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La Madonna sfregiata dall’Isis arriva a Cremona: dal 15 al 22 ottobre a S. Agostino

Era l’estate del 2014 quando l’Isis irruppe nella Piana di Ninive, zona a maggioranza cristiana del nord dell’Iraq, facendo strage di civili e costringendo alla fuga migliaia di persone. L’autoproclamato Stato islamico irruppe a Mosul e in altre città come Qaraqosh, Bartallah e Batnaya. Proprio a Batnaya la furia degli islamisti contro i luoghi di culto cristiani sfociò anche nella distruzione fisica di chiese e statue sacre.

Come quella, dedicata alla Vergine, decapitata dagli jihadisti e portata in salvo dal parroco e successivamente restaurata in Italia, a Giussano. Proprio da qui è quindi partita la peregrinatio dell’immagine sacra, inaugurata dall’arcivescovo di Milano il 17 giugno scorso e proseguita in diverse parti di Italia. Facendo tappa anche a Cremona, dal 15 al 22 ottobre, nella chiesa di Sant’Agostino, dove sarà esposta alla devozione dei fedeli. Durante i giorni di presenza della statua della Madonna di Batnaya la consueta Messa feriale celebrata per l’unità pastorale Cittanova nella chiesa di Sant’Omobono sarà invece proprio a Sant’Agostino alle 18 (dopo la recita del Rosario alle 17.30). Domenica 17 ottobre è in programma alle 16 il Rosario, alle 16.30 il canto del Vespro e alle 17.30 la Messa. Nella serata di mercoledì 20 ottobre, inoltre, alle 21 vi sarà la preghiera del Rosario, animata dal Gruppo Nazarat.

Questa piccola Madonnina, spiegano i sacerdoti dell’unità pastorale Cittanova, vuole essere un segno di vicinanza ai tanti cristiani del Medio Oriente che ancora oggi subiscono violenze e persecuzioni. Anche per questo il suo viaggio è accompagnato da una mostra fotografica, realizzata da Aiuto alla Chiesa che soffre, che sarà allestita sempre nella chiesa di Sant’Agostino e che racconta in maniera chiara ed emotivamente toccante che cosa significhi essere cristiani oggi in Iraq. La presenza cristiana nel Paese è infatti crollata negli ultimi vent’anni: se prima erano circa un milione e mezzo di persone, oggi si attestano sulle 250mila unità. Moltissimi sono fuggiti in Europa, Canada, Stati Uniti durante le persecuzioni dell’Isis e pochi hanno deciso di tornare (nonostante gli sforzi per la ricostruzione dopo la dissoluzione dello Stato islamico). Questo ovviamente non aiuta la Chiesa locale, che si trova a essere sempre più minoritaria e quasi alle soglie dell’estinzione. In questo contesto di difficile testimonianza si è inserito non a caso il coraggioso viaggio di Papa Francesco in Iraq pochi mesi fa. Un viaggio fortemente voluto dal Pontefice che, in quell’occasione, aveva voluto incontrare i grandi leader religiosi del Paese ricordando dalla terra di Abramo che «chi ha il coraggio di guardare le stelle, chi crede in Dio, non ha nemici da combattere». E questo vale per tutti, cristiani e non, in Iraq ma anche in ogni angolo del mondo.

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Don William Dalè ordinato diacono, «un dono di grazia»

Nella serata di sabato 18 settembre nella Cattedrale di Cremona il vescovo Antonio Napolioni ha ordinato diacono don William Dalé, seminarista 27enne originario di Soncino. Sull’altare accanto a monsignor Napolioni il vescovo emerito Dante Lafranconi e molti sacerdoti, tra i quali i formatori del Seminario con il rettore don Marco D’Agostino e il parroco di Soncino don Giuseppe Nevi. Nei banchi, commossi, i famigliari (assente il papà per motivi di salute), e gli amici e anche i professori del Liceo «Racchetti» di Crema, dove si è diplomato. A rendere solenne la celebrazione anche i canti della Coro della Cattedrale.

«Oggi riceviamo il dono della chiamata e della risposta, nell’ordinazione diaconale, del caro William. È un dono di grazia per tutti noi», ha esordito monsignor Napolioni ringraziando i tanti presenti.

Dopo le letture e il Vangelo, è iniziato il rito di ordinazione con l’accoglienza nell’ordine del Diaconato di William Dalé, che ha risposto pubblicamente il proprio «Eccomi».

«Perché ci sono i diaconi?». Con questa domanda è iniziata l’omelia di monsignor Napolioni. «Perché esistono? Per complicarci la vita nelle parrocchie? – ha scherzato – Che cosa diventi stasera William? Diacono e poi prete? No, non è solo questo e ce lo ha detto chiaramente il Vangelo: tu sei qui per rispondere alla grande la chiamata di somigliare a Gesù in ciò che c’è di più scomodo e di più potente. E del resto non si può separare la parte difficile dai grandi frutti. Avremmo forse l’Eucarestia senza il sacrificio di Gesù, se non ci fosse stata quella Parola diventata carne».

