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Suore Adoratrici a fianco dei più deboli anche in Africa e in America Latina

Le Adoratrici nella missione di Trenque Lauquen in Argentina
Da sinistra: suor Carla Zappulla, suor Philomene Fayé, Regina Crespi Alomar e suor Veronica Sanvito

 

L’istituto delle suore Adoratrici del Santissimo Sacramento, con la sua Casa madre a Rivolta d’Adda, viene fondato alla fine dell’800 da san Francesco Spinelli. In pochi anni vengono aperte comunità in tutta Italia e nel 1958 si realizza un altro desiderio di don Francesco: andare in terra di missione. Si aprono così le comunità in Congo, Sénégal, Camerun, Colombia e Argentina. Abbiamo chiesto a suor Carla Zappulla di raccontarci l’esperienza a Trenque Lauquen, città di circa 50mila abitanti a ovest di Buenos Aires dove lei è nata e dove le Adoratrici sono presenti dal 2003.

Suor Carla, di che cosa si occupano le Suore Adoratrici in Argentina?

«La nostra comunità è ben inserita nella vita parrocchiale: io coordino la pastorale della scuola parrocchiale, che parte dal nido e arriva fino alle scuole superiori. Stiamo creando un cammino di fede per tutti i 1.200 ragazzi che ci sono affidati. La cosa bella è che tutti mi danno fiducia e mi aiutano in questo difficile compito. Suor Veronica Sanvito si dedica alla Caritas e alle visite agli ammalati in ospedale; suor Philomene Fayé è al servizio di alcune comunità periferiche della nostra parrocchia. Infine ci occupiamo di una casa di spiritualità. A causa della pandemia e per mancanza di risorse in passato purtroppo era stata un po’ trascurata, ma ora con l’aiuto prezioso della gente la stiamo ristrutturando ed è tornata a vivere: le persone sono in ricerca continua di questo tipo di luoghi».

Lei è argentina ed è nata proprio a Trenque. Dopo aver trascorso gli anni della formazione in Italia, come è Una mano tesa oltre ogni confine stato tornare a casa?

«Molto bello. Da un lato c’erano paure che si sono sciolte nel tempo. Dall’altro la fiducia nel Signore che dona la grazia degli inizi. Quando siamo arrivate qui, a novembre scorso, la comunità è stata rinnovata. Il Signore non ci ha mai deluse: ci ha accompagnate sempre, anche in momenti difficili. Non era scontato riuscire a inserirci in una realtà tanto grande e complessa e vivere pienamente questo primo anno, invece ci hanno accolte da subito, si sono aperte porte e abbiamo visto la fecondità di realtà che non immaginavamo così ricche».

Parlava di paure sciolte nel tempo. Ce le può confidare?

«Un po’ di timore riguardava il rapporto con la mia famiglia d’origine: per la vita che abbiamo scelto noi consacrate non possiamo stare così vicini quotidianamente e temevo di non riuscire a mantenere il giusto equilibrio. Invece i miei familiari hanno riconosciuto il mio cammino. È l’ennesima prova che il Signore opera in tutti, anche nella mia famiglia».

Che desideri coltivate per la vostra comunità?

«La mia speranza è quella di continuare a essere in continuo dialogo con la comunità parrocchiale e che questa si allarghi sempre più. Il mio desiderio più grande è che la casa di spiritualità sia sempre più viva. Ci sono molti laici impegnati nella vita parrocchiale, ma avremo sempre più bisogno di luoghi come questo per riposarci nel Signore, pregare e incontrarlo, per poi continuare a lavorare e servire. Questo luogo può essere fecondo per tutta la zona. Penso che questa sia la chiamata del nostro tempo. Tutte noi suore qui lo crediamo».

Dove avete sperimentato la fecondità?

«Dopo i primi mesi di preparazione e preghiera intense, abbiamo accolto Regina Crespi Alomar come postulante. È la prima volta che qui accompagniamo una giovane nel primo periodo di formazione. Raccogliamo l’eredità del bene che hanno fatto le suore che c’erano prima. Regina è stata un bel regalo del Signore, che in questo modo ci rende madri».

 

Il saluto di suor Carla Zappulla




Quando la missione si fa accoglienza: la storia dal Brasile di Anna e Reno Riboni

Missionarietà vuol dire accoglienza degli ultimi. Questo è il carisma della famiglia che i coniugi Anna Rossi e Reno Riboni di Cremona hanno formato quasi quarant’anni fa e che da subito si è aperta a bambini e ragazzi di ogni età, prima in Italia e dal 1998 in Brasile. Ascoltare i loro racconti apre il cuore a un modo speciale di vivere la fede e la famiglia, seguendo il solco tracciato da don Oreste Benzi, fondatore della Comunità Papa Giovanni XXIII, di cui fanno parte. Un’esperienza nata nel 1968 e che oggi conta 41mila persone nel mondo.

Come è nato il desiderio di partire?

«Noi diciamo di essere stati chiamati, anche se è un’espressione che ci fa paura. Don Oreste un giorno ci disse: “Non abbiate paura: se vi sentite realizzati e felici, vuol dire che state camminando nel progetto che Dio ha su di voi”. Così abbiamo lasciato l’Italia. Per tredici anni abbiamo vissuto a Minas Gerais e poi, grazie alle suore della Sacra Famiglia di Savigliano che ci hanno donato la casa, ci siamo trasferiti a Salvador de Bahia, che è una megalopoli, quindi più pericolosa, ma che offre ai nostri ragazzi più possibilità per studiare e lavorare. E poi la presenza della Diocesi di Cremona, con don Emilio Bellani prima e don Davide Ferretti ora, è un grande aiuto».

Quanti ragazzi avete accolto in Brasile?

«Tanti, forse una cinquantina, di tutte le età: da neonati ad adulti in recupero dalla tossicodipendenza o ragazze madri. In modo stabile 15 e di questi 9 sono stati anche adottati. Il nostro scopo è accogliere questi giovani fino a che le famiglie di origine non possono tornare a occuparsene».

Avete incontrato momenti di difficoltà?

«È meglio parlare al presente! I momenti di serenità sono i più numerosi, ma come in tutte le famiglie anche qui i problemi non mancano. Tra di noi, con i nostri figli e tra di loro. Noi ora abbiamo otto tra ragazzi e ragazze che vivono insieme. Noi li educhiamo tutti allo stesso modo, ma tra di loro sono molto diversi e con un passato difficile segnato dall’abbandono. Quello che hanno vissuto e che si ricordano riaffiora quando devono affrontare un conflitto o un momento di frustrazione».

Reno, per un periodo ha vissuto con voi anche Gioconda, tua mamma, venuta dall’Italia…

«Sì, ed è stata un’esperienza bellissima. Ha vissuto qui per due anni ed è arrivata che aveva già l’Alzheimer, quindi abbiamo dovuto accudirla. È morta qui, in casa con noi. Ai nostri figli manca il contorno dei parenti fatto di zii e cugini, perciò avere qui la nonna ha permesso loro di vivere anche questa dimensione. E poi è stata una donna eccezionale, che ci ha sempre accompagnato e sostenuto nelle nostre scelte, senza far pesare ai suoi figli l’ansia di dover realizzare ciò che lei non ha potuto. Questo è un grande insegnamento per noi, come genitori e come cristiani».

Cosa vi dà la forza per andare avanti?

