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Domenica nella chiesa dei Ss. Marcellino e Pietro convegno pubblico per porre l’attenzione su un patrimonio da valorizzare

Si accendono i riflettori a Cremona sulla chiesa dei Ss. Marcellino e Pietro domenica 22 ottobre alle 17 con il convegno Prospettive per un patrimonio “in attesa”. Si tratta di un’occasione importante per discutere di «un patrimonio immenso che da tempo aspetta di essere ripensato e valorizzato», commenta don Gianluca Gaiardi, incaricato diocesano per i Beni culturali ecclesiastici.

Un patrimonio che è legato alla parrocchia di Sant’Agostino (facente parte dell’unità pastorale Cittanova che unisce anche Sant’Agata e Sant’Ilario) ma che è un bene diocesano e cittadino da ripensare, oltre che sistemare e restaurare. Per questo «la Diocesi – spiega don Gaiardi – ha organizzato questo incontro presso la chiesa stessa, in via Ponchielli 5, in accordo con il Comune, il Politecnico, la Soprintendenza, Fondazione Comunitaria della Provincia di Cremona e con l’apporto di architetti e studiosi per illustrare i risultati del lavoro di diagnostica effettuato». Su questa chiesa, infatti, da circa tre anni hanno lavorato studenti e professori del Politecnico per mettere a punto un rilievo completo storico, materico, diagnostico… al fine poi di progettare una sua futura destinazione.

«Al momento la Parrocchia di Sant’Agostino e la Diocesi – aggiunge don Gaiardi – da sole non possono farsi carico di questa struttura dall’enorme valore». Per tanti San Marcellino (così viene comunemente chiamata) è un luogo di concerti importanti, per qualcuno ha un valore cultuale (in particolare viene frequentata la cappella dedicata alla Madonna) per altri ha un valore anche affettivo, visto che custodisce la tomba della fondatrice dell’Istituto della Beata Vergine. Nel complesso, però, la struttura va ripensata, così come la sua destinazione.

Il Convegno vuole proprio fornire gli elementi necessari per una riflessione che nel tempo potrà farsi progettazione condivisa di una serie di interventi necessari e quindi di ripensamento della struttura.

Per l’occasione interverrà il sindaco di Cremona, Gianluca Galimberti, il Soprintendente per le province di Cremona, Mantova e Lodi, Gabriele Barucca, mentre presenterà la ricerca complessa il professore del Politecnico Angelo Giuseppe Landi. Il dibattito e la tavola rotonda a seguire saranno anche arricchiti dal contributo di don Umberto Bordoni, della Scuola Beato Angelico di Milano, e dell’architetto Giorgio Della Longa. «Don Bordoni – completa Gaiairdi – è un esperto in tema di “riuso” delle chiese in una direzione di promozione culturale». Della Longa è altrettanto sensibile al tema avendo messo mano alla chiesa di San Francesco a Parma, trasformata con il tempo in un carcere e ora restituita ai francescani per farne una cappella per gli universitari.

Il convegno avrà luogo dunque all’interno di una chiesa che è un esempio straordinario a Cremona di tardo rinascimento e barocco romano, facente parte del Collegio e del Convento dei Gesuiti e che attende una progettazione seria sul suo utilizzo e sulla valorizzazione dei beni che custodisce (firmati da Genovesino, Bertesi, Massarotti…per citarne qualcuno). Una occasione per iniziare a dare qualche risposta, partendo da una ricognizione completa illustrata alla cittadinanza.




Don Valerio Lazzari e don Giuseppe Valerio diaconi «nella vigna del Signore»

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Hanno pronunciato il loro «eccomi», nella serata di domenica 1° ottobre in Cattedrale, diventando così diaconi Valerio Lazzari, 28enne di Vicomoscano, e Giuseppe Valerio, 30enne di Spinadesco. Intorno a loro un’assemblea «di comunione missionaria» – come l’ha definita il vescovo Antonio Napolioni – che «sta vivendo giorni di grazia» dopo l’intervento del cardinale Matteo Zuppi, presidente della Cei, il 29 settembre e il convegno diocesano il 30 settembre.

Tanti i fedeli delle comunità di provenienza o di quelle nelle quali hanno prestato servizio in questi anni formazione i due giovani, stretti intono a un presbiterio pieno di sacerdoti e seminaristi per una celebrazione in cui emozione, amicizia, fede e preghiera si sono fuse insieme.

La loro vocazione è stata confermata dalla Chiesa durante il rito di ordinazione iniziato dopo la proclamazione del Vangelo con la presentazione dei candidati e la loro “elezione”.

«A questi figli – ha detto il vescovo commentando il Vangelo – ripeto oggi andate a lavorare nella vigna del Signore». Mandato che segue «un cammino di discernimento condiviso con le famiglie, gli amici, le parrocchie dove siete stati, le comunità da dove venite e la comunità del Seminario». Come a dire che la scelta del diaconato è personale, ma nella Chiesa nessuno è solo. Tanto più che il diaconato è «un atto adulto di volontà – ha spiegato Napolioni – reso possibile dalla volontà misteriosa di Dio». Dunque un «sì» a Dio, che sorregge questa scelta, e alla Chiesa. «In un tempo in cui il “per sempre” non va più di moda», ha aggiunto il Vescovo. Una scelta, quella del diaconato, di servizio che è «abbandono alla volontà di Dio anche quando ci sarà il limite e la fatica», guardando sempre a Dio sulla scorta delle parole di san Paolo: «Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù».

