno al mondo del lavoro per indossare gli occhi della speranza: “c’è del bello in Italia!”. Ce ne siamo accorti, nonostante la crisi? Si tratta di fare spazio alle novità, che sono state battezzate “buone pratiche”. Ci ha pensato l’economista Leonardo Becchetti, membro del Comitato organizzativo, a presentare la sintesi del lavoro fatto in questi mesi in giro per l’Italia. L’esperienza dei “Cercatori di LavOro” è stata prima presentata e nel pomeriggio visitata dai partecipanti al Convegno.

Numerosi bus hanno percorso la Sardegna per incontrare questi segni che parlano da sé più di mille conferenze. C’è una generatività diffusa che va scoperta, valorizzata, fatta crescere, messa in rete perché possa diventare buona pratica anche per altri. Persino il fallimento è prezioso per capire gli errori da non ripetere: quali cause non hanno dato gambe a buone intuizioni?

In Italia l’iniziativa “Cercatori di lavoro” ha coinvolto 82 diocesi. Sono state individuate più di 400 “buone pratiche” capaci di mettere in moto il settore manifatturiero, quello sociosanitario della cura alla persona e quello della valorizzazione dei beni culturali.

Parecchie di esse hanno trovato il loro alveo all’interno del Progetto Policoro, che a più di vent’anni dal suo inizio, si è positivamente strutturato in diverse parti del Paese. Queste pratiche rispondono a tre caratteristiche: la capacità di stare sul mercato, la possibilità di innescare processi sociali e produttivi sia interni che esterni. Esse, però, non nascono dal nulla: hanno bisogno di politiche monetarie e fiscali in grado di creare le condizioni perché l’imprenditorialità prenda piede.

“Il lavoro non si trova ma si crea”, suggerisce Becchetti. Rimuovere gli ostacoli fatti di burocrazia o di corruzione è indispensabile per favorire il lavoro. Ne deriva una cultura che innerva l’economia, secondo il saggio principio proposto da Francesco che “il tempo è superiore allo spazio”. Così le narrative avvilenti del lavoro nero, dell’assistenzialismo, del reddito di cittadinanza lasciano spazio a narrative feconde arricchite di intraprendenza, di sussidiarietà e di relazionalità. Un esempio: l’attività “made in carcere”, che riduce la recidiva del 70%, rappresenta un bene sociale e un risparmio per lo Stato.

Aprire gli occhi sulle buone pratiche è servito a dare il via alle discussioni nei tavoli di analisi e di proposta.

Ciascuno ha potuto dare il proprio contributo: ascoltare ed essere ascoltato. Lo stile, infatti, è già un contenuto… La priorità è dare respiro ai processi. Che è come dire: generativi di tutta Italia, unitevi!

don Bruno Bignami
vicedirettore Ufficio nazionale CEI
per i problemi sociali e il lavoro

 

 

Il “caso” cremonese

Ai lavori ha preso parte anche la delegazione cremonese formata dal vescovo Antonio Napolioni e dal prof. Fabio Antoldi, membro della commissione diocesana della Pastorale sociale e del lavoro, professore ordinario di Strategia aziendale e di Imprenditorialità presso la Facoltà di Economia e Giurisprudenza dell’Università Cattolica del Sacro Cuore (sede di Piacenza e Cremona) e direttore del CERSI (il Centro di ricerca per lo Sviluppo imprenditoriale dell’Università Cattolica), che con il suo staff di ateneo ha curato la scheda cremonese su caso di buone pratiche per il progetto “Cercatori di LavOro”.

Anche questo studio ha costituito la base della discussione nei tavoli. Riguarda il Consorzio Casalasco del Pomodoro, presente sul mercato dal 1977 e che oggi conta 370 aziende agricole associate, spesso di carattere familiare, che coltivano 7.000 ettari di terreno dislocati nella pianura Padana tra le province di Cremona, Parma, Piacenza e Mantova e vanta tre stabilimenti produttivi. La qualità dei prodotti del Consorzio Casalasco, e quindi il relativo successo aziendale sui mercati, è strettamente connesso all’intera filiera del processo produttivo dal campo allo stabilimento. Proprio per questo motivo la terra e le persone sono da sempre al centro dell’attenzione: l’azienda applica un modello gestionale etico, cioè basato sul rispetto, l’implementazione e la diffusione lungo la filiera delle norme a difesa dei diritti umani, dei diritti dei lavoratori, della legalità e dell’ambiente.

La scheda cremonese per “Cercatori di LavOro”

 

 

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Raccolta fondi per la “nuova” sagrestia di Casalbuttano

Con la posa di micropali e il consolidamento delle murature lesionate si sono ormai conclusi i lavori per migliorare la statica della sagrestia della chiesa parrocchiale di Casalbuttano, resosi necessari per far fronte al preoccupante quadro fessurativo manifestatosi da diverso tempo, ma che nell’ultimo periodo aveva mostrato evidenti segni di peggioramento.

Le operazioni erano iniziate tre anni fa – per impulso del precedente parroco don Eugenio Trezzi – con la realizzazione del consolidamento fondazionale del muro di sostegno esterno e alla messa in sicurezza del terrapieno. Il secondo lotto di lavori ha previsto una spesa complessiva di 170.000 euro, a cui la Parrocchia deve fare fronte con risorse proprie, contando anche sull’aiuto dell’intera comunità casalbuttanese.

