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Si è aperta in Università Cattolica la Settimana del Dono

 

Torna anche quest’anno in Università Cattolica la Settimana del Dono, l’iniziativa promossa dall’Ateneo nelle sue sedi per offrire alla comunità universitaria un’occasione per riflettere sul valore della gratuità e della solidarietà, attraverso segni concreti che si realizzano anche grazie all’apertura delle porte dei campus alle realtà del terzo settore e del volontariato del territorio.

Ricco il programma di incontri anche nella sede di Cremona e Piacenza che ospita dal al 2 al 6 ottobre momenti di riflessione ed eventi culturali negli spazi dell’università, legati dal fil rouge del dono inteso come valore imprescindibile: «Donare non significa liberarsi del superfluo, ma mettersi in gioco nelle relazioni e scoprirne la ricchezza anche in luoghi, tempi e modi che non ci saremmo aspettati» dice il professor Daniele Rama, che ha coordinato gli appuntamenti della Settimana del dono nel campus di Santa Monica a Cremona.

Arrivata alla sesta edizione e fortemente voluta dalle tre facoltà della sede, si propone come un’occasione per riflettere sul dono inteso come componente irrinunciabile del vivere contemporaneo, come spiega l’altro coordinatore dell’iniziativa professor Paolo Rizzi: «Il dono serve alla collettività, ma serve anche a ognuno di noi: la parola “comunità”, deriva da “cum” e “munus”, ovvero dono reciproco, dono collettivo. Abbiamo bisogno di dosi di solidarietà maggiore, di fiducia di reciprocità in ogni settore del nostro vivere».

A Cremona l’edizione 2023 si è aperta nella giornata di lunedì 2 ottobre, alla presenza dei Presidi Fellegara e Trevisan, con la consegna delle borse di studio Invernizzi assegnate con il sostegno della Fondazione Romeo ed Enrica Invernizzi a due studenti della Facoltà di Scienze agrarie, alimentari e ambientali e con l’inaugurazione del nuovo filare di gelsomini nel giardino del Campus, con un segno che ogni anno caratterizza queste giornate per ricordare che anche la natura è un dono; nel pomeriggio il concerto musicale dell’orchestra inclusiva Magica Musica. La conclusione, il 6 ottobre, vedrà invece l’inaugurazione della mostra Navigare i cieli di Gabriella Benedini e lo spettacolo di danza Verso il Paese dei Balocchi. Tra gli appuntamenti, si ricorda anche l’apertura serale del campus il 5 ottobre alle 21 per lo spettacolo teatrale Io Siamo -Dall’io al noi, a cura di CSV Lombardia Sud ETS.

Accanto ai momenti plenari, in cui si rifletterà sulla componente del dono nella vita economica e sociale, agroalimentare e formativa, anche in aula, durante le lezioni, testimoni, esperti e docenti declineranno i loro interventi sul valore del donare e del donarsi. Insieme alla riflessione culturale, la settimana del dono propone anche forme di sperimentazione attiva del dono, attraverso gli incontri con i rappresentanti delle associazioni del dono (Avis, Aido, Admo) e “ingaggi” personali con realtà sociali del territorio che ospiteranno alcuni studenti per provare in prima persona cosa vuol dire dare un po’ del proprio tempo per aiutare chi vive situazioni di fragilità ed essere davvero “prossimo” per qualcuno.

 




Beata Vergine delle Grazie, don Maffezzoni: «Cercheremo di tenere accesa la scintilla di gioia dell’incontro con il Signore»

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Tre parrocchie: Cicognara, Cogozzo e Roncadello. Una comunità – quella dell’unità pastorale “Beata Vergine delle Grazie” – riunita in una gremita chiesa di Roncedello per l’ingresso del nuovo parroco, don Alessandro Maffezzoni, nel pomeriggio di domenica 1° ottobre. A presiedere l’Eƒucaristia il vescovo Antonio Napolioni, affiancato dal nuovo parroco, dal vicario zonale della zona pastorale 5 don Davide Barili e da alcuni altri sacerdoti diocesani.

La celebrazione è iniziata con l’arrivo dei celebranti in processione sul sagrato della chiesa, accolti dai sindaci Filippo Bongiovanni di Casalmaggiore (di cui è frazione Roncadello), Nicola Cavatorta di Viadana (di cui sono frazioni Cicognara e Cogozzo) e Marco Pasquali di Sabbioneta (dove don Maffezzoni era vicario dal 2015). Proprio il primo cittadino di Casalmaggiore ha espresso il saluto dell’Amministrazione comunale al nuovo parroco. «Un nuovo capitolo – ha detto – si apre per l’unità pastorale della “Beata Vergine delle Grazie”, che ha la particolarità di essere su due province, e sulle frazioni di due Comuni: Casalmaggiore e Viadana. E che con l’arrivo di don Alessandro cercherà di proseguire nel suo percorso di crescita spirituale». E ancora: «Abbiamo da offrire volontà, collaborazione, disponibilità a percorrere insieme il cammino che lei vorrà indicarci, accogliendoci reciprocamente come dono della Divina Provvidenza».

 

Il saluto del sindaco Bongiovanni

 

Dopo il saluto sul sagrato, ha avuto inizio la Messa, che si è aperta con la lettura del decreto di nomina da parte del vicario zonale, e con il saluto di una rappresentante del Consiglio pastorale: «Caro don Alessandro, la accogliamo come un padre misericordioso, come un fratello maggiore che sa educare e come un amico con cui collaborare». «Il fulgido esempio di don Primo Mazzolari di cui lei diviene successore alla guida della parrocchia di Cicognara le sia di ispirazione nella cura dei poveri, nell’accoglienza dello straniero nella ricerca dei lontani che cercano Cristo senza ancora saperlo. Che la Beata Vergine delle Grazie la guidi e la accompagni nel suo ministero».

 

Il saluto della comunità

 

L’omelia del vescovo Napolioni si è aperta commentando il Vangelo del giorno, la parabola dei due figli e della vigna. «Una parabola che sentiamo spesso, anche nella nostra vita quotidiana». «I due figli vengono qui un po’ estremizzati», ha spiegato il vescovo, facendo quindi un parallelismo con le nomine dei nuovi parroci: «Nessuno mi ha mai detto “no”, “non ne ho voglia”, nemmeno “sissignore”. Certo è che qualcuno lascia malvolentieri una comunità quando si trova bene. Altri non vedono l’ora di prendersi responsabilità. Ci sono i nostri sentimenti, la nostra testa e il nostro cuore, la nostra umanità». Ma il Signore suggerisce di «non fidarsi dell’istinto, che magari fa dire “non ne ho voglia” o “mi butto” – ha aggiunto –. Calma, aspettiamo il giorno dopo. Vediamo che cosa accade davvero». Un invito a riflettere, a rendersi conto. Ma chi può aiutare l’uomo a rendersi conto, a convertirsi, a prendere lo slancio nella propria vita? «Ce lo dice con chiarezza san Paolo con due indicazioni», ha evidenziato mons. Napolioni. «La prima sul valore della comunità, che posso applicare volentieri a questa unità pastorale». «Anch’io posso dire, con san Paolo, qui c’è qualche consolazione in Cristo, qualche conforto, qualche consolazione di Spirito». «La seconda indicazione è ancor più potente e decisiva»: «san Paolo ci dice “Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù”». «Davvero il primo compito del sacerdote è la comunione con Gesù – ha evidenziato il vescovo –, stare talmente tanto con Lui che riusciamo a far stare un po’ più con Lui anche gli altri». Ha quindi concluso: «Grazie Signore, perché ci dai tanti fratelli e sorelle con cui camminare. Li affido gli uni agli altri, con tanta fiducia e con un pizzico di curiosità».