Dopo l’omelia i due seminaristi sono stati interrogati circa gli impegni propri dell’ordine diaconale. È seguito il canto delle litanie dei santi da parte del coro della Cattedrale mentre i due giovani era prostrati a terra in umile silenziosa preghiera. Poi la parte centrale del rito con l’imposizione delle mani da parte del Vescovo e la preghiera di ordinazione.

Quindi la liturgia è continuata con i riti esplicativi: in primis la vestizione dell’abito proprio, stola e dalmatica, poi la consegna del libro dei Vangeli, momento nel quale si è chiesto ai due giovani di «vivere ciò che ricevono», la Parola. A conclusione di questo momento forte è arrivato l’ultimo dei riti: l’abbraccio di pace con il vescovo Antonio e l’emerito Dante Lafranconi e i diaconi permanenti presenti.

La Messa quindi è proseguita nel raccoglimento con i due diaconi che hanno servito all’altare e si è conclusa con il «Buon cammino» augurato dal vescovo Napolioni ai due diaconi, ma anche all’intera comunità.

Nei prossimi mesi, in attesa dell’ordinazione sacerdotale, i due ordinati concluderanno gli studi teologici svolgendo il proprio ministero da diaconi a servizio della Chiesa locale: don Valerio Lazzari collaborando con la Pastorale vocazionale e insegnando al liceo Vida di Cremona; don Giuseppe Valerio presso l’unità pastorale di Drizzona-Piadena-Vho.

 

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Biografia degli ordinandi

Valerio Lazzari, classe 1995, originario della parrocchia di Vicomoscano è entrato in Seminario dopo il diploma da Tecnico agrario e tre anni di attività professionale. Durante gli anni di formazione in Seminario ha prestato servizio presso le comunità di Soresina, Piadena e Cavatigozzi. Nell’anno del diaconato collaborerà con la Pastorale vocazionale e insegnerà al liceo Vida di Cremona.

Giuseppe Valerio, classe 1993, originario della parrocchia di Spinadesco, è entrato in Seminario dopo alcune esperienze lavorarative seguite al diploma in Cucina professionale. Negli anni di studio in Seminario ha prestato servizio presso le comunità della Beata Vergine di Caravaggio (Cremona), a Calvatone-Romprezzagno-Tornata, Arzago d’Adda e nell’unità pastorale “Cafarnao” di Vescovato. Come diacono sarà a servizio dell’unità pastorale di Drizzona-Piadena-Vho.

 




Assemblea ecclesiale di inizio anno pastorale in Cattedrale, il cardinal Zuppi: «Camminiamo insieme»

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«Come Chiesa camminiamo insieme, pensiamo insieme, nella comunione. Perché non c’è Chiesa senza comunione e non c’è comunione senza l’altro». Le parole del cardinal Matteo Maria Zuppi, presidente della Conferenza episcopale italiana, nella serata di venerdì 29 settembre nella Cattedrale di Cremona hanno tracciato la strada all’anno pastorale che si apre per la Diocesi di Cremona.

L’occasione è stata, in un Duomo gremito e partecipe, l’assemblea ecclesiale del 29 settembre, che ha fatto seguito al pellegrinaggio diocesano al Santuario di Caravaggio di domenica 24 settembre (leggi qui) e cui seguiranno il convegno diocesano di sabato 30 settembre in Seminario e le ordinazioni diaconali nella serata di domenica 1° ottobre in Cattedrale (per saperne di più cliccare qui). Quattro occasioni di particolare significato ad apertura del anno pastorale, sul tema “Una vita che accende” (leggi qui). Occasioni di Chiesa che intendono offrire uno slancio rinnovato per l’intera comunità nel segno di un’esperienza di comunione cui il Sinodo ha abituato. 

Ad accogliere il cardinal Zuppi è stato il vescovo Antonio Napolioni con il vescovo emerito Dante Lafranconi e un’assemblea numerosa e attenta, fatta di sacerdoti e religiosi inseme a tanti laici, in rappresentanza delle diverse componenti ecclesiali, rappresentando parrocchie e associazioni. Presenti anche le più alte rappresentanze istituzionali civili e militari del territorio.

È stata un’esperienza di Chiesa unita, in preghiera per disegnare le strade del proprio futuro. «Una Chiesa viva, in ricerca, umile e appassionata», come ha detto Napolioni, una comunità che ha saputo leggere il Vangelo di Emmaus guardando all’oggi.

L’attore cremonese Mattia Cabrini nel monologo introduttivo alla serata (che ha preceduto la lettura del brano evangelico di Luca dei discepoli di Emmaus e la prolusione del cardinal Zuppi) ha indossato i panni di uno dei discepoli e si è trovato nello smarrimento di ieri che è quello di oggi: si sono spenti i riflettori, i numeri dei discepoli calano, Cristo pare non vedersi più e i problemi si moltiplicano: diventando crisi climatica, economica, dei migranti che muoiono in mare, educativa. «Ho bisogno di credere», ripete il discepolo nella speranza e luce.

