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Nel ricordo di Carlo Casini, «profeta della vita»

Una gremita sala Spinelli, al Centro pastorale diocesano, a Cremona, ha ospitato l’iniziativa proposta per la diocesi nella cornice di eventi per la Giornata per la Vita, che si è celebrata a livello nazionale domenica 5 febbraio. “Una vita per la vita” il tema dell’incontro in ricordo di Carlo Casini, europarlamentare e presidente del Movimento per la Vita, introdotto dal presidente della sezione cremonese del Movimento, Paolo Emiliani, e culminato con le relazioni di Pino Morandini, vicepresidente nazionale del Movimento per la Vita, e di Elisabetta Pittino, presidente di Federvita Lombardia.

«Un uomo con apertura e intelligenza, un uomo che nella questione della vita umana non ha avuto rivali», ha detto Paolo Emiliani. «Non si può però parlare di Carlo Casini senza parlare della sua fede, una fede incrollabile che lo ha sempre sorretto anche nei momenti più difficili della sua vita – ha proseguito –. E non si può parlare di Carlo senza parlare di Maria, sua moglie. Una donna che non è mai intervenuta, ma che abbiamo sempre visto ascoltare e meditare».

Ascolta l’introduzione di Paolo Emiliani

 

Una vita, quella di Casini, dedita alla difesa e alla tutela della vita, contro ogni intemperie affrontata nel mondo della politica e del dibattito culturale: «Lo definirei il profeta della vita – ha detto Morandini – Le parole che riassumono la sua vita sono: carisma, profezia, fede, amore per la vita. Un uomo da uno stile e da un carisma inconfondibile, come lo descrivono coloro che hanno “camminato” insieme a lui: speranza, passione, ardore. «Pugno di ferro per quanto riguarda la difesa dei valori, ma guanto di velluto nel proporli».

Il suo impegno, ha ricordato ancora Morandini ripercorrendo le tappe dell’impegno di Casini con riferimenti anche a episodi biografici, ha sempre tenuto al centro l’amore e la difesa della vita, dal concepimento alla morte naturale, in un profondo senso di servizio e comunione con la Chiesa : «Oltre 250 mila bambini sottratti all’aborto – ha spiegato il vicepresidente nazionale –, che non è niente in confronto ai milioni di aborti legali eseguiti, ma se un piccolo drappello di persone è riuscito a fare tutto questo, chissà se ci si mettessero anche le istituzioni». «Ma non siamo mai stati soli – ha proseguito ricordando in particolare gli anni della nascita del Movimento per la Vita – siamo stati sempre appoggiati da Giovanni Paolo II, un Pontefice grandioso, come tutti quelli che ci sono stati in questi decenni».

Ascolta l’intervento di Pino Morandini

 

Nella seconda parte dell’incontro ha preso la parola Elisabetta Pittino che ha ripercorso la storia di Casini attraverso le raccolte degli scritti dell’europarlamentare, dal titolo Dire sì alla vita, curate dal Movimento per la Vita, in primis dal presidente Marina Casini, figlia di Carlo. «L’archivio della famiglia è una ricchezza che desiderano condividere – ha raccontato la Pittino – Questo libro è stato scritto per questo. Non è solo una memoria, ma un libro che serve a fare della Giornata per la Vita una propria giornata per tutto l’anno». «E una cosa che Carlo ci lascia è l’andare controcorrente, continuare ad annunciare il Vangelo della vita».

Scritti che, congiuntamente alle parole della presidente di Federvita Lombardia, dipingono Carlo Casini come un uomo di cuore, un uomo che «non ha mai messo muri e ha sempre perdonato. E questo sta alla base della cultura della vita». Ha poi concluso la Pittino: «Questi sono libri che lasciano un’eredità non da poco e le linee guida che il movimento dà».

Ascolta l’intervento di Elisabetta Pittino

 

La serie di eventi promossi per la 54ª Giornata nazionale della vita sul territorio diocesano, dopo le veglie a Casalmaggiore e Cremona, si conclude nella serata di lunedì 6 febbraio presso Cascina Moreni (via Pennelli 5) con un’ora di preghiera e adorazione eucaristica per la vita.

