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Masci, borse di studio per il Seminario nel ricordo del vescovo Galli

Nato a Soresina e cresciuto nella parrocchia cittadina di Sant’Agata, mons. Maurizio Galli, già vescovo di Fidenza, fu rettore del Seminario vescovile di Cremona dal 1982 al 1998, anno in cui avvenne l’ordinazione episcopale. Deceduto nel 2008, mons. Galli è stato ricordato con una Messa di suffragio, organizzata dalla comunità Scout “Cremona 2” del Masci e celebrata nel pomeriggio di mercoledì 22 novembre, giorno successivo al suo compleanno.

La celebrazione ha avuto luogo nella chiesa di San Michele, parrocchia in cui il vescovo Galli mosse i suoi primi passi da vicario, dal 1964 al 1978, e dove fu anche assistente ecclesiastico per gli Scout Asci, poi Agesci.

L’Eucaristia è stata presieduta da don Mario Binotto, assistente spirituale della comunità Masci di San Michele, dove è stato vicario dal 1970 al 1985, e concelebrata da alcuni sacerdoti diocesani, tra cui il parroco don Aldo Manfredini.

La Messa, oltre che per rinnovare il ricordo del compianto vescovo, è stata occasione per la consegna alla comunità del Seminario di due borse di studio, dal valore di 500 euro ciascuna, che saranno destinate a due seminaristi cremonesi. Le borse di studio sono state conferite dal Masci di Cremona e consegnate dal responsabile Enrico Gabbioneta a don Francesco Fontana, in rappresentanza dalla comunità del Seminario. «La proposta del Masci – ha sottolineato Gabbioneta al momento della consegna – è intitolata alla memoria di don Maurizio e al suo lungo impegno a servizio del Seminario».

La celebrazione, che ha visto la presenza di fedeli sammichelini e di esploratori e guide adulti di Cremona, si è conclusa con Oh Vergine di luce (Scende la sera), canto della tradizione scout.




Virgo Fidelis, celebrata a San Luca la Messa per l’Arma dei Carabinieri

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«Affidabili perché affidati». È questo il messaggio che il vescovo Napolioni ha voluto lanciare all’inizio della sua omelia, in occasione della Messa nella festa della Virgo Fidelis,  patrona dell’Arma dei Carabinieri, presieduta nella mattina di martedì 21 novembre nella chiesa di San Luca, a Cremona, alla presenza delle più alte autorità civili e militari. Una chiesa gremita di donne e uomini in divisa, provenienti da Cremona e dalle stazioni del territorio, insieme anche a colleghi in congedo, nel giorno in cui la Chiesa ricorda la presentazione e l’affidamento della Beata Vergine Maria – ancora bambina – al tempio.

«Maria non la vediamo solo bambina affidata a Dio nel tempio – ha sottolineato mons. Napolioni – ma anche donna e madre ai piedi della croce del figlio a rinnovare questo affidamento al mistero che la rende affidabile, non solo per il figlio Gesù, ma per tutti noi». Ha poi aggiunto: «Nasce una nuova fedeltà, quella di Maria alla Chiesa, alla storia, per questo nei secoli e nei millenni non ci stanchiamo di guardare a lei perché ci conduca alla fraternità».

«L’Arma dei Carabinieri, le nostre forze dell’ordine, tutti coloro che servono la collettività devono essere affidabili. La gente deve potersi fidare di noi, ne facciamo un motivo di impegno, di revisione di vita, di crescita, tutti i giorni – ha voluto evidenziare il Vescovo –. Ma come è possibile se noi non abbiamo alle spalle qualcuno che ci sostiene?! La forza del poter meritare fiducia viene dal sentirci dentro in una fiducia più grande». Ha quindi concluso: «Maria non solo ci guarda e intercede, ma ci traccia la via. E come lei possiamo essere più forti, più uniti, perché affidati al Signore e affidati gli uni agli altri».

 

Omelia del vescovo Napolioni

 

La Messa, animata dal coro dell’Istituto superiore “A. Stradivari” di Cremona, si è conclusa con la recita della Preghiera del carabiniere e con il saluto del colonnello Paolo Sambataro, nuovo comandante provinciale dei Carabinieri, presentato nel suo nuovo incarico lo scorso 29 settembre, che ha voluto ringraziare il vescovo, i presenti e tutti i membri dell’Arma e delle forze dell’ordine per il servizio appassionato che svolgono nelle comunità. «Il carabiniere si confronta sempre con l’effige della Virgo Fidelis – ha detto il comandante Sambataro –, ma si confronta anche con quelle cinque parole, tratte dal libro dell’Apocalisse, scritte proprio sull’effige, che racchiudono ed esauriscono, dirompenti nel loro monito, l’essenza della missione di ogni carabiniere: “Sii fedele fino alla morte”». Cinque parole che «Maria le trasforma in un’amorevole esortazione, affinché ciascuno di noi possa divenire tra la gente, specie tra i più giovani, uno strumento di coesione sociale, di fiducia, di speranza e di rinascita».

 

Saluto del colonnello Sambataro

La festa dell’Arma

La celebrazione della “Virgo Fidelis” è stata occasione anche di celebrare l’82° anniversario della “Battaglia di Culqualber” e la “Giornata dell’Orfano”, con la quale l’Istituzione intera e con essa l’ONAOMAC, l’opera di assistenza che si dedica proprio ai figli dei militari scomparsi, si stringe intorno a quelle famiglie segnate da perdite inconsolabili.