 

L’omelia del vescovo Napolioni

 

La celebrazione è proseguita con la professione di fede recitata dal nuovo parroco, che al termine della Messa ha salutato le sue nuove comunità, ringraziando commosso il vescovo, i concelebranti, i presenti e tutte le parrocchie che ha accompagnato e che lo hanno accompagnato. Uno sguardo poi al “nuovo”: «Mi rivolgo a voi, cari parrocchiani. Da oggi inizia il mio ministero di parroco tra voi. Voglio proseguire il cammino dell’unità pastorale già avviato da don Andrea (Spreafico, ndr) e i sacerdoti che lo hanno aiutato». Nelle sue parole anche un riferimento ai giovani, fonte viva delle comunità: «Non facciamo mancare loro il sostegno e la fiducia – ha sottolineato don Maffezzoni –. Facciamo che possano trovare nell’oratorio, oltre che un luogo accogliente e aggregativo, un luogo educativo ai valori cristiani, in cui vivere il confronto e l’accoglienza». Ha dunque concluso: «Cercheremo di tenere accesa questa scintilla di gioia dell’incontro con il Signore, perché in Gesù ci è stato detto e dato tutto. In Lui tutto si eleva».

 

Il saluto di don Maffezzoni

 

Dopo la Messa si è tenuto un momento conviviale presso l’oratorio di Cicognara, un’occasione per le tre parrocchie per iniziare a conoscere il nuovo parroco. A seguire, alle 18.30 nella chiesa di Cicognara, la società musicale “Estudiantina” di Casalmaggiore presenterà “Banda in concerto”, un’esibizione musicale di benvenuto a don Maffezzoni.

 

 

Biografia del nuovo parroco

Classe 1978, originario della parrocchia “S. Ambrogio” in Cremona, don Alessandro Maffezzoni è stato ordinato sacerdote il 12 giugno 2004. È stato vicario della parrocchia “Ss. Clemente e Imerio” in Cremona (2004-2008) e di quelle di Casalbuttano e San Vito (2008-2015). Dal 2015 era vicario delle parrocchie di Breda Cisoni, Ponteterra, Sabbioneta e Villa Pasquali. Nell’unità pastorale “Beata Vergine delle Grazie” prede il testimone da don Andrea Sprefico, trasferito a Cremona come nuovo parroco della Beata Vergine di Caravaggio.

 

 

Il saluto di don Alessandro Maffezzoni sul giornalino parrocchiale

Carissimi parrocchiani dell’Unità Pastorale Beata Vergine delle Grazie di Cogozzo, Cicognara e Roncadello. È la prima volta che mi rivolgo a voi e lo faccio con un po’ di emozione, come vostro nuovo parroco. Anch’io come voi mi trovo ad affrontare un cambiamento importante per la mia vita. Per voi l’arrivo del nuovo pastore, a servizio dell’Unità Pastorale, racchiude certamente qualche incognita. Vi domanderete “cosa accadrà?”, potrete affidarvi al “sentito dire” o “alla fama” che a volte ci precede. Anche per me è tutto nuovo nei tempi e nelle situazioni. Dalla mia ordinazione il 12 giugno del 2004, così tutte le volte che ho affrontato dei cambi nelle diverse parrocchie dove sono stato chiamato a svolgere il mio ministero, S. Imerio a Cremona, Casalbuttano, Sabbioneta e le parrocchie che compongono la comunità, mi sono sempre trovato davanti situazioni nuove, non soltanto per la geografia dei luoghi, ma anche per la storia delle comunità e delle persone che ho avuto la gioia di incontrare.

Ogni volta che ho trovato disponibilità, ma anche quando ho trovato qualche resistenza, tutto mi ha aiutato a crescere come uomo, come cristiano ed anche come sacerdote al servizio della Chiesa. Sono certo sarà così anche con voi. Già da questi primi giorni tra voi, mi avete dato una dimostrazione di bella accoglienza e disponibilità. Sono certo potremo fare un tratto di strada insieme, nel quale ci sosterremo reciprocamente e cresceremo insieme umanamente ma anche nella fede in Gesù Cristo. Se da parte mia saprò sempre indicarvi l’unico vero Maestro e Pastore da seguire e a cui affidarvi darò sempre valore al mio ministero tra voi e potrò esservi di aiuto.

Da parte vostra se mi aiuterete non soltanto nelle cose “da fare”, ma anche nel mantenere viva la fame di vita vera e di verità, di cui l’uomo ha sempre bisogno, mi aiuterete a dare senso al ministero del prete tra Voi. In particolare, penso ai nostri ragazzi e ai nostri giovani, affinché non cadano nell’inganno di pensare che la fame materiale sia l’unica da ascoltare, da soddisfare, dimenticandosi così dello Spirito e dei valori che ne derivano.

Concludo dicendo che entro in “punta di piedi”, nel cammino che avete intrapreso con i pastori che mi hanno preceduto, nel passato e nell’immediato, nella consapevolezza di aver sperimentato anch’io, quanto dice l’apostolo Giovanni nel dialogo con i discepoli dopo l’incontro con la Samaritana al pozzo: “Chi miete riceve il salario e raccoglie frutto per la vita eterna, perché chi semina gioisca insieme a chi miete. In questo, infatti, si dimostra vero il proverbio: uno semina e l’altro miete. Io vi ho mandati a mietere ciò per cui non avete faticato; altri hanno faticato e voi siete subentrati nella loro fatica” (Gv 4,36-38).

 

 

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Cattolici romeni, don Gabriel Ionut Giurgica nuovo cappellano

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Nella mattinata di domenica 1° ottobre, nella chiesa parrocchiale di Borgo Loreto, a Cremona, il sacerdote romeno don Gabriel Ionut Giurgica ha iniziato ufficialmente il suo ministero come nuovo assistente spirituale della comunità cattolica romena di Cremona. L’occasione è stata la Messa della comunità presieduta per l’occasione dal vescovo Antonio Napolioni.

La liturgia, animata dalla comunità romena insieme a quella parrocchiale, è stata concelebrata da don Pietro Samarini, parroco di Borgo Loreto, don Isidor Iacovici, direttore nazionale per la Comunità romena di rito latino in Italia, don Pierluigi Codazzi, direttore di Caritas Cremonese, e don Mario Binotto, che per un anno ha accompagnato la comunità romena cattolica dopo che don Anton Jicmon ha assunto l’incarico di parroco in diocesi.

Originario della diocesi di Iași, in Romania, don Gabriel Ionut Giurgica arriva a Cremona dopo un servizio di tre anni a Torino presso la locale comunità cattolica romena, che lo ha voluto accompagnarlo nel suo nuovo incarico.