L’intervento del cardianal Zuppi ha segnato un punto di partenza chiaro e netto: «Nostro Signore è entrato nella storia, nella quale siamo immersi» e dalla storia, dalla storia di ciascuno, provata da difficoltà e «tristezze che spengono le passioni», la Chiesa deve ripartire per fare nuova la realtà. Non basta però ripartire insieme, bisogna «saper camminare insieme, pensare insieme», punto sul quale il cardinale ha insistito all’inizio di un anno sinodale durante il quale una delle parole chiave è «discernimento». Perché davvero «quello che viviamo sia nostro – ha proseguito il cardinale – bisogna fare la fatica di trovare delle risposte insieme, ascoltando il Signore e coloro che hai davanti».

Dunque discernimento, ma insieme, partendo dal presupposto che «la chiamata è personale, ma tutti siamo mandati». E se «qualcuno è lontano è per colpa nostra, diceva don Primo Mazzolari», ha aggiunto Zuppi. Sì perché la Chiesa disegnata in questa prolusione è una Chiesa in uscita, «che non è la mania del momento». La Chiesa – ha spiegato Zuppi – è sempre stata missionaria e aperta a tutti. Sulla scorta di don Mazzolari, il parroco di Bozzolo, ha poi ricordato che «quelli che sono lontani lo sono per colpa nostra. Sembrano più distanti ma, diceva il prete di Bozzolo, hanno una domanda di amore che noi non abbiamo». Nel discorso il riferimento a don Primo e I Lontani, «testo che non abbiamo ancora capito, nonostante i lontani siano aumentati»: ne abbiamo oggi i volti più diversi. I volti dei migranti, i volti dei giovani persi in mondi digitali inesistenti e inconsistenti, i volti degli adulti che si rifugiano in dipendenze per evitare di affrontare il reale, i volti delle persone sole ai margini di un mondo segnato dal successo e dall’individualismo. E intanto i problemi si moltiplicano.

 

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Le difficoltà dei discepoli di Emmaus, rimasti subissati dai dubbi dopo la scomparsa di Gesù, oggi sono le molteplici crisi che attanagliano i contemporanei. Crisi citate nel monologo in cui Mattia Cabrini ha dato voce a un discepolo di Emmaus. Si tratta di guerre, flussi di disperati che trovano la morte nel mare, questioni economiche e finanziarie, problemi e catastrofi che attanagliano il pianeta e l’ambiente, sino ad arrivare anche alle visioni parziali di Chiesa (preghiera o servizio? regole o spirito? amore o verità?). Tutti lati di una stessa complessa realtà da dipanare con uno sguardo diverso, più alto. Questioni enormi tanto più difficili da affrontare quando «il successo» viene meno, si spengono i riflettori e il numero di coloro che seguono il Vangelo scende vertiginosamente.

Da questo impasse il cardinale ha suggerito di uscire guardando ai discepoli di Emmaus, nei cui cuori «ardeva la speranza». Fermarsi ad Emmaus non paga, rinchiudersi ad Emmaus non paga. Il cardinal Zuppi ha suggerito la strada del «passaggio dall’io al noi», quella dell’amore che supera la tentazione delle chiusure. «La Chiesa è una minoranza creativa, generativa, che guarda tutti, non ha confini, è come un seme o il lievito». E di nuovo questo «tutti» torna nelle parole di Zuppi prendendo forza da quelle pronunciate da Papa Francesco a Lisbona davanti a una distesa di giovani. «La Chiesa è di tutti, nel senso che è la casa dove i figli e i fratelli sono tutti accolti, non giudicati». Non si tratta di buonismo, ma di mettere in campo un amore «attraverso cui il fratello capirà». E subito la mente corre alla parabola del Figliol Prodigo, dove un padre generoso accoglie e «dona anche un anello», restituisce fiducia a chi lo ha lasciato e dimenticato, abbraccia senza condizioni. Così la Chiesa per Zuppi ha le braccia aperte, tese «in un abbraccio magari immeritato», ma che rigenera.

 

Alcuni dei passaggi più significativi della prolusione del cardinal Zuppi 

 

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Le piste di lavoro tracciate nella prolusione sono state tante e tra queste anche la capacità di «aprire la casa e il cuore», che vuol dire mettere in campo una generosità che sa riparare le ferite, sa accogliere «la ricchezza delle diversità», sa «parlare la lingua dell’Amore» attraverso la quale ci si capisce tutti. I problemi ci sono, anche nella Chiesa, e il cardinale non li nega, anche quelli di ogni diocesi: la diminuzione dei sacerdoti, gli accorpamenti delle parrocchie. Ma l’atteggiamento consigliato dal presidente della Cei è di trasformare le situazioni nuove in «opportunità» assumendo lo sguardo di Cristo verso le folle, uno sguardo «di compassione», non di giudizio, ricordando che «tutti abbiamo bisogno di credere», come recitava in un mondo diverso anche il monologo. «Tutti – come scriveva don Primo Mazzolari – abbiamo bisogno di un Amico, che non viene meno, che non tradisce, che non vende, che misura la fatica del vivere, che capisce il dolore dell’uomo, che dà una speranza eterna».

Dopo la prolusione del cardinale e le invocazioni alla Spirito, richiamando il tema dell’anno pastorale – Una vita che accende – ai vicari zonali e alle parrocchie è stata consegnata una lampada, «una lanterna da cercatori di uomini», come ha spiegato il vescovo Napolioni, per uscire in piazza, tutti dalla stessa porta, per illuminare le strade, anche con gesti concreti.