«Loro sono figli nostri. Non possiamo abbandonarli. Il nostro compito è far sentire loro che la famiglia è il luogo dove c’è sempre qualcuno su cui contare. Non desistiamo nei confronti di nessuno. Per noi accettare il povero vuol dire accogliere Gesù. Non possiamo lasciarli, anche se irrecuperabili, perché sono strumento della nostra conversione. Lo dice anche lo statuto della Comunità Papa Giovanni XIII. Non siamo qui per salvare qualcuno, non ne siamo in grado, ma per santificare noi stessi».

 

Il saluto di Anna e Reno




Suor Elena Serventi: «In Mozambico ho imparato la gioia dei piccoli»

Per le religiose dell’istituto delle Suore Francescane Missionarie di Susa gli anni che precedono i voti perpetui sono dedicati a esperienze che chiedono loro di vivere pienamente una vita a servizio della Chiesa nel mondo. Lo sa bene suor Elena Serventi, originaria di Cingia de’ Botti, che per nove mesi ha vissuto in Mozambico.

Suor Elena, dove ha prestato servizio?

«Il mio istituto ha in Mozambico due fraternità e io sono stata in entrambe. A Catembe, villaggio della periferia della capitale Maputo, siamo presenti da tre anni; a Morrumbene, nella diocesi di Inhambane, da 27 anni collaboriamo con la Diocesi di Brescia che ha inviato lì il sacerdote fidei donum don Pietro Marchetti Brevi».

Che tipo esperienza ha fatto?

«A Catembe è stato avviato un progetto di doposcuola per i bambini: davo il mio aiuto lì e nelle altre attività della fraternità. A Morrumbene mi sono dedicata alle attività della pastorale e svolgevo il mio servizio anche nella scuola dell’infanzia parrocchiale: mi occupavo principalmente di catechesi e accompagnamento dei giovani. Ho anche curato le adozioni a distanza: le offerte che arrivano dall’Italia sono fondamentali per l’istruzione dei bambini che non possono permettersi la retta scolastica, ma che sono particolarmente meritevoli».

Ha attraversato momenti di difficoltà?

«I mesi sono trascorsi senza ostacoli particolari. Ci sono le difficoltà quotidiane che si possono incontrare quando bisogna adattarsi a uno stile di vita completamente diverso dal proprio. Per mia fortuna, però, conoscevo già il portoghese».

Ha parlato di uno stile di vita diverso dal nostro…

«Sì, la parola chiave è essenzialità. La cosa più d’impatto che si incontra una volta arrivati è la condizione di povertà in cui versa il popolo mozambicano. Il sistema economico è fortemente arretrato e questo si ripercuote sulle condizioni di salute e sull’istruzione».

Come si è sentita di fronte alla povertà?

«Vedere un popolo che soffre e che spesso non conosce una via d’uscita è doloroso, ma non mi sono mai sentita abbattuta. Purtroppo la povertà impone dei limiti dei quali chi vive in Europa non è consapevole. Le istituzioni e la burocrazia non aiutano, anzi, spesso sono di ostacolo».

Ora che è tornata in Italia, che cosa le manca di più del Mozambico?

«Tante cose: soprattutto l’apertura, l‘allegria, la generosità e l’accoglienza che caratterizzano i più poveri. Provano sempre una grande gioia e la sanno trasmettere a chi è vicino. Penso che siano dei maestri nell’arte dell’esprimere questo modo di approcciarsi alla vita con il canto. Anche nelle celebrazioni liturgiche; le loro Messe sono una vera e propria festa, con canti, balli e strumenti musicali».

Che cosa ha imparato?

«Che la grazia di Dio si manifesta più chiara dove la potenza dell’uomo è debole e così la fede, la speranza e la carità trovano un terreno di maggiore disponibilità. L’uomo occidentale crede di poter decidere da solo di tante cose, del proprio tempo. Ma forse si sbaglia. Ho conosciuto comunità che si arrabattano per guadagnare un piatto di riso per pochi giorni, ma non perdono mai la disponibilità e l’apertura verso i fratelli e verso Dio».

 

Il saluto di suor Elena Serventi




“Cuori ardenti, piedi in cammino”: sabato sera alle 21 in Seminario la veglia missionaria diocesana

Alla vigilia della Giornata missionaria mondiale, la Chiesa cremonese è invita a vivere un momento comunitario di preghiera e riflessione. “Cuori ardenti, piedi in cammino”, slogan della Giornata missionaria di quest’anno, giunta alla sua 97esima edizione, è anche il titolo della veglia diocesana in programma nella serata di sabato 21 ottobre, alle 21, presso il Seminario vescovile di via Milano 5, a Cremona.

A presiedere la veglia sarà il saveriano padre Gabriele Guarnieri, originario di Cremona, missionario nel Brasile del sud. La serata sarà sviluppata in tre momenti, caratterizzati da altrettante immagini – “occhi aperti”, “cuori ardenti” e “piedi in cammino” – e avrà come sfondo il messaggio che Papa Francesco ha affidato alla Chiesa in occasione della Giornata missionaria mondiale del 22 ottobre 2023. Il Santo Padre prende spunto dal racconto evangelico dei discepoli di Emmaus per ricordare che per quei discepoli prima delusi e confusi «l’incontro con Cristo nella Parola e nel Pane spezzato accese l’entusiasmo per rimettersi in cammino verso Gerusalemme e annunciare che il Signore era veramente risorto».

Interverranno durante la veglia anche alcune delle famiglie che lo scorso luglio hanno ospitato in diocesi i giovani di Salvador de Bahia, venuti a Cremona prima di partecipare alla Gmg di Lisbona.

Durante la serata, la Diocesi avrà inoltre l’occasione di salutare Gloria Manfredini, che partirà nuovamente come missionaria laica per la parrocchia di Gesù Cristo Risorto, dove il cremonese don Davide Ferretti è sacerdote fidei donum dal 2019. Sarà infatti questa un’occasione per ricordare, oltre al sacerdote cremonese, anche don Andrea Perego di Milano che vive a Salvador de Bahia con don Ferretti e per implorare per la pace in Terra Santa, in Ucraina e nel mondo intero.

«La veglia missionaria, così come la Giornata missionaria, a livello ecclesiale ha un’importanza straordinaria – dice don Umberto Zanaboni, responsabile dell’Ufficio missionario diocesano – perché ci ricorda che siamo discepoli del Signore: il suo Vangelo ha reso bella la nostra vita e di conseguenza sentiamo il bisogno di condividere con gli altri la gioia che abbiamo incontrato».

Diversi sono le iniziative che l’Ufficio missionario diocesano ha organizzato in occasione del mese missionario.

Continua a essere visitabile la mostra sulla storia e la vita di Salvador de Bahia ideata da don Emilio Bellani, sacerdote cremonese che per undici anni è state missionario nella città brasiliana: dopo Casalmaggiore, dal 15 al 25 ottobre sarà allestita a Cremona presso l’oratorio di S. Ambrogio; e il 29 ottobre si sposterà al Santuario del Sacro Fonte di Caravaggio, dove resterà esposta fino all’8 novembre.

Proprio il santuario di Caravaggio ospiterà l’incontro con Giusy Baioni, giornalista e autrice del libro Nel cuore dei misteri. Inchiesta sull’uccisione di tre missionarie nel Burundi delle impunità, che sarà presentato il 10 novembre alle 21 presso l’auditorium del Centro di spiritualità del Santuario.

 

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In occasione del mese missionario una mostra itinerante racconta in diocesi la realtà di Salvador de Bahia




Nella Giornata missionaria mondiale una veglia di preghiera per cuori ardenti e piedi in cammino

Almeno cento sono stati i fedeli e le fedeli che si sono riuniti in seminario vescovile nella serata di sabato 21 in occasione della Veglia missionaria.

Il titolo della serata, Cuori ardenti, piedi in cammino, ha ripreso il messaggio che Papa Francesco ha rivolto a tutta la cristianità in occasione del mese missionario: «Per la Giornata Missionaria Mondiale di quest’anno ho scelto un tema che prende spunto dal racconto dei discepoli di Emmaus» e prosegue: «Nel racconto evangelico, cogliamo la trasformazione dei discepoli da alcune immagini suggestive: cuori ardenti per le Scritture spiegate da Gesù, occhi aperti nel riconoscerlo e, come culmine, piedi in cammino. Meditando su questi tre aspetti, che delineano l’itinerario dei discepoli missionari, possiamo rinnovare il nostro zelo per l’evangelizzazione nel mondo odierno».

La serata proposta per tutta la diocesi è stata presieduta dal missionario saveriano di origine cremonese padre Gabriele Guarnieri. Divisa in tre momenti, la veglia ha ripercorso le altrettante suggestioni proposte dal Pontefice. La prima parte dal titolo Piedi in cammino, con la gioia di raccontare il Cristo Risorto è stata caratterizzata dalla testimonianza di alcune famiglie che durante la scorsa estate hanno ospitato alcuni ragazzi della parrocchia di Gesù Cristo Risorto in occasione della GMG di Lisbona. In particolare hanno raccontato la loro esperienza le due sorelle Alice e Isabella Gerevini: «Inizialmente eravamo titubanti, perché ospitare in casa degli sconosciuti è una scelta importante, ma che rifaremmo mille volte, perché ci ha dato tanto e ci ha permesso di imparare tantissimo. Dopo la prima sera, durante la quale abbiamo usato Google traduttore per parlare con loro e sciogliere l’imbarazzo, siamo diventati più intimi e abbiamo comunicato più facilmente. Loro ci hanno insegnato la parola saudade che può essere tradotta in italiano con nostalgia. Siamo riusciti a creare un rapporto bellissimo e ora li consideriamo dei fratelli maggiori. Incontrarli poi per caso a Lisbona durante la via crucis della GMG è stata un’emozione indescrivibile». Quindi hanno concluso dicendo: «Abbiamo capito che la famiglia non è solo una questione di sangue: sono entrati a farne parte due persone che abitano dall’altra parte del mondo».

Michele Piccioni di Sospiro ha condiviso che ciò che lo ha colpito è stata la semplicità di queste persone e il loro atteggiamento rispettoso: «In chiesa, durante la celebrazione, nonostante i 40 gradi, hanno voluto coprirsi le spalle per andare a ricevere l’eucarestia». Il momento dedicato a queste testimonianze è stato concluso da Silvia Araldi di Pieve d’Olmi: «La cosa stranissima è che quando sono arrivati è stato come se ci conoscessimo da sempre, sembrava di aver rivisto qualcuno che non vedevamo da tempo. Mi ha fatto capire che siamo qui in cammino e non siamo sconosciuto gli uni con gli altri».

Il secondo momento della veglia, cuori ardenti: la Parola che illumina e trasforma il cuore nella missione, è stato caratterizzato dalla lettura del Vangelo dei discepoli di Emmaus e dalla riflessione di padre Gabriele Guarnieri, che ha raccontato alcuni episodi della sua vita in Brasile, dove vive come missionario da più di vent’anni: «In Brasile ho imparato a vedere una soluzione in ogni problema. Per esempio, poco tempo fa, alla radio ho sentito che i giovani si sono allontanati dalla Chiesa perché sentono distanza tra loro e i sacerdoti. Allora ho deciso di invitare i ragazzi a fermarsi dopo la Messa e ho dato loro il mio numero di telefono: non posso accettare che il sacerdote sia per i ragazzi lontano e inaccessibile. Così nell’ultimo anno ho potuto mantenere i rapporti con oltre cento ragazzi e ho aiutato la Chiesa a mantenersi viva nel cuore dei giovani».

Durante il terzo e ultimo momento, L’eterna giovinezza di una chiesa sempre in uscita, l’assemblea ha recitato insieme la preghiera del pellegrino di don Tonino Bello e la preghiera al Creatore composta da Papa Francesco.

Prima della benedizione finale, l’assemblea ha salutato Gloria Manfredini, che per la seconda volta andrà nella parrocchia di Salvador de Bahia per prestare il suo servizio come missionaria laica per il prossimo anno, in aiuto a don Davide Ferretti e al sacerdote milanese don Andrea Perego. Diversi saranno i giovani che, in diversi momenti dell’anno, soggiorneranno nella parrocchia di Gesù Cristo Risorto per periodi più brevi.

Le iniziative promosse dal centro missionario per il mese di ottobre proseguono con l’esposizione della mostra creata da don Emilio Bellani, missionario a Salvador de Bahia e da qualche anno tornato in Italia. La mostra potrà essere visitata fino al 25 ottobre presso l’oratorio cremonese di S. Ambrogio e al Santuario del Sacro Fonte di Caravaggio dal 29 ottobre all’8 novembre.

L’ultimo appuntamento sarà l’incontro con Giusy Baioni, giornalista e autrice del libro Nel cuore dei misteri. Inchiesta sull’uccisione di tre missionarie nel Burundi delle impunità, il 10 novembre alle ore 21 presso l’auditorium del centro di spiritualità del Santuario di Caravaggio.

 

Giornata missionaria: cuori ardenti, occhi aperti, piedi in cammino

In occasione del mese missionario una mostra itinerante racconta in diocesi la realtà di Salvador de Bahia




Rosario per la pace al Santuario di Caravaggio. Il Vescovo: «Non esistono parole per dire il bisogno di pace e di dialogo fraterno tra i popoli che vivono in Terra Santa»

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Diverse centinaia di persone si sono trovate nella serata di sabato 14 ottobre al Santuario di Santa Maria del Fonte, a Caravaggio, per pregare insieme per la pace in Terra Santa e nel mondo intero. I fedeli, di ogni età, provenienti dal circondario ma non solo, si sono riuniti davanti all’entrata principale con le fiaccole accese per poi pregare le decine del Rosario percorrendo i portici intorno alla basilica.

«Maria accoglie tutte le speranze e le preghiere che sgorgano dalla vita di ciascuno dei pellegrini che viene in visita a questo Santuario – ha detto il vescovo Antonio Napolioni introducendo la preghiera –. Ma stasera dobbiamo mettere in secondo piano le nostre intenzioni personali. Non esistono parole per dire il bisogno di pace e di dialogo fraterno tra i popoli che vivono in Terra Santa, la terra dove si impara a chiamare Dio come padre». E ha concluso: «Abbiamo bisogno del Dio degli inermi, che ci dia la forza di scegliere per noi la via della mitezza, della pazienza, del perdono e del dialogo. Maria ci è sempre vicina e otterrà sicuramente il miracolo della nostra perseveranza e della nostra fiducia».

Il vescovo ha ricordato anche l’invito che il cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca di Gerusalemme dei Latini, la cui famiglia è originaria di Brignano Gera d’Adda e tanto affezionato al Santuario di Caravaggio, ha rivolto a tutti i cristiani del mondo per il prossimo martedì 17 ottobre: una giornata di digiuno e preghiera per la pace in Medio Oriente.

In questo contesto l’idea di vivere nel Santuario Regionale della Lombardia un momento speciale di preghiera proponendo in modo straordinario il Rosario aux flambeaux che mensilmente si tiene la sera di ogni 26 del mese, in ricordo dell’apparizione di S. Maria del Fonte alla giovane Giannetta.

Dopo la recita dei cinque misteri della gioia, i fedeli sono entrati in basilica, dove il Vescovo ha letto una preghiera di invocazione della pace.

Il momento di preghiera si è concluso con la raccolta di offerte da mandare nelle zone di guerra: «Anche qui in Santuario è tradizione che si raccolgano le offerte per la Terra Santa il Venerdì Santo – ha detto il rettore del Santuario monsignor Amedeo Ferrari –. In questi giorni, i nostri fratelli stanno vivendo un vero e proprio venerdì santo».

Nel silenzio della preghiera e del raccoglimento tutti i fedeli hanno lasciato poi il Santuario per fare ritorno nelle proprie case.

 

Martedì 17 ottobre giornata nazionale di digiuno, preghiera e astinenza per la pace e la riconciliazione. Online i sussidi liturgici

Il 17 ottobre anche a Cremona in preghiera per la pace: “Pausa digiuno” in Cattedrale e veglia a San Pietro al Po




A Gallignano l’ingresso di don Paolo Tomasi: «La storia è passato, presente e futuro»

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Le vie di Gallignano, frazione di Soncino, si sono decorate di ghirlande bianche e d’oro per festeggiare il nuovo parroco, don Paolo Maria Tomasi, il cui ingresso è avvenuto nel pomeriggio di sabato 24 settembre, alle 18.30, nella chiesa parrocchiale di San Pietro apostolo con la Messa presieduta dal vescovo Antonio Napolioni e concelebrata da una quindicina di sacerdoti.

Il corteo che ha accompagnato il neoparroco è partito dal cortile dell’oratorio ed è arrivato sul sagrato della chiesa parrocchiale dove, ad attenderlo, c’era il sindaco di Soncino, Gabriele Gallina. «Oggi la comunità è in festa» ha esordito il primo cittadino. «Due settimane fa abbiamo salutato con affetto don Lino (don Pasquale Viola, il precedente parroco, ndr) e ora tutta la comunità ti accoglie con gioia. Durante il tuo servizio a Soncino ho potuto conoscerti e apprezzarti di persona per la tua grande umanità, il tuo sguardo verso i più bisognosi e per la tua cultura. Ti auguro uno stupendo percorso». L’affetto e la stima reciproca sono stati sanciti da un abbraccio accompagnato dall’applauso dei presenti.

 

Il saluto del sindaco Gallina

 

Subito dopo è iniziata la celebrazione solenne, presieduta dal vescovo di Cremona che ha voluto salutare «con affetto» don Viola e ringraziarlo «per la grinta che lo ha caratterizzato» in tanti anni di servizio pastorale. Molti i fedeli rimasti in piedi durante la celebrazione nella chiesa gremita.

Il vicario zonale, don Giambattista Piacentini, ha letto il decreto di nomina di don Tomasi, seguito dal canto eseguito dal coro parrocchiale. La Messa è proseguita con i riti esplicativi di aspersione dell’assemblea e l’incensazione dell’altare da parte del nuovo parroco.

Un rappresentante del consiglio pastorale ha poi dato il benvenuto al nuovo parroco a nome di tutti: «Sarai per noi padre, guida e fratello. Arricchisci la nostra comunità, sobria e umile, con i tuoi valori. Ti affidiamo i bambini e i giovani e ti chiediamo di seminare in terreni che sono poco fertili».

 

Il saluto del rappresentante parrocchiale

 

Mons. Napolioni, nella sua omelia, ha ricordato che il compito di un parroco è aiutare la comunità che gli è affidata a domandarsi «cosa vuole dire Gesù a ognuno di noi, senza aver fretta di tirar fuori la morale o usare il Vangelo in base alle proprie idee». La Chiesa aiuta a conoscere Dio attraverso l’ascolto, ha proseguito il Vescovo: «Come Maria, che ascolta con la mente e con il cuore». Luogo dell’incontro con il Signore è quindi la chiesa, dove ognuno, durante la preghiera personale, può chiedere a Dio di insegnargli ad ascoltarlo. La Sua risposta è l’invito a «cercarlo per le strade, nelle case e nella storia della gente». Dopo l’ascolto e la ricerca – ha concluso il vescovo Napolioni – il compito del parroco è insegnare ai fedeli a «imitare san Paolo, la cui vita è talmente impastata di Dio che può dire che vivere è Cristo e morire un guadagno».

 

L’omelia del vescovo Napolioni

 

La celebrazione eucaristica è terminata con il saluto del nuovo parroco. «La storia della mia vita – ha esordito don Tomasi – da questa sera si inserisce in quella della vostra comunità e diventa la nostra storia». Poi ha proseguito: «La storia è passato, del quale sono grato per la mia famiglia, la mia parrocchia d’origine e quelle nelle quali ho prestato servizio; e per i presbiteri che sono qui oggi e la cui presenza mi rinfranca. La storia è presente e questo ci spinge a rimetterci in gioco nel cammino. Gesù con le parabole ci insegna che, anche quando siamo in attesa, la fede ci spinge sempre ad agire e a non rimanere indifferenti». E ancora: «La storia è anche futuro, che è donato e che è sempre una sorpresa di Dio. Noi siamo pellegrini che davanti a loro hanno due linee guida: la Parola che è luce e il pane spezzato che troviamo durante la Messa». Don Tomasi ha concluso il suo saluto augurando a tutti i suoi parrocchiani «buona avventura, quella più bella che ci sia: ritrovare nella propria vita la via che riconduce al Padre che ci aspetta nella misericordia e nella Pasqua senza fine».

 

Il saluto del nuovo parroco

 

Dopo le firme dell’atto di immissione alla presenza dei testimoni, è stato organizzato un rinfresco in oratorio per celebrare convivialmente l’arrivo del nuovo parroco.

 

 

Profilo biografico del nuovo parroco

Don Paolo Maria Tomasi, classe 1957, originario di Fontanella, è stato ordinato sacerdote il 20 giugno 1981. Ha iniziato il proprio ministero come vicario a Castelleone. Dal 1995 al 2005 è stato parroco di Quattrocase e cappellano all’Ospedale Oglio Po. Dal 2005 al 2012 è stato parroco di Romanengo e, tra il 2006 e il 2009, amministratore parrocchiale di Ticengo. Dal 2012 al 2022 è stato parroco in solido di Binanuova, Ca’ de’ Stefani, Gabbioneta e Vescovato, e dal 2014 al 2022 anche di Pescarolo e Pieve Terzagni. Dal 2022 era collaboratore parrocchiale di Casaletto di Sopra, Melotta, Isengo e Soncino. Ora il Vescovo gli ha affidato la comunità di Gallignano, frazione di Soncino, al posto di don Pasquale Viola, che ha lasciato l’incarico per raggiunti limiti d’età.

 

 

Saluto di don Tomasi sul giornalino parrocchiale

E Gallignano sia!

Carissimi fratelli e sorelle nella fede della parrocchia San Pietro apostolo in Gallignano, mi rivolgo con affetto nel salutarvi come vostro Parroco nominato dal Vescovo Antonio che ringrazio per la fiducia che mi ha accordato e ringrazio anche a nome vostro perché ha voluto mantenere un parroco per una parrocchia, anche se piccola, la nostra.  Riprendo un cammino già tracciato dai preti che mi hanno preceduto, in particolare Don Persico, Don Ennio, Don Peppino e Don Lino, che avete appena salutato con tanto affetto e riconoscenza e nei confronti suoi anch’io ho un legame importante perché è stato il mio vicario e, in quegli anni, ho fatto la scelta di entrare in Seminario per verificare la mia vocazione alla vita presbiterale.

Dopo la mia ordinazione (20 giugno 1981), la prima Santa Messa nella mia amata parrocchia di Fontanella. Lì ho tessuto per vent’anni alternandoli con il tempo del Seminario. Nel cimitero sono sepolti i miei genitori, i miei nonni, tante persone che ricordo con affetto. Ho due sorelle, quattro nipoti e tre zii. Due miei fratelli sono morti. Il mio primo incarico mi è stato affidato dal Vescovo Fiorino: vicario a Castelleone (1981-1995), poi il vescovo Giulio mi ha nominato Parroco di Quattrocase di Casalmaggiore e Cappellano all’Ospedale Oglio-Po (1995 – 2005). Dal Vescovo Dante ho avuto due nomine: Parroco a Romanengo (2005- 2012) e Coparroco nell’unità pastorale di Vescovato  (2012-2022). Dopo l’anno pastorale a Soncino, ecco la nomina del Vescovo Antonio a Gallignano.

Arrivo in mezzo a voi sereno, consapevole dei miei limiti ma ricco soprattutto dell’amore con il quale il Signore ha accompagnato e accompagna la mia vita. Arrivo in mezzo a voi con la mia umanità  e con il mio essere cristiano che vuole condividere la proposta del Vangelo con la comunità che ha una storia bella di servizio alla parrocchia e di crescita nella fede.

Camminiamo insieme, ognuno con le proprie responsabilità, io consapevole che essere parroco vuol dire anche essere pastore, pastore secondo il cuore di Dio che vuole il bene delle sue pecorelle, in particolare di quelle che sono più deboli, fragili, sole. Prego ogni giorno il Signore affinché mi aiuti ad essere pastore secondo il suo cuore e di custodire e far crescere quella “carità pastorale” che è l’avere attenzione a tutti. Prego per questa nuova comunità che imparerò a conoscere e, sempre, nella preghiera, ricordo le comunità che  ho incontrato nel mio cammino presbiterale.

Mi affido anche le vostre preghiere e davvero, disponiamoci insieme, nel modo migliore, a percorrere quella strada che si chiama “sequela di Cristo” come singoli, come famiglie, come Chiesa che vive in Gallignano, ma respira l’essere nella Diocesi e nella cattolicità del popolo di Dio.

San Pietro ci protegga con l’autorità del suo essere apostolo. Sant’ Imerio sia pure lui a intercedere per noi e la Vergine Madre che, in particolare, onoriamo nel santuario di Villavetere, ci aiuti a rimanere in ascolto della parola di Dio e ci incoraggi a fare quello che il suo figlio Gesù ci chiede. Ci auguriamo, gli uni gli altri, buona avventura nella fedeltà a Dio che è Padre, Figlio e Spirito Santo.

Con affetto e stima, un saluto fraterno

Don Paolo vostro Parroco

 

 

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Domenica pomeriggio Gallignano accoglie don Paolo Tomasi

Sarà celebrata domenica 23 settembre alle 18.30 dal vescovo Antonio Napolioni, nella chiesa parrocchiale di Gallignano intitolata a san Pietro apostolo, la Messa di insediamento del nuovo parroco, don Paolo Tomasi. Il sacerdote classe 1957, originario di Fontanella, prende il testimone da don Pasquale Viola che, lasciata la comunità per raggiunti limiti d’età dopo 28 di servizio, si è ritirato proprio a Fontanella, dove era stato vicario all’inizio del suo ministero.

Alle 18.15 è previsto il ritrovo presso l’oratorio in via Regina della Scala. Da lì il corteo si sposterà verso la chiesa parrocchiale sul cui sagrato don Tomasi e monsignor Napolioni riceveranno il saluto da parte del sindaco di Soncino (di cui Gallignano è frazione) Gabriele Gallina.

In chiesa, all’inizio della Messa, sarà letto il decreto di nomina e don Tomasi riceverà da un rappresentante del Consiglio pastorale parrocchiale il benvenuto ufficiale.

La festa proseguirà, al termine della celebrazione, in oratorio dove è previsto un rinfresco di benvenuto.

Per prepararsi all’ingresso del nuovo parroco, la comunità di Gallignano ha invitato, giovedì 21 alle 20.45, don Marco D’Agostino, rettore del Seminario, per una lectio divina sul ministero del sacerdozio. Durante la giornata di sabato 23 settembre un sacerdote sarà disponibile in chiesa per le confessioni.

La messa delle ore 10 di domenica 24 settembre sarà sospesa e l’intera comunità è invitata vivere insieme nel pomeriggio il momento di festa e accoglienza del nuovo parroco.

 

Profilo biografico del nuovo parroco

Don Paolo Maria Tomasi, classe 1957, originario di Fontanella, è stato ordinato sacerdote il 20 giugno 1981. Ha iniziato il proprio ministero come vicario a Castelleone. Dal 1995 al 2005 è stato parroco di Quattrocase e cappellano all’Ospedale Oglio Po. Dal 2005 al 2012 è stato parroco di Romanengo e, tra il 2006 e il 2009, amministratore parrocchiale di Ticengo. Dal 2012 al 2022 è stato parroco in solido di Binanuova, Ca’ de’ Stefani, Gabbioneta e Vescovato, e dal 2014 al 2022 anche di Pescarolo e Pieve Terzagni. Dal 2022 era collaboratore parrocchiale di Casaletto di Sopra, Melotta, Isengo e Soncino.

 

Saluto di don Tomasi sul giornalino parrocchiale

E Gallignano sia!

Carissimi fratelli e sorelle nella fede della parrocchia San Pietro apostolo in Gallignano, mi rivolgo con affetto nel salutarvi come vostro Parroco nominato dal Vescovo Antonio che ringrazio per la fiducia che mi ha accordato e ringrazio anche a nome vostro perché ha voluto mantenere un parroco per una parrocchia, anche se piccola, la nostra.  Riprendo un cammino già tracciato dai preti che mi hanno preceduto, in particolare Don Persico, Don Ennio, Don Peppino e Don Lino, che avete appena salutato con tanto affetto e riconoscenza e nei confronti suoi anch’io ho un legame importante perché è stato il mio vicario e, in quegli anni, ho fatto la scelta di entrare in Seminario per verificare la mia vocazione alla vita presbiterale.

Dopo la mia ordinazione (20 giugno 1981), la prima Santa Messa nella mia amata parrocchia di Fontanella. Lì ho tessuto per vent’anni alternandoli con il tempo del Seminario. Nel cimitero sono sepolti i miei genitori, i miei nonni, tante persone che ricordo con affetto. Ho due sorelle, quattro nipoti e tre zii. Due miei fratelli sono morti. Il mio primo incarico mi è stato affidato dal Vescovo Fiorino: vicario a Castelleone (1981-1995), poi il vescovo Giulio mi ha nominato Parroco di Quattrocase di Casalmaggiore e Cappellano all’Ospedale Oglio-Po (1995 – 2005). Dal Vescovo Dante ho avuto due nomine: Parroco a Romanengo (2005- 2012) e Coparroco nell’unità pastorale di Vescovato  (2012-2022). Dopo l’anno pastorale a Soncino, ecco la nomina del Vescovo Antonio a Gallignano.

Arrivo in mezzo a voi sereno, consapevole dei miei limiti ma ricco soprattutto dell’amore con il quale il Signore ha accompagnato e accompagna la mia vita. Arrivo in mezzo a voi con la mia umanità  e con il mio essere cristiano che vuole condividere la proposta del Vangelo con la comunità che ha una storia bella di servizio alla parrocchia e di crescita nella fede.

Camminiamo insieme, ognuno con le proprie responsabilità, io consapevole che essere parroco vuol dire anche essere pastore, pastore secondo il cuore di Dio che vuole il bene delle sue pecorelle, in particolare di quelle che sono più deboli, fragili, sole. Prego ogni giorno il Signore affinché mi aiuti ad essere pastore secondo il suo cuore e di custodire e far crescere quella “carità pastorale” che è l’avere attenzione a tutti. Prego per questa nuova comunità che imparerò a conoscere e, sempre, nella preghiera, ricordo le comunità che  ho incontrato nel mio cammino presbiterale.

Mi affido anche le vostre preghiere e davvero, disponiamoci insieme, nel modo migliore, a percorrere quella strada che si chiama “sequela di Cristo” come singoli, come famiglie, come Chiesa che vive in Gallignano, ma respira l’essere nella Diocesi e nella cattolicità del popolo di Dio.

San Pietro ci protegga con l’autorità del suo essere apostolo. Sant’ Imerio sia pure lui a intercedere per noi e la Vergine Madre che, in particolare, onoriamo nel santuario di Villavetere, ci aiuti a rimanere in ascolto della parola di Dio e ci incoraggi a fare quello che il suo figlio Gesù ci chiede. Ci auguriamo, gli uni gli altri, buona avventura nella fedeltà a Dio che è Padre, Figlio e Spirito Santo.

Con affetto e stima, un saluto fraterno

Don Paolo vostro Parroco

 

 

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Don Massimo Cortellazzi: «Sarò curatore d’anime»

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Nel tardo pomeriggio di sabato 16 settembre, le comunità di Romanengo, Casaletto di Sopra e Melotta hanno accolto come nuovo parroco don Massimo Cortellazzi, già collaboratore parrocchiale di Casaletto di Sopra e Melotta, che a Romanengo prende il testimone da don Emilio Merisi, diventato collaboratore parrocchiale ad Arzago d’Adda e Casirate d’Adda.

L’accoglienza del nuovo parroco è iniziata intorno alle 18 davanti alla casa di riposo Opera Pia Vezzoli di Romanengo, solennizzata dal suono della banda che ha quindi accompagnato il corteo, formato dalle autorità, le associazioni presenti sul territorio e alcuni fedeli, oltre a don Cortellazzi insieme al Vescovo e agli altri sacerdoti concelebranti, verso il sagrato della chiesa parrocchiale dei Ss. Giovanni Battista e Biagio dove i sindaci di Romanengo Attilio Polla e di Casaletto di Sopra Roberto Moreni hanno tenuto i loro discorsi di benvenuto.

«Caro don Massino, le do il benvenuto davanti alla nostra bellissima chiesa interessata dai lavori di rifacimento del tetto, lavori di manutenzione», le parole del primo cittadino romanenghese che ha ripreso quelle dello stesso don Cortellazzi: «Siamo manutentori dell’opera del Signore. Voglia considerare tutti noi come suoi operai».

Il sindaco di Casaletto di Sopra si è unito ai saluti e ai ringraziamenti del collega, manifestando tutta la sua gratitudine nei confronti del Vescovo che ha nominato come parroco don Cortellazzi, già conosciuto alle comunità di Casaletto di Sopra e della frazione Melotta, certo che la scelta di uno stesso parroco per le tre comunità faciliterà il «percorso amministrativo iniziato anni fa e che adesso trova compimento anche nella parte ecclesiastica».

 

Il saluto dei sindaci Polla e Moreni

 

Subito dopo è iniziata la celebrazione solenne, presieduta dal vescovo Antonio Napolioni e animata con il canto dalla corale parrocchiale. Presenti in chiesa, oltre ai numerosi nuovi parrocchiani di don Massimo, tanti soncinesi, tra cui le suore dell’istituto Sacra Famiglia, che, insieme agli altri sacerdoti di Soncino, hanno voluto accompagnare don Cortellazzi in questo importante momento del proprio ministero.

Il vicario zonale don Gianbattista Piacentini ha avuto il compito di leggere il decreto di nomina, cui sono seguiti l’aspersione dell’assemblea e l’incensazione dell’altare da parte del nuovo parroco. Quindi un rappresentante della parrocchia ha letto il saluto di benvenuto da parte della comunità e a don Cortellazzi è stata regalata una casula verde perché – come ha specificato il rappresentante del Consiglio pastorale parrocchiale – il nuovo parroco possa «essere pastore e compagno nella quotidianità».

 

Il saluto del rappresentante parrocchiale

 

Il vescovo Napolioni, nella sua omelia, ha ricordato che a un nuovo parroco non è chiesto di compiere miracoli: «l’essenziale non è mostrare i muscoli, ma la necessità più profonda è che tutti conoscano nell’amore di Dio Padre». La tentazione più grande, ha continuato il Vescovo, è «vivere per se stessi, mentre bisogna ricordarci che la vita è un dono e noi abbiamo un debito di gratitudine nei confronti della fonte della Vita».

Il compito del parroco è quindi quello di «far trafficare il perdono di Dio, che diventa perdono fraterno». E ha concluso invitando don Cortellazzi e tutti i sacerdoti presenti a mettersi in ascolto e a confessare, perché «il Vangelo ci chiede di tuffarci nella misericordia del Padre che noi possiamo far circolare».

 

Omelia del vescovo Napolioni

 

La celebrazione eucaristica è terminata con il saluto del nuovo parroco, che ha accolto l’invito del Vescovo e si è dichiarato a servizio delle comunità come «curatore d’anime».

«Nella mia esperienza ho incontrato quattro tipi di anime», ha detto don Cortellazzi. «Ci sono quelle combattenti, che vogliono fare la guerra all’ignoranza. Ci sono quelle che cercano l’appartenenza. E ci sono le anime che cercano la propria vocazione». L’ultimo tipo di anima descritta da don Massino è stata quella che, secondo papa Francesco, ha più bisogno: l’anima che sente «l’urgenza della misericordia». «Il mio e nostro impegno – ha concluso il nuovo parroco – è quello di far collaborare tutti questi tipi di anime».

 

Il saluto del nuovo parroco

 

Per continuare la festa, dopo le firme dell’atto di immissione alla presenza dei testimoni, è stato organizzato un rinfresco in oratorio per celebrare convivialmente l’arrivo del nuovo parroco e alle 21, presso il teatro, è stato messo in scena uno spettacolo.

 

 

Biografia del nuovo parroco

Don Massimo Cortellazzi, classe 1973, originario di Ponteterra, è stato ordinato sacerdote il 20 giugno 1998. Dal 1998 al 2002 è stato vicario della parrocchia “S. Maria Assunta” in Cremona e mansionario della Cattedrale. Successivamente è stato vicario delle parrocchie “S. Maria Annunciata”, “S. Maria Assunta e S. Cristoforo” e “Ss. Martino e Nicola” in Viadana (2002-2009) e di quella di Vailate (2009-2014). Nel 2014 è stato nominato collaboratore parrocchiale di Isengo e Soncino, e l’anno successivo anche di Casaletto di Sopra e Melotta. Di queste due parrocchie ora è stato nominato parroco insieme a quella di Romanengo, Melotta.

 

 

Il saluto di don Massimo Cortellazzi

Carissimi battezzati di Romanengo, Casaletto di Sopra e Melotta: il Signore sia con voi! Il primo ringraziamento lo rivolgo al Vescovo Antonio, che mi ha accordato una grande fiducia, alla quale cercherò di rispondere con l’impegno necessario. Ringrazio i parroci che vado a sostituire in questo avvicendamento, don Emilio Merisi e don Giuseppe Nevi. Se anche non arriverò alla stessa perspicacia amministrativa, spero di dare continuità almeno a quella pastorale. Nel contempo ringrazio della loro amicizia don Mario Marinoni (ex parroco), don Fabrizio Ghisoni, don Gabriele Barbieri, don Paolo Tomasi e il diacono Raffaele Ferri, con i quali ho condiviso l’impegno pastorale negli ultimi anni nell’Unità Pastorale di Soncino, Isengo, Casaletto di Sopra e Melotta. Provengo da un paesino della bassa mantovana, Ponteterra – per lo più sconosciuto – frazione di Sabbioneta – decisamente più nota – cittadina gonzaghesca. Nato nell’ormai lontano 1973, sono il terzo e ultimo figlio di Abele e Rosa, che non ringrazierò mai abbastanza. Fui accettato nel 1991 all’interno della comunità del Seminario diocesano di Cremona e il 20 giugno 1998 fui ordinato prete. Mi sono occupato finora di tre oratori, nella parrocchia della Cattedrale di Cremona, in quella di Viadana Castello e poi di Vailate, accumulando 17 anni di esperienza in quell’ambito, insieme a quello dell’Insegnamento della Religione Cattolica nei vari istituti che in quelle parrocchie sorgono. Negli ultimi otto anni sono stato assegnato come Collaboratore all’Unità Pastorale di Soncino. Da quando sono prete ho studiato un po’ di filosofia all’Università di Parma e di psicologia all’Università di Bergamo. Strimpello pianoforte ed organo, avendo anche frequentato qualche Conservatorio e Accademia di musica. Completo il quadretto dicendo che non mi è mancata l’occasione di dedicarmi alla direzione dei cori parrocchiali dove sono capitato e alla composizione. Un ringraziamento particolare lo rivolgo anche al Corpo Bandistico della Città di Vailate, col quale ho collaborato intensamente anche in epoca recente come direttore ospite. L’ultima esplorazione è stata quella nel cosiddetto “mondo del lavoro”, essendo stato assunto come autista di autobus turistici per circa un anno e mezzo presso una ditta di Offlaga (BS). Ho la gioia di avere cinque bravi nipoti, che normalmente trascuro, ma che non lo fanno pesare in alcun modo. Venendo a noi. Siamo dei manutentori: la vita che abbiamo, la fede che ci guida, la parrocchia che abitiamo, non le abbiamo inventate noi. Ce le siamo trovate dentro e di fronte, come cosa nostra. Ma anche intorno e sopra, come cose molto più grandi di noi. In ogni caso, quello che realmente rimane in nostro potere è la loro manutenzione. Essere un manutentore comporta una profondità speculativa, uno spessore umano ed una intelligenza emotiva, che rivelano la grandezza dell’essere umano, anche quando non abbia in repertorio le parole precise per descriverli. Il manutentore, a patto che non ripeta all’infinito, compulsivamente, lo stesso gesto, come un forsennato che spolveri anche i rami dei platani sul ciglio della strada, di fronte all’oggetto del suo lavoro, prima di cominciare, risponde principalmente a quattro domande, questioni che accompagnano dalle origini la più seria indagine filosofica del mondo occidentale. Per questo parlo di profondità speculativa. Il manutentore si chiede innanzitutto: Che cos’è? Poi: Come funziona? Quindi: A cosa serve? Infine: Che valore ha? Il suo lavoro, con o senza parole, manifesta come abbia risposto a queste domande. Che si tratti del pavimento del bar dell’oratorio o della salute o della propria fede cristiana, il compito è la manutenzione. Non c’è alternativa. Anche non far nulla è manutenzione. Con il segno “-” (meno) davanti. E parlo di spessore umano perché il manutentore fa quello che è necessario. Anche quando ci si sporca le mani. Anche quando la puzza scoraggerebbe chiunque. Il manutentore sa che quella cosa è da fare. E non diserta. Parlo di intelligenza emotiva perché il manutentore deve trovare dentro di sé il punto di equilibrio dell’ansia, della fretta, dell’ira, della noia, dello stress e di mille altre variabili interiori. Perché il suo lavoro va fatto con calma e precisione. Altrimenti l’aereo cade. E qualcuno si fa del male sul serio. Pertanto la “metafora” o “immagine” od “orizzonte” o “sfondo integratore”, che preferisco nel raccontare la vita o la comunità cristiana è il “cantiere” della manutenzione, come diceva il nostro Vescovo Antonio nel 2016. Il quale, come sapete, ha trovato il tempo di scrivere una lettera indirizzata proprio a noi, al termine della Visita pastorale del gennaio di quest’anno. Da buon supervisore (episcopo) ci ha indicato alcune priorità e attenzioni, che dovremo insieme tradurre in processi, con la Sapienza, l’Intelletto, il Consiglio, la Fortezza, la Scienza, la Pietà e il Timore di Dio, che lo Spirito vorrà accordarci. Buon lavoro a tutti!

Don Massimo

 

 

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Sabato alle 18.30 a Romanengo l’ingresso di don Massimo Cortellazzi

Sarà presieduta sabato 16 settembre dal vescovo Antonio Napolioni, alle 18.30 nella chiesa parrocchiale dei Ss. Giovanni Battista e Biagio, a Romanengo, la Messa di insediamento di don Massimo Cortellazzi, nuovo parroco di parroco di Romanengo, Melotta e Casaletto di Sopra. Prende il testimone rispettivamente da don Emilio Merisi, per Romanengo, e don Giuseppe Nevi, per Casaletto di Sopra e Melotta, di cui negli ultimi otto anni don Cortellazzi è stato collaboratore parrocchiale.

L’accoglienza del nuovo parroco sarà presso la casa di riposo Opera Pia Vezzoli, da dove alle 18.15 partirà la processione verso la chiesa parrocchiale, sul cui sagrato don Cortellazzi e monsignor Napolioni riceveranno il saluto da parte dei sindaci di Romanengo e Casaletto di Sopra (con la frazione di Melotta), Attilio Polla e Roberto Moreni.

In chiesa, all’inizio della Messa, sarà letto il decreto di nomina e il nuovo parroco aspergerà l’assemblea, incensando poi la mensa eucaristica, prima di ricevere il saluto ufficiale della comunità attraverso un suo rappresentante del Consiglio pastorale. Sarà proprio il nuovo parroco a proclamare il Vangelo e, al termine dell’omelia tenuta dal Vescovo, recitare il Credo, evidenziando così che sarà lui il primo responsabile della diffusione della fede nella comunità. Al termine della Messa prenderà quindi la parola per i saluti e i ringraziamenti. In un clima di festa che proseguirà poi in oratorio dove è previsto un rinfresco di benvenuto.

Per prepararsi all’ingresso del nuovo parroco sono stati organizzati alcuni specifici momenti di riflessione e preghiera. In particolare le Messe delle 18.30 di giovedì 14 e venerdì 15 settembre saranno caratterizzate da una riflessione sul ministero sacerdotale. Inoltre sempre giovedì 14 settembre, alle 20.45, don Marco D’Agostino, rettore del Seminario di Cremona, terrà una lectio divina per approfondire il tema “La figura del sacerdozio nel nostro tempo”.

Domenica 17 settembre la comunità di Casalmorano si unirà a quella di Casirate d’Adda che alle 11.15 accoglierà don Emilio Merisi, che assume l’incarico di collaboratore parrocchiale ad Arzago d’Adda e Casirate d’Adda.

 

Biografia del nuovo parroco

Don Massimo Cortellazzi, classe 1973, originario di Ponteterra, è stato ordinato sacerdote il 20 giugno 1998. Dal 1998 al 2002 è stato vicario della parrocchia “S. Maria Assunta” in Cremona e mansionario della Cattedrale. Successivamente è stato vicario delle parrocchie “S. Maria Annunciata”, “S. Maria Assunta e S. Cristoforo” e “Ss. Martino e Nicola” in Viadana (2002-2009) e di quella di Vailate (2009-2014). Nel 2014 è stato nominato collaboratore parrocchiale di Isengo e Soncino, e l’anno successivo anche di Casaletto di Sopra e Melotta. Di queste due parrocchie ora è stato nominato parroco insieme a quella di Romanengo, Melotta.

 

Il saluto di don Massimo Cortellazzi

Carissimi battezzati di Romanengo, Casaletto di Sopra e Melotta: il Signore sia con voi! Il primo ringraziamento lo rivolgo al Vescovo Antonio, che mi ha accordato una grande fiducia, alla quale cercherò di rispondere con l’impegno necessario. Ringrazio i parroci che vado a sostituire in questo avvicendamento, don Emilio Merisi e don Giuseppe Nevi. Se anche non arriverò alla stessa perspicacia amministrativa, spero di dare continuità almeno a quella pastorale. Nel contempo ringrazio della loro amicizia don Mario Marinoni (ex parroco), don Fabrizio Ghisoni, don Gabriele Barbieri, don Paolo Tomasi e il diacono Raffaele Ferri, con i quali ho condiviso l’impegno pastorale negli ultimi anni nell’Unità Pastorale di Soncino, Isengo, Casaletto di Sopra e Melotta. Provengo da un paesino della bassa mantovana, Ponteterra – per lo più sconosciuto – frazione di Sabbioneta – decisamente più nota – cittadina gonzaghesca. Nato nell’ormai lontano 1973, sono il terzo e ultimo figlio di Abele e Rosa, che non ringrazierò mai abbastanza. Fui accettato nel 1991 all’interno della comunità del Seminario diocesano di Cremona e il 20 giugno 1998 fui ordinato prete. Mi sono occupato finora di tre oratori, nella parrocchia della Cattedrale di Cremona, in quella di Viadana Castello e poi di Vailate, accumulando 17 anni di esperienza in quell’ambito, insieme a quello dell’Insegnamento della Religione Cattolica nei vari istituti che in quelle parrocchie sorgono. Negli ultimi otto anni sono stato assegnato come Collaboratore all’Unità Pastorale di Soncino. Da quando sono prete ho studiato un po’ di filosofia all’Università di Parma e di psicologia all’Università di Bergamo. Strimpello pianoforte ed organo, avendo anche frequentato qualche Conservatorio e Accademia di musica. Completo il quadretto dicendo che non mi è mancata l’occasione di dedicarmi alla direzione dei cori parrocchiali dove sono capitato e alla composizione. Un ringraziamento particolare lo rivolgo anche al Corpo Bandistico della Città di Vailate, col quale ho collaborato intensamente anche in epoca recente come direttore ospite. L’ultima esplorazione è stata quella nel cosiddetto “mondo del lavoro”, essendo stato assunto come autista di autobus turistici per circa un anno e mezzo presso una ditta di Offlaga (BS). Ho la gioia di avere cinque bravi nipoti, che normalmente trascuro, ma che non lo fanno pesare in alcun modo. Venendo a noi. Siamo dei manutentori: la vita che abbiamo, la fede che ci guida, la parrocchia che abitiamo, non le abbiamo inventate noi. Ce le siamo trovate dentro e di fronte, come cosa nostra. Ma anche intorno e sopra, come cose molto più grandi di noi. In ogni caso, quello che realmente rimane in nostro potere è la loro manutenzione. Essere un manutentore comporta una profondità speculativa, uno spessore umano ed una intelligenza emotiva, che rivelano la grandezza dell’essere umano, anche quando non abbia in repertorio le parole precise per descriverli. Il manutentore, a patto che non ripeta all’infinito, compulsivamente, lo stesso gesto, come un forsennato che spolveri anche i rami dei platani sul ciglio della strada, di fronte all’oggetto del suo lavoro, prima di cominciare, risponde principalmente a quattro domande, questioni che accompagnano dalle origini la più seria indagine filosofica del mondo occidentale. Per questo parlo di profondità speculativa. Il manutentore si chiede innanzitutto: Che cos’è? Poi: Come funziona? Quindi: A cosa serve? Infine: Che valore ha? Il suo lavoro, con o senza parole, manifesta come abbia risposto a queste domande. Che si tratti del pavimento del bar dell’oratorio o della salute o della propria fede cristiana, il compito è la manutenzione. Non c’è alternativa. Anche non far nulla è manutenzione. Con il segno “-” (meno) davanti. E parlo di spessore umano perché il manutentore fa quello che è necessario. Anche quando ci si sporca le mani. Anche quando la puzza scoraggerebbe chiunque. Il manutentore sa che quella cosa è da fare. E non diserta. Parlo di intelligenza emotiva perché il manutentore deve trovare dentro di sé il punto di equilibrio dell’ansia, della fretta, dell’ira, della noia, dello stress e di mille altre variabili interiori. Perché il suo lavoro va fatto con calma e precisione. Altrimenti l’aereo cade. E qualcuno si fa del male sul serio. Pertanto la “metafora” o “immagine” od “orizzonte” o “sfondo integratore”, che preferisco nel raccontare la vita o la comunità cristiana è il “cantiere” della manutenzione, come diceva il nostro Vescovo Antonio nel 2016. Il quale, come sapete, ha trovato il tempo di scrivere una lettera indirizzata proprio a noi, al termine della Visita pastorale del gennaio di quest’anno. Da buon supervisore (episcopo) ci ha indicato alcune priorità e attenzioni, che dovremo insieme tradurre in processi, con la Sapienza, l’Intelletto, il Consiglio, la Fortezza, la Scienza, la Pietà e il Timore di Dio, che lo Spirito vorrà accordarci. Buon lavoro a tutti!

Don Massimo

 

Nuovi parroci, dal 16 settembre al 15 ottobre gli ingressi