La presenza di don Gabriel è frutto di un accordo tra il vescovo della diocesi di Iași, Iosif Păuleţ, la Cei e il vescovo Napolioni e prevede un periodo di servizio a Cremona di tre anni, rinnovabile di altri tre fino a un massimo di nove anni.

La comunità cattolica romena a Cremona conta oltre un centinaio di fedeli, che dal 2002 era solia trovarsi presso la Casa dell’Accoglienza di Cremona. Attualmente i momenti comunitari sono presso la chiesa di Borgo Loreto ogni martedì, venerdì e sabato alle 19.30 per la Messa, preceduta alle 19 dalla preghiera del Rosario. La domenica mattina la Messa festiva è alle 9.30.

Nella sua omelia mons. Napolioni, riprendendo il brano evangelico del giorno, ha voluto sottolineare l’abilità di convertirsi prendendo ad esempio il comportamento del figlio che risponde negativamente alla richiesta del padre per andare a lavorare nella vigna, ma che successivamente cambia idea e si mette al lavoro: «Gesù non mette in crisi chi si impegna, ma vuole fargli scoprire la gioia di farlo rifiorire sempre dopo ogni caduta».

 

L’omelia del vescovo Napolioni

 

Una giornata di festa vissuta con partecipazione dall’intera comunità, con gli abiti e i gesti tipici della tradizione.

 

Il saluto della comunità al nuovo cappellano

 

Intervento di don Isidor Iacovici

 

Saluto di don Gabriel Ionut Giurgica

 

Alla celebrazione eucaristica è seguito un ricco rinfresco in oratorio con i cibi preparati dalla comunità romena per festeggiare insieme l’arrivo del nuovo assistente spirituale.




Dal Convegno diocesano «una Chiesa sinodale che sappia raccontare il bello che la accende»

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Con le immagini e le parole della serata in Cattedrale ancora negli occhi e nella mente, la comunità della Chiesa cremonese si è riunita nella mattinata di sabato 30 settembre in Seminario per il convegno diocesano con cui, insieme, condividere e approfondire i temi su cui il vescovo Antonio Napolioni, nelle sue Linee pastorali, propone di lavorare nelle parrocchie e nelle comunità. «Per chiederci – ha detto nella sua introduzione richiamando il tema-guida – quale vita accende vita, quale fede condivisa nella comunità genera vita».

 

Introduzione del vescovo Antonio Napolioni

 

Circa 300 gli iscritti tra sacerdoti, religiosi e laici, alla giornata aperta nel salone Bonomelli dall’intervento del giornalista Riccardo Maccioni, caporedattore del quotidiano Avvenire, cui il vescovo ha chiesto di «aiutarci a guardare da credenti la realtà, con le sfide che ci pone».

Il punto di vista proposto da Maccioni è stato quello della sua professione, lo sguardo «del giornalista che osserva la realtà per interrogarla e poi rendere conto». La domanda è quella di partenza per aprirsi al dialogo. «Quando penso alla Chiesa oggi – ha quindi iniziato la relazione – qual è la prima immagine che mi viene in mente? Forse la Messa con pochi fedeli, l’incontro con la sofferenza di chi cerca un sacerdote per un po’ di consolazione, forse il cumulo di obblighi burocratici che sommergono i sacerdoti o l’ultimo campo estivo con i ragazzi; l’incapacità di farsi ascoltare, o – perché no – la carica dei 65mila ragazzi italiani alla Gmg di Lisbona… mentre però gli oratori non sono più pieni come una volta».

I riferimenti del giornalista di Avvenire tornano spesso al cammino sinodale, da cui emerge – osserva – un dato costante: «La Chiesa viene percepita come distante, poco concreta, staccata, a volte chiusa. Come se il Cristianesimo stesse a fianco e non dentro la vita reale». Una considerazione che non può lasciare indifferenti e che chiama due atteggiamenti di risposta: l’ascolto e la reazione.

Atteggiamenti che chiamano a una riflessione e a un confronto con la realtà che indica una via di cambiamento. E nel suo intervento Maccioni trova questa indicazione nella voce delle giovani generazioni. Quelle che hanno “invaso” Lisbona e quelle che provocano ogni giorno il mondo adulto e le comunità cristiane. «Ai ragazzi interessano poco le riflessioni sociologiche. Chiedono di poter parlare e di essere ascoltati. Chiedono agli adulti vicinanza e tempo da trascorrere insieme. I giovani di oggi vivono una dimensione molto diversa rispetto alla nostra: ricevono un mondo peggiore rispetto a quello che abbiamo avuto in dono noi (il clima, la precarietà del lavoro…). Sono loro a insegnarci cose che non conosciamo, non solo nelle tecnologie che scavano fossati profondi tra le generazioni, ma anche nella gerarchia dei valori in cui la relazione con le persone sta al primo posto. Ci insegnano la disponibilità a lasciare la casa, un diverso rapporto con le cose meno possessivo e più orientato alla condivisione». Una disponibilità che apre all’accoglienza e che chiede alla Chiesa di essere «Chiesa in uscita, capace anche di far entrare».

E anche capace di «far conoscere il bello che sa ancora esprimere». Il pensiero corre ancora alla Gmg e al poco risalto mediatico ricevuto dal milione e otto di giovani che hanno risposto all’invito del Papa. Fuori dalla «sindrome dell’accerchiamento» il giornalista sottolinea l’importanza di una «testimonianza gioiosa della propria fede», affrontando «con creatività il dialogo con la realtà», dando forza ai riti anche se sono sempre meno frequentati, condividendo senza timore anche dubbi, domande e fragilità, evitando esaltazioni di una fede di nicchia e ricordando che «il Cristianesimo che non è di tutti, ma deve continuare ad essere per tutti».

La proposta è quella di uno stile sinodale, quello che la Chiesa sta cercando nell’ascolto e nell’incontro del cammino in corso, che inizi – come ha poi ripreso in conclusione il vescovo Napolioni – da ciò abbiamo di bello: «C’è tanta vita, tanta presenza del Signore di cui rischiamo di non accorgerci. Dobbiamo metterci nell’atteggiamento giusto, con lo stile giusto, con una gratitudine di fondo: siamo quelli un po’ matti che non chiudono gli occhi davanti alle sfide, ma che hanno una riserva di speranza e di senso che “dà benzina” alla nostra pastorale».

 

La relazione del giornalista Riccardo Maccioni

 

Questo lo stimolo ripreso nel corso della giornata nei gruppi della conversazione nello spirito in cui è risuonata la testimonianza di Maccioni, e nei laboratori del pomeriggio in cui tutti i partecipanti hanno lavorato insieme, con una prospettiva aperta ai prossimi mesi sulle questioni decisive messe in cantiere della Chiesa cremonese. 

 

Assemblea ecclesiale di inizio anno pastorale in Cattedrale, il cardinal Zuppi: «Camminiamo insieme»

«Una vita che accende», il vescovo Napolioni presenta le Linee pastorali diocesane e il calendario il 2023-24

Inizia nella «casa di Mamma» il cammino della Chiesa cremonese nel nuovo anno pastorale con Maria




Don Valerio Lazzari e don Giuseppe Valerio diaconi «nella vigna del Signore»

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Hanno pronunciato il loro «eccomi», nella serata di domenica 1° ottobre in Cattedrale, diventando così diaconi Valerio Lazzari, 28enne di Vicomoscano, e Giuseppe Valerio, 30enne di Spinadesco. Intorno a loro un’assemblea «di comunione missionaria» – come l’ha definita il vescovo Antonio Napolioni – che «sta vivendo giorni di grazia» dopo l’intervento del cardinale Matteo Zuppi, presidente della Cei, il 29 settembre e il convegno diocesano il 30 settembre.

