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Ius soli: la cattiva informazione genera inutili paure.

Cristina Molfetta, antropologa culturale, ha lavorato per molti anni all’estero nella cooperazione internazionale, soprattutto in campi profughi. Rientrata in Italia dal 2008, collabora e lavora prima con l’Ufficio pastorale dei migranti di Torino e, da quasi cinque anni, con la Fondazione Migrantes della CEI a livello nazionale, nella stesura annuale del Rapporto Caritas – Migrantes, lo strumento che offre elementi di conoscenza e valutazione del fenomeno della mobilità nelle sue forme, sia degli italiani che continuano a emigrare all’estero, sia delle persone di diversa nazionalità che arrivano in Italia come immigrati, come richiedenti asilo o potenziali titolari di protezione internazionale.


In Parlamento forse si discuterà di  “ius soli”. Chiediamo a Cristina Molfetta  (Fondazione Migrantes della Cei) com’è la versione italiana, visto che in Europa coesistono modelli differenti?
«Anzitutto è uno ius soli estremamente temperato. In questi giorni di dibattito sento dire cose molto strane… tipo: “È importante non dare la cittadinanza a qualcuno solo perché è nato nel territorio italiano”. Questa versione dello ius soli allo stato “puro” in Europa non è presente e tantomeno nella proposta italiana. Forse si concretizza solo negli Stati Uniti.
Tutte le diverse versioni di acquisizione della cittadinanza presenti in Europa sono in realtà versioni temperate, che significa che non basta nascere in un luogo geografico per avere la cittadinanza di quel Paese. Anche la proposta italiana si inserisce in questo solco dello ius, e in realtà è anche molto moderata, perché viene temperata rispetto a due principi fondamentali: da una parte attraverso gli anni di frequenza della scuola del minore nato o arrivato in Italia (almeno un ciclo completo di studi, cinque anni regolari di scuola) così che si consolidi il processo di inculturazione con compagni che frequenta ogni giorno, studiando sui nostri programmi, con maestre che lo accompagnano. Cinque anni di convivenza scolastica chiaramente fanno molto di più di un semplice parto in ospedale… Un secondo principio è chiedere che almeno un genitore abbia un permesso come lungo soggiornante in Italia. Forse le persone non si rendono conto di cosa significhi avere questo permesso: per ottenerlo occorre avere avuto una residenza continuativa in Italia per dieci anni e più, occorre un determinato reddito, stiamo parlando di persone che  hanno avuto un lungo processo di inserimento sociale e culturale all’interno del Paese. In virtù di queste richieste si ritiene che dei genitori siano in grado di traghettare i figli verso l’inserimento positivo nel Paese. Sono entrambe misure che definirei molto caute».

Perchè allora assistiamo ad una repentino calo del consenso del rispetto al provvedimento? È solo per paura del terrorismo?
«È come se si generasse  un corto circuito, dovuto alla cattiva informazione sul mondo dei migranti e dei richiedenti asilo, che vengono spesso confusi. Così come si confonde chi arriva con gli sbarchi nel nostro Paese e chi è qui da tanti anni come immigrato stabilmente inserito. A questo si aggiunga una scorretta rappresentazione della tragedia del terrorismo, agitata dinanzi all’opinione pubblica.  C’è una indisponibilità a capire che con lo ius soli stiamo parlando di persone che sono inserite nel nostro Paese da molti anni, di cui addirittura i cittadini italiani che li conoscono si stupiscono che non siano italiani. Ho in mente tanti casi di compagni di scuola che sono cresciuti insieme, perché coetanei, e che sembra incredibile considerare stranieri. Magari lo  scoprono solo nel momento in cui vanno insieme in gita scolastica o in attività in cui avere o non avere la carta d’identità può essere in qualche modo utile».

Dinanzi al fenomeno emergente dell’immigrazione, crede esista un serio rischio di islamizzazione della società italiana?
«Io non credo. Questa è un’altra delle cose di cui le persone hanno molta paura, ma perché non conoscono i dati. Capisco che accedere ai dati chieda alla gente di passare attraverso la razionalità. Invece spesso la gente è come in preda a dei fantasmi, che evidentemente con la razionalità hanno poco a che fare. La nostra immigrazione storica in Italia, fatta di circa cinque milioni di persone (noi siamo un Paese di sessanta milioni di abitanti), è solo in minima parte di religione islamica. La maggioranza degli immigrati storici sono in realtà cittadini dell’est Europa, di religione cristiana. Oserei dire  che il problema dell’islamizzazione sia un’eventualità ben lontana dalla realtà».

