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Settimana sociale, vetrina delle buone pratiche

La Settimana sociale di Cagliari è entrata nel vivo. E lo ha fatto con una potente iniezione di fiducia. Nella mattinata di venerdì 27 ottobre, la meditazione biblica dell’economista Luigino Bruni ha letto una pagina di Qoelet in termini di felicità e salvezza che provengono dal lavoro. Le due follie umane sono il lavoro-mai e il lavoro-sempre, che rendono schiavi e dipendenti.

Il successivo dialogo tra il card. Peter Kodwo Appiah Turkson, prefetto del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, e il gesuita Francesco Occhetta ha riportato il dibattito al prezioso contributo del magistero di papa Francesco dopo Laudato si’. Sullo sfondo le preoccupazioni per i cambiamenti in atto nel mondo del lavoro. Se è vero che la corruzione offusca le coscienze e che il lavoro ha a che fare con la dignità umana, la Chiesa non si tira indietro dell’educare e nel dare l’esempio perché il lavoro sia riconosciuto anche nei propri ambiti. Umanizzare il lavoro rimane la grande sfida.

Il Convegno si è messo poi a guardare in faccia la realtà, ma non più semplicemente per denunciare. La Chiesa dismette gli abiti lamentosi e amletici del “c’è del marcio in Italia” intorno al mondo del lavoro per indossare gli occhi della speranza: “c’è del bello in Italia!”. Ce ne siamo accorti, nonostante la crisi? Si tratta di fare spazio alle novità, che sono state battezzate “buone pratiche”. Ci ha pensato l’economista Leonardo Becchetti, membro del Comitato organizzativo, a presentare la sintesi del lavoro fatto in questi mesi in giro per l’Italia. L’esperienza dei “Cercatori di LavOro” è stata prima presentata e nel pomeriggio visitata dai partecipanti al Convegno.

Numerosi bus hanno percorso la Sardegna per incontrare questi segni che parlano da sé più di mille conferenze. C’è una generatività diffusa che va scoperta, valorizzata, fatta crescere, messa in rete perché possa diventare buona pratica anche per altri. Persino il fallimento è prezioso per capire gli errori da non ripetere: quali cause non hanno dato gambe a buone intuizioni?

In Italia l’iniziativa “Cercatori di lavoro” ha coinvolto 82 diocesi. Sono state individuate più di 400 “buone pratiche” capaci di mettere in moto il settore manifatturiero, quello sociosanitario della cura alla persona e quello della valorizzazione dei beni culturali.

Parecchie di esse hanno trovato il loro alveo all’interno del Progetto Policoro, che a più di vent’anni dal suo inizio, si è positivamente strutturato in diverse parti del Paese. Queste pratiche rispondono a tre caratteristiche: la capacità di stare sul mercato, la possibilità di innescare processi sociali e produttivi sia interni che esterni. Esse, però, non nascono dal nulla: hanno bisogno di politiche monetarie e fiscali in grado di creare le condizioni perché l’imprenditorialità prenda piede.

“Il lavoro non si trova ma si crea”, suggerisce Becchetti. Rimuovere gli ostacoli fatti di burocrazia o di corruzione è indispensabile per favorire il lavoro. Ne deriva una cultura che innerva l’economia, secondo il saggio principio proposto da Francesco che “il tempo è superiore allo spazio”. Così le narrative avvilenti del lavoro nero, dell’assistenzialismo, del reddito di cittadinanza lasciano spazio a narrative feconde arricchite di intraprendenza, di sussidiarietà e di relazionalità. Un esempio: l’attività “made in carcere”, che riduce la recidiva del 70%, rappresenta un bene sociale e un risparmio per lo Stato.

Aprire gli occhi sulle buone pratiche è servito a dare il via alle discussioni nei tavoli di analisi e di proposta.

Ciascuno ha potuto dare il proprio contributo: ascoltare ed essere ascoltato. Lo stile, infatti, è già un contenuto… La priorità è dare respiro ai processi. Che è come dire: generativi di tutta Italia, unitevi!

don Bruno Bignami
vicedirettore Ufficio nazionale CEI
per i problemi sociali e il lavoro

 

 

Il “caso” cremonese

Ai lavori ha preso parte anche la delegazione cremonese formata dal vescovo Antonio Napolioni e dal prof. Fabio Antoldi, membro della commissione diocesana della Pastorale sociale e del lavoro, professore ordinario di Strategia aziendale e di Imprenditorialità presso la Facoltà di Economia e Giurisprudenza dell’Università Cattolica del Sacro Cuore (sede di Piacenza e Cremona) e direttore del CERSI (il Centro di ricerca per lo Sviluppo imprenditoriale dell’Università Cattolica), che con il suo staff di ateneo ha curato la scheda cremonese su caso di buone pratiche per il progetto “Cercatori di LavOro”.

Anche questo studio ha costituito la base della discussione nei tavoli. Riguarda il Consorzio Casalasco del Pomodoro, presente sul mercato dal 1977 e che oggi conta 370 aziende agricole associate, spesso di carattere familiare, che coltivano 7.000 ettari di terreno dislocati nella pianura Padana tra le province di Cremona, Parma, Piacenza e Mantova e vanta tre stabilimenti produttivi. La qualità dei prodotti del Consorzio Casalasco, e quindi il relativo successo aziendale sui mercati, è strettamente connesso all’intera filiera del processo produttivo dal campo allo stabilimento. Proprio per questo motivo la terra e le persone sono da sempre al centro dell’attenzione: l’azienda applica un modello gestionale etico, cioè basato sul rispetto, l’implementazione e la diffusione lungo la filiera delle norme a difesa dei diritti umani, dei diritti dei lavoratori, della legalità e dell’ambiente.

La scheda cremonese per “Cercatori di LavOro”

 

 

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