Tanti i fedeli delle comunità di provenienza o di quelle nelle quali hanno prestato servizio in questi anni formazione i due giovani, stretti intono a un presbiterio pieno di sacerdoti e seminaristi per una celebrazione in cui emozione, amicizia, fede e preghiera si sono fuse insieme.

La loro vocazione è stata confermata dalla Chiesa durante il rito di ordinazione iniziato dopo la proclamazione del Vangelo con la presentazione dei candidati e la loro “elezione”.

«A questi figli – ha detto il vescovo commentando il Vangelo – ripeto oggi andate a lavorare nella vigna del Signore». Mandato che segue «un cammino di discernimento condiviso con le famiglie, gli amici, le parrocchie dove siete stati, le comunità da dove venite e la comunità del Seminario». Come a dire che la scelta del diaconato è personale, ma nella Chiesa nessuno è solo. Tanto più che il diaconato è «un atto adulto di volontà – ha spiegato Napolioni – reso possibile dalla volontà misteriosa di Dio». Dunque un «sì» a Dio, che sorregge questa scelta, e alla Chiesa. «In un tempo in cui il “per sempre” non va più di moda», ha aggiunto il Vescovo. Una scelta, quella del diaconato, di servizio che è «abbandono alla volontà di Dio anche quando ci sarà il limite e la fatica», guardando sempre a Dio sulla scorta delle parole di san Paolo: «Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù».

Dopo l’omelia i due seminaristi sono stati interrogati circa gli impegni propri dell’ordine diaconale. È seguito il canto delle litanie dei santi da parte del coro della Cattedrale mentre i due giovani era prostrati a terra in umile silenziosa preghiera. Poi la parte centrale del rito con l’imposizione delle mani da parte del Vescovo e la preghiera di ordinazione.

Quindi la liturgia è continuata con i riti esplicativi: in primis la vestizione dell’abito proprio, stola e dalmatica, poi la consegna del libro dei Vangeli, momento nel quale si è chiesto ai due giovani di «vivere ciò che ricevono», la Parola. A conclusione di questo momento forte è arrivato l’ultimo dei riti: l’abbraccio di pace con il vescovo Antonio e l’emerito Dante Lafranconi e i diaconi permanenti presenti.

La Messa quindi è proseguita nel raccoglimento con i due diaconi che hanno servito all’altare e si è conclusa con il «Buon cammino» augurato dal vescovo Napolioni ai due diaconi, ma anche all’intera comunità.

Nei prossimi mesi, in attesa dell’ordinazione sacerdotale, i due ordinati concluderanno gli studi teologici svolgendo il proprio ministero da diaconi a servizio della Chiesa locale: don Valerio Lazzari collaborando con la Pastorale vocazionale e insegnando al liceo Vida di Cremona; don Giuseppe Valerio presso l’unità pastorale di Drizzona-Piadena-Vho.

 

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Biografia degli ordinandi

Valerio Lazzari, classe 1995, originario della parrocchia di Vicomoscano è entrato in Seminario dopo il diploma da Tecnico agrario e tre anni di attività professionale. Durante gli anni di formazione in Seminario ha prestato servizio presso le comunità di Soresina, Piadena e Cavatigozzi. Nell’anno del diaconato collaborerà con la Pastorale vocazionale e insegnerà al liceo Vida di Cremona.

Giuseppe Valerio, classe 1993, originario della parrocchia di Spinadesco, è entrato in Seminario dopo alcune esperienze lavorarative seguite al diploma in Cucina professionale. Negli anni di studio in Seminario ha prestato servizio presso le comunità della Beata Vergine di Caravaggio (Cremona), a Calvatone-Romprezzagno-Tornata, Arzago d’Adda e nell’unità pastorale “Cafarnao” di Vescovato. Come diacono sarà a servizio dell’unità pastorale di Drizzona-Piadena-Vho.

 




Assemblea ecclesiale di inizio anno pastorale in Cattedrale, il cardinal Zuppi: «Camminiamo insieme»

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«Come Chiesa camminiamo insieme, pensiamo insieme, nella comunione. Perché non c’è Chiesa senza comunione e non c’è comunione senza l’altro». Le parole del cardinal Matteo Maria Zuppi, presidente della Conferenza episcopale italiana, nella serata di venerdì 29 settembre nella Cattedrale di Cremona hanno tracciato la strada all’anno pastorale che si apre per la Diocesi di Cremona.

L’occasione è stata, in un Duomo gremito e partecipe, l’assemblea ecclesiale del 29 settembre, che ha fatto seguito al pellegrinaggio diocesano al Santuario di Caravaggio di domenica 24 settembre (leggi qui) e cui seguiranno il convegno diocesano di sabato 30 settembre in Seminario e le ordinazioni diaconali nella serata di domenica 1° ottobre in Cattedrale (per saperne di più cliccare qui). Quattro occasioni di particolare significato ad apertura del anno pastorale, sul tema “Una vita che accende” (leggi qui). Occasioni di Chiesa che intendono offrire uno slancio rinnovato per l’intera comunità nel segno di un’esperienza di comunione cui il Sinodo ha abituato. 

Ad accogliere il cardinal Zuppi è stato il vescovo Antonio Napolioni con il vescovo emerito Dante Lafranconi e un’assemblea numerosa e attenta, fatta di sacerdoti e religiosi inseme a tanti laici, in rappresentanza delle diverse componenti ecclesiali, rappresentando parrocchie e associazioni. Presenti anche le più alte rappresentanze istituzionali civili e militari del territorio.

È stata un’esperienza di Chiesa unita, in preghiera per disegnare le strade del proprio futuro. «Una Chiesa viva, in ricerca, umile e appassionata», come ha detto Napolioni, una comunità che ha saputo leggere il Vangelo di Emmaus guardando all’oggi.

L’attore cremonese Mattia Cabrini nel monologo introduttivo alla serata (che ha preceduto la lettura del brano evangelico di Luca dei discepoli di Emmaus e la prolusione del cardinal Zuppi) ha indossato i panni di uno dei discepoli e si è trovato nello smarrimento di ieri che è quello di oggi: si sono spenti i riflettori, i numeri dei discepoli calano, Cristo pare non vedersi più e i problemi si moltiplicano: diventando crisi climatica, economica, dei migranti che muoiono in mare, educativa. «Ho bisogno di credere», ripete il discepolo nella speranza e luce.

L’intervento del cardianal Zuppi ha segnato un punto di partenza chiaro e netto: «Nostro Signore è entrato nella storia, nella quale siamo immersi» e dalla storia, dalla storia di ciascuno, provata da difficoltà e «tristezze che spengono le passioni», la Chiesa deve ripartire per fare nuova la realtà. Non basta però ripartire insieme, bisogna «saper camminare insieme, pensare insieme», punto sul quale il cardinale ha insistito all’inizio di un anno sinodale durante il quale una delle parole chiave è «discernimento». Perché davvero «quello che viviamo sia nostro – ha proseguito il cardinale – bisogna fare la fatica di trovare delle risposte insieme, ascoltando il Signore e coloro che hai davanti».