Riprendendo il brano dei Vangeli, il vescovo ha ricordato che tutti noi – proprio come gli apostoli – siamo fragili, possiamo cadere nella smania di apparire o di essere al primo posto. Ma nonostante le nostre debolezze, Cristo ci ha voluti con sé. «Gesù ha tenuto gli apostoli con sé, senza promettere loro applausi, ma che il loro nome sarebbe stato scritto sul Suo Cuore. Se uno vuole essere primo sia ultimo e servitore di tutti. Non conta chi arriva prima, chi ha più amici o più followers… pensate a Gesù sulla Croce! Lui aveva accanto Pietro, fragile e focoso, ma di lui ha fatto la roccia su cui la Chiesa continua a essere vivo nel mondo».

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Per questo, ha proseguito monsignor Napolioni, «quando ci saranno i momenti di smarrimento è il “noi” che ci salva, non l’io singolo». «Questa sera – ha continuato – ti consegnerò il libro del Vangelo, William, e mi ci soffermo perché “Dio ci ha chiamati mediante il Vangelo”. Perché sei qui? Perché il Vangelo ti ha toccato il cuore, ti ha chiamato da dentro la tua ricerca di senso, la tua storia, la tua fragilità e dentro i tuoi doni. È questo che Cristo fa e farà ogni giorno, ogni istante: ti chiamerà a credere, a sperare, a osare testimoniare a tutti l’incontro con Lui, vivente. Non la dottrina e la morale, se non come frutti di questa esperienza vocazionale. La vita è vocazione, la Chiesa è con-vocazione. Che ci chiama e ci fa muovere e ci fa dire “Eccomi”. Il Vangelo contiene la Pasqua di Gesù, la Sua morte infamante che però è fonte di salvezza e gioia. Ti accosterai a uomini e donne, piccoli e bambini delle nostre comunità. E per piccoli intendo anche noi sacerdoti, diaconi, vescovi. E così seguirai Gesù che ti prenderà per mano e ti spremerà perché tu porti frutto laddove la santa volontà di Dio lo ha previsto come dono per tutti noi».

Dopo l’omelia, l’interrogatorio da parte del Vescovo che si è rivolto a don William domandando conferma degli impegni propri dell’ordine diaconale. Subito dopo è seguito il canto delle litanie dei santi, poi l’imposizione delle mani e la preghiera di ordinazione.

La liturgia è poi proseguita con il rito della vestizione con gli abiti liturgici propri del diacono (stola e dalmatica), la consegna del libro dei Vangeli “perché diventi testimone coraggioso di Cristo” e l’abbraccio di pace con i vescovi (un gesto con il quale don William offre sé stesso in gesto di obbedienza e di comunione con la Chiesa tutta).

Subito dopo il canto corale della professione di fede e la liturgia eucaristica con il neo-ordinato diacono che ha servito all’altare insieme agli altri sacerdoti.

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Nel 2020 don William Dalè ha conseguito il baccalaureato in Teologia e dal gennaio scorso fino a giugno ha insegnato religione al liceo «Sofonisba Anguissola» di Cremona, mentre in queste settimane ha iniziato l’esperienza di docente presso la scuola media di Castelverde.

Da due anni don William presta servizio presso l’unità pastorale Nostra Signora della Graffignana, in particolare dedicandosi alla catechesi dei giovani nella parrocchia di Casalbuttano, coadiuvando il parroco in oratorio e prestando assistenza spirituale alla casa di riposo (esperienza ripresa da poco dopo l’obbligatorio stop a causa della pandemia).

La stessa unità pastorale della Graffignana lo festeggerà domenica 26 settembre durante la Messa delle 11 a Casalbuttano, mentre domenica 19 settembre il nuovo diacono sarà nella propria parrocchia d’origine, a Soncino, dove durante la Messa delle 10.30 terrà l’omelia.




Verso la Settimana Liturgica, una riflessione sul ritrovarsi come comunità attorno all’altare

Alla vigilia della Settimana Liturgica Nazionale che si svolgerà in Cattedrale a Cremona da lunedì 23 agosto a giovedì 26, e affronterà attraverso interventi di studiosi ed esperti di liturgia i temi più attuali che riguardano il presente e il futuro del rito della Messa domenicale secondo il tema “Dove sono due o tre riuniti del mio nome. Comunità, liturgie e territori” (QUI il programma), riproponiamo un’intervista rilasciata alcuni mesi fa a Riflessi Magazine da don Marco Gallo, direttore della Rivista di Pastorale Liturgica.

Qualcuno, a sentir parlare di “liturgia”, potrebbe essere tentato di pensare a qualcosa di vecchio e stantio, inutili ornamenti in assenza di contenuto. Eppure nel suo continuo mutare, nelle sue forme sempre nuove e mai uguali, la liturgia genera uno stile, un modo di percepire la realtà. Educa. Con la sua enorme carica simbolica (il gesto dello spezzare il pane e il vino, ad esempio) la liturgia ci apre un mondo e, in un modo del tutto originale e profondo, ci apre al mondo.

Abbiamo provato a capirne qualcosa di più con il teologo don Marco Gallo, direttore della Rivista di Pastorale Liturgica.