E per questo sono state raccolte le offerte per sostenere un Tir di generi di prima necessità che partirà da Cremona per l’Ucraina attraverso l’impegno di pace e solidarietà della Sant’Egidio. Il cardinale Matteo Maria Zuppi dallo scorso maggio è stato incaricato da Papa Francesco per la missione di diplomazia umanitaria della Santa Sede nel dialogo sulle grandi crisi internazionali che lo ha visto incontrare negli ultimi mesi i vertici dei governi di Russia, Ucraina, Stati Uniti e Cina. 

 

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Assemblea ecclesiale di inizio anno pastorale in Cattedrale, il cardinal Zuppi: «Camminiamo insieme»

Inizia nella «casa di Mamma» il cammino della Chiesa cremonese nel nuovo anno pastorale con Maria

«Una vita che accende», il vescovo Napolioni presenta le Linee pastorali diocesane e il calendario il 2023-24

Domenica sera in Cattedrale l’ordinazione diaconale dei seminaristi Valerio Lazzari e Giuseppe Valerio




Sant’Antonio Maria Zaccaria, a San Luca festa per il 125° della canonizzazione con il cardinal Bagnasco

«A distanza di cinque secoli la figura e il carisma di sant’Antonio Maria Zaccaria è di estrema attualità». Si è espresso così nell’omelia il cardinal Angelo Bagnasco, vescovo emerito di Genova e presidente della Conferenza Episcopale italiana dal 2007 al 2020, che nel pomeriggio di mercoledì 5 luglio ha presieduto la celebrazione eucaristica in San Luca, a Cremona, a conclusione delle iniziative per il 125°anno dalla canonizzazione del fondatore dei Barnabiti (Chierici regolari di san Paolo). Sant’Antonio Maria Zaccaria, proclamato dal vescovo Cazzani nel 1917 patrono secondario della Diocesi di Cremona, delle associazioni cattoliche e del clero, è un santo che sa ancora interpellare anche se «può apparire paradossale in un tempo, il nostro – ha detto il cardinale – lanciato nelle vie del progresso scientifico, dello sviluppo, della cultura globale».

E che fosse un santo attuale lo ha dimostrato la partecipazione della gente a San Luca per una celebrazione dove la Diocesi era rappresentata dal vicario generale don Masimo Calvi insieme a don Irvano Maglia parroco dell’unità pastorale Cittanova, alla presenza anche dei rappresentanti dei vari istituti religiosi di Cremona: Camiliani, Cappuccini e naturalmente Barnabiti.

Ad accompagnare la preghiera, condivisa con autorità militari e civili, il Coro polifonico cremonese, guidato dal maestro Federico Mantovani, che ha anche intonato l’inno di Caudana a sant’Antonio Maria Zaccaria.

La presenza di Bagnasco è stata dovuta non solo ai legami con Cremona dovuti ai nonni materni, ma anche a un particolare legame «per stima e per ricordi scolastici» con i Barnabiti e con il rettore di San Luca, padre Emiliano Redaelli, che ha introdotto la celebrazione con un saluto.

 

Il saluto di padre Emiliano Redaelli

 

L’ingresso solenne, accompagnato dalle litanie dedicate al fondatore dei Barnabiti, ha visto i celebranti sostare davanti all’altare dedicato al santo per poi iniziare la celebrazione.

Nell’omelia, Bagnasco ha messo in guardia dalla fiducia cieca nel progresso se questo non è ancorato alla Verità. Il rischio è quello di «un pensiero unico», centrato sull’uomo mentre, sulla scorta di san Paolo, ha ricordato che «il criterio, il centro va spostato su Cristo, sapienza di Dio».  Al pensiero unico, dominante nel mondo moderno, va contrapposto «il pensiero critico», quello che sa riconoscere una Verità unica sostenuta dalla fede «non fondata sulla sapienza umana». L’invito è stato quello di «dire il vero», testimoniare la Verità senza pensare che così facendo si compia un «atto di arroganza o di presunzione». Inevitabile un richiamo alla vocazione educativa dei Barnabiti, ma in fondo di ogni cristiano adulto. «L’educazione – ha detto il cardinale – è un atto di amore, è insegnare a non avere paura della vita che si apre, è chiamare le cose con il loro nome, avere fiducia in se stessi perché Gesù ha fiducia in noi”. Un compito urgente, visti i tempi complessi per cui ciascuno dovrebbe “sacrificarsi perché i giovani siano veramente liberi».

 

L’omelia del card. Angelo Bagnasco

 

Al termine della messa è stata impartita la benedizione solenne che ha suggellato le celebrazioni in onore del presbitero cremonese sant’Antonio Maria Zaccaria, morto proprio in città il 5 luglio del 1539.

Dal 6 luglio a San Luca entrerà in vigore l’orario estivo delle celebrazioni: le Messe feriali alle 8 e alle 18; le festive alle 8, 11 e 21.

 

 

Sant’Antonio Maria Zaccaria

Nasce a Cremona nel 1502, da nobile famiglia, all’epoca del vivace movimento di riforma cattolica che precedette il Concilio di Trento. Rimasto orfano di padre a pochi mesi di vita, ebbe dalla giovanissima madre una prima educazione tenerissima all’amore dei poveri.

Portò a compimento gli studi di medicina all’Università di Padova e, rientrato a Cremona, piuttosto che alla professione medica si dedicò alla cura gratuita dei poveri e alla catechesi. Dal suo direttore spirituale, un domenicano, fu guidato al sacerdozio. Ordinato prete nel 1528, profondamente convinto della centralità dell’Eucaristia e della Parola di Dio per ridare vigore al popolo di Dio, si dedicò a formare gruppi di laici appassionati alla riforma dei costumi morali dei cristiani.