Dunque discernimento, ma insieme, partendo dal presupposto che «la chiamata è personale, ma tutti siamo mandati». E se «qualcuno è lontano è per colpa nostra, diceva don Primo Mazzolari», ha aggiunto Zuppi. Sì perché la Chiesa disegnata in questa prolusione è una Chiesa in uscita, «che non è la mania del momento». La Chiesa – ha spiegato Zuppi – è sempre stata missionaria e aperta a tutti. Sulla scorta di don Mazzolari, il parroco di Bozzolo, ha poi ricordato che «quelli che sono lontani lo sono per colpa nostra. Sembrano più distanti ma, diceva il prete di Bozzolo, hanno una domanda di amore che noi non abbiamo». Nel discorso il riferimento a don Primo e I Lontani, «testo che non abbiamo ancora capito, nonostante i lontani siano aumentati»: ne abbiamo oggi i volti più diversi. I volti dei migranti, i volti dei giovani persi in mondi digitali inesistenti e inconsistenti, i volti degli adulti che si rifugiano in dipendenze per evitare di affrontare il reale, i volti delle persone sole ai margini di un mondo segnato dal successo e dall’individualismo. E intanto i problemi si moltiplicano.

 

Guarda la prolusione integrale del cardinal Zuppi

 

Le difficoltà dei discepoli di Emmaus, rimasti subissati dai dubbi dopo la scomparsa di Gesù, oggi sono le molteplici crisi che attanagliano i contemporanei. Crisi citate nel monologo in cui Mattia Cabrini ha dato voce a un discepolo di Emmaus. Si tratta di guerre, flussi di disperati che trovano la morte nel mare, questioni economiche e finanziarie, problemi e catastrofi che attanagliano il pianeta e l’ambiente, sino ad arrivare anche alle visioni parziali di Chiesa (preghiera o servizio? regole o spirito? amore o verità?). Tutti lati di una stessa complessa realtà da dipanare con uno sguardo diverso, più alto. Questioni enormi tanto più difficili da affrontare quando «il successo» viene meno, si spengono i riflettori e il numero di coloro che seguono il Vangelo scende vertiginosamente.

Da questo impasse il cardinale ha suggerito di uscire guardando ai discepoli di Emmaus, nei cui cuori «ardeva la speranza». Fermarsi ad Emmaus non paga, rinchiudersi ad Emmaus non paga. Il cardinal Zuppi ha suggerito la strada del «passaggio dall’io al noi», quella dell’amore che supera la tentazione delle chiusure. «La Chiesa è una minoranza creativa, generativa, che guarda tutti, non ha confini, è come un seme o il lievito». E di nuovo questo «tutti» torna nelle parole di Zuppi prendendo forza da quelle pronunciate da Papa Francesco a Lisbona davanti a una distesa di giovani. «La Chiesa è di tutti, nel senso che è la casa dove i figli e i fratelli sono tutti accolti, non giudicati». Non si tratta di buonismo, ma di mettere in campo un amore «attraverso cui il fratello capirà». E subito la mente corre alla parabola del Figliol Prodigo, dove un padre generoso accoglie e «dona anche un anello», restituisce fiducia a chi lo ha lasciato e dimenticato, abbraccia senza condizioni. Così la Chiesa per Zuppi ha le braccia aperte, tese «in un abbraccio magari immeritato», ma che rigenera.

 

Alcuni dei passaggi più significativi della prolusione del cardinal Zuppi 

 

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Le piste di lavoro tracciate nella prolusione sono state tante e tra queste anche la capacità di «aprire la casa e il cuore», che vuol dire mettere in campo una generosità che sa riparare le ferite, sa accogliere «la ricchezza delle diversità», sa «parlare la lingua dell’Amore» attraverso la quale ci si capisce tutti. I problemi ci sono, anche nella Chiesa, e il cardinale non li nega, anche quelli di ogni diocesi: la diminuzione dei sacerdoti, gli accorpamenti delle parrocchie. Ma l’atteggiamento consigliato dal presidente della Cei è di trasformare le situazioni nuove in «opportunità» assumendo lo sguardo di Cristo verso le folle, uno sguardo «di compassione», non di giudizio, ricordando che «tutti abbiamo bisogno di credere», come recitava in un mondo diverso anche il monologo. «Tutti – come scriveva don Primo Mazzolari – abbiamo bisogno di un Amico, che non viene meno, che non tradisce, che non vende, che misura la fatica del vivere, che capisce il dolore dell’uomo, che dà una speranza eterna».

Dopo la prolusione del cardinale e le invocazioni alla Spirito, richiamando il tema dell’anno pastorale – Una vita che accende – ai vicari zonali e alle parrocchie è stata consegnata una lampada, «una lanterna da cercatori di uomini», come ha spiegato il vescovo Napolioni, per uscire in piazza, tutti dalla stessa porta, per illuminare le strade, anche con gesti concreti.

E per questo sono state raccolte le offerte per sostenere un Tir di generi di prima necessità che partirà da Cremona per l’Ucraina attraverso l’impegno di pace e solidarietà della Sant’Egidio. Il cardinale Matteo Maria Zuppi dallo scorso maggio è stato incaricato da Papa Francesco per la missione di diplomazia umanitaria della Santa Sede nel dialogo sulle grandi crisi internazionali che lo ha visto incontrare negli ultimi mesi i vertici dei governi di Russia, Ucraina, Stati Uniti e Cina. 

 

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Assemblea ecclesiale di inizio anno pastorale in Cattedrale, il cardinal Zuppi: «Camminiamo insieme»

Inizia nella «casa di Mamma» il cammino della Chiesa cremonese nel nuovo anno pastorale con Maria

«Una vita che accende», il vescovo Napolioni presenta le Linee pastorali diocesane e il calendario il 2023-24

Domenica sera in Cattedrale l’ordinazione diaconale dei seminaristi Valerio Lazzari e Giuseppe Valerio




San Michele, il Vescovo: «La festa della Polizia di Stato occasione per rifare un patto tra noi e voi»

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«La parabola del buon seme e della zizzania dà un ruolo specifico agli angeli, che hanno il compito di sistemare le cose. In realtà appaiono più come giustizieri, carcerieri, carnefici. Se è solo questo il compito di chi si ispira all’arcangelo Michele come patrono siamo messi male. E infatti voglio chiedere scusa alla Polizia di Stato e a tutte le forze dell’ordine perché questa società rischia di relegare loro in questo compito perché tutti noi nelle responsabilità non siamo altrettanto angeli custodi». E ancora: «Chiediamo alle forze dell’ordine di essere angeli, ma prima di tutto dobbiamo essere angeli noi». Si è aperta con queste parole l’omelia del vescovo Antonio Napolioni nella Messa nella ricorrenza dell’arcangelo Michele, patrono della Polizia di Stato, celebrata nella mattina del 29 settembre nell’omonima chiesa di Cremona alla presenza delle autorità civili e militari del territorio e di agenti e dirigenti della polizia.