La celebrazione della Virgo Fidelis risale al 1949, quando Sua Santità Pio XII proclamò ufficialmente Maria “Virgo Fidelis Patrona dei Carabinieri”, fissandone la ricorrenza al 21 novembre, data in cui la Cristianità celebra la festa liturgica della Presentazione di Maria Vergine al Tempio. Ma la stessa data è memorabile anche per fatti storici in cui l’Arma si è resa protagonista durante la Seconda guerra mondiale e di cui ricorre l’82° anniversario: il 21 novembre del 1941, infatti, ebbe luogo una delle più cruente e sanguinose battaglie fra italiani e inglesi in terra d’Africa. Un intero Battaglione di Carabinieri si sacrificò nella strenua difesa, protrattasi per tre mesi, del caposaldo di Culqualber. Per quel fatto d’arme e per l’eroismo dimostrato, alla Bandiera dell’Arma venne conferita la seconda Medaglia d’Oro al Valor Militare, dopo quella ottenuta per la partecipazione alla Prima guerra mondiale. Quei Caduti sono entrati a far parte della folta schiera di Eroi che, in pace come in guerra, hanno saputo tener fede al Giuramento prestato fino all’estremo sacrificio.




Il cardinale Oscar Cantoni il 13 novembre a Cremona per le celebrazioni della solennità patronale

Sarà il cardinale Oscar Cantoni a presiedere quest’anno le solenni celebrazioni patronali del 13 novembre nella Cattedrale di Cremona. Per il porporato, originario proprio della diocesi di Como come il vescovo emerito di Cremona Dante Lafranconi, sarà la prima volta all’ombra del Torrazzo da cardinale. Ma non la prima in diocesi di Cremona, vista la sua presenza «di casa» a Caravaggio, proclamato lo scorso maggio Santuario regionale della Lombardia e sede delle riunioni della Conferenza episcopale lombarda.

Sarà proprio il cardinal Cantoni, insieme al vescovo di Cremona Antonio Napolioni e all’emerito Dante Lafranconi, ad accogliere l’omaggio dei ceri da parte dell’Amministrazione comunale. Un gesto di antica tradizione che ogni anno si rinnova con una semplice ma significativa cerimonia nella cripta della Cattadrale, dove sono custodite le spoglie dell’illustre concittadino elevato agli onori degli altari, il primo santo laico non nobile della storia medievale. L’omaggio dei ceri avrà luogo in forma riservata alle 10.15, alla presenza anche dei canonici del Capitolo della Cattedrale.

Alle 10.30 seguirà quindi la solenne Eucaristia in onore del patrono della città e della diocesi di Cremona, presieduta appunto dal cardinal Oscar Cantoni. A caratterizzare la celebrazione un altro gesto della tradizione: durante l’offertorio una rappresentanza dell’Associazione artigiani della provincia di Cremona consegnerà simbolicamente al vescovo alcune stoffe, insieme a un’offerta da destinare alla Caritas diocesana, in onore del sarto cremonese venerato come proprio patrono. Ad animare la celebrazione sarà il Coro della Cattedrale, diretto dal maestro don Graziano Ghisolfi; all’organo Mascioni il maestro Fausto Caporali. L’intera celebrazione sarà trasmessa in diretta televisiva su Cremona1 (canale 19) e in streaming sul portale diocesano e sui canali social della Diocesi (Facebook e Youtube): lo speciale a cura del Centro televisivo diocesano TRC avrà inizio alle 10.10.

Lunedì 13 novembre la Cattedrale sarà aperta come consueto con orario continuato dalle 7.30 alle 19, con la possibilità per i fedeli di accedere alla cripta dove sono conservate le spoglie del santo patrono. A garantire il regolare afflusso dei pellegrini saranno i volontari dell’Associazione nazionale carabinieri di Cremona.

Quella presieduta dal cardinal Cantoni non sarà l’unica Messa del 13 novembre in Cattedrale: l’Eucaristia sarà celebrata anche alle 8 dal rettore monsignor Attilio Cibolini e alle 18 dal parroco don Antonio Bandirali. Alle 17, invece, il canto dei Secondi Vespri.

 

Locandina con il programma delle celebrazioni patronali

 

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Ministri straordinari della Comunione, il 12 novembre l’incontro diocesano nella chiesa di Sant’Omobono

https://www.diocesidicremona.it/gli-orari-e-le-celebrazioni-della-chiesa-di-s-omobono-nei-giorni-della-festa-patronale-04-11-2023.html

 

 

 




Concerto di Sant’Omobono, l’11 novembre a S. Pietro al Po con “Sorella musica – sensibilità francescana per la custodia del creato”

L’ormai prossima ricorrenza patronale di sant’Omobono sarà festeggiata a Cremona anche in musica, con un concerto corale e strumentale, in programma sabato 11 novembre, alle 16, nella chiesa di San Giorgio in San Pietro al Po.