Dietro il problema della cittadinanza, il grande tema del confronto culturale sull’identità…
«Da antropologa penso che bisognerebbe lasciare la parola a chi vive questa situazione. È sconcertante che intervistando giovani che per molti anni hanno frequentato la scuola in Italia, che spesso non sono mai neanche tornati nei paesi di origine dei loro genitori, dicano che si sentono fondamentalmente italiani. Questo è il luogo dove crescono, qui hanno i loro amici, e noi dovremmo essere tanto intelligenti da capire che questi sono italiani con una marcia in più: parlano un’altra lingua, conoscono all’interno delle loro famiglie un’altra tradizione, e questo in realtà è una grande ricchezza. Avremmo tutti gli elementi per capirlo: noi siamo stati un grande Paese di emigrazione, ognuno di noi in famiglia ha parenti o amici che oggi o in passato si sono mossi in altri Paesi. Dovremmo avere imparato che stare a lungo in un luogo vuol dire gradualmente sentirsi appartenenti, pur conservando i tratti della provenienza. Non si capisce perché se si rivendica questa capacità per sé non si riesca ad accettare che chi nasce qui, ed ha una tradizione familiare diversa, potrebbe essere un ottimo cittadino che addirittura ci arricchisce con competenze linguistiche, sociali, culturali diverse».

Tanti giovani, poi radicalizzati, erano però da anni inseriti nel contesto sociale. È possibile un reale processo di integrazione e a quali condizioni?
«Io penso di si, però credo che dobbiamo smettere di giocare sporco. Credo che l’estremismo non abbia nulla a che vedere con il riconoscimento della cittadinanza, ma piuttosto con la non reale opportunità delle persone di inserirsi in quella società. Diciamo che l’Italia, che finora ha fatto meglio di altri Paesi, è riuscita in questi anni  a portare avanti un processo di integrazione silenziosa in cui le persone erano molto diffuse sul territorio. Non sono stati creati dei ghetti, e ciò ha aiutato. Adesso siamo ad un punto critico, con un’immigrazione storica da tanti anni, persone che sono tra noi da tanto tempo, le domande di cittadinanza aumentano ogni anno… Come non capire che non valorizzare chi è qui – anche con un riconoscimento della cittadinanza – può essere percepito come la volontà di mantenere comunque una distanza tra chi è nato qui e chi ci arriva? Io credo che sia proprio il perdurare delle disparità a fare problema. Se un ragazzo è bravo a scuola, non importa da quale Paese sia arrivato: deve accedere alla borsa di studio perché sarà comunque un nostro vantaggio se riuscirà a mettere i suoi talenti a servizio della società. Più togliamo degli ostacoli, più costruiremo una società in cui non esista la separazione tra un “noi” e un “loro”. Dopo di che, le regole sono uguali per tutti: se uno delinque paga perché delinque, non deve esserci un eccesso di buonismo. In questa uguaglianza di regole, riconoscendo che chi arriva ha degli svantaggi strutturali, c’è un momento in cui questa distanza viene colmata, e a quel punto ognuno è responsabile di quello che fa».

Un consiglio vincente per favorire il processo di integrazione? 

«Provare a incontrarsi, fidandosi di più di ciò che si conosce incontrando direttamente le persone, superando le paure che ci vengono instillate ogni giorno ma che non passano dalla nostra diretta esperienza. Incontrare il più possibile le persone le fa scoprire simili a noi. Le sirene della paura stanno attanagliando l’Europa, e la paura non è una buona consigliera».

Le capita di sentirsi sola in questo suo lavoro?
«No, lavoro in realtà con molta gente. Mi capita di sentirmi in minoranza: in realtà quelli che ci credono sono tanti, ma la sensazione è questa. Spero che il mio Paese possa attraversare questo passaggio cruciale. Dalla riflessione sulla mia esperienza concludo: o siamo in grado di costruire un futuro diverso credendoci, o l’idea di chiudere le porte e di escludere qualcuno non ci porterà da nessuna parte».




Pastorale della salute: torna il corso per volontari e assistenti spirituali. A settembre doppio appuntamento a Caravaggio

Sotto il profetico invito di una “Chiesa in uscita”, l’Ufficio diocesano per la Pastorale della salute, diretto da don Maurizio Lucini, in collaborazione con l’Ufficio formazione dell’Ospedale di Cremona, propone, già da diversi anni, un percorso formativo per operatori sanitari, volontari e assistenti spirituali. Anche quest’anno saranno offerti quattro incontri mensili, da ottobre a gennaio, che toccheranno il tema della comunicazione e della relazione tra paziente/familiari e operatori in particolare in alcuni momenti critici nel decorso della malattia.

«A livello generale questi cammini, intrapresi nel dialogo con l’Azienda Ospedaliera, – precisa don Lucini – vogliono offrire contributi affinché cresca sempre più una sensibilità umana nella gestione della cura che tenga conto anche delle emozioni, dei sentimenti e della dimensione spirituale dei malati».

Il percorso, totalmente gratuito, si svolgerà da ottobre presso l’aula magna del nosocomio cremonese di viale Concordia. Per motivi organizzativi è necessaria l’iscrizione: è sufficiente scaricare la brochure del programma qui allegata, compilare la scheda e seguire le istruzioni riportate.