«Che bello sentire che l’angelo del Signore non solo arriva a sistemare le cose all’ultimo minuto, ma protegge e libera. È un’azione preventiva, di accompagnamento. È un’azione ispirata dalla fiducia. Ma questo non possiamo chiederlo solo a voi», ha sottolineato il vescovo. «La festa della Polizia di Stato può essere un’occasione per rifare un patto tra noi e voi, in modo che ognuno faccia la sua parte e permetta anche all’altro di farla al meglio, in modo che la comunità sia educante, preventiva, capace di prendersi cura».

Ma san Michele, che è potente e giustiziere, non è scisso dagli altri due arcangeli che si ricordano il 29 settembre: non è separato da Gabriele, che è l’annunciatore, e da Raffaele, che è messaggero di guarigione. «Non ci possono essere repressione e ordine se non abbiamo fiducia nelle possibilità di guarigione e di recupero – ha evidenziato mons. Napolioni –. Se non siamo pronti a raccogliere e a spartire la notizia che quello che avevamo scartato il Signore lo rende pietra angolare». Ha quindi concluso: «E allora godremo di quella pace in cui nessuno farà più da scaricabarile, aspettando gli angeli. Perché gli uomini non possono delegare agli angeli ciò che il Signore ha affidato anche a noi, angeli gli uni per gli altri.

 

Ascolta l’omelia del vescovo Napolioni

 

L’Eucaristia, concelebrata dal cappellano della Polizia di Stato per le province di Cremona e Mantova, don Stefano Peretti, affiancato dal parroco di San Michele, don Aldo Manfredini, e dal cerimoniere vescovile, don Matteo Bottesini, si è conclusa con la recita della preghiera a san Michele arcangelo.

Al termine anche il saluto e i ringraziamenti del questore di Cremona, Michele Sinigaglia. «Quella di oggi non è una semplice ricorrenza, ma un rinnovarsi anno dopo anno di una tradizione che ci induce a meditare sui valori fondamentali cui ispirare il nostro agire quotidiano in difesa della comunità», ha sottolineato il questore. Che ha poi aggiunto: «Un impegno che deve essere costantemente rinnovato e che è continuamente messo alla prova dalle tante difficoltà che devono essere affrontate quotidianamente. Ma noi sappiamo di avere al nostro fianco la comunità cremonese e con il nostro lavoro speriamo di continuare a meritare la fiducia dei cittadini che siamo chiamati a servire e proteggere». Parole che sono state anche l’occasione per ricordare le forze dell’ordine cadute in servizio, un sacrificio che non dovrà mai essere dimenticato.




Il Vescovo ai funerali di don Cavedo: «Gli auguriamo il compimento della sua inesausta capacità di ricerca»

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Una città riunita. Una comunità – quella diocesana – raccolta nella chiesa di S. Agata, a Cremona, nel cordoglio per don Romeo Cavedo, deceduto lo scorso 27 settembre. Le esequie sono state presiedute, nella mattina di venerdì 29 settembre, dal vescovo Antonio Napolioni, alla presenza di numerosi sacerdoti. Tra i concelebranti don Massimo Calvi, vicario generale della Diocesi di Cremona, don Gianpaolo Maccagni, vicario episcopale per il clero e il coordinamento pastorale, e don Irvano Maglia, parroco dell’unità pastorale “Cittanova”.

«È lui!». Nell’omelia il vescovo Antonio Napolioni ha voluto riprendere ciò che spesso si diceva, riferendosi a don Cavedo. «Ma non la ripetiamo come fosse uno scrollare le spalle per non prenderlo sul serio, come fosse un etichetta che ne fa un personaggio – ha subito precesiato –. Lo diciamo oggi con infinito rispetto e gratitudine, riconoscendone l’unicità e l’originalità».

Don Cavedo come Barzillai, vicino al re Davide pur senza essere cortigiano, con grandi capacità, sapendo riconosce i propri limiti e non volendo pesare sul re. «Don Romeo, che a volte ha pesato, ma ha sempre saputo chiedere scusa – ha evidenziato il vescovo –. Ha sempre desiderato un rapporto di comunione: schietto, faticoso, ma autentico». Il brano del secondo libro di Samuele si conclude dicendo: “Allora il re baciò le mani a Barzillai e lo benedisse. Quegli tornò a casa”. «È quello che noi stiamo facendo oggi con don Romeo».

Per questo il vescovo ha voluto “vestire” la figura di don Romeo Cavedo di quell’abito fatto di storie e di personaggi biblici che tanto gli si addicono: «È lui che come Natanaele pone sempre le sue domande dirette, anche a Dio. Non credo si lasci semplicemente esaminare da san Pietro, ammesso che ci sia l’esame di san Pietro alle porte del Paradiso. Penso che anche lui ponga le sue domande». «È lui sotto l’albero di fichi, un’immagine che rappresenta coloro che vogliono gustare la sapienza delle Sacre Scritture, senza mai dar nulla per scontato o superficialmente acquisito, e introducendo tanti alla stessa passione». «È lui, con la sua vicenda di credente inquieto e trasparente, di maestro autorevole e provocante, di presbitero cremonese che ha lasciato una traccia speciale anche lontano da qui».

Alla vigilia della sua ordinazione, avvenuta nel 1961, don Romeo Cavedo scrisse così al vescovo Bolognini: “Voglia il Signore attuare efficacemente la mia volontà di essere un buon sacerdote e di dare alla Diocesi tutto quanto potrò”. «E direi che lo ha fatto. Strenuamente», ha commentato Napolioni. E, citando il messaggio scelto dal compianto sacerdote nel ricordo della sua Prima Messa (“Affinché il mondo creda che il Salvatore è venuto”), il vescovo ha voluto sottolineare: «Sul come si può discutere all’infinito, ma non sul cosa: don Romeo è stato fedele testimone del Salvatore».

«Non si accontentava che la Chiesa fosse un popolino di pecore, ma desiderava che fosse un popolo di cristiani adulti», ha concluso il vescovo. «Ora anche il suo genere letterario qui è finito, salvo le narrazioni che gli sopravviveranno nel tempo. Ma inizia la pienezza della realtà e della vita. E gli auguriamo il compimento della sua inesausta capacità di ricerca, non di una risposta che gli tappi la bocca, ma in uno stupore senza fine».

Al termine delle esequie la salma è stata trasferita verso il Cimitero di Cremona, dove è stata tumulata all’interno della Cappella dei Canonici.

 

Ascolta l’omelia del vescovo Napolioni

 

 

 

 

Profilo biografico di don Cavedo

Nato a Cremona il 30 settembre 1936, originario della parrocchia di S. Agata, nel 1959, ancora negli anni della formazione e prima dell’ordinazione sacerdotale (avvenuta il 24 dicembre 1961), era stato inviato a Roma per approfondire gli studi teologici, prima presso l’Università Gregoriana e poi al Pontificio Istituto Biblico, dove aveva rispettivamente conseguito la laurea in Teologia e la licenza in Sacra Scrittura.

Rientrato in Diocesi aveva da subito iniziato l’insegnamento, ricoprendo anche l’incarico di consulente ecclesiastico U.C.I.I.M. (Unione Cattolica Italiana Insegnanti Medi), ricoperto fino al 1994.

Nel Seminario di Cremona gli era stata affidata la docenza di Teologia Dogmatica e dalla fine degli anni ’90 di Sacra Scrittura, materia che ha insegnato anche allo Studentato dei Frati Cappuccini di via Brescia.