“Sorella musica – sensibilità francescana per la custodia del creato”. Questo il tema del Concerto di Sant’Omobono di quest’anno. L’evento si colloca infatti nell’ambito della ricorrenza dell’approvazione della regola francescana, avvenuta 800 anni fa, il 29 novembre 1223, da parte di Papa Onorio III. Il programma sarà infatti principalmente incentrato su composizioni basate sul Cantico delle Creature, uno dei primi documenti letterari italiani, massimo segno della fioritura spirituale del Duecento, elaborate da due padri e musicisti francescani – Terenzio Zardini e Ottone Tonetti – e dal sacerdote Celestino Eccher. A corollario del percorso musicale è prevista l’esecuzione del Begräbnisgesang (Canto Funebre) composto da Johannes Brahm su testo scritto nel ‘500 dall’ex monaco francescano Michael Weisse: un inno funebre che rappresenta con impressionante precocità l’assorbimento di una musica “storica” e al tempo stesso il primo nucleo del futuro Deutsches Requiem.

L’esecuzione sarà affidata, sotto la direzione del maestro Alessandro Arnoldo, all’orchestra I Filarmonici di Trento, dal 1999 scenario di creative collaborazioni con giovani solisti, insieme al coro In dulci Jubilo, diretto dal maestro Tercisio Battisti, ed espressione dell’Istituto diocesano di Musica sacra di Trento, e i solisti ucraini Daria Matiienko (soprano) e Anton Radchenko (tenore).

L’evento è promosso dall’associazione “Marc’Antonio Ingegneri” e dalla Scuola diocesana di Musica sacra “Dante Caifa”, in collaborazione con l’associazione “Festival Musica Sacra di Bolzano e Trento” e con il sostegno della Fondazione “Arvedi–Buschini”.

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I protagonisti

Dalla sua fondazione nel 1999, l’orchestra “I Filarmonici di Trento” ha inteso creare uno spazio dedicato ai cultori della musica e ai giovani musicisti diplomandi o diplomati, che desiderino bilanciare lo studio del repertorio e le pubbliche esecuzioni. Su queste basi, I Filarmonici hanno stretto importanti collaborazioni artistiche, facendosi promotori di progetti culturali innovativi, volti a valorizzare le energie creative ed artistiche presenti sul territorio. Particolare attenzione è stata dedicata alla promozione di giovani solisti che si sono esibiti accompagnati dall’orchestra: tra gli altri si ricordano Daniele Anderle, Klaus Broz, Mladen Dabizljevic, Art Marika, Federica Marini, Teofil Milenkovic, Maristella Patuzzi, Francesca Temporin, Simone Vebber. Il repertorio dell’orchestra include capolavori musicali assoluti come i Requiem di Cherubini, di Mozart e di Verdi, la Sinfonia dal Nuovo Mondo di Dvorak, la Messa in Do Maggiore e la Nona Sinfonia di Beethoven.

Il coro “In dulci jubilo” è espressione dell’Istituto diocesano di Musica sacra di Trento. Costituito da alunni ed ex alunni provenienti da tutto il Trentino il coro raccoglie elementi musicalmente e vocalmente preparati e indirizza i propri interessi allo studio e alla diffusione del repertorio sacro. All’interno di questo repertorio, particolare attenzione è rivolta alla riscoperta della tanta letteratura dei secoli XIX e XX che le mutate esigenze liturgiche hanno reso inadatta a un’esecuzione all’interno delle celebrazioni e che, proprio per questo, vivono una stagione di ingiustificato oblio. Il coro è affidato a due noti musicisti trentini che da anni lavorano all’interno dell’Istituto: Tarcisio Battisti, docente al Conservatorio di Riva del Garda, organista, compositore e direttore di coro e Paolo Delama, organista, compositore e referente del Servizio Liturgia dell’Arcidiocesi di Trento.

Daria Matienko, soprano è nata a Odessa nel 1998, ha studiato alla scuola del professor Stolyarsky epresso l’Università Pedagogica Nazionale dell’Ucraina meridionale. Ha partecipato a numerosi concorsi vincendo sempre i primi premi. Nel 2017 è entrata all’Accademia Nazionale di Odessa nella classe di canto lirico, coltivando parallelamente la passione per la coralità ortodossa e facendo parte del coro della Cattedrale Ortodossa di Odessa. È attualmente iscritta al secondo anno di biennio in canto lirico presso il Conservatorio “F.A. Bonporti” di Trento.

Anton Radchenko, tenore, è un cantante ucraino di ventidue anni. Ha iniziato gli studi musicali presso l’RM Glier College of Music in qualità di direttore di coro eseguendo concerti in Ucraina e Europa. Dal 2019 al 2022 è stato artista del coro presso il Kyiv Opera Choir di Kiev. Solista del coro della cattedrale di Kiev, ha pubblicato l’album “Galician Songs”. Frequenta la classe di canto del professor Mattia Nicolini presso il Conservatorio “F.A. Bonporti” di Trento.

Alessandro Arnoldo è nato a Trento nel 1989. Ha compiuto gli studi musicali e si è diplomato in direzione d’orchestra al Conservatorio “Giuseppe Verdi” di Milano, sotto la guida di Daniele Agiman. Ha seguito corsi di perfezionamento presso la Riccardo Muti Italian Opera Academy, l’Accademia Chigiana di Siena e l’Accademia del Rossini Opera Festival. Ha diretto numerose orchestre esibendosi in Italia, Austria, Germania, Spagna, Georgia, Croazia, Lituania, Lettonia, Belgio e Repubblica Ceca. Fondatore e direttore artistico dell’associazione culturale “Ad Maiora” e direttore principale dell’orchestra “I Filarmonici” di Trento è, inoltre, autore e co-conduttore di trasmissioni radiofoniche di approfondimento culturale e collabora da diversi anni con TEDxTrento e con il centro EURAC Research di Bolzano. Dal 2020 è assistente musicale alla direzione artistica della Società Filarmonica di Trento.