Locandina del corso         Brochure di iscrizione

 

Già nel mese di settembre, invece, altri due appuntamenti importanti relativamente la pastorale della salute.

La Seziona Lombarda dell’UNITALSI, per la terza volta negli ultimi anni, desidera riunire i sacerdoti ammalati e/o anziani delle diocesi lombarde per un momento di amicizia e di preghiera insieme ai vescovi lombardi. L’incontro è in programma il 21 settembre presso il Santuario di Caravaggio, dove negli stessi giorni presso sono in programma i lavori della Conferenza Episcopale Lombarda. Per la partecipazione contattare via e-mail la segreteria dell’Unitalsi di Cremona (cremona@unitalsilombarda.it) o l’Ufficio di Pastorale della Salute (malu_lm@libero.it ).

Scheda di prenotazione

 

Il secondo appuntamento di settembre sarà, sempre presso il Santuario di Caravaggio, domenica 24, quando è in agenda il pellegrinaggio diocesano per ammalati e anziani. Due saranno i momenti caratterizzanti.

Al mattino, per coloro che vorranno, con l’Unitalsi si terrà una sosta di preghiera e riflessione guidata dall’assistente; a seguire spazio per la preghiera personale in santuario e poi il pranzo insieme. Per questa prima parte è necessaria l’iscrizione, tramite e-mail presso la sede dell’Unitalsi (cremona@unitalsilombarda.it), per organizzare i trasporti e la prenotazione del ristorante.

Nel pomeriggio si aprirà ufficialmente il pellegrinaggio con recita del Rosario e la celebrazione Eucaristica presieduta dal vescovo Antonio.




Progetto “Giovani Insieme” negli oratori: nuova edizione con 12 posti

Per il quarto anno consecutivo è stato approvato il progetto Giovani Insieme, che prevede l’inserimento lavorativo di giovani 20/30enni presso gli Oratori della Lombardia. Un’esperienza che in questi anni ha funzionato bene e che, negli ultimi mesi, a Brignano, Cassano, San Bassano, Soresina, San Francesco (Cremona), Calvenzano, Pescarolo, Vescovato, Calcio, Boschetto, Antegnate e Casalmorano ha coinvolto i giovani nella gestione di particolari progetti a servizio della comunità.

«Lo scorso anno – conferma don Paolo Arienti, responsabile della Federazione Oratori Cremonesi – sono stati chiamati 16 giovani. Quest’anno saranno un po’ meno, 12, ma avranno più ore da dedicare ai progetti pensati dai diversi oratori.  Anche per il nuovo anno, quindi, sarà garantito il cofinanziamento regionale, fino al 60%, per coprire i costi dell’inserimento lavorativo dei giovani a sostegno delle attività della parrocchia».

A livello lombardo, il progetto permetterà a circa 300 giovani di età compresa tra i 20 e i 30 anni, in possesso di diploma di scuola secondaria di secondo grado, di operare nelle parrocchie per accogliere, animare e organizzare le attività educative negli oratori potenziando la capacità aggregativa delle strutture coinvolte, sostenendo le attività già in corso mediante l’inserimento di nuove figure educative.

«Come FOCr – continua don Arienti – siamo ovviamente a disposizione di chi volesse chiarimenti sulle procedure da seguire per aderire al progetto. Purtroppo gli oratori non potranno più pagare i ragazzi scelti con i voucher, che sono stati aboliti. Sarà necessario ricorrere a contratti di collaborazione continuativa, un po’ più costosi, ma ugualmente validi. Comunque sia, so per certo che gli oratori che nel recente passato si sono avvalsi di questa possibilità, ne hanno tratto giovamento. Un’esperienza positiva, secondo me da confermare per offrire a chi frequenta l’oratorio un servizio, qualificato, in più. Fra l’altro, la Focr mette a disposizione anche possibilità formative per i giovani prescelti per renderli ancora più adatti al servizio per il quale sono stati assunti. Poi, ogni oratorio può decidere di puntare su attività di doposcuola, di animazione o quant’altro».

La struttura del progetto prevede la scelta del proseguimento dell’esperienza già iniziata nell’anno 2015/16 e la candidatura di nuove parrocchie.

Il progetto partirà a settembre per concludersi entro il 31 agosto 2018. Ulteriori informazioni presso la Federazione Oratori Cremonesi, dove dovranno essere presentate le candidature attraverso specifica modulistica.