Seguì a Milano, come cappellano, la contessa di Guastalla Ludovica Torelli, con cui condivideva profondamente le aspirazioni al rinnovamento del laicato cristiano. Qui, iscrittosi all’antica confraternita dell’Oratorio dell’Eterna Sapienza, fondato da mons. Giovanni Antonio Bellotti, ne divenne il capo spirituale e, sotto la sua spinta, l’Istituto germinò tre nuove famiglie religiose, ispirate alla figura di san Paolo: i Barnabiti (o Chierici Regolari “di S. Paolo decollato”), le Angeliche (“di san Paolo converso”) e i “Maritati devoti di S. Paolo”. Con i membri di questi ordini religiosi animò una rinascita spirituale nel popolo milanese, nonostante l’iniziale avversione del clero locale che lo denunciò presso la Curia romana. Da queste accuse fu pienamente scagionato (anche per l’appoggio di san Carlo Borromeo) e continuò la sua opera di riforma spirituale, a tutti i livelli della Chiesa ambrosiana.

Particolare cura dedicò alla costituzione delle Angeliche, primo esempio di ordine religioso femminile non vincolato alla clausura, dedito principalmente all’educazione religiosa del popolo. In missione pacificatrice a Guastalla, colpita da interdetto pontificio, esaurì le sue già molto provate risorse vitali e fu trasportato morente a Cremona, ove concluse la sua vicenda terrena, il 5 luglio 1539. Venne sepolto a Milano. Di lui rimangono dodici lettere, sei sermoni e le Costituzioni, a documentare il suo animo di riformatore, ispirato ai fondamentali valori evangelici, appassionato custode della figura di san Paolo e del culto eucaristico. Una sua incisiva massima è: “È proprio dei grandi cuori mettersi al servizio degli altri senza ricompensa”.




Corpus Domini, il Pane del Cielo in cammino tra le case

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«La fede ci fa riconoscere il Pane dal Cielo come una chiamata ad ascoltare la voce dello Spirito, non a mormorare». L’invito del vescovo Napolioni ai fedeli della città di Cremona, riuniti in cattedrale nella serata di giovedì 8 giugno per la solennità del Corpus domini, è risuonato come una missione. «Se la storia umana ci propone tempi difficili – ha detto il presule – il Signore, per vincere le nostre mormorazioni, ci dona il pane disceso dal cielo». Un Pane che si fa carne in Cristo e invita ciascuno a testimoniare la sua presenza per le strade del mondo. Il miracolo «che non sempre riusciamo a raccontare» si rinnova oggi come fu per il popolo di Israele che mormorava, si lamentava nel deserto; come fu anche per i giudei che davanti al Pane (Cristo) mormoravano e lo definivano «figlio di un falegname».

La riflessione del vescovo è risuonata in una cattedrale che si è lentamente riempita durante la celebrazione dell’Eucaristia e che poi ha preso la forma di una processione lungo le strade della città, dopo la Comunione e un tempo di adorazione. Dalla Messa alla missione tra le case della città «camminando insieme – ha detto il vescovo – come Chiesa sinodale».

 

L’omelia del vescovo Napolioni

 

Prima la Croce, poi i fedeli, i religiosi, i ministranti, i sacerdoti concelebranti, quindi il baldacchino con il vescovo, accompagnato dall’emerito Dante Lafranconi con tra le mani l’ostensorio per il Santissimo Sacramento. Infine il sindaco Gianluca Galimberti e il gonfalone della città.

Un corteo assorto in preghiera che ha attraversato prima la navata centrale della cattedrale illuminata a festa e risplendente di affreschi per poi scendere in piazza e quindi, con i passi scanditi dai canti e dalla preghiera silenziosa, in mezzo alle abitazioni di una città chiamata a porre lo sguardo su quel pane disceso dal cielo.

La preghiera, accompagnata dalla voce del coro della cattedrale diretto da don Graziano Ghisolfi, ha segnato il tempo della testimonianza lungo le vie del centro cittadino passando da largo Boccaccino, via Mercatello, corso Mazzini, piazza Roma per poi ripiegare su Piazza Stradivari e rientrare per via Baldesio in piazza e quindi di nuovo in duomo dove la celebrazione si è conclusa con la solenne benedizione.




Spazi della storia in dialogo con l’arte contemporanea

 

Se un museo è «un racconto del territorio, della sua arte, della sua fede e della sua cultura» – come lo definisce don Gianluca Gaiardi, responsabile dei Beni culturali della diocesi di Cremona – anche il polo museale della diocesi non poteva che accettare la sfida di Cremona Contemporanea, Art Week una rassegna diffusa, voluta dal Comune e sostenuta da tante realtà locali, che gioca sulla contaminazione, o meglio, che mette in dialogo l’antico e il nuovo. Si tratta di una prima edizione di un evento che porta tra le mura di antiche dimore, nelle stanze delle gallerie d’arte, nei teatri, nei parchi, in palazzo comunale ma anche in Battistero e nel Museo diocesano, 70 opere firmate da 21 artisti di grido. Un nome per tutti: Maurizio Cattelan presente con l’installazione Ego sospesa al centro della cupola del Battistero. Una scelta coraggiosa quella di ospitare uno degli artisti più apprezzati e controversi nel mondo dell’arte. Le sue installazioni interrogano, fanno discutere, richiamano l’attenzione. E non sarà da meno Ego, per la prima volta esposta in Italia, una riflessione sul tema del male e del peccato. Un coccodrillo reale, appeso per il collo. Un animale dai tanti significati simbolici, un rimando forse alla morte dell’ego, quando osa troppo, in uno spazio segnato dall’acqua della vita come il Battistero. «Un’installazione che fa pensare e che nasconde anche richiami alla storia del 1900 – commenta Stefano Macconi, curatore del Museo diocesano – quando l’ego ha segnato il mondo con tragici eventi».

