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Una Chiesa minoranza, ma luogo di «vita bella»

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È stato il vescovo di Asti Marco Prastaro a offrire spunti di riflessione alla Diocesi di Cremona che, con lo sguardo al Giubileo, ha iniziato il cammino del nuovo anno pastorale condividendo l’impegno a farsi, nel quotidiano delle comunità e della società, pellegrini di speranza.

«Dunque siamo in cammino – ha introdotto il vescovo Antonio Napolioni, ringraziando monsignor Prastaro per la presenza –. Pellegrini di speranza è la condizione di credenti di ogni tempo, la ricerca dell’essenziale. Abbiamo il desiderio di riorganizzare la nostra vita pastorale, ma riconosciamo che è il Signore all’opera. Impegniamoci insieme a lui, senza fretta e con spirito di accoglienza, senza perdere la gioia del Vangelo, anche in un tempo che sembra minaccioso. E in parte lo è»

Una minaccia da cui è partita la significativa riflessione del vescovo di Asti, già missionario fidei donum in Kenya prima dell’ordinazione episcopale, nel suo ultimo libro dal titolo che scuote: Dio dove sei finito? Inquietudini e interrogativi su una Chiesa che diviene minoranza.

Nella prima slide della sua presentazione Prastaro ha proposto ai tanti presenti che riempivano il salone Bonomelli del Seminario vescovile la fotografia di una Chiesa vuota, come segno di una presa d’atto da cui partire con realismo e coraggio. «Non siamo più un regime di cristianità», come dice Papa Francesco. Ma «se viviamo nel passato – ha aggiunto il vescovo di Asti – il Vangelo resterà lettera morta».

Dopo una panoramica delle ragioni storiche e filosofiche, accompagnata da efficaci esempi di vita quotidiana, il relatore ha accompagnato i circa trecento presenti, operatori pastorali, laici, sacerdoti e religiosi, a considerare il cambiamento dei bisogni e dei desideri di una società in cui «l’importante è che si affermi il mio io». E la proposta cristiana? «Non è morta, ha ancora valore», ha assicurato Prastaro. «Ma noi cristiani dobbiamo tornare alla Parola di Dio e ricordarci di alcune certezze: prima tra tutte la promessa di Gesù: il Padre è sempre con noi. Nonostante sembri non ci sia più posto per la fede, Dio continua ad abitare il nostro tempo. Ricordiamocene quando siamo scoraggiati». Nella consapevolezza, prendendo a prestito una frase del domenicano Adrien Candiard, che «la speranza cristiana non richiede ottimismo, ma richiede il coraggio di accettare la realtà per ciò che è».

L’immagine consegnata al dialogo nell’assemblea plenaria è stata quella di una Chiesa «umile, piccola, professante e aperta» (con una citazione del cardinale Jozef De Kesel) per affrontare la sfida della post-cristianità.

Il riferimento ­– ha indicato il vescovo Prastaro – sono le prime comunità cristiane, rivedendo tante delle nostre pratiche pastorali (gli esempi vanno dal catechismo alla liturgia) e osando sempre la strada della missione, che – ha aggiunto – riguarda in primo luogo i fedeli laici: «Essere una minoranza non significa che ci dobbiamo chiudere nelle nostre piccole comunità, non ci esime da vivere in questo mondo, dall’essere missionari parlando del Vangelo in ogni occasione del quotidiano. Queste difficoltà potrebbero essere il punto di partenza per un progetto nuovo, impensato. Dio ha un progetto nuovo che vuole realizzare tra di noi».

Con una carità capace di rivelare nella vicinanza il volto di Dio, una liturgia capace di comunicare e coinvolgere, una disponibilità ad accogliere prima di giudicare, uno stile di relazione in cui «si rispecchia ciò in cui crediamo», ha suggerito il relatore nel cuore del suo intervento. Perché «dobbiamo ripensare la vita delle nostre comunità, perché diventino attraenti, come proposta di una vita bella».

 

La relazione del vescovo Prastaro    –    Le slide

 

Ascolta l’intervento del vescovo di Asti

 

 

 

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