Proprio dello Studio teologico del Seminario di Cremona è stato preside dal 1994 al 2016. Una docenza proseguita ancora per diversi anni dopo lo spostamento delle lezioni a Lodi, nei primi anni del 2000. Fino al 2019 ha poi insegnato Introduzione alla Sacra Scrittura per il corso di Propedeutica del Seminario di Cremona.

Negli anni ha ricoperto anche l’incarico di assistente diocesano della F.U.C.I. (1967-1973); viceassistente dei Convegni Maria Cristina di Savoia (1967).

Nel 1980 è stato tra i fondatori della Scuola biblica del Patriarcato di Venezia aperta dal card. Marco Cé.

Molto apprezzato anche il corso biblico per laici che don Cavedo ha tenuto al Centro pastorale diocesano fino allo scorso anno, da sempre molto seguito, anche attraverso i mezzi della comunicazione.

A lungo per tanti appuntamento fisso era anche l’approfondimento delle Scritture attraverso le sue omelia, e in particolare quelle della Messa domenicale di mezzogiorno a S. Ilario.

Il suo interesse in campo ecumenico l’ha portato a ricoprire in diocesi l’incarico di responsabile del Segretariato per le attività ecumeniche dal 1996 al 2008, collaborando attivamente a livello nazionale per studi e approfondimenti.

Molti gli articoli da lui pubblicati su riviste specializzate nel settore biblico. A lungo fu l’autore del commento al Vangelo della domenica sul periodico della San Paolo Vita Pastorale e anche a livello locale sul quotidiano La Provincia di Cremona.

Tra le sue opere si ricordano:
L’apostolo Paolo e le prime comunità cristiane. Itinerario alle lettere paoline, Studium Cattolico Veneziano, 1984;
Per una lettura del Pentateuco. Tradizioni, storia e fede d’Israele, Studium Cattolico Veneziano, 1984;
Per una lettura dei Vangeli sinottici. Dalla predicazione apostolica al testo scritto, Studium Cattolico Veneziano, 1985;
Le origini. I primi tre capitoli della genesi, Studium Cattolico Veneziano, 1989;
1-2 Cronache, Esdra e Neemia, Queriniana, 1991;
Profeti. Storia e teologia del profetismo nell’Antico Testamento, San Paolo, Milano 1995.

Apprezzato teologo e scritturista, don Cavedo ha dedicato tutta la sua vita all’evangelizzazione attraverso l’approfondimento delle Scritture e l’insegnamento. Sempre pronto a porre agli altri e a se stesso anche domande scomode, sempre alla ricerca della verità, sostenuta da una cultura biblica riconosciuta anche oltre i confini nazionali e da una spiritualità inquieta ma solida, capace di porre il patrimonio delle Scritture in dialogo con la vita.

Il decesso nella prima mattina di mercoledì 27 settembre all’ospedale di Cremona, dove era stato ricoverato la sera precedente a seguito di una caduta in casa.




Giorno del Signore e Chiesa di Casa, al via le nuove stagioni

Dopo la pausa estiva con l’inizio di ottobre tornano i programmi di approfondimento in streaming e in tv prodotti dal TeleRadio Cremona Cittanova in sinergia con l’Ufficio diocesano Comunicazioni sociali.

A partire dal 28 settembre, ogni giovedì sera alle 20.30 su www.diocesidicremona.it, il canale YouTube e la pagina Facebook della Diocesi sarà disponibile una nuova puntata di Chiesa di Casa, il talk di approfondimento pastorale che giunge quest’anno alla sua terza stagione con alcune novità. Il format ormai consolidato, la cui conduzione è affidata ad Andrea Bassani, offrirà un maggiore spazio di confronto e riflessione grazie alla presenza in studio di tre ospiti ogni volta e con una durata di trasmissione che diventa di circa 20 minuti. La prima puntata di stagione, con un formato speciale, vedrà la presenza del vescovo Antonio Napolioni in dialogo con alcuni laici. La domenica mattina Chiesa di Casa sarà proposta in tv su Cremona1 alle 12.15, dopo la diretta della Messa e l’Angelus di Papa Francesco. La trasmissione è proposta anche da TelePace il venerdì alle ore 17.30 e 22.10.

 

Sabato 30 settembre, inoltre, riprende anche il notiziario diocesano Giorno del Signore, che in questa edizione segna l’importante traguardo dei 25 anni di messa in onda. A condurre il programma, che racconta la vita della Chiesa cremonese, saranno anche quest’anno Andrea Bergonzi e Margherita Santini, con i servizi, le interviste e gli approfondimenti realizzati dalla redazione di TeleRadio Cremona Cittanova. La trasmissione andrà in onda su www.diocesidicremona.it e il canale YouTube ufficiale della Diocesi e in tv su Cremona1 (canale 19) alle 20.30 del sabato; l’emittente locale trasmetterà la replica della puntata ogni domenica alle 12.35, dopo Chiesa di Casa. La trasmissione è proposta anche da TelePace la domenica alle 8.30 e alle 23.15. 




A Gallignano l’ingresso di don Paolo Tomasi: «La storia è passato, presente e futuro»

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Le vie di Gallignano, frazione di Soncino, si sono decorate di ghirlande bianche e d’oro per festeggiare il nuovo parroco, don Paolo Maria Tomasi, il cui ingresso è avvenuto nel pomeriggio di sabato 24 settembre, alle 18.30, nella chiesa parrocchiale di San Pietro apostolo con la Messa presieduta dal vescovo Antonio Napolioni e concelebrata da una quindicina di sacerdoti.

Il corteo che ha accompagnato il neoparroco è partito dal cortile dell’oratorio ed è arrivato sul sagrato della chiesa parrocchiale dove, ad attenderlo, c’era il sindaco di Soncino, Gabriele Gallina. «Oggi la comunità è in festa» ha esordito il primo cittadino. «Due settimane fa abbiamo salutato con affetto don Lino (don Pasquale Viola, il precedente parroco, ndr) e ora tutta la comunità ti accoglie con gioia. Durante il tuo servizio a Soncino ho potuto conoscerti e apprezzarti di persona per la tua grande umanità, il tuo sguardo verso i più bisognosi e per la tua cultura. Ti auguro uno stupendo percorso». L’affetto e la stima reciproca sono stati sanciti da un abbraccio accompagnato dall’applauso dei presenti.

 

Il saluto del sindaco Gallina

 

Subito dopo è iniziata la celebrazione solenne, presieduta dal vescovo di Cremona che ha voluto salutare «con affetto» don Viola e ringraziarlo «per la grinta che lo ha caratterizzato» in tanti anni di servizio pastorale. Molti i fedeli rimasti in piedi durante la celebrazione nella chiesa gremita.

Il vicario zonale, don Giambattista Piacentini, ha letto il decreto di nomina di don Tomasi, seguito dal canto eseguito dal coro parrocchiale. La Messa è proseguita con i riti esplicativi di aspersione dell’assemblea e l’incensazione dell’altare da parte del nuovo parroco.

Un rappresentante del consiglio pastorale ha poi dato il benvenuto al nuovo parroco a nome di tutti: «Sarai per noi padre, guida e fratello. Arricchisci la nostra comunità, sobria e umile, con i tuoi valori. Ti affidiamo i bambini e i giovani e ti chiediamo di seminare in terreni che sono poco fertili».