Un battesimo nella favela di Salvador da Bahia

Continua, per il Vescovo Antonio e la piccola rappresentanza della diocesi, il viaggio nella vita delle comunità cristiane guidate dei missionari fidei donum cremonesi. Una domenica vissuta nella pastorale parrocchiale: la celebrazione Eucaristica nella chiesa principale di Salvador da Bahia – con la gioia di accogliere un nuovo cristiano grazie al dono del Battesimo – e poi in una comunità periferica della stessa Parrocchia. Pomeriggio impegnato nella condivisione con bambini e ragazzi della favela: si gioca a tombola anche in Brasile…

La domenica è trascorsa poi con il pranzo in una famiglia, con tutti i figli e i nipoti. Nell’occasione il Vescovo ha fatto dono alla nonna, capostipite di una numerosa famiglia cristiana, della corona del Rosario del Papa.

Il Vescovo Antonio ha potuto incontrare nella giornata di ieri anche S. Ecc. Mons. Murilo Sebastiao Ramos Krieger, Missionario Dehoniano, Vescovo della diocesi locale, per un fraterno scambio e condivisione sulla situazione della Chiesa e del Paese. Di origini tedesche, mons. Murilo è stato battezzato in una chiesa dedicata alla Madonna di Caravaggio, costruita tempo fa in Brasile da una delle tante comunità italiane qui immigrate.

Photogallery 

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Nuovi parroci/2: le date degli ingressi di ottobre

Anche la prima metà di ottobre sarà caratterizzata da diverse celebrazione di insediamento dei nuovi parroci recentemente nominati dal Vescovo: dopo i 12 ingressi di settembre, 8 quelli in agenda il mese successivo.

Ecco l’elenco completo.

Dopo i due appuntamenti nel pomeriggio del 30 settembre a Formigara e Corte de’ Cortesi, domenica 1° ottobre altri due ingressi.

Si inizia al mattino alle 10 a Casalmorano per l’insediamento di don Adriano Veluti che (dopo aver guidato la comunità di Costa Sant’Abramo) è stato nominato parroco moderatore dell’Unità pastorale di Casalmorano, Azzanello, Barzaniga, Castelvisconti e Mirabello Ciria al posto di don Antonio Bandirali, diventato parroco di S. Imerio in Cremona.

Nel pomeriggio, alle 17, appuntamento nel Milanse con l’ingresso di don Alessandro Capelletti che (finora parroco di Dosolo e amministratore parrocchiale di Correggioverde) è stato nominato parroco della parrocchia dell’Annunciazione a Cassano d’Adda, in sostituzione di don Paolo Ardemagni trasferito a Robecco d’Oglio.

Particolarmente intensa l’agenda del successivo fine settimana che inizierà nel pomeriggio di sabato 7 ottobre, alle 18, nella chiesa di Costa S. Ambramo con l’ingresso di don Roberto Rota che, già parroco di Castelverde e Castelnuovo del Zappa, è stato nominato anche parroco di Costa Sant’Abramo (frazione di Castelverde come Castelnuovo del Zappa).

Domenica 8 ottobre si inizia, al mattino, da Cumignano sul Naviglio con l’ingresso, alle 10.30, di don Davide Osio che (trasferito da Fontanella dove era vicario) assume l’incarico di parroco di Cumignano sul Naviglio, Ticengo e Villacampagna al posto di don Diego Poli, che andrà come parroco proprio a Fontanella.

Nel pomeriggio, alle 15.30, a Corte de’ Frati l’ingresso di don Giovanni Tonani e don Claudio Corbani, diventati parroci in solido di Pozzaglio, Olmeneta, Casalsigone, Castelnuovo Gherardi e Corte de’ Frati. Don Tonani sino ad ora è stato parroco di Corte de’ Cortesi, Cignone e Bordolano; don Corbani solo di Pozzaglio, Olmeneta, Casalsigone, Castelnuovo Gherardi (insieme a don Morini, trasferito a Corte de’ Cortesi, Cignone e Bordolano), ma senza Corte de’ Frati, dove era parroco don Antonio Agnelli, trasferito a Cremona come collaboratore parrocchiale di S. Bernardo.

Altro appuntamento del pomeriggio, alle 18, a Robecco d’Oglio, con l’ingresso di don Paolo Ardemagni (finora parroco della parrocchia dell’Annunciazione a Cassano d’Adda): sostituisce don Giuseppe Allevi, diventato parroco di Rivarolo del Re, Brugnolo e Villanova.

Domenica 15 ottobre gli ultimi due appuntamenti. Al mattino alle 10.30 a Dosolo, l’ingresso di don Stefano Zoppi che, già parroco di Cavallara e Villastrada, è stato nominato parroco anche di Dosolo e Correggioverde al posto di don Alessandro Capelletti, diventato parroco della parrocchia dell’Annunciazione a Cassano d’Adda.

Infine, nel pomeriggio di domenica 15 ottobre alle 17.30 a Fontanella farà il proprio ingresso come parroco don Diego Poli (finora parroco di Cumignano sul Naviglio, Ticengo e Villacampagna): sostituisce don Libero Salini che, al raggiungimento dei limiti di età, è stato nominato collaboratore parrocchiale delle parrocchie del Boschetto e del Migliaro, a Cremona.