Comunque un’opera che si fa sperimentazione o generazione di una nuova arte che ha come sfondi spazi dal sapore antico. «Ammetto che non è stata una scelta così scontata – ha dichiarato don Gaiardi in un’ampia intervista al mensile diocesano Riflessi Magazine -. Ma necessaria per non rischiare di chiudersi nei nostri recinti sicuri, dove stiamo comodi tra noi, ma senza veramente aprirci al dialogo».

E su questo tema del dialogo è intervenuto anche il vicesindaco Andrea Virgilio alla conferenza stampa di presentazione dell’evento venerdì 26 presso palazzo Vidoni: «L’arte contemporanea ci aiuta a spezzare i perimetri», ad andare oltre. È certamente «un fine, perché ne godiamo – ha detto – ma è anche uno strumento per conoscere il patrimonio che custodiamo e per avvicinarlo all’oggi».

Ed è con il medesimo obiettivo che anche lo scalone e alcuni spazi del Museo diocesano si è prestato ad ospitare le opere (installazioni e video) firmate da Nicole Colombo e Silvia Giambrone, giovani artiste del panorama contemporaneo. «Ospitare vuol dire – commenta Gaiardi – prendersi cura». Prendersi cura della cultura per diffonderne il messaggio universale.

Ingressi gratis fino a domenica

In occasione di Cremona Contemporanea, Art Week (27 maggio – 4 giugno), che offre un percorso d’arte diffuso per la città con 15 luoghi da visitare, il Battistero aprirà le sue porte gratuitamente al pubblico (dalle 10 alle 13 e dalle 14.30 alle 18). Allo stesso modo anche il Museo diocesano, negli stessi orari, sarà fruibile gratuitamente tutti i giorni, compreso il lunedì. Per l’occasione sarà dunque possibile non solo ammirare le installazioni di arte contemporanea di Maurizio Cattelan in Battistero e di Nicole Colombo e Silvia Giambrone al Museo, ma anche la collezione del Museo con oltre 120 opere che compongono il percorso espositivo suddivise in 12 sale, organizzate secondo un percorso non cronologico ma tematico. Si tratta di un patrimonio di cultura e fede arricchito da 25 opere di proprietà della fondazione Arvedi Buschini.




Il Vescovo ai cresimati: «Siete il tesoro che la Chiesa custodisce»

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«Voi siete perle, piccoli granelli di sabbia che si stanno trasformando in perle. Siete il tesoro che la Chiesa, la Cattedrale custodisce». Si è rivolto con queste parole il vescovo Antonio Napolioni ai cresimandi e cresimati della diocesi nel pomeriggio di domenica 21 maggio riuniti in Duomo, e poi nella piazza, per una domenica sera di preghiera e festa dando in questo modo «voce alla gioia». Una gioia che ha invaso quello scrigno di storia e fede che è la Cattedrale, rendendolo «vibrante» come ha aggiunto il vescovo. Una folla di giovanissimi capace di ascolto e silenzi in chiesa e di vivacità e sogni sul futuro in piazza.

La scelta di abitare per questo appuntamento la Cattedrale e poi la piazza non è stata un caso. «Oltre ad essere due luoghi splendidi esteticamente – ha commentato don Francesco Fontana, incaricato diocesano per la Pastorale giovanile – sono due luoghi di impegno e vita, luoghi per la vita dei ragazzi per mettere a frutto i doni ricevuti con i sacramenti». Un punto di partenza.

Intorno alle 18.30 da tutta la diocesi, catechisti, sacerdoti e genitori hanno accompagnato cresimandi e cresimati accolti dall’organizzazione impeccabile della Federazione Oratori Cremonesi. Prima un canto – “Vieni Santo Spirito” – poi una preghiera dialogata, o meglio una riflessione a due voci portata in scena da due ragazze che incarnavano Marta e Maria, le due sorelle di Lazzaro, icona scelta per questo anno pastorale.

«Marta – ha commentato il vescovo – è “l’azione”, mentre Maria è “lo stupore, la contemplazione”». Due dimensioni che non caratterizzano solo il brano del noto Vangelo, ma sono due dinamiche che abitano le case di tutti. E, ancora di più, abitano le coscienze di tutti. «Marta e Maria – ha detto Napolioni – sono due aspetti della nostra vita. Tocca a noi il compito di vivere in armonia». Il compito, guidati dallo Spirito, di crescere creando un equilibrio saggio tra le due tensioni: l’agire e il contemplare. Il segreto – è stato spiegato dal vescovo – è seguire la voce di Dio che abita in ciascuno e che trasforma le vite di tutti.