Da sempre la liturgia ha come compito quello di fissare in “forme” adatte e immediatamente comprensibili a tutti la vita e la professione della religione. Quando nasce questa esigenza nella storia del cristianesimo?

«Ogni comunità, dalla più semplice a quella più complessa, ha bisogno di formalizzare le proprie pratiche comuni: il tempo (orari, calendari), gli spazi (privati e comuni), il lavoro ed il riposo. La dimensione festiva e liturgica quindi non può esistere senza una forma rituale. Il tipo di forma, poi, è evidentemente caratterizzato culturalmente. Che poi le forme sia immediatamente comprensibili a tutti non è cosa vera. La potenza rituale, infatti, sta nel gioco sapiente tra ciò che è esplicito e comprensibile e ciò che è evocato o persino nascosto: un rito che fosse spiegazione di sé sarebbe completamente inefficace». […]

Oggi con la pandemia e i nuovi media, è cambiato qualcosa? La Chiesa come ha affrontato o sta affrontando questi cambiamenti?

«In queste settimane le parrocchie ricevono la Terza Edizione del Messale di Paolo VI, quello successivo al Concilio Vaticano II. La liturgia cattolica oggi funziona così: ci sono libri detti “tipici” che sono modello per tutto il mondo e strumento di unità cattolica. È una sola liturgia quella della Chiesa. E poi ogni conferenza episcopale riceve questo testo tipico, lo traduce ma soprattutto lo adatta nel tempo facendo dialogare il fatto cristiano con la cultura, il linguaggio, i segni. Vanno così accolti tutti i cambiamenti proposti per la Messa, quelli di cui si è già parlato (le formule del Kyrie, il Confesso, il Gloria, il Padre Nostro) ma anche numerosissimi altri cambiamenti di espressione e alcuni gesti che sono stati modificati. In questo tipo di lavoro delicato e paziente di formazione, si comprende la preziosità dell’evento di formazione della Settimana Liturgica prevista per Cremona nel 2021». 

Alcuni studiosi hanno rilevato quanto sia importante nella liturgia la  centralità del corpo, la forza dei simboli, l’efficacia della lingua sacra, l’importanza di una musica e di un canto adatti, ma soprattutto deve ritrovare il primato della forma sul contenuto: secondo lei il novus ordo è riuscito in questo?

«Il passaggio dalla lingua morta alle lingue volgari nella liturgia cattolica è stato un evento culturale enorme. La lingua latina creava subito uno spazio “altro” (certo discutibile, ma non banale), l’italiano, come le altre lingue vive, non è mai stato una lingua liturgica ed ha quindi bisogno di tempo per maturare come lingua sacra. Per questo bisogna apprezzare il gesto di fiducia che la Chiesa ha fatto nei confronti delle culture: esse sono ritenute capaci di maturare e crescere per diventare spazi di spiritualità. Per questo però è necessario tutto un lavoro sui codici, soprattutto non verbali: il corpo e spazio, colori, toni, evocazione e simbolo.
Tutto questo è possibile solo con una lenta maturazione di ciò che Benedetto XVI ci ha insegnato a chiamare ars celebrandi. Non quindi un concetto o una tecnica, ma un gesto sapiente e ispirato. A meno di questo, tutta l’enorme riforma rischia di essere un’operazione di superficiale riverniciatura. La liturgia, invece, è per l’esperienza cristiana la prima scuola di vita spirituale, il primo dono che i cristiani possono fare al mondo per un rapporto felice con Dio e con la vita. In questo senso, si può direi che il novus ordo è certamente più adeguato del vetus, capace di raccogliere in pieno la sfida che il precedente non poteva intuire. Esso, diciamo, è in attesa di comunità che sappiano metterlo in atto». 

Esiste il rischio che la liturgia venga a volte vissuta dai fedeli come qualcosa di distante, eppure è proprio tramite essa che possiamo rivolgerci a Dio e accostarci a Lui in maniera degna. Perché oggi, secondo lei, si vive questo “scollamento” tra la vita di tutti i giorni e la vita liturgica della Chiesa? Perché tanti giovani si allontanano vedendo nei “riti” qualcosa di vecchio e superato senza coglierne invece la vitalità e l’importanza?

«La questione rituale oggi è centrale, per i giovani ed i bambini, ma non meno per gli adulti. Un bravo vescovo diceva che “chi non sa celebrare con i giovani non sa celebrare con nessuno”. Secondo me il vero punto è trovare maestri che inizino, aprano il pensiero e la sensibilità. A meno di questo, ogni tentativo è persino pericoloso, perché banalizza e snatura in buona fede. I giovani (e gli adulti) faticano con la liturgia perché essa è obbedienza, nel rito non siamo al centro. E questo ci fa paura. Eppure sarebbe così liberante, lasciarsi fare, accogliere, osservare con amore, entrare in dialogo profondo, aprire alla gratitudine, nutrire, riconciliare, rimandare nel mondo diversi. Non dobbiamo scoraggiarci: la sfida è tutta aperta e da giocare».