Tutti gli ingressi di settembre




Estate da vivere tra spiritualità e servizio con le Suore Adoratrici

Estate come sempre ricca di proposte con il Servizio di pastorale giovanile e vocazionale delle Suore Adoratrici del SS. Sacramento di Rivolta d’Adda, che propongono occasioni di spiritualità e servizio in diocesi e all’estero.

Il primo appuntamento in agenda è anche quello geograficamente più lontano: porta, infatti, in Camerun dove quattro giovani ragazze spenderanno la seconda metà di luglio uscendo dai soliti schemi per investire una parte delle proprie vacanze in dono per gli altri. Una esperienza che le coinvolgerà completamenti: mani, pensieri e, soprattutto, cuore. Sarà un’estate che davvero può cambiare la vita.

La attese di questo Campo in missione nelle parole di laura.

 

A fine luglio, invece sono in programma gli esercizi ignaziani di prima settimana. L’appuntamento è presso la casa di spiritualità che le Adoratrici hanno a Lenno, sul lago di Como. Gli esercizi inizieranno domenica 30 luglio alle 19 con la cena e terminano sabato 5 agosto con il pranzo. A guidarli don Gianbattista Rizzi. Una proposta per aiutare a vivere l’estate “Con lo spirito giusto!”. informazioni contattando suor Veronica (cel. 338-8734402, e-mail suorveronica@suoreadoratrici.it) o suor Luisa (cel. 346-8228492, e-mail suorluisaciceri@suoreadoratrici.it).

Ultimi per ordine di tempo è, quindi, il Campo servizio che dal 27 agosto al 2 settembre si potrà vivere presso Casa Famiglia “Spinelli”, a Rivolta d’Adda. Si tratta di un’esperienza residenziale rivolta ai giovani (dai 18 anni) che desiderano condividere una settimana di fraternità, di servizio con gli ospiti disabili e anziani della casa e cogliere l’occasione per crescere umanamente e spiritualmente attraverso la proposta di un cammino formativo e di preghiera.

I posti sono limitati e le adesioni devono essere confermate entro il 30 luglio contattando suor Stefania (cel. 324-0464625, e-mail suorstefania@suoreadoratrici.it) o suor Mariagrazia (tel. 0363-77022, e-mail suormariagrazia@suoreadoratrici.it).

Tre modalità concrete per poter dare un senso alle vacanze che “sono, o almeno potrebbero essere, – ha affermato Enzo Bianchi, già priore di Bose – un periodo in cui riscoprire la propria umanità e perseguire la pace e la serenità interiori, un tempo per lo spirito, un’occasione per rispondere al desiderio autentico di trovare altrove un senso a ciò che si vive qui e ora, per comportarsi altrimenti in modo da tornare a condurre con consapevolezza un’esistenza divenuta stanca routine. Le vacanze possono essere davvero un’occasione di alterità positiva grazie alla quale gettiamo uno sguardo nuovo sulle abitudini – buone e cattive – assunte nei rapporti con gli altri e con la realtà circostante, uno sguardo non miope ma lungimirante, distaccato e insieme appassionato, uno sguardo che tende a diventare lo sguardo stesso di Dio”.

“Perché, allora, – le parole ancora di Enzo Bianchi – non approfittare delle vacanze per ridare alla nostra giornata un ritmo e un clima più naturale, più umano, libero dai condizionamenti che subiamo dall’esterno? Si potrebbe allora riscoprire il gusto della preghiera nel silenzio di una chiesetta di campagna o di fronte alle meraviglie del creato, sedendosi a guardare e ascoltare: ascoltare prima di guardare, perché la bellezza si ascolta ancor prima di guardarla… allora le cose, le persone diventano una presenza e si accende la possibilità della comunione; riscoprire che la bellezza non è un’idea ma un evento, un divenire da cui può nascere la comunicazione e quindi la comunione. E ancora, se durante le vacanze cercassimo di tralasciare le troppe parole di cui riempiamo le nostre giornate e ci riaccostassimo alla sempre nuova Parola che Dio ci rivolge attraverso la Bibbia, saremmo capaci di una nuova lettura di noi stessi, di chi ci sta accanto e degli eventi che segnano la nostra vita”.

“È possibile usare le vacanze – sottolineava quindi Bianchi – per accrescere la propria libertà, imparando a discernere di cosa e di chi siamo schiavi; è possibile fare delle vacanze il tempo privilegiato per la nostra umanizzazione, tralasciando costumi che ci abbrutiscono; è possibile far tesoro delle vacanze per riscoprire l’autenticità di rapporti umani che avevamo condannato alla triste banalità di chi dall’altro non attende più nulla. È possibile, e dipende solo da noi”.