E di testimonianze in questo senso, i giovanissimi ne hanno ascoltate quattro: quelle dei diaconi chiamati a diventare sacerdoti il prossimo 10 giugno. Don Andrea Bani, don Claudio Mario Bressani, don Alex Malfasi e don Jacopo Mariotti sono infatti stati intervistati. Le loro vite sono state cambiate, consapevolmente o meno (a loro detta) dai sacramenti, dalla vita in oratorio, dalle persone di fede che hanno incontrato. Una parola ha accomunato le loro testimonianze: la gioia di mettersi al servizio. Quella gioia consapevole della scelta importante che sono stati chiamati a fare.

Ai ragazzi ciascuno di loro ha lasciato una parola chiave. Don Alex ha suggerito ai presenti di «avere fiducia perché la vita è bella»; don Claudio li ha invitati al «coraggio di guardare avanti senza paura»; don Andrea li ha chiamati «all’ascolto degli altri ma anche di loro stessi e di quello che Dio suggerisce attraverso le situazioni della vita» e infine don Jacopo ha suggerito loro di «essere gioiosi perché il Signore è accanto». E anche il vescovo ha chiesto loro di «essere attori protagonisti dello spettacolo della vita».

E in effetti attori protagonisti, per il momento solo della piazza, lo sono stati davvero durante lo spettacolo alle 20.30 (seguito al pranzo al sacco dopo la preghiera) “Esprimi un desiderio” firmato dall’associazione del Carrozzone degli Artisti, un’esperienza di teatro integrato. E questo in piazza, nel cuore della città, «perché qui tra le strade e la gente – aggiunge Mattia Cabrini della Focr – sono chiamati ad essere segno». Sono chiamati a dare testimonianza, a costruire il loro futuro, a coinvolgere la città in una prospettiva di desideri possibili «perché grazie alla loro semplicità – aggiunge Alberto Ghisoni e Sonia Zappani dell’Associazione – aiutano tutti a sperare di nuovo, a ricominciare a credere nei desideri e sogni».

 

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La città in cammino verso la Santa Casa, luogo di «umiltà e unità»

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Con un invito alla città di Cremona a «riscoprire l’umiltà e l’unità» e un incoraggiamento ai credenti ad «essere uniti da una fede gioiosa ed impegnata», il vescovo Antonio Napolioni ha aperto il mese mariano, la sera del 2 maggio, con la tradizionale processione dalla Cattedrale alla Santa Casa (copia del 1624 di quella di Loreto) in Sant’Abbondio.

Una serata corale che si è aperta in Cattedrale con una preghiera presieduta dal vescovo, accompagnato dall’emerito Dante Lafranconi, per «invocare lo Spirito Santo sulla Chiesa diocesana e sulla città attraverso l’intercessione di Maria», della Vergine lauretana in particolare, co-patrona di Cremona. Risale infatti al 1625 la decisione del Consiglio Generale di Cremona di porre sotto la protezione della Madonna nera la comunità locale.

Illuminata dai flambeaux, accesi con la fiamma del cero pasquale, dopo una breve preghiera, una processione di sacerdoti, in primis i canonici, seminaristi, religiosi, seguiti dal sindaco e dai fedeli laici si è snodata per le vie del centro, come in un pellegrinaggio verso Sant’Abbondio, dove ad accogliere tutti c’era il parroco don Andrea Foglia. Una processione di antica tradizione che ricalca quella solenne grandiosa, registrata dalla storia, nel 1630 quando i cremonesi invocarono l’aiuto della Madonna nera contro la diffusione della peste, ormai alle porte del centro cittadino. Una processione, durante la quale è stato recitato il rosario, che ancora oggi si fa testimonianza viva tra le case, nel cuore della diocesi, «non verso un alto monte, ma verso una piccola casa – ha detto Napolioni nella riflessione al termine della processione – nascosta tra le nostre case, un piccolo luogo che ci dona un grande messaggio: sono con voi sempre, sto nelle vostre case, sono di casa nel vostro cuore».

 

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Uno spazio, «una casa del Sì», come l’ha definita il vescovo, e non solo di quello pronunciato da Maria davanti all’angelo che le portava l’annuncio della nascita del Cristo. «Una casa di tutti i Sì», quelli dietro i quali ci sono scelte difficili, a volte dolorose o scelte di vita. Perché questo luogo dal sapore antico, voluto nel 1624 dal giureconsulto Gian Pietro Ala, è «un luogo dove cercare una certa intimità e quindi il senso della vita, dove educare i giovani chiamati alla libertà delle scelte». Ed anche il luogo al quale deve guardare l’intera città, la comunità civile e quella dei credenti. E infatti, come tradizione, il vescovo si è rivolto, per l’occasione, all’intera città auspicando «Umiltà ed unità per una Cremona bella, concreta e laboriosa», che sappia rivolgere lo sguardo all’unica madre. Con quella forza in più data dalla comunità dei credenti che devono sapere sfoderare una fede «gioiosa ed impegnata».

Ascolta l’omelia del vescovo Napolioni




Kiev, l’ultimo libro di Nello Scavo: «Già con il primo missile è cambiata per sempre la storia di questo tempo»

«Già con il primo missile è cambiata per sempre la storia di questo tempo». Ha parlato in questi termini di un evento epocale, la guerra in Ucraina, Nello Scavo, inviato speciale di Avvenire, in un incontro molto partecipato organizzato, nel tardo pomeriggio di venerdì 14 aprile, dalla libreria Paoline a Cremona, in collaborazione con Garzanti. Un’occasione per capire la complessità di questa guerra attraverso la testimonianza diretta di un reporter internazionale, autore di inchieste importanti che ne hanno fatto un uomo sotto scorta.