 

Il programma del concerto

CELESTINO ECCHER (1892 – 1970)
Dai 10 madrigali sacri a 4 voci pari
sul Cantico delle creature di S. Francesco d’Assisi

I. Altissimu, onnipotente, bon Signore
III. Laudato si, mi Signore, per sora luna e le stelle
VII. Laudato si, mi Signore, per sora nostra matre terra
VIII. Laudato si, mi Signore, per quilli ke perdonano
X. Laudate et benedicite mi Signore

TERENZIO ZARDINI (1923-2000)
Cantico di Frate Sole per coro a 2 voci

JOHANNES BRAHMS (1833-1897)
Begräbnisgesang (Canto funebre), op. 13 per coro misto e fiati

OTTONE TONETTI (1912-1999)
Il Cantico di Frate Sole
Oratorio per soprano, tenore, coro misto e orchestra

Altissimu, onnipotente bon Signore (coro) Andante
Laudato si, mi Signore per sora luna – (aria tenore) – un po’ mosso
Laudato si, mi Signore per frate vento – (coro) – Andante
Laudato si, mi Signore per sor’acqua – (aria soprano) – Calmo
Laudato si, mi Signore per frate focu – (coro) – Molto moderato
Laudato si, mi Signore per nostra matre terra (aria tenore) – Tranquillo
Laudato si, mi Signore per sora nostra morte – (coro) – Andante
Beati quilli ke se trovarà – (soprano e coro) – Andante
Laudate et benedicete – (coro) – Allegro




Il Vescovo ha incontrato le scuole paritarie, laboratori decisivi perché Vangelo fermenti

Come ogni anno, si è tenuto, la mattina di giovedì 9 novembre, a Cremona, presso il Centro pastorale diocesano, l’incontro tra il vescovo Antonio Napolioni e i dirigenti e i rappresentanti delle scuole paritarie presenti in diocesi. All’incontro anche don Giovanni Tonani, incaricato diocesano per l’Insegnamento della Religione Cattolica, che ha sottolineato l’esigenza d riflettere sul significato di essere scuola cattolica oggi, inserita nella Chiesa ma anche nella società civile attuale.

«Bisogna lavorare sulle relazioni, sulla prassi educativa, sul vissuto sociale ed ecclesiale, sulla scuola paritaria come lievito di tutta la pastorale scolastica ed educativa – ha sottolineato il vescovo nell’introduzione –. Non per avere un recinto in cui fare “cose cattoliche”, ma per offrire il fermento del Vangelo. E per questo la scuola è un laboratorio decisivo». Ha quindi aggiunto: «Mi interessa un giro di esplorazione, in cui nessuno deve preoccuparsi della brutta figura, ma deve mettere il dito là dove ci sono le sfide e i valori».

Da lì le testimonianza di circa una quindicina di rappresentanti, provenienti da varie zone del territorio diocesano. Testimonianze che hanno raccontato di un contesto scolastico cambiato, di alunni e famiglie molto diversi rispetto a quelli del passato, di diffuse fragilità, di carenza di punti di riferimento, di stanchezza, di motivazioni, di accompagnamento genitoriale, di integrazione, di collaborazione – a volte forzata, ma spesso preziosa – con istituzioni e parrocchie, e di molto altro. Tante sfide, nuove difficoltà, da affrontare con uno sguardo ottimista e sempre rivolto al futuro. Perché la scuola sia sempre pilastro per i giovani e per le famiglie, nel loro percorso di crescita.

«Per me è stato davvero importante ascoltarvi – ha voluto concludere il vescovo Napolioni –. E ci sarebbe tanto altro da analizzare. Ma questo ascolto dobbiamo praticarlo correntemente». E ha aggiunto: «La fraternità è la vitamina di ogni vita. E un momento paritario, in cui confrontarsi, come questo fa un gran bene».

Attenzione quindi alle persone, ai docenti, agli studenti, al personale scolastico, attenzione anche alle relazioni nel territorio, per pensare poi a una pastorale scolastica che non sia solo gestione dell’ordinario, ma guardi a ciò che è straordinario.




Il vescovo Napolioni nella solennità di Tutti i Santi: «La fabbrica dei santi è la vita»

L’invito a leggere le storie dei santi, per farsi contagiare in un desiderio di conversione che può riguardare la vita di ciascuno, in una varietà infinita di santità. Lo ha sottolineato il vescovo Antonio Napolioni nella Messa della solennità di Tutti i Santi presieduta la mattina del 1° novembre in Cattedrale, concelebrata dal parroco della Cattedrale e dai canonici dal Capitolo. La richiesta di intercessione dei santi, con un pensiero rivolto anche ai bambini martiri innocenti, ieri come oggi.

«A Roma, in Vaticano c’è un ufficio chiamato “Fabbrica dei santi”: è quel dicastero, quella congregazione di cardinali, sacerdoti e laici che dedicano tutta la loro attività allo studio, al dibattito, alla verifica per poi consentire al Papa di proclamare santi e beati nella Chiesa». È stato questo lo spunto da cui è partito il vescovo nella sa riflessione: «Ma basta questa fabbrica dei santi? È un fatto formale? È una carriera? Ci vogliono le raccomandazioni, i soldi?». Pronta la risposta: «La Fabbrica dei santi in realtà è la vita», ha affermato sottolineando in particolare tre aspetti.