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“Urlalo”, nei Grest uno spettacolo-gioco sul tema della comunicazione

Tra le proposte di animazione dedicate agli oratori per il Grest c’è “Urlalo”, uno spettacolo interamente dedicato alla dinamica del gioco: una sfida a cui il pubblico si appassionerà per decretare il vincitore. Perché, se anche l’importante è partecipare, senza un po’ di sano agonismo il gioco non potrebbe esistere. «Ogni anno offriamo agli oratori spettacoli che seguono il tema proposto per l’estate» spiega Stefano Priori, regista e attore dello spettacolo.

«Il gioco è al centro del Grest 2021 e abbiamo pensato di declinarlo a partire dalla comunicazione. Mai come durante la pandemia ci si è chiesti quali siano le buone regole della comunicazione e della comunicazione efficace e il fenomeno social e delle fake news ha amplificato l’esigenza di parlarne in maniera incisiva. Così il nostro format punta a coinvolgere i giovani spettatori: ci rivolgiamo alle famiglie e in particolare ai bambini e agli adolescenti, dividendoli in due squadre. Squadre che si devono confrontare giocando con messaggi criptati, emoticon e via dicendo». Con parodie, battute, dialoghi e gioco si punta quindi a una nuova narrazione del mondo della comunicazione, utilizzando anche immagini e mezzi multimediali per stupire. “Urlalo” è un format che si presta a essere presentato negli oratori durante il Grest, ma anche in altri contesti, a motivo della sua versatilità e per l’importanza del tema trattato.




Un’estate di sport anche in carcere con gli istruttori del Csi

Quest’anno il Centro sportivo italiano di Cremona ha messo a disposizione alcuni istruttori sportivi per le attività negli oratori durante il Grest. Allo stesso tempo è stato attivato da marzo fino a fine luglio un nuovo percorso sportivo con gli istruttori sportivi Csi presso la Casa circondariale di Cremona. «Questo è il secondo anno che proponiamo dei laboratori a fondo sportivo nel rispetto delle norme covid» racconta don Paolo Arienti, assistente ecclesiastico del Csi cremonese.

«Alcuni giovani laureandi in Scienze motorie si sono resi disponibili e così negli oratori possiamo offrire su richiesta una formazione agli animatori oppure moduli di attività sportiva basata su un nuovo approccio multi sportivo che destruttura la vecchia idea dello sport monotematico. In questo modo i ragazzi possono fare diverse esperienze» ha spiegato don Arienti.
Anche in carcere il Csi è riuscito a portare una ventata di novità, grazie a due giovani istruttori: Andrea Benna e Simone Moiocchi.

«Da marzo a oggi abbiamo avuto la possibilità di insegnare un po’ di attività fisica ai carcerati, suddivisi in otto sezioni: li abbiamo visti migliorare giorno per giorno e questo ci rende felici. In palestra e all’aperto abbiamo avuto modo di relazionarci con loro spiegando le regole del basket o mostrando come eseguire esercizi a corpo libero. Per me è stata un’occasione di arricchimento anche umano» ha raccontato Benna. Gli fa eco Moiocchi: «Durante le due ore che abbiamo a disposizione con loro giochiamo a basket o a calcio oppure facciamo atletica o il percorso vita. Gli incontri si tengono due volte a settimana e ci siamo coordinati fin dall’inizio con la direzione dell’istituto penitenziario, con gli agenti e i cappellani in modo da essere preparati a tutto tondo – ha continuato l’istruttore – si tratta di un’esperienza particolare perché le procedure per entrare in carcere sono rigide, giustamente. Pian piano, però, abbiamo preso familiarità con l’ambiente e con le persone che abbiamo incontrato: non sempre tutto è facile, ma lo sport insegna anche questo: a stare insieme, la disciplina e la condivisione o il cambiare la propria visione scoprendo anche cose nuove».




«Di tante cose, come diceva Mazzolari, mi sono stancato, ma mai di essere sacerdote». Il vescovo Scampa festeggia 50 anni di sacerdozio

Una vocazione religiosa nata da bambino, 50 anni di sacerdozio di cui oltre 40 trascorsi in missione in Brasile: in queste poche informazioni c’è tutta la vita, bella e feconda, del cremonese monsignor Carmelo Scampa, vescovo emerito di São Luís de Montes Belos, in Brasile. Domenica 27 giugno ricorre il 50esimo della sua ordinazione sacerdotale e gli abbiamo chiesto di raccontarci di sé, per conoscere meglio uno dei vescovi che la Diocesi di Cremona ha donato al mondo.

«La mia è una vocazione nata fin dalla tenera età: avevo 12 anni – era il 1956 – quando entrai in Seminario. Sono originario di Scandolara Ripa d’Oglio. All’epoca era abbastanza frequente entrare in Seminario presto: la mia parrocchia di origine, la mia famiglia e tutto il contesto che vivevo favorirono questa scelta. E devo dire – a distanza di cinquant’anni – che è stata la scelta giusta. La vivo ancora oggi con grande gioia e il Signore mi ha concesso una vita serena, non ho avuto scossoni riguardo la mia vocazione», racconta al telefono dal Brasile.