A dialogare con lui il sindaco di Cremona, Gianluca Galimberti, riconoscente per quella «riflessione profonda» che è Kiev, l’ultimo libro di Scavo scritto sotto le bombe «per avere memoria di come è nato il conflitto e per capire quali conseguenze avrà non solo per l’Ucraina ma per tutti noi». Una guerra che è una «matrioska perché all’interno ci sono tanti altri conflitti». Un incrocio di storie e ferite nella quale è emerso l’orgoglio dell’identità ucraina armata e determinata nel difendere la propria libertà contro il secondo esercito del mondo.

«“Una guerra – ha spiegato Scavo – che ha attirato i vinti di 20 guerre scatenate da Putin negli ultimi anni». Una situazione geopoliticamente devastante in cui molti combattono per vendicarsi di quanto i russi hanno fatto alle loro terre. E una situazione «sorprendente» dove è emerso «il dato sentimentale ed emotivo» del popolo ucraino che, contro ogni previsione, continua ad affrontare il gigante russo «esausto ma non disposto a negoziare». Mentre sullo sfondo si giocano la partita gli Stati Uniti, la Cina, la Turchia e l’Europa, ma in fondo anche tutta l’area del Mediterraneo perché indirettamente è coinvolta anche la Siria e la Libia. E tutto questo a poco più di due ore di volo aereo da casa nostra.

Le ricadute sono inimmaginabili su tutto lo scenario internazionale, ma prima di tutto sui bambini «che subiscono la parte violenta e meno visibile della guerra», come ha raccontato Scavo mentre negli occhi gli scorrevano le immagini dei piccoli usciti il mattino, dopo il coprifuoco, dai bunker con le mamme in cerca, nel giardino botanico di Kiev, di quella normalità che era ed è una chimera. Bambini e ragazzi che con fatiche e sofferenze hanno trascorso alcuni mesi nelle nostre città. Ma che ora, per lo più, stanno rientrando in ciò che resta della loro patria, dopo aver fatto scoprire all’Europa una capacità d’accoglienza che fatica invece a emergere quando i profughi di guerra hanno altri colori e volti. Per non parlare dei bambini deportati a forza in Russia. Deportazioni ragione per cui oggi, paradosso dei nostri tempi, il presidente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, Putin, è ricercato dalla corte penale internazionale.

Un conflitto dunque che ci interroga, come italiani e come europei, e che invita, questo si legge tra le pagine di Kiev, tutti a ripensare la nostra identità.




La meditazione del vescovo per l’ultima “Pausa… digiuno” in Cattedrale

«All’escalation della violenza contrapponiamo l’escalation dell’amore, alle pietre per lapidarlo contrapponiamo la Pietra Viva che si fa Pietra angolare sulla croce». Quello del vescovo Antonio Napolioni, venerdì 31 marzo alle 13 in Cattedrale, è stato, come lui stesso ha detto, «l’ultimo appello della Parola» prima della Settimana Santa. Ultimo appello e quindi ultimo appuntamento, quello di chiusura, per la proposta Pausa…digiuno, rivolta a chi vive e lavora in città. L’iniziativa quaresimale, che si è conclusa, infatti ha richiamato in duomo, durante la pausa pranzo (dalle 12.30 alle 14), una ottantina di persone ogni venerdì per una preghiera e meditazione condivisa.

Il format proposto, o meglio «Il menù della pausa» (come recitava il volantino) prevedeva una adorazione personale, poi l’ascolto della Parola, una meditazione e una preghiera comunitaria. A guidare la riflessione per l’ultimo incontro è stato appunto il Vescovo che ha commentato il brano evangelico di Giovanni (v.10,31-42) in cui si racconta dei Giudei con le pietre in mano per lapidare Gesù che si dichiara Figlio di Dio. Una situazione che tra le righe racconta la violenza dei nostri giorni, gli scontri tra popoli o semplicemente la violenza verbale del quotidiano. «Ma le pietre non possono nulla contro la Pietra scartata, non possono nulla davanti alla potenza della pace che tutto trasforma sgorgando dalla Pasqua».

Come allora, ancora oggi ogni uomo è interpellato, ha spiegato mons. Napolioni, da quella Pietra viva. Si domanda, come fecero gli apostoli e i discepoli «’identità di Gesù: chi è Gesù?». E la risposta non è facile da accettare, «non era quella che volevano sentire», o che vuole sentire l’uomo contemporaneo. I Giudei (o gli uomini di oggi) scambiano la frase «Sono figlio di Dio» per una bestemmia quando le vere bestemmie sono per gli uomini «farsi Dio, usarlo per la propria gloria, per mettere un popolo contro l’altro». La figura di Cristo interpella tutti, fa riflettere e pone tanti interrogativi che il vescovo Napolioni ha lasciato come consegna ai presenti in Cattedrale. Domande importanti che partono da una constatazione «L’escalation della violenza (di cui parla il Vangelo) conduce verso la Settimana Santa e invita tutti a fare delle scelte; lapidare Cristo, usarlo, oppure lasciarci cambiare».

A conclusione della meditazione, le invocazioni e una corale preghiera per la pace hanno concluso la seconda edizione della Pausa…digiuno.