«Innanzitutto è la Chiesa, tutta intera, che attraversa i tempi e che si dilata sulla terra nei vari continenti e nelle varie culture. Oggi celebriamo tutti i santi insieme, proprio come un mosaico, un kaleidoscopio, una varietà infinita di storie: dal ragazzo all’adulto, dal re al povero, dal martire al sapiente. È bellissimo entrare in contatto con queste storie, è bello leggere le vite dei santi. Facciamolo! Grandi santi si sono convertiti leggendo le vite di altri santi, cogliendo dunque, da una storia diversa dalla loro, una scintilla che riguardava anche la loro vita e che ha fatto ripartire il coraggio di seguire Gesù fino in fondo».

Ma anche il mondo “fabbrica santi”. «Se dentro la Chiesa si diventa santi per scelta, per il fascino di una spiritualità piuttosto che di un’altra, per seguire un esempio, quanti santi sono santi senza saperlo?!». Il riferimento è stato ai santi martiri innocenti, che si ricordano nei giorni dopo il Natale. E il pensiero è andato ai «bambini martiri innocenti di queste ore, di questi giorni, non solo in Israele e Palestina, ma in tutte quelle parti del mondo dove la vita non fa in tempo a sbocciare che è ben presto insidiata dalla miseria, dalla fame, dalla malattia, dalla violenza, dal sopruso» «Quei santi martiri innocenti sono santi per forza – ha detto il vescovo –. Non ci resta che essere santi in certe situazioni umane. Che non sono poi così lontane: possono capitare anche nelle nostre famiglie, ad esempio quando una malattia mette alla prova». «Dunque il secondo cantiere della santità è la realtà quotidiana, per quanto cruda, disgraziata, violenta, al punto da suggerirci la fuga e il rifugio in noi stessi, di chiuderci in una torre d’avorio a giudicare il mondo, a diventare tristi e pessimisti».

Eppure «c’è un altro modo di affrontare la realtà. E chi ce lo suggerisce se non lo Spirito di Dio, la Sua Parola, in quella terza e decisiva “fabbrica dei santi” che è il nostro cuore? Il cuore di Dio che sollecita il cuore di ogni suo figlio». Un’esperienza che dovrebbe far suscitare in ogni persona «fibrillazioni di entusiasmo, di commozione, di disponibilità, nello sperimentare che non ci interessa avere una figurina o una biografia, ma ci interessa fare oggi esperienza dell’amore di Dio che tocca le nostre ferite più profonde». «Si risvegli in noi dunque – ha auspicato il vescovo – questa disponibilità operosa a fare della nostra vita una bella avventura umana e cristiana».

Da questi tre aspetti un auspicio per la vita di ognuno: «Il tempo che viviamo, difficile e duro, non è meno fruttuoso dal punto di vista della santità – ha concluso il vescovo Napolioni –. Che il Signore ci doni oggi lo sguardo e l’intercessione di tanti santi, nostri amici, che noi ci impegniamo a guardare da vicino per condividere con loro l’avventura del dono più grande che il Signore ci ha fatto e che siamo chiamati a mettere a frutto: assomigliargli davvero nelle piccole cose di ogni giorno, per vivere con Lui nella patria del cielo la festa eterna».

 




Il vescovo emerito Lafranconi ai funerali di Angelo Rescaglio: «Uomo del dialogo, che ha fatto propria la missione di Gesù»

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Una chiesa – quella di San Daniele Po – gremita per l’ultimo saluto ad Angelo Rescaglio, umanista, insegnante, giornalista, senatore della Rebubblica nella XIII Legislatura, già presidente dell’Azione Cattolica cremonese e dell’Associazione nazionale partigiani cristiani, deceduto all’età di 87 anni. Le esequie, celebrate nella mattina di martedì 31 ottobre, sono state presiedute dal vescovo emerito di Cremona, mons. Dante Lafranconi, che portato il saluto e la vicinanza alla famiglia del vescovo Antonio Napolioni. Presenti alla celebrazioni, insieme ai famigliari e gli amici, anche le rappresentanze istituzionali e delle associazioni del territorio.

«I discepoli sono quelli che hanno accolto la bellezza dell’iniziativa di Dio e si sono messi insieme a portare avanti la Sua missione – ha detto il vescovo emerito nell’omelia –. In questi giorni, pensando alla morte del professor Rescaglio, mi è venuto in mente che anche lui ha voluto accogliere con pienezza di fede questa iniziativa di Dio e ha fatto propria la missione di Gesù». Ha quindi proseguito, citando il Vangelo del giorno: «Egli ha sperimentato questa sensazione di essere come un piccolo seme, come una minima porzione di lievito, e di avere davanti una missione estremamente grande, quella di fermentare tutta la massa, tutta l’umanità». «In fondo Angelo Rescaglio è stato un discepolo di Gesù che ha creduto fortemente e che ha messo tutta la sua vita, tutta la sua forza, tutta la sua intelligenza, tutta la sua passione per vivere questa missione. Siamo qui per salutarlo, ma anche per dirgli “vogliamo raccogliere la tua eredità”».

Un pensiero poi agli ambiti che hanno visto impegnato il professor Rescaglio durante la sua vita: da quello educativo a quello associativo, passando per la politica. «Penso agli anni passati nella scuola, che per lui non è mai stata un luogo di lavoro, ma un luogo di appassionante educazione e trasmissione di valori. È bello vedere come accanto all’insegnamento aveva quell’attenzione per andare più profondamente a riconoscere la verità, per viverla», ha voluto sottolineare mons. Lafranconi, aggiungendo: «Era l’uomo del dialogo». «E forse anche la vita politica di oggi ha tanto bisogno di ritrovare la capacità seria di questo dialogo».

Ha quindi concluso il vescovo emerito Lafranconi: «Chiediamo ad Angelo che ci ricordi e ci aiuti, nei giorni che ancora ci restano di vivere su questa terra, di essere un lievito, forte della potenza stessa di Dio, di essere un seme, che pur nella sua piccolezza, ha la capacità, grazie alle Resurrezione del Signore Gesù, di sprigionare potenzialità innovatrici, di cambiamento».

 

Omelia del vescovo Dante Lafranconi

 

Al termine della celebrazione ha preso la parola il proferssor Franco Verdi che, nel ricordo dell’amico e collega, ne ha voluto approfondire lo spirito altruistico e associativo: «Vorrei ricordare della sua esperienza di vita la sua scelta di vivere l’esperienza testimoniale non in forma individualistica – ha detto in particolare – ma in forma associata, perché nelle associazioni, alle quali ha dato il meglio di sé, è riuscito a essere il segno del “noi” che costruisce la storia e la rende bella, significativa e umanamente ricca».

 

Il ricordo del profossor Franco Verdi

 

Al termine delle esequie, la processione verso il cimitero di San Daniele Po, presso il quale ill professor Rescaglio è stato sepolto.

 

 

Deceduto il prof. Angelo Rescaglio, umanista e uomo di fede: indimenticato docente dell’Aselli, fu senatore della Repubblica e presidente dell’Azione Cattolica cremonese




Suore Carmelitane del Divin Cuore di Gesù: festa per i 120 anni di presenza a Cremona

Giorni di festa, a Cremona, per le suore Carmelitane del Divin Cuore di Gesù, presenti in città da 120 anni. Questo speciale anniversario, che ricorre il 1° novembre, sarà festeggiato dalla comunità religiosa lunedì 30 ottobre: nel pomeriggio, infatti, alle 17, il vescovo Antonio Napolioni presiederà l’Eucaristia nella chiesa parrocchiale di Sant’Imerio. Dopo la celebrazione, lo spostamento verso la Casa S. Giuseppe e S. Lorenzo, in via Altobello Melone 33, per un momento conviviale conclusivo.

Le suore Carmelitane del Divin Cuore di Gesù, fondate da madre Teresa di san Giuseppe, al secolo Anna Maria Teresa Tauscher van de Bosch, giunsero in Italia nel 1903, su richiesta dell’allora vescovo di Cremona, mons. Geremia Bonomelli. Una presenza inizialmente quelle delle “Serve del Divin Cuore di Gesù” (primo nome dell’attuale istituto delle Carmelitane del Divin Cuor Gesù) rivolta all’assistenza di bambini e ragazzi con la casa di via Belvedere 9 (oggi via Ettore Sacchi 15), fondata ufficialmente il 1° novembre 1903. Per il numero sempre crescente di bambini e la ristretta capacità ricettiva della Casa, dal 1927 iniziarono le trattative per l’acquisto dell’ampio stabile disponibile nella parrocchia Sant’Imerio, in via Altobello Melone 33, che si conclusero nel 1930.

Co il passare del tempo sorse la necessità di portare cure e assistenza agli anziani. Così il 10 agosto 1981 la superiora di Cremona, suor Cecilia Cesinaro, chiese di poter trasformazione dell’edificio di via Altobello Melone in ambiente di accoglienza di anziane signore autosufficienti. L’assistenza alle signore anziane iniziò il 7 novembre 1983 in concomitanza con la continuazione dell’assistenza ai bambini e ragazzi, che cessò definitivamente nel giugno 1989. Dal 1° gennaio 2017, la Casa “San Giuseppe e San Lorenzo” è gestita dalla “Casa di Procura della Congregazione delle Suore Carmelitane del Divin Cuore di Gesù”, che si occupa di tutte le attività apostoliche della “Congregazione delle Suore Carmelitane del Divin Cuore di Gesù”.

120 anni di dedizione al prossimo, soprattutto ai più fragili, che hanno sempre trovato nella casa cremonese, e nello spirito della Congregazione, un sostegno sicuro e amorevole.

«Nel fondare il Carmelo del Divin Cuore di Gesù, Madre Maria Teresa di San Giuseppe si propose di servire la Chiesa e di beneficare il mondo – spiega suor Fatima Maradiaga –. La fondatrice voleva che le Carmelitane del Divin Cuore di Gesù fossero nel mondo messaggere e strumenti dell’amore di Gesù. ”Angeli di consolazione e di pace per gli uomini sofferenti, disperati e senza fede”». E conclude: «Dopo 120 anni i tempi sono cambiati, ma lo spirito, l’amore e lo zelo di lavorare per la salvezza delle anime rimangono sempre gli stessi. Ogni giorno chiediamo l’intercessione della nostra beata madre Teresa di San Giuseppe per aiutarci a portare avanti questa opera che Dio le ha affidato».

Ancora oggi le attività della Casa di via Altobello Melone, rivolte agli anziani autosufficienti di ambo i sessi, cercano ispirazione e portano avanti gli insegnamenti e il carisma della Fondatrice. A ogni anziano, residente e non residente, sono offerti accoglienza, assistenza e cura mediante adeguate prestazioni socio-assistenziali, finalizzate a mantenere e recuperare autonomia fisica, psichica e sociale; a prevenire e a rimuovere situazioni di disagio psico-fisico e di esclusione sociale; a soddisfare i bisogni primari e a realizzare per ognuno la migliore qualità di vita possibile.

Più di un secolo di servizio alla comunità cremonese, guardando anche al futuro di una Chiesa che è di tutti e per tutti.

 

Le suore Carmelitane del Divin Cuore di Gesù

L’ideale Carmelitano affascinò il cuore di una giovane protestante convertita al cattolicesimo, Anna Maria Teresa Tauscher van de Bosch. Nata il 19 Giugno 1985 a Sandow (attualmente in Polonia) da genitori luterani profondamente credenti, primogenita di 8 figli. Maria crebbe e venne educata nella fede dei suoi antenati, ma non aderì mai volentieri al protestantesimo, per cui il 30 ottobre 1888 nella chiesa dei Santi Apostoli (Colonia) entrò a far parte della Chiesa cattolica; questa decisione nella sua vita le procurò tante sofferenze: venne espulsa dalla casa paterna e licenziata dal suo lavoro. Così senza casa e abbandonata da tutti andò in cerca di alloggio e di occupazione. Dopo tante ricerche, con l’aiuto di Dio, trovò una famiglia che la accolse come dama di compagnia. Il suo cammino di fede intanto proseguiva intrepido e generoso sulle vie di Dio, verso un ideale di totale consacrazione al Signore; desiderava infatti farsi religiosa nel Carmelo Teresiano, ma il Signore aveva altri disegni per lei: lei stessa avrebbe fondato una nuova congregazione. Cosi avvenne che a Berlino nel 1891 aprì la prima casa per bambini, denominata “Casa per i senza casa”. Nel 1902 Mons. Geremia Bonomelli vescovo di Cremona giunse a Berlino e in quella occasione chiese alla madre di fondare anche a Cremona una “casa per i senza casa”.




MyMentor, l’Università Cattolica a fianco dei suoi studenti

Un supporto continuativo nel percorso di crescita personale e professionale degli studenti. Questa la sostanza del progetto MyMentor, sviluppato dall’Università Cattolica del Sacro Cuore e presentato, nel suo nuovo corso, a Cremona nel kick-off meeting tenutosi giovedì 26 ottobre nell’aula magna del Campus Santa Monica.

Nato nove anni fa nell’ambito del corso di laurea magistrale in Gestione d’Azienda – profilo General Management, il percorso di orientamento professionale, di avvicinamento al mondo del lavoro e di crescita personale dell’Università Cattolica si è esteso a numerosi corsi di laurea magistrale della facoltà di Economia e Giurisprudenza e della facoltà di Scienze agrarie, alimentari e ambientali. Il progetto MyMentor prevede l’abbinamento tra mentor, professionisti affermati spesso laureati dell’Università Cattolica, e mentee, studenti degli ultimi anni di corso interessati a ricevere consigli per il proprio orientamento professionale, sulla base di specifiche aree di interesse.

L’appuntamento di Cremona, dove sono già state individuate 28 coppie, è stato caratterizzato dai saluti istituzionali dell’Università e dalle testimonianze di professionisti disponibili ad affiancare gli studenti per un supporto prezioso per la loro crescita personale.

«La Facoltà di Economia e Giurisprudenza ha creduto fin dal primo giorno in questo progetto» dice Fabio Antoldi, docente di Strategia aziendale e di Imprenditorialità, direttore del Centro di ricerca per lo Sviluppo imprenditoriale (Cersi) e coordinatore del corso di laurea magistrale in Innovazione e imprenditorialità digitale. «Nel portare i saluti della preside, Anna Maria Fellegara, esprimo gratitudine e soddisfazione per i giovani che hanno scelto di mettersi in gioco. La scelta di essere qui connota già il loro stare dentro l’università. Avere la possibilità di stare fianco a fianco a un mentor darà la possibilità di acquisire la capacità di essere critici e di leggere il contesto, una qualità che di solito richiede anni per essere sviluppata».

Parole alle quali si sono aggiunte quelle di un altro docente della sede cremonese, Paolo Sckokai, direttore del Dipartimento di Economia agro-alimentare della Facoltà di Scienze agrarie, alimentari e ambientali e presidente dell’Associazione degli economisti agrari europei (Eaae): «Accanto al tema dell’accompagnamento, c’è quello della reciprocità. Tornare in università è un valore anche per i mentor. Cerchiamo di rendere le persone curiose e interessate a un mondo che sta cambiando velocemente». Nel portare i saluti del preside, Marco Trevisan, il professor Sckokai ricorda che «la Facoltà di Scienze agrarie è rappresentata in questo progetto da ben due corsi di laurea, entrambi in inglese. Anche questo è un segnale dell’università che cambia, così come lo è la ricca presenza di studenti internazionali in aula: segnale di novità e di vivacità».

Non è mancato, poi, il saluto del vice direttore delle sedi di Piacenza e Cremona, Matteo Burgazzoli, che ha sottolineato che «l’auspicio è che il percorso venga seguito in maniera seria e intelligente, perché può davvero portare un valore aggiunto».

«“Bridging the gap” non è semplicemente uno slogan, ma è una missione, una promessa per questi ragazzi: colmare questo divario tra il mondo teoria e quello della pratica», ha spiegato Fabrizio Capocasale, supervisore del progetto MyMentor, partendo proprio dal titolo del suo intervento. Un percorso dunque prezioso durante il quale sarà anche possibile interfacciarsi con gli eventi negativi del mondo del lavoro, come il fallimento. Un’occasione di crescita, umana e professionale, in tutto e per tutto.

A seguire, gli interventi di due storici mentor, che hanno portato le loro testimonianze, con alcuni aneddoti della loro storia in questo percorso. Consigli e avvertimenti agli studenti, prossimi a intraprendere una strada, una relazione, costruita sul rispetto e sulla fiducia.

Al termine dell’evento ha avuto luogo la cerimonia ufficiale di abbinamento mentor-mentee, seguita dalla cena a buffet per i presenti.




Padre Gabriele Guarnieri, saveriano in Brasile: «La missione ti cambia, fa scaturire una conversione»

Sarà padre Gabriele Guarnieri, saveriano originario della parrocchia di San Bernardo, a Cremona, da circa venticinque anni in missione in Brasile, di cui gli ultimi cinque a San Paolo, a presiedere la veglia missionaria diocesana in programma sabato 21 ottobre alle 21 in Seminario. Per alcune settimane in Italia, dopo che per sei anni non vi aveva fatto ritorno, sta incontrando amici e comunità sensibilizzando sul tema missionario tra Cremona e Parma, dove attualmente risiede presso la Casa madre dei Saveriani. Abbiamo avuto l’occasione per incontrarlo e porgli alcune domande.

Padre Gabriele, come è nata la sua vocazione?

«Da giovane sono sempre stato coinvolto nella attività della parrocchia. Sono sempre stato un giovane di Chiesa, che amava anche leggere il Vangelo e ascoltare le parole del Papa. Studiavo alle Magistrali e avevo come professore don Giosuè Regonesi, che ha un po’ incentivato il mio discernimento. Poi un ritiro vocazionale a Folgaria, nel 1981, in cui c’era come conferenziere don Maurizio Galli, allora rettore del Seminario, che mi ha fatto capire che prima della professione ci deve essere la vocazione. Da una parte don Giosuè, dall’altra don Maurizio, mi hanno fatto capire che potevo fare un discernimento più serio sulla mia vocazione. Durante l’ultimo anno delle superiori ho poi conosciuto padre Bruno, un missionario savariano. E ho fatto con lui un cammino di un anno. Sono andato e sono rimasto dentro. E sono ancora qua».

In che cosa consiste la tua attività a San Paolo?

«Io sono un padre saveriano missionario. Non sono parroco, sono animatore. Sono padre spirituale e vocazionale, quindi accompagno ragazzi e ragazze nel loro discernimento. Sono anche un padre missionario “onlife“: faccio interviste via social, videocast a tema vocazioni e missioni, in italiano e in portoghese».

Com’è lì la situazione sociale? 

«Qui in Brasile c’è un abisso tra i ricchissimi e i poverissimi: si spera che un po’ diminuisca. Ci sono 50mila omicidi e 40mila morti a causa di incidenti stradali all’anno, problemi gravissimi di droga e femminicidi. Si vivono le stesse cose ormai da anni, con la speranza che questo Governo aiuti maggiormente i più poveri e i più deboli. L’istruzione è pessima, con professori sottopagati che, per mantenersi, si trovano a dover coprire tre turni lavorativi. E sappiamo benissimo che così facendo viene poi a mancare la qualità. Solo una minoranza dei giovani brasiliani riesce a concludere le scuole superiori, anche se negli ultimi anni stanno aumentando gli iscritti alle università. Sono comunque ancora tantissimi quelli che, dopo la scuola media, vanno a lavorare o, alla peggio, finiscono nel giro della droga e della violenza».

Lei è un animatore vocazionale, come è la situazione da questo punto di vista?

«Vocazionalmente parlando, il Brasile sta andando bene nei Seminari diocesani. Stanno aumentando i sacerdoti, ma diminuiscono i religiosi, soprattutto i missionari, che fanno molta fatica e che, secondo me, in futuro si troveranno ancor più in difficoltà. Stanno anche aumentando le “nuove comunità” guidate da fondatori carismatici».

Che situazione sta vivendo attualmente l’ideale missionario?

«La Chiesa è missionaria, quindi siamo tutti missionari. Prima si parlava di missionari che vivevano totalmente per la missione: c’era molto l’idea di distacco dalla patria, con i missionari che partivano e non tornavano più a casa. Adesso, con le nuove vie di comunicazione e i trasporti veloci, è cambiato tutto: il missionario viene richiamato in patria, magari anche a parlare della sua missione. Diciamo che negli ultimi tempi si è persa questa radicalità della missione. Ma esiste un’altra differenza con il passato: nel mondo stanno crescendo moltissimo le Chiese locali. Prima il missionario era “l’eroe” che andava a rappresentare il Vangelo vivente laddove non c’erano comunità cristiane. Prima eravamo noi missionari a costruire le Chiese locali, ora ci inseriamo nelle Chiese locali, che esistono già».

Una missione, dunque, in continuo cambiamento, ma che resta una fiamma da tenere sempre viva. Ha un messaggio da lanciare alle giovani generazioni?

«Sì. Voglio dire loro che la missione ti cambia, fa scaturire una conversione. Se volete fare missione, ricordate che se è vero che è il missionario a fare la missione, allo stesso tempo è altrettanto vero che la missione fa il missionario».