 

Il saluto del rappresentante parrocchiale

 

Mons. Napolioni, nella sua omelia, ha ricordato che il compito di un parroco è aiutare la comunità che gli è affidata a domandarsi «cosa vuole dire Gesù a ognuno di noi, senza aver fretta di tirar fuori la morale o usare il Vangelo in base alle proprie idee». La Chiesa aiuta a conoscere Dio attraverso l’ascolto, ha proseguito il Vescovo: «Come Maria, che ascolta con la mente e con il cuore». Luogo dell’incontro con il Signore è quindi la chiesa, dove ognuno, durante la preghiera personale, può chiedere a Dio di insegnargli ad ascoltarlo. La Sua risposta è l’invito a «cercarlo per le strade, nelle case e nella storia della gente». Dopo l’ascolto e la ricerca – ha concluso il vescovo Napolioni – il compito del parroco è insegnare ai fedeli a «imitare san Paolo, la cui vita è talmente impastata di Dio che può dire che vivere è Cristo e morire un guadagno».

 

L’omelia del vescovo Napolioni

 

La celebrazione eucaristica è terminata con il saluto del nuovo parroco. «La storia della mia vita – ha esordito don Tomasi – da questa sera si inserisce in quella della vostra comunità e diventa la nostra storia». Poi ha proseguito: «La storia è passato, del quale sono grato per la mia famiglia, la mia parrocchia d’origine e quelle nelle quali ho prestato servizio; e per i presbiteri che sono qui oggi e la cui presenza mi rinfranca. La storia è presente e questo ci spinge a rimetterci in gioco nel cammino. Gesù con le parabole ci insegna che, anche quando siamo in attesa, la fede ci spinge sempre ad agire e a non rimanere indifferenti». E ancora: «La storia è anche futuro, che è donato e che è sempre una sorpresa di Dio. Noi siamo pellegrini che davanti a loro hanno due linee guida: la Parola che è luce e il pane spezzato che troviamo durante la Messa». Don Tomasi ha concluso il suo saluto augurando a tutti i suoi parrocchiani «buona avventura, quella più bella che ci sia: ritrovare nella propria vita la via che riconduce al Padre che ci aspetta nella misericordia e nella Pasqua senza fine».

 

Il saluto del nuovo parroco

 

Dopo le firme dell’atto di immissione alla presenza dei testimoni, è stato organizzato un rinfresco in oratorio per celebrare convivialmente l’arrivo del nuovo parroco.

 

 

Profilo biografico del nuovo parroco

Don Paolo Maria Tomasi, classe 1957, originario di Fontanella, è stato ordinato sacerdote il 20 giugno 1981. Ha iniziato il proprio ministero come vicario a Castelleone. Dal 1995 al 2005 è stato parroco di Quattrocase e cappellano all’Ospedale Oglio Po. Dal 2005 al 2012 è stato parroco di Romanengo e, tra il 2006 e il 2009, amministratore parrocchiale di Ticengo. Dal 2012 al 2022 è stato parroco in solido di Binanuova, Ca’ de’ Stefani, Gabbioneta e Vescovato, e dal 2014 al 2022 anche di Pescarolo e Pieve Terzagni. Dal 2022 era collaboratore parrocchiale di Casaletto di Sopra, Melotta, Isengo e Soncino. Ora il Vescovo gli ha affidato la comunità di Gallignano, frazione di Soncino, al posto di don Pasquale Viola, che ha lasciato l’incarico per raggiunti limiti d’età.

 

 

Saluto di don Tomasi sul giornalino parrocchiale

E Gallignano sia!

Carissimi fratelli e sorelle nella fede della parrocchia San Pietro apostolo in Gallignano, mi rivolgo con affetto nel salutarvi come vostro Parroco nominato dal Vescovo Antonio che ringrazio per la fiducia che mi ha accordato e ringrazio anche a nome vostro perché ha voluto mantenere un parroco per una parrocchia, anche se piccola, la nostra.  Riprendo un cammino già tracciato dai preti che mi hanno preceduto, in particolare Don Persico, Don Ennio, Don Peppino e Don Lino, che avete appena salutato con tanto affetto e riconoscenza e nei confronti suoi anch’io ho un legame importante perché è stato il mio vicario e, in quegli anni, ho fatto la scelta di entrare in Seminario per verificare la mia vocazione alla vita presbiterale.

Dopo la mia ordinazione (20 giugno 1981), la prima Santa Messa nella mia amata parrocchia di Fontanella. Lì ho tessuto per vent’anni alternandoli con il tempo del Seminario. Nel cimitero sono sepolti i miei genitori, i miei nonni, tante persone che ricordo con affetto. Ho due sorelle, quattro nipoti e tre zii. Due miei fratelli sono morti. Il mio primo incarico mi è stato affidato dal Vescovo Fiorino: vicario a Castelleone (1981-1995), poi il vescovo Giulio mi ha nominato Parroco di Quattrocase di Casalmaggiore e Cappellano all’Ospedale Oglio-Po (1995 – 2005). Dal Vescovo Dante ho avuto due nomine: Parroco a Romanengo (2005- 2012) e Coparroco nell’unità pastorale di Vescovato  (2012-2022). Dopo l’anno pastorale a Soncino, ecco la nomina del Vescovo Antonio a Gallignano.

Arrivo in mezzo a voi sereno, consapevole dei miei limiti ma ricco soprattutto dell’amore con il quale il Signore ha accompagnato e accompagna la mia vita. Arrivo in mezzo a voi con la mia umanità  e con il mio essere cristiano che vuole condividere la proposta del Vangelo con la comunità che ha una storia bella di servizio alla parrocchia e di crescita nella fede.

Camminiamo insieme, ognuno con le proprie responsabilità, io consapevole che essere parroco vuol dire anche essere pastore, pastore secondo il cuore di Dio che vuole il bene delle sue pecorelle, in particolare di quelle che sono più deboli, fragili, sole. Prego ogni giorno il Signore affinché mi aiuti ad essere pastore secondo il suo cuore e di custodire e far crescere quella “carità pastorale” che è l’avere attenzione a tutti. Prego per questa nuova comunità che imparerò a conoscere e, sempre, nella preghiera, ricordo le comunità che  ho incontrato nel mio cammino presbiterale.

Mi affido anche le vostre preghiere e davvero, disponiamoci insieme, nel modo migliore, a percorrere quella strada che si chiama “sequela di Cristo” come singoli, come famiglie, come Chiesa che vive in Gallignano, ma respira l’essere nella Diocesi e nella cattolicità del popolo di Dio.

San Pietro ci protegga con l’autorità del suo essere apostolo. Sant’ Imerio sia pure lui a intercedere per noi e la Vergine Madre che, in particolare, onoriamo nel santuario di Villavetere, ci aiuti a rimanere in ascolto della parola di Dio e ci incoraggi a fare quello che il suo figlio Gesù ci chiede. Ci auguriamo, gli uni gli altri, buona avventura nella fedeltà a Dio che è Padre, Figlio e Spirito Santo.

Con affetto e stima, un saluto fraterno

Don Paolo vostro Parroco

 

 

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