«Dopo qualche anno lasciai il seminario di Cremona per andare in quello di Verona, che era dedicato proprio all’America Latina. Fu lì che maturai la convinzione che era quella la strada a cui potevo essere chiamato».

Nel 1977, infatti, da pochi anni prete, parte alla volta del grande Paese sudamericano. «Erano gli anni del Concilio, la Chiesa insisteva molto sulla necessità di incontrare e aprirsi alle Chiese più lontane e bisognose. Così arrivai nella mia prima diocesi brasiliana, nell’Amazzonia del nord. Sono rimasto lì per 21 anni: una ricchezza umana incredibile».

Poi vennero altre diocesi, altre missioni, l’ultima a Saõ Luis de Montes Belos, dove monsignor Carmelo vive dal 1977 e che ha guidato come vescovo dal 2003 al 2020.

Gli domandiamo che cosa si porta a casa di tutti questi anni vissuti da prete, da vescovo e da missionario.

«Una grande gioia. Mai mi sono pentito di essere prete. Di tante cose, come diceva Mazzolari, mi sono stancato, ma mai di essere sacerdote. Quando un ideale fa parte della vita, nel senso più vero e profondo, la vita non è pesante. Certo l’esistenza di tutti noi è fatta di momenti alti e bassi, ma la gioia non mi ha mai abbandonato». E continua: «Un altro punto che mi ha segnato è il primato di Dio nella vita. Mi si è reso chiaro nella mia prima missione: mi trovavo in un ambiente isolato e abbandonato con situazioni disumane profonde, lì ho scoperto che o Dio c’è davvero e si va avanti con Lui o le cose prendono una brutta direzione. Diosi è reso visibile in una realtà umana ed ecclesiale tanto diversa da quella italiana e cremonese. Il mio sacerdozio è diventato reale».

Un’altra cosa che monsignor Scampa ci tiene a sottolineare è la «scuola permanente di vita che sono le persone più semplici e povere che ho incontrato in questi anni. Ho incontrato persone che hanno dato letteralmente la vita per i poveri – penso per esempio a padre Josimo Morais Tavares – che mi hanno fatto capire che con la vita, la vocazione e la Chiesa non si scherza e la Chiesa non può essere banalizzata. In questo mondo di cartapesta bisogna avere il coraggio di esporsi, di farsi prossimi per non essere solo “funzionari del sacro” ma autentici testimoni del Vangelo».

Ecco perché anche dopo la rinuncia alla guida della diocesi di Saõ Luis de Montes Belos, monsignor Scampa non ha smesso di essere accanto alla gente di quella Chiesa, aiutando in parrocchia (con momenti settimanali di studio biblico con i fedeli), servendo la Fazenda della Speranza (una casa di recupero per tossicodipendenti da lui voluta e fondata) o nel monastero di clausura.

Appena l’emergenza Covid lo consentirà, certamente sarà pensabile un breve passaggio in Italia. «Nel frattempo continuo la mia vita qui, grato per le tante Grazie che Dio mi ha concesso».




Al Grest “Alice on stage” … e il teatro si fa meraviglia

La Compagnia dei Piccoli e la Federazione Oratori Cremonesi, grazie alla disponibilità dell’unità pastorale Sant’Omobono, propongono a tutti gli oratori come ulteriore proposta durante il Grest, il progetto «Alice on stage». Si tratta di una narrazione teatrale della storia di Alice, rivisitata e ricca di animazione per i giovani spettatori. Il testo teatrale, elaborato da alcuni giovani delle scuole medie cremonesi, viene portato in scena dagli attori Mattia Cabrini e Eleonora Vincenti.

Racconta Cabrini: «Alice è una delle tante fiabe che ci racconta la voglia di evadere dalla realtà. Che questa fuga avvenga tramite la tana del coniglio o attraverso uno specchio poco importa, tanto come afferma il Cappellaio Matto “non si può scappare”. In questi ultimi mesi tutti, grandi e piccoli, abbiamo desiderato per qualche istante evadere dalla realtà ed è per questo che la vicenda di questa bambina ci riguarda. Alice ci mostra che occorre sempre attraversare la vita anche quando questa diventa assurda o senza senso. Lei si mette a giocare con essa, piange perché è troppo piccola di fronte al mondo e scoppia a ridere quando il mondo impazzisce. E cerca una strada per tornare al mondo reale, un po’ come tutti noi. Non a caso, senza svelare nulla, possiamo dire che Alice (interpretata dalla Vincenti) è una giovane annoiata che passa le giornate su youtube. Ma una serie di personaggi entra in scena come in un grande gioco per farle tornare la voglia di vivere e uscire con gli amici».

Ecco allora che il Cappellaio matto, lo Stregatto, il Brucaliffo o la Regina diventano occasione di cambiare lo sguardo.

«Il mondo dipende molto da come lo guardi. Così, attraverso gli altri, ci si può accorgere che può anche essere pieno di meraviglie. La storia che raccontiamo, del resto, vuole essere anche una riflessione sul tempo, ma questo si svelerà durante lo spettacolo», spiega ancora Cabrini.