Proprio per favorire l’attenzione e la corresponsabilità sulla conservazione del patrimonio storico ed artistico della parrocchia – un’opera di sensibilizzazione che vede impegnate molte realtà parrocchiali della diocesi – è stata proposta ai fedeli anche una raccolta fondi benefica, mettendo a disposizione una serie di cento pregevoli stampe numerate (riprodotte da un originale di fine ‘800) che ritraggono l’antica facciata della chiesa parrocchiale di San Giorgio e la piazza antistante. Diversi esemplari hanno già trovato generosa disponibilità da parte dei fedeli, ma la raccolta continua, anche in ragione di ulteriori impegnativi lavori di manutenzione e recupero di strutture che vede impegnata per il futuro la comunità.

Nel frattempo la sagrestia è tornata ad ospitare – in ragioni delle sue più idonee dimensioni rispetto alla chiesa parrocchiale – la celebrazione dell’Eucaristia, fungendo da cappella feriale.

A sinistra la sagrestia prima dell’intervento, a destra l’attuale uso come cappella feriale

 

Dettaglio dell’intervento

La messa a punto della proposta progettuale di consolidamento statico della sagrestia di Casalbuttano nasce dalla necessità di far fronte al preoccupante quadro fessurativo manifestatosi da diverso tempo, ma che nell’ultimo periodo ha mostrato evidenti segni di peggioramento. Per la predisposizione dell’intervento sono state eseguite una serie di indagini preliminari, che hanno fornito importanti elementi conoscitivi della struttura e confermato quanto inizialmente ipotizzato relativamente al fatto che l’origine dei fenomeni in atto è da ritenersi connessa alle modalità costruttive dell’edificio. Il fabbricato è infatti un’aggiunta successiva all’edificio principale della Chiesa Parrocchiale, ottenuto ampliando la sagrestia esistente e occupando un’area libera adiacente, rialzata per realizzare la costruzione a livello della Chiesa.

Le indagini scientifiche effettuate sul terreno e sulle murature, unitamente al monitoraggio delle lesioni presenti, hanno messo in luce un quadro strutturale profondamente compromesso, che ha portato ad evidenziare uno “scollamento” del corpo di fabbrica della sagrestia da quello della Chiesa Parrocchiale e uno “scivolamento” della stessa verso Sud.

L’intervento, voluto e iniziato dal parroco don Eugenio Trezzi e portato avanti dal successore don Gianmarco Fodri, è stato messo a punto da figure professionali con competenze diverse nel campo dell’architettura, della conservazione dei beni culturali, dell’ingegneria e della geologia. In particolare all’architetto Virginia Bocciola è stata affidata la progettazione, la direzione dei lavori ed il coordinamento della sicurezza e all’Ingegnere Andrea Pilati la parte relativa al settore geologico e geofondazionale.

La proposta progettuale è stata elaborata per la messa in sicurezza del corpo di fabbrica destinato a sagrestia e al contenimento del terrapieno in modo da evitare che lo scivolamento dello stesso porti, in breve tempo, alla rovina dell’intera costruzione. L’intervento si è svolto in due fasi, di cui la prima rivolta al consolidamento del muro di sostegno del terrapieno e la seconda al consolidamento dei due muri di spina posti ad Est e a Ovest della sala centrale della sagrestia.

Nell’estate del 2014 si è provveduto alla realizzazione del consolidamento fondazionale del muro di sostegno esterno e alla messa in sicurezza del terrapieno. Quindi ha preso avvio il secondo lotto di opere, eseguite dalla ditta Rossini Costruzioni di Casalbuttano, per quanto riguarda i lavori murari, e dalla ditta Pergeo di Remedello (Bs), per la posa dei micropali e il consolidamento delle murature lesionate.

L’esecuzione dei lavori ha previsto la realizzazione di micropali, disposti ad interasse di 65 centimetri, sfalsati da un lato all’altro della stessa parete e incrociati a livello delle fondazioni, perforati in opera con macchinari di alta precisione, dotati di tecnologie molto sofisticate.

Una volta realizzato il consolidamento dei muri di spina, il progetto è proseguito con l’esecuzione di nuove pavimentazioni in cotto tradizionale, di recupero o realizzato a mano, in sostituzione delle piastrelle in ceramica e in gres posate intorno al 1950. Tali pavimentazioni sono state realizzate su un sottile strato di calcestruzzo, a diretto contatto con il terreno e mostrano chiaramente i segni dovuti al cedimento dell’intera struttura della sagrestia.

Gli spostamenti causati dalle lesioni alla struttura hanno imposto anche un accertamento della perfetta funzionalità degli impianti che è stata affidata alle ditte casalbuttanesi Elettrica 2000, per quanto riguarda la parte elettrica, e Torresani Renato, per quanto inerente la termoidraulica.

A completamento dei lavori le opere di conservazione delle coperture il cui manto, a causa dei movimenti della struttura, ha perso la continuità necessaria a impedire l’infiltrazione delle acque meteoriche all’interno del corpo di fabbrica.