Non solo assistenzialismo: la S. Vincenzo punta a offrire piccole occasioni di reddito

Giugno e luglio, per quanti incontriamo quotidianamente le povertà della gente del territorio, come fanno i volontari della S. Vincenzo de’ Paoli, sono i mesi dell’emergenza utenze. Sono proprio questi, infatti, i giorni nei quali le municipalizzate inviano ai clienti i solleciti per il pagamento a saldo delle bollette di acqua, luce e gas. Ecco perché le richieste a centri di ascolto si fanno più pressanti nelle giornate estive, quando anche i solleciti al pagamento degli affitti si accumulano e tutto diventa più difficile da gestire con le nostre semplici forze.

Tende invece a diventare più tranquilla la situazione per quanto riguarda la mensa. «Sebbene ogni anno, ad agosto, i nostri locali rimangono chiusi – spiega la presidente diocesana Eugenia Rozzi Bassignani – il servizio viene comunque garantito dai frati Cappuccini di via Brescia dove anche i nostri volontari vengono dirottati a sostegno del servizio. Per quanto ci riguarda, quindi, il mese più caldo dell’anno non è fra i più complessi, anzi. Molti stranieri, che di solito affollano i tavoli della San Vincenzo nel corso dell’anno, approfittano del periodo estivo per tornare nel Paese di origine, dalle famiglie».

La necessità di pasti caldi, dunque, cala un po’, ma tutto è in rapida evoluzione: negli ultimi anni, sono sempre meno quelli che vanno via. «Ad agosto – prosegue la presidente Rozzi – anche il nostro Centro di ascolto viene chiuso per consentire ai volontari di tirare il fiato. Ma sia chiaro: in caso di emergenze, noi ci siamo. Nessuno viene mai lasciato solo, specialmente nel periodo normalmente dedicato (per chi se le può permettere) alle ferie dove tanti possono sentirsi soli, più soli… E non parlo solo degli stranieri, ma anche degli italiani che ormai sono diventati la metà esatta degli utenti abituali della mensa: giovani padri senza lavoro, persone con problemi di dipendenza sono cresciuti rapidamente».

D’estate la solidarietà non va in vacanza? Ovviamente no. Ma ciò di cui ora si sente maggior bisogno non è l’aiuto, ma il lavoro! «Noi aiutiamo tutti, ma l’assistenza non è l’unica possibilità. Un pacco alimentare, un pasto, il pagamento dell’iscrizione al Grest per i figli sono interventi che garantiamo quotidianamente, ma è solo un modo per tamponare situazioni che non si risolvono, se l’utente non riesce a diventare autonomo. Per questo punteremo su un’attività di rete più snella, affinché sia possibile offrire piccole occasioni di reddito in grado di dare una vera svolta alla vita dei tanti che oggi il mercato del lavoro sembra ormai voler rifiutare».




Nella favela di Salvador da Bahia con don Emilio Bellani. Poi una parentesi di Sinodo incontrando i giovani

Dopo l’incontro con don Regazzetti, il gruppo cremonese ha fatto ritorno a Salvador da Bahia dove ha avuto modo di conoscere più da vicino la situazione grave povertà di questa zona, in particolare visitando la favela e la comunità guidata dal castelleonese don Emilio Bellani.

A Salvador il 67% della popolazione (4 milioni di persone) vive nelle favelas. La presenza cattolica costituisce una minoranza, soprattutto per la presenza di numerose Chiese pentecostali, ma è sicuramente la presenza che più di tutte le altre mette in atto opere sociali: scuole, corsi di formazione, momenti di incontro per le donne (moltissime di loro sono madri che devono provvedere da sole ai figli, in quanto spesso i compagni non si assumono la responsabilità della paternità).

La parrocchia di don Bellani è all’interno di una di queste favelas disseminate sul territorio della città, abitate per la quasi totalità da afrobrasiliani (fenomeno dovuto al post schiavitù e al fatto che i Governi non hanno mai adottato politiche di integrazione e sviluppo). All’interno delle favelas sono frequenti gli omicidi legati allo spaccio e alla prostituzione.

La favela in cui opera don Emilio è costituita da almeno 35.000 persone. I cattolici che frequentano la parrocchia per la Messa sono circa 300, quelli che la parrocchia aiuta sono almeno dieci volte di più. Il sacerdote cremonese è l’unico prete cattolico presente. I pastori pentecostali sono almeno 80.

L’impegno è tanto, come moltissime sono le necessità da soddisfare, ma chiaramente non è possibile far fronte a tutto.

La giornata è stata occasione anche per la visita alla tomba della beata Maria Rita Lopes Pontes de Sousa Brito (detta Irmã Dulce): una religiosa di Salvador da Bahia (1914-1992) delle Suore Missionarie dell’Immacolata Concezione della Madre di Dio, che tanto si spese nelle opere di carità e di assistenza ai poveri e ai bisognosi. Proclamata beata nel 2011, è conosciuta come la Madre Teresa del Brasile.