La pièce, che ha debuttato giovedì scorso nell’oratorio della Cattedrale di Cremona, è richiestissimo: oltre 25 le repliche già fissate. Molte andranno in scena proprio nel teatro allestito all’interno dell’oratorio, altre invece saranno portate anche all’esterno. «Il teatro che abbiamo a disposizione conta 100 posti, ma lo riempiamo con 50, per via delle regole Covid. Poiché la diocesi è grande, in alcuni casi ci spostiamo in trasferta per poter raggiungere tutti», chiosa Cabrini.

I bambini saranno protagonisti in qualche modo dello spettacolo perché, nel rispetto delle norme vigenti, saranno coinvolti con giochi, danze e canti.

A ciascun oratorio è chiesto un contributo di partecipazione, una cifra simbolica grazie al sostegno della Federazione Oratori Cremonesi che si è resa partner di questo progetto teatrale.




Il vescovo al Santuario della Misericordia di Castelleone: con Maria andiamo verso gli altri con la «fretta dell’amore» (FOTO e VIDEO)

Questa mattina il vescovo Antonio Napolioni, ha presieduto la Messa nel Santuario della Madonna della Misericordia di Castelleone in occasione del 510° anniversario delle apparizioni della Vergine alla contadina Domenica Zanenga. Il Santuario, costruito tra il 1513 e il 1521, sorge infatti sul luogo delle quattro apparizioni avvenute nei giorni 11, 12, 13, e 14 maggio del 1511.

All’inizio della Messa, concelebrata dal vescovo emerito Dante Lafranconi, con il rettore del santuario e il parroco di Castelleone, don Giambattista Piacentini, il vicario don Matteo Alberti, il vicario episcopale per la pastorale ordinaria don Gianpaolo Maccagni, don Giovanni Sanfelici, don Paolo Tomasi e il diacono Angelo Papa il, il vescovo ha acceso un grande cero che il sindaco di Castelleone Pietro Enrico Fiori ha poi portato all’altare dedicato alla Vergine della Misericordia.

La fotogallery della celebrazione

«Insieme al vescovo Dante siamo qui con letizia, in questo santuario dedicato a Maria Madre della Misericordia per condividere con tutti voi il grazie a Maria, l’affidamento, la gioia della fede e l’intercessione per le pene e le speranze che riempiono il cuore di tante famiglie. Non abbiamo ancora potuto fare la solenne processione ma la chiesa non è vuota come lo scorso anno e questo è un segno che dei primi passi, accompagnati dalla Madonna, si stanno facendo», ha esordito monsignor Napolioni di fronte ai fedeli presenti.

Durante l’omelia, poi, ha ricordato che il sì di Maria nella Storia ha cambiato il corso della vita degli uomini di ogni tempo.

   

«Facciamo nostro questo grido di San Paolo ai fratelli della Chiesa di Efeso e della Chiesa di ogni tempo: Dio ricco di misericordia ci ha fatti rivivere con Cristo. Contempliamo il mistero, l’abisso di amore che Dio è. Dio ricco non vuol dire che la misericordia si monetizza: eterno è il suo amore per noi. Lui è tutto rivolto al nostro bisogno di misericordia e così ci ha donato il Figlio, lo Spirito, Maria, la Chiesa. Tutto questo per farci rivivere. Rivivere è una parola che ricorre spesso in questo periodo» – in cui si riprende un po’ di normalità. «Cos’è che ci fa rivivere davvero però?». Non solo gli aperitivi e le passeggiate. E bisogna prestare attenzione – spiega – perché «c’è un altro verbo meno bello e drammatico che sentiamo spesso ultimamente: il rimorire. Non solo che c’è chi muore ancora di covid, ma anche chi muore lungo le strade o a causa della violenza legata ai sentimenti. Anche nel mondo diversi conflitti tornano a riaccendersi. Qual è allora la ragione profonda della speranza che Maria ci indica, quella misericordia che cambia il cuore e rende tutto possibile?».

Per monsignor Napolioni il segreto di tutto è seguire i passi della Madonna. «Maria si mise in viaggio, ma non per frenesia, era la fretta dell’amore, del servizio, della carità. Maria sapeva che Elisabetta aveva bisogno di lei e doveva poi portarle una grande notizia. Il loro incontro è la gioia dei figli di Dio. Su cosa ricostruiamo dunque la nostra convivenza sociale e il futuro se non sulla gioia dello sperimentare che Dio è fedele e misericordioso e davvero disperde i superbi nei pensieri del loro cuore? Il Signore ci sta mostrando che sono gli ultimi e i piccoli che custodiscono il segreto della vita. Allora sì che un anziano che finalmente può rivedere i figli nella RSA può dire: “Mi sento rivivere”», ha proseguito il vescovo.

   

«Come accadde a Maria ed Elisabetta, anche oggi la società rivive se è gravida di desiderio di vita. Perché dei figli torneranno a nascere! Signore, Maria, fateci sussultare nel grembo come Elisabetta perché la vita di tutti, di ogni generazione che ha diritto di scoprire il tuo amore come forza per affrontare le sfide della storia, sia quella di chi vive come resuscitato perché sa che il Signore ci prende per mano, ci fa attraversare ogni deserto e ci forgia. Per la Grazia che porta frutto, come ha portato frutto in Maria e in chi a Lei ha affidato la vita guardando con speranza gli accadimenti della vita e il futuro che Dio ci prepara».

Al termine della celebrazione il parroco ha ringraziato tutti, ricordando che quella di oggi « non è solo festa di noi castelleonesi, ma di una intera comunità che si affida alla Madonna». Insieme al vescovo, poi, è stata recitata la preghiera devozionale alla Madonna della Misericordia ed è stato intonato il Regina Coeli.
«Verrà anche il sole», ha chiosato il vescovo, « ma intanto lo portiamo dentro. Basta una preghiera a Maria e questo calore non verrà mai meno».




Il Vescovo aprendo il mese di maggio al Santuario lauretano: «Lasciamoci cullare dalla Madre» (VIDEO e FOTO)

Nella serata di lunedì 3 maggio, a Cremona, dal Santuario lauretano presso la chiesa di Sant’Abbondio, il vescovo Antonio Napolioni ha inaugurato il mese di maggio, dedicato alla Madonna.

Photogallery della celebrazione

«Siamo nella parrocchia e nella chiesa di Sant’Abbondio che custodiscono l’immagine di Maria, patrona della nostra città. Non possiamo ancora dare corpo alla tradizionale e bella processione del mese di maggio, ma grazie alle nuove tecnologie possiamo comunque trasmettere questo momento e comunicare il bene. E Maria è la comunicazione del bene per eccellenza: la Madre della Chiesa, colei che rende le nostre case aperte alla speranza anche nei momenti difficili. Lasciamoci cullare dalla Madre, e ritroveremo la certezza di essere amati qualunque cosa accada». Sono state le parole del vescovo, trasmesse in diretta streaming sui sanali web della diocesi proprio per permettere a tutti di potersi unire spiritualmente a questo evento, visto che la partecipazione in presenza, per ragioni di spazio, è stata limitata ai fedeli della parrocchia.

Dopo la recita del Rosario, guidato dal parroco don Andrea Foglia e animato nel canto dal vicario don Francesco Gandioli, il Vescovo ha rivolto alcune parole ai fedeli presenti.

«Voglio condividere con voi due domande. La prima: per chi abbiamo pregato? Il Papa ci ha detto che in questo mese di maggio dobbiamo pregare perché il Signore ci aiuti a superare questa prova, perché termini la pandemia. E ha anche aggiunto la raccomandazione a dire un’Ave Maria in particolare per il Myanmar, perché cessino le violenze, perché sia ripristinata la democrazia, la libertà, i diritti fondamentali di ogni uomo. Siamo chiamati a pregare perché accada qualcosa nell’intreccio tra natura e storia, quella natura che abbiamo in amministrazione. Ma voi per chi avete pregato? Non vi ho proposto intenzioni prima di recitare il Rosario. Durante il Rosario capita di distrarsi, ma anche le distrazioni si inzuppano di preghiera».

Quindi la seconda domanda: «Chi ha pregato veramente questa stasera? Vi siete accorti che abbiamo ripetuto per cinquanta volte le parole dell’Ave Maria, dove non si chiede nulla. Si contempla Maria, si loda e poi le si chiede di pregare. È lei che prega per noi, adesso e nell’ora della nostra morte. Le abbiamo chiesto di avere cura di noi come Madre. E anche con le Litanie le chiediamo di pregare per noi, perché noi non sappiamo pregare. Ed è bene così, che il nostro sia come un balbettio di bambini in braccio alla mamma».

E ha proseguito: «Il Rosario aiuta una città intera, il mondo. E il mondo è come un bambino cullato, custodito e amato da una Madre che dice a noi di non temere, perché Dio ha in serbo anche per noi la pienezza della vita. Ecco perché il Rosario dà pace e riposo. Lasciamo a Dio di farci le sue sorprese, come le ha fatte a Maria e Giuseppe. La grande sorpresa di Dio è Gesù e allora chiediamo di poter incontrare Gesù. E che Lui, il Vivente, riempia i nostri occhi di consolazione e fiducia e che ciascuno di noi lo porti agli altri, senza giudizio ma con libertà».

Il Vescovo, infine, ha ricordato come Maria sia davvero la speranza di tutti, custode fedele delle famiglie. Famiglie che possano diventare piccole chiese domestiche. A Lei ha affidato i bambini, i giovani, gli anziani, i malati e le persone in difficoltà per il lavoro.

Dopo la recita delle litanie monsignor Napolioni si è portato all’interno della Santa Casa per l’invocazione a Maria.

Un gesto di affidamento caro all’intera comunità cittadina, rappresentata dal sindaco Gianluca Galimberti in fascia tricolore, in prima fila non lontano da mons. Giuseppe Soldi, canonico della Cattedrale e a lungo parroco di Sant’Abbandio e profondamente legato alla devozione di questo luogo.

 

Il Santuario Lauretano di Cremona

Il Santuario venne eretto per volontà del Conte Giovanni Pietro Ala nel 1624. Rappresenta la copia perfetta della Santa Casa di Loreto. Al suo interno vi è una statua della Madonna Nera che è oggetto di venerazione: venne solennemente trasportata dalla Cattedrale nel 1625, dopo che la Vergine Lauretana era stata proclamata protettrice di Cremona. Quando la città fu colpita dal flagello della peste, si rivolse a proprio alla Madonna Lauretana. Il complesso di Sant’Abbondio è uno dei gioielli nascosti della Diocesi ed è di antiche origini: probabilmente appartenuto ai Benedettini, nel 1200 passò agli Umiliati, poi ai Teatini e, infine, fu trasformato in parrocchia nel 1804. L’interno della chiesa accoglie gli interventi pittorici cinquecenteschi di grandi artisti come O. Samacchini, il Malosso e G. Campi. Nel Museo Lauretano si trovano l’antica raccolta di ex voto, straordinari dipinti come la bembesca Madonna adorante il Bambino, e il registro con la data di battesimo del grande musicista Claudio Monteverdi.




Giornata per le vocazioni: il materiale in vista della ricorrenza del 25 aprile

Domenica 25 aprile si celebra la 58a Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni, dal titolo “La santificazione è un cammino comunitario da fare a due a due” (espressione di Papa Francesco, contenuta nell’esortazione apostolica Gaudete et exsultate). In occasione della Giornata – oltre a presentare il materiale predisposto dal Centro nazionale vocazioni – il centro diocesano vocazioni di Cremona propone quattro schede (per le elementari, le medie, le superiori ed i giovani) tendenzialmente fruibili sia a livello individuale, sia per una riflessione comunitaria disponibili online.

 

A raccontare l’impegno in campo vocazionale della Diocesi di Cremona è don Davide Schiavon, incaricato diocesano per la pastorale vocazionale.

«Il Papa nel suo messaggio – afferma don Schiavon – ha preso come modello la figura di san Giuseppe,  “custode della vocazione”, delineandone la figura a partire da tre dimensioni: il sogno (le decisioni più importanti della sua missione derivarono da sogni ispirati da Dio); il servizio; la fedeltà. Il nostro compito è proprio quello di un accompagnamento silenzioso, discreto, umile ma senza interruzioni». E continua: «Non abbiamo mai smesso di essere vicini ai giovani, perché il cammino vocazionale non è fatto di infatuazioni, ma richiede un lavoro tenace e costante. Le passioni – spiega – le fa scoccare Dio, a noi spetta preparare il terreno e facilitare un’accoglienza. Le grandi chiamate ci sono (pensiamo a san Paolo o a San Francesco), ma attecchiscono dove il cuore è pronto a dire sì. Così nei mesi e negli anni, siamo accanto ai ragazzi in questo lavoro paziente di aiuto a “sintonizzarsi”. Non proponiamo loro scelte, ma un cammino. Ci rivolgiamo a maschi e femmine, offrendo loro testimonianze di vita consacrata, matrimoniale e un dialogo costante per nutrire la fede».

Il lavoro, mai interrotto, proseguirà anche nei prossimi mesi. «Agli adolescenti, prima della pandemia, proponevamo l’esperienza del  “Pozzo di Giacobbe”: settimane corte mensili di convivenza di stampo vocazionale. Quest’anno non abbiamo potuto, ma ci siamo tenuti in contatto raccontandoci esperienze, testimonianze, difficoltà. Abbiamo mantenuto vivo il dialogo e adesso stiamo pensando a un incontro in presenza.  Per i giovani, invece, abbiamo fatto dei collegamenti online con coloro che avevano già aderito al “Gruppo Samuele” (un’esperienza nata per volontà del cardinal Martini a Milano e alla quale ci siamo ispirati)».

Racconta don Davide che questi momenti sono stati occasione di un confronto serrato, tra chi ha ammesso di essere stato spiazzato dalla pandemia perché la sua vita prima si basava solo sulle tante attività o le cose da fare, e chi invece ha scoperto che anche il lockdown poteva essere un’opportunità per riscoprire la preghiera, un ritmo diverso e più umano del vivere.

A tutti i ragazzi è stato messo a disposizione come contributo digitale un’ intervista a Claudia Ciotti, psicologa e direttrice dell’Ufficio Diocesano Vocazioni di Milano (Leggi qui e guarda il video).

«In questi anni il nostro Centro diocesano per le vocazioni ha subito un’evoluzione – chiosa don Schiavon –. Se prima davamo un supporto alle parrocchie che richiedevano il nostro aiuto (la premessa è che la pastorale vocazionale si fa nel territorio, in oratorio, in parrocchia, a catechismo…), successivamente ci siamo messi alla scuola di diocesi come quella di Milano o Como che da anni accompagnavano già i giovani in maniera strutturata. Non abbiamo inventato nulla, ma ci siamo resi disponibili ad accompagnare con modalità nuove la maturazione delle vocazioni, senza forzare nessuno a scegliere per una cosa o per l’altra. Non facciamo proposte esplicite, se non quella di verificare nella propria vita (nello studio, nel lavoro, in famiglia, nella preghiera) la potenza del dire di sì a un Dio che non tradisce».