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Azione Cattolica e Parrocchie, in Seminario una mattinata di confronto con il Clero

Sono circa 1.400 gli associati all’Azione cattolica in diocesi, divisi in dieci gruppi Acr, un gruppo Giovanissimi e alcuni gruppi di Adulti, che rappresentano la maggior parte dei tesserati. Numeri importanti, seppur in netto calo rispetto al passato. Di questa tematica e delle sfide dell’Azione cattolica per l’oggi e il domani si è parlato giovedì 26 gennaio in Seminario. A caratterizzare l’incontro con i sacerdoti è stata la relazione di don Massimo Orizio, prete della diocesi di Brescia che ricopre l’incarico di assistente regionale unitario dell’Azione cattolica.

Don Orizio ha illustrato gli obiettivi e gli «esperimenti» che l’Ac sta attuando per un tentativo di rinnovamento di cui anche l’associazione necessita. In uno scenario che si concretizza attraverso i processi sinodali, l’Azione cattolica, che in questo momento ha scelto di ispirarsi al modello della Pastorale dell’accompagnamento, è chiamata, secondo don Orizio, a lavorare sul rapporto tra i giovani e i luoghi della vita quotidiana, e sulla dimensione dell’iniziazione cristiana che, come recentemente sottolineato anche nell’assemblea diocesana dei catechisti, deve ormai inserirsi anche nelle realtà associative diocesane.

Rilevante l’appello che l’assistente regionale ha destinato ai sacerdoti, soprattutto a quelli più giovani: «Noi preti siamo sempre meno. Nello scenario futuro, perché i parroci non debbano fare le trottole tra le numerose parrocchie che si troveranno a gestire, dovrà essere impostato un saldo legame con il laicato».

Ascolta l’intervento di don Massimo Orizio

All’incontro ha preso parte anche il presidente diocesano dell’Ac cremonese, Emanuele Bellani, che ha sottolineato come «rilanciare la presenza dell’associazione nelle parrocchie non significa necessariamente aumentare il numero dei tesserati, ma mettersi al servizio di più comunità con più strumenti possibili». E uno di questi, come ha voluto sottolineare Bellani, è quello dell’alleanza; anche tra carismi differenti, ma uniti nell’obiettivo comune.

Un’Azione cattolica che, nonostante la flessione numerica degli ultimi anni, continua a essere una valida proposta di formazione per una autentica presenza laicale nelle parrocchie e in diocesi, un vero e proprio «serbatoio di operatori pastorali» e, come ha detto Papa Francesco all’Azione cattolica ambrosiana nel 2021, «una “palestra” di sinodalità», valida risorsa per la Chiesa italiana. «Ben vengano le adesioni e le partecipazione ai nostri campi – ha poi detto Bellani –, ma non vogliamo essere ricordati solamente come coloro che organizzano i campiscuola. L’Azione cattolica è nata e continua a esistere per un vero e proprio accompagnamento quotidiano dei nostri giovani».

Tra i tanti obiettivi dell’Azione cattolica cremonese risalta anche la volontà di ricreare a Cremona un movimento studentesco dell’associazione, ma anche quello di rinvigorire e valorizzare i gruppi di adulti, per far vivere lo spirito e i valori di Ac anche oltre «le mura» della associazione. Alla base di questi obiettivi la parola «intergenerazionalità», un legame tra generazioni, ragazzi, giovanissimi, giovani e adulti, con i valori cristiani dell’associazione a fare da filo conduttore.

Nell’incontro tra i responsabili dell’Ac diocesana e il clero una domanda chiara: «Come l’Azione cattolica può essere di servizio nelle parrocchie. Come può rendersi utile nelle attività pastorali?».

 

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Veglia ecumenica, una serata di partecipazione, condivisione, unità

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Partecipazione, condivisione, unità. La veglia di preghiera ecumenica, che si è tenuta la sera di lunedì 23 gennaio a Cremona nella chiesa della Beata Vergine di Caravaggio, è stata caratterizzata da un clima di intensa spiritualità, di apertura e di consapevolezza in merito alla bellezza e all’urgenza di quanto la comune fede nella Trinità chiede di rendere attuale e credibile.

La veglia, che si inserisce organicamente nella Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani che si celebra dal 18 al 25 gennaio, ha visto la partecipazione di monsignor Antonio Napolioni, vescovo di Cremona, del pastore Nicola Tedoldi, della Chiesa Metodista di Parma–Mezzani, dei pastori Franco Evangelisti e Nicolò D’Elia, delle Chiese Cristiane Avventiste del Settimo Giorno di Cremona, Mantova e Parma, e di padre Doru Fuciu, della Chiesa Ortodossa Romena di Cremona.

Ascolta l’introduzione alla veglia

Dopo la solenne processione iniziale e la presentazione del tema della Settimana “Imparate a fare il bene; imparate la giustizia”, tratto dal Libro del profeta Isaia, hanno preso la parola i celebranti, che hanno commentato e ripercorso la bellezza e la verità “profetica” di un testo che a pieno titolo si inserisce nelle dinamiche, nelle urgenze e nelle prospettive degli uomini e delle donne di oggi.

«Le vostre offerte sono vuote, dice il profeta – ha esordito il vescovo Antonio Napolioni –; che cosa offriamo? Il superfluo, l’inutile…? E lo facciamo per paura, magari considerando Dio un mercante?». E ancora: «Di cosa profuma la nostra vita? Di ciò che è semplice, essenziale, che nasce davvero dal cuore? E come viviamo il tempo, il lavoro, il riposo? Come preghiamo e come pregano i malati, i soldati, le famiglie…?». Ecco dunque la necessità di una autentica umiltà che ci apra alla conversione, per arrivare davvero a “pregare come Gesù, che prega incessantemente perché siamo uno».

Ascolta la riflessione di monsignor Antonio Napolioni

Da questa riflessione ha preso le mosse l’intervento di padre Fuciu, che ha sottolineato come il nostro tempo sia troppo spesso caratterizzato da superficialità, impazienza, conflittualità. Ecco allora le parole di Gesù, che ci sollecitano a «imparare a fare il bene». È necessaria dunque una metamorfosi, nell’ottica del dettato evangelico, espresso da Maria alle nozze di Cana, del «fate quello che vi dirà», per potere diventare, appunto, «bianchi come la neve e puri come la lana».

Ascolta la riflessione di padre Doru Fuciu

Ha preso poi la parola il pastore Tedoldi, che ha richiamato come i verbi “imparate” e “cercate” rappresentino azioni dinamiche, da riempire di significato e di tempo. Perché «fare il bene è ritornare alla scuola di Dio, che mi chiede di amare il mio prossimo come me stesso, perché pensiamo al plurale, affinché il bisogno dell’altro doventi il mio». Oltretutto – ha sottolineato – il verbo “cercare” in ebraico significa anche “praticare”: un «praticare la giustizia che è ben lungi dall’abusare del proprio potere, ma che sia segnato dall’equità, cosicché siamo equi nei giudizi, senza pregiudizi».

Ascolta la riflessione del pastore Nicola Tedoldi

Il pastore D’Elia ha a sua volta incentrato la riflessione su una adorazione che da formale deve diventare sostanziale, concludendosi con una speranza unica e peculiare nel Dio della Bibbia. Rendendosi conto – ha richiamato –  che si può sempre risalire, anche quando si toccano gli abissi del fondo. Allora “smettete di fare il male” significa anche ricominciare in una dinamica di bene possibile, reale ed efficace, perché la Parola dice che «anche se i vostri peccati fossero come scarlatto, diventeranno bianchi come neve, se fossero rossi come porpora, diventeranno come lana», nella speranza e nella certezza di potere guardare avanti con forza.

Ascolta la riflessione del pastore Nicolò D’Elia

Il pastore Evangelisti ha quindi offerto un ricco inquadramento storico e teologico del brano del profeta Isaia, che descive «una situazione come specchio del Cristianesimo di oggi».  In riferimento anche ai grandi pensatori di ieri e di oggi è stata sviluppata una lettura del nostro tempo adeguata, attuale e pertinente a ciò che l’umanità sta oggi sperimentando, in chiave di speranza e affidamento.

Ascolta la riflessione del pastore Franco Evangelisti

L’assemblea si è quindi divisa in gruppi presso il locali dell’oratorio per condividere e offrire fraternamente, in stile sinodale, suggestioni, prospettive, esperienze, che sono state poi raccolte e donate a tutti una volta tutti ritornati in chiesa per la preghiera e la benedizione finali.

 




La storia delle canzoni invecchia con noi




Il servizio del sacerdote e la liturgia: l’intervento di mons. Frisina al clero diocesano

Mons. Marco Frisina, biblista e compositore, ha incontrato i presbiteri della Diocesi di Cremona riuniti in plenaria la mattina di giovedì 1° dicembre presso il Seminario vescovile. Presentato dal vescovo Antonio Napolioni, Frisina ha offerto una ricca e profonda riflessione incentrata sul rapporto tra la vita del sacerdote e il servizio che esprime e offre nella liturgia. Riportiamo la registrazione integrale del suo intervento.

 

Ascolta l’intervento di mons. Frisina all’incontro del clero




Monsignor Frisina agli animatori della liturgia: «Per ogni battezzato è un diritto, ma anche un dovere, cantare il proprio amore per Dio»

Oltre duecento persone, nel pomeriggio di giovedì 30 novembre, hanno riempito l’Auditorium Bonomelli del Seminario vescovile di Cremona per l’ultima delle quattro assemblee diocesane, dedicata agli animatori del canto e della liturgia. L’incontro intitolato “Continuiamo a stupirci per la bellezza della liturgia!”, ha posto al centro della riflessione le attuali urgenze della pastorale liturgica alla luce della lettere Desiderio desideravi di Papa Francesco. Ad introdurre la serata è stato il vescovo Antonio Napolioni, con un momento di preghiera e una riflessione che ha introdotto la relazione tenuta dal compositore e biblista mons. Marco Frisina, ospite della serata.

«Tutti hanno detto che è stata una bellissima celebrazione, perché si è percepito un popolo in preghiera – ha detto il vescovo Napolioni nell’introduzione, riferendosi all’animazione liturgica della Dedicazione del nuovo altare della Cattedrale, avvenuta lo scorso 6 novembre –, si è percepito un popolo in cammino di unità, un popolo umile e fiero nello stesso tempo». «Condivido con voi quella gioia, quella grazia, che ci è stata data dentro periodi difficili, dopo anni duri, con tutte le nostre preoccupazioni, che in una serata come questa ci fa capire il bisogno di orientarci insieme».

«Quello della liturgia è un mistero d’amore, che non dipende da noi, ma che ci viene offerto da Dio stesso». Ha quindi preso la parola mons. Frisina, che ha così proseguito: «Il Vangelo è bellissimo. Quando Marco racconta la guarigione dei malati, racconta di Gesù assalito da queste persone». Racconta di una frenesia, una smania nel voler toccare quel corpo che salva, quel corpo di Gesù che «porta in sé la potenza di Dio creatore». E poi c’è il Vangelo di Giovanni, che dice “Chi non mastica il mio corpo e non beve il mio sangue, non avrà la vita eterna”. «Gesù vuole dirci che solo entrando in relazione con lui attraverso l’Eucaristia, possiamo ottenere la vita eterna – ha spiegato Frisina –. E l’Eucaristia è il culmine dell’esperienza cristiana e della nostra preghiera». L’Eucaristia deriva da un sacrificio, da questa parola che significa proprio “rendere sacro”. Da questa sacralità arriva dunque il monito del biblista: «La liturgia non è un rito, ma un mistero che noi viviamo. Il motivo per cui viviamo questa relazione con Dio è perché Gesù si è fatto cibo per noi».

Una liturgia che dunque va animata, esaltata, cantata. Ma cosa significa cantare durante la liturgia? «La musica non ha bisogno di traduzioni, è diretta. La musica dice più delle parole», ha detto Frisina. Il canto è un segno d’amore, anche dell’amore per Dio: «L’essere umano quando ama è felice, fiorisce – ha proseguito –. Il canto e la musica esprimono tutto questo». «Quando noi cantiamo durante la liturgia, diamo sfogo a questo incontro d’amore. È un diritto, ma anche un dovere, per ogni battezzato, cantare il proprio amore per Dio».

Dopo un discorso generale, mons. Frisina si è poi rivolto, nello specifico, ai cori, ai cantori, ai responsabili e agli animatori della liturgia. «Il canto non è un abbellimento, ma una parte integrante della liturgia. Senza canto, mancherebbe quell’anima vibrante. Ma per fare tutto ciò bisogna formarsi, prepararsi, studiare. Un responsabile deve essere formato, perché poi possa a sua volta, in parrocchia, formare  i cantori». Una formazione musicale, dunque, ma anche liturgica e spirituale.

Un ulteriore appello ha riguardato i criteri per la scelta dei canti: «Non basta la piacevolezza del canto – ha spiegato Frisina –. Ci deve essere una finalità di lode. Il canto non è intrattenimento». E i criteri per la corretta scelta ed esecuzione dei canti arrivano dalle origini del Canto gregoriano. Innanzitutto l’utilizzo esclusivo di testi biblici o di liturgia e teologia spirituale; tutti gli elementi della liturgia, poi, vanno messi in musica: il canto accompagna la processione, e quando essa finisce, anche il canto si conclude; un altro aspetto fondamentale è il valore della melodia, che «orienta la persona che canta e quella che ascolta verso una direzione, donando emotività alla liturgia»; infine l’aspetto dell’eseguibilità, poiché «il canto deve essere facile da eseguire, deve aiutare l’assemblea nella preghiera».

Ma tutti questi elementi vanno trasmessi e insegnati. La necessità di arricchire e perfezionare il proprio repertorio è infatti da accompagnare – ha proseguito il biblista – «con strategia, senza voler tutto e subito, trasmettendo al popolo di Dio la voglia di cantare». Sarebbe opportuno, secondo il relatore, imparare un nuovo canto ogni anno, ripassando costantemente quelli imparati negli anni precedenti. Un ulteriore mezzo per arricchire i repertori dei cori parrocchiali potrebbe essere la creazione e l’utilizzo di un coro diocesano: «I membri, appartenenti a diverse parrocchie, quando imparano un canto, lo trasmettono poi per osmosi nelle loro parrocchie».

Infine l’augurio di mons. Frisina: «Siamo in Avvento, un tempo bellissimo in cui imparare a cantare col cuore e con l’anima. È il tempo delle profezie, di Giovanni Battista, e arriveremo a Natale a cantare davanti al presepe. Vi auguro di cantare sempre più con il cuore, perché la gente se ne accorgerà e avrà voglia di cantare con voi». Ha così chiuso la sua relazione: «La liturgia è di tutti. C’è spazio per le diversità. Si può dare spazio a tutto, a tutti gli strumenti, ma con un’armonizzazione generale, secondo i criteri e i canoni decisi, per una liturgia varia e bella».

L’incontro si è concluso, dopo la cena, con i lavori di gruppo che hanno coinvolto direttamente tutti i partecipanti in un momento di condivisione e confronto, per dare concretezza e una direzione a quanto emerso dall’assemblea.

Ascolta la registrazione completa dell’intervento di mons. Frisina

https://www.diocesidicremona.it/il-servizio-del-sacerdote-e-la-liturgia-lintervento-di-mons-frisina-al-clero-diocesano-01-12-2022.html



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L’emergenza adolescenti in radio. Guida podcast per papà “boomers”




Presentazione alla cittadinanza dell’adeguamento liturgico della Cattedrale. Gli interventi

L’intervento del sindaco di Cremona Gianluca Galimberti 
L’intervento di don Gianluca Gaiardi, direttore dell’Ufficio diocesano per i Beni culturali ecclesiastici e l’edilizia di culto
L’intervento dell’architetto Massimiliano Valdinoci
L’intervento del liturgista Goffredo Boselli
L’intervento del vescovo di Cremona mons. Antonio Napoolioni

 





Don Patriciello a Rivarolo Mantovano: «La paura non deve congelare ciò che abbiamo nel cuore»

«Chi è il camorrista? Oggi ho spiegato agli studenti che il camorrista è una persona che non vuole bene a nessuno. Una persona che vuole tutto, ma tramite gli sforzi altrui. Il camorrista è un parassita!». Si è aperta con queste parole la serata “La Terra dei Fuochi, tra legalità e riconciliazione”, che venerdì 28 ottobre nella chiesa parrocchiale di Rivarolo Mantovano ha visto intervenire da don Maurizio Patriciello, parroco di Caivano, in provincia di Napoli, testimone diretto di una terra devastata dall’inquinamento provocato dalle discariche abusive e dalla presenza delle ecomafie.

Una iniziativa, quella proposta dall’unità pastorale Santa Maria Immacolata, formata proprio dalle parrocchie di Rivarolo Mantovano, Cividale e Spineda, che ha suscitato l’interessi di tanti, giunti anche dai territori limitrofi. Il parroco don Ernesto Marciò ha introdotto la serata, che ha idealmente continuato il discorso che don Patriciello aveva rivolto, nel pomeriggio presso il centro parrocchiale di Rivarolo Mantovano, ai ragazzi delle scuole medie.

Come è possibile affrontare situazioni come quelle in cui si trova e si è spesso trovato don Patriciello? La risposta l’ha data lui stesso: «Annunciando il Vangelo, ovunque ci mandano e ovunque ci troviamo». Parola di un sacerdote diventato simbolo dell’anticamorra, tanto che il suo operato, le sue denunce e il suo mettersi in gioco a fianco della gente comune gli sono costati minacce e intimidazioni, come la bomba carta fatta esplodere lo scorso 12 marzo a Caivano davanti alla chiesa di San Paolo Apostolo.

Una vita, quella che il sacerdote vive, a stretto contatto con la mafia, in una terra, conosciuta ormai come la Terra dei Fuochi, in cui la quotidianità è segnata dalla paura, in una parrocchia, quella di Caivano, che risulta essere tra le grandi piazze di spaccio di droga di tutta Europa. «Ma la paura non deve congelare ciò che abbiamo nel cuore».

Don Patriciello, che spesso viene appellato come “prete anti-camorra” e “prete ambientalista”, ci tiene a chiarire che «Il prete fa il prete, l’ambientalista fa l’ambientalista. Un prete fa cose che l’ambientalista solitamente non fa: un prete si occupa dei poveri, di donne e uomini in difficoltà, si occupa degli anziani, delle situazioni fragili. Un prete fa tutto questo». E ancora: «Il Signore mi ha mandato in un posto difficilissimo, in quartieri in cui i poveri, dopo il terremoto del 1980, sono stati abbandonati – ha raccontato Patriciello –. Un posto in periferia in cui ogni bambino che nasce, nasce segnato».

Un problema incentivato dall’assenza delle forze dell’ordine, concentrate nel centro storico delle città, e non in periferia. «Quando il gatto non c’è, i topi ballano – ha detto il sacerdote –. E così, quando in quei posti il gatto manca, le periferie diventano veri e propri ghetti». E ha proseguito: «Per sradicare la mafia non servono più forze armate, servono più insegnanti, perché la mafia si combatte sin dall’infanzia».

La relazione si è conclusa con il confronto tra la storia del sacerdote e quella di Salvatore, suo amico d’infanzia: don Patriciello che ha ricevuto la propria vocazione dando un passaggio a un frate autostoppista. Salvatore che invece, attraverso l’incontro con una banda criminale, è pian piano diventato un pezzo grosso della Camorra, che lo ha portato al carcere e poi alla morte. «Lui non era peggio di me e io non ero meglio di lui – ha concluso il sacerdote –. La vita di ognuno di noi è segnata dagli incontri. Alcuni incontri ti cambiano in meglio, altri in peggio».

Al termine dell’intervento c’è stato un momento di condivisione con l’assemblea, durante il quale don Maurizio Patriciello ha risposto alle domande dei presenti.