La giornata di sabato 15 luglio, sempre approfondendo la conoscenza della parrocchia guidata da don Emilio Bellani, è stata in un certo senso un tassello del Sinodo dei giovani che si sta svolgendo in Diocesi di Cremona con la fase dell’ascolto. Mons. Napolioni, infatti, ha avuto modo di incontrare i giovani. Tutti loro vivono nella favela. Proprio la vita parrocchiale rappresenta per loro un’importante occasione per sfuggire a quei circoli viziosi, davvero pericolosi, che la vita delle favelas ogni giorno propone. È stato un utile e interessante scambio di conoscenze ed esperienze, ma soprattutto una bella testimonianza, da parte di questi giovani brasiliani, di fede, gioia di vivere e fiducia nel futuro.

Photogallery della visita alla favela (venerdì 14 luglio)

Photogallery dell’incontro con i giovani (sabato 15 luglio)

 

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Disponibile il calendario pastorale 2017/18

È già scaricabile il calendario dell’anno pastorale 2017/2018, al via da settembre. Per ogni giorno, oltre al riferimento liturgico, sono indicati gli appuntamenti sia di carattere diocesano che zonale.

L’agenda inizia il 1° settembre, Giornata per la custodia del creato. Tra i primi appuntamenti programmati l’incontro del Vescovo con tutti i sacerdoti interessati dai trasferimenti. Domenica 17 settembre ricorre la Giornata per la scuola, il giorno seguente alle 21 in Cattedrale l’intera comunità diocesana è attesa in Cattedrale per l’apertura del nuovo anno pastorale e l’avvio del processo di beatificazione di don Primo Mazzolari. Dopo l’Assemblea oratori e il pellegrinaggio dei sacerdoti anziani e malati a Caravaggio giovedì 21, la sera di venerdì 22 l’anno pastorale sarà inaugurato a livello zonale. Da segnalare anche, domenica 24 settembre, il pellegrinaggio degli ammalati con il Vescovo al Santuario di Caravaggio.

Scarica il calendario 2017/18

 

È sempre possibile consultare il calendario diocesano dal menu del portale, sotto la testa




Emergenza acqua: non solo una questione di stagione

Pur se le piogge arrivate abbondanti (più sull’ovest della regione e in montagna che sulla Bassa) hanno fatto tirare un grosso sospiro di sollievo, la siccità sta colpendo duramente il nostro Paese, e in particolare l’Emilia Occidentale, con le province di Parma e Piacenza. Lo stato di emergenza è stato dichiarato e le preoccupazioni, anche per i prossimi mesi, aumentano. Per ora il settore più colpito è l’agricoltura, ma subito a ruota potranno subire limitazioni crescenti anche tanti altri usi civili, oltre che industriali. Vogliamo però allargare lo sguardo. Senza dimenticare che 1,2 miliardi di persone non hanno accesso ad acqua potabile; 2,5 miliardi di uomini non dispongono di strutture igie­nico-sanitarie adeguate e di reti fognarie; 5 milioni di persone muoiono ogni anno per carenza d’acqua e tra questi 1,8 sono bambini. Si prevede che entro il 2050 altri 2 miliardi e 800 milioni di persone soffriranno per scarsità d’acqua.

Per approfondire questo aspetto proponiamo un estratto del libro “Terra, aria, acqua e fuoco” (Edb, Bologna 2012), del sacerdote cremonese don Bruno Bigna­mi, teologo morale.

 

Ivano Fossati cantava nel 2008: «E intanto la guerra dell’acqua è già cominciata in qualche modo e da qualche parte. Per qualcuno sopra questa Terra una vita decente è rimandata ancora».

La storia dell’umanità, per la verità, ha già conosciuto un susseguirsi di conflitti intorno all’acqua. E il futuro non promette di meglio: la diminuzione della disponibilità di acqua pro capite rappresenterà una fonte di instabilità politica ed economica.

Nel corso della storia umana l’inquinamento dei pozzi o delle falde acquifere è stato utilizzato come strumento di sterminio di massa delle popolazioni. Mettere le mani sull’acqua potabile significava di fatto avere potere di vita o di morte sulle persone.

Le guerre in Europa spesso si sono combattute sui fiumi e per il dominio delle loro acque.

Nel terzo millennio l’acqua sarà la risorsa strategica in grado di scatenare tensioni e conflitti tra le nazioni. Alcune situazioni nel mondo sono già esplose.

Il ricatto della sete si era realizzato nel maggio 1975, quando Siria e Iraq avevano ammassato le loro truppe ai rispettivi confini. I tentativi della Lega araba di evitare un conflitto erano falliti: l’unica strada sembrava quella del ricorso alle armi. Alla fine, una mediazione dell’Arabia Saudita evitò la guerra. Oggetto della contesa fu la costruzione della diga di Tabqa, in Siria. Attraverso questa struttura, il corso dell’Eufrate arrivava in Iraq con una portata d’acqua di 197 metri cubi al secondo, invece dei normali 920. Il governo iracheno aveva considerato insostenibile questa riduzione che metteva in ginocchio non solo l’agricoltura, ma lo stesso approvvigionamento idrico della capitale e delle principali città. Ci sono volute innumerevoli riunioni dei governi di Ankara, di Damasco e di Baghdad per giungere al compromesso, secondo il quale la portata del fiume in territorio iracheno dovesse essere di 500 metri cubi al secondo. Proprio quella disputa mise in luce che Siria e Iraq potevano essere sottoposte al ricatto dell’acqua da parte della Turchia.

Un altro conflitto si sta consumando intorno al Nilo, fiume che ha reso possibile lo sviluppo della civiltà faraonica. Il Nilo è cardine dell’economia e dell’agricoltura egiziane, indispensabile sorgente di vita per milioni di contadini e insostituibile fonte di energia per le industrie del paese: dai deserti della Nubia alle coste del Mediterraneo. Ma l’Egitto (120 milioni di abitanti, che si prevede raddoppieranno nel 2020) non è il solo ad abbeverarsi al grande bacino idrico del fiume. Duecentocinquanta milioni di africani in nove Paesi affacciati sul Nilo Bianco e sul Nilo Azzurro si contendono la preziosa risorsa. In gioco ci sono 84 miliardi di metri cubi di acqua all’anno e un fiume lungo 6.700 km. A Entebbe (Uganda), il 14 maggio 2010 solo quattro Stati (Uganda, Tanzania, Etiopia e Ruanda) hanno firmato l’Accordo quadro di cooperazione del Nilo: Kenya, Repubblica Democratica del Congo e Burundi non si sono presentati, mentre Egitto e Sudan si sono opposti alla firma del trattato. Questi ultimi intendono difendere strenuamente un vecchio accordo coloniale del 1929 (successivamente emendato nel 1959) tra Egitto ed Inghilterra, per il quale all’Egitto sono garantiti 55,5 miliardi di metri cubi d’acqua e al Sudan ne vanno 18,5 che, sommati insieme, fanno l’87% del totale. Nel trattato coloniale l’Egitto aveva diritto di veto su eventuali lavori a monte. Mantenere lo status quo è questione di vita o di morte per l’economia e l’agricoltura egiziana, ma il tutto avviene a scapito degli altri governi rivieraschi. Sudan, Etiopia, Tanzania, Uganda hanno in cantiere progetti di dighe per l’utilizzo delle acque del Nilo a proprio vantaggio. Si preannunciano tempi duri, in cui si cercherà di far prevalere la legge del più forte. Come sempre, semplicemente.

In Medio Oriente, poi, sono diventate famose le contese per il fiume Giordano. Dal suo controllo dipende il presente e il futuro di almeno quattro paesi che sono stati al centro di scontri internazionali nell’ultimo mezzo secolo: Israele, Giordania, Libano e Siria. Il 37% dell’acqua consumata in Israele proviene dal Giordano e dal lago di Tiberiade, a sua volta alimentato da questo fiume che segna il confine tra la Cisgiordania e la Giordania, per sfociare nel Mar Morto. Le falde della Cisgiordania rappresentano infatti il 38% delle risorse idriche di Israele. Il rimanente 25% è rappresentato da sorgenti che si trovano sia in territorio cisgiordano che israeliano. Inoltre, la guerra del 1967, che condusse all’occupazione israeliana della Cisgiordania e delle alture del Golan, fu un’occupazione delle risorse d’acqua dolce della regione. La situazione attuale è la seguente: Israele consuma l’82% dell’acqua della Cisgiordania, mentre i palestinesi ne utilizzano tra il 18 e il 20%. Inoltre i pozzi dei palestinesi non possono superare i 140 metri di profondità, mentre quelli israeliani possono raggiungere anche 800 metri. Oggi Israele controlla le falde idriche in Cisgiordania, attribuendo agli israeliani 350 litri di acqua al giorno, ai coloni quantità ancora superiori, e ai palestinesi non più di 80 litri. Se si considera che, per l’Organizzazione Mondiale della Sanità, sono necessari almeno 80- 100 litri al giorno pro capite, la situazione è chiara: Israele asseta il popolo palestinese per difendere il proprio dominio. Così la gestione dell’acqua può diventare un criterio per valutare l’ingiustizia, che divide gli uomini in categorie meritevoli o meno di vita, a seconda delle appartenenze etniche. Nel 2005, la costruzione del Muro aveva già distrutto 50 pozzi e 200 cisterne, proprietà di palestinesi. Anche la conquista del Libano del Sud (1982) può essere vista come una forma di controllo delle fonti che Israele considera vitali, oltre che creare una zona di sicurezza tra gli estremisti sciiti dell’Hezbollah, che hanno le basi nel Sud del Libano, e lo stato ebraico. In territorio sotto il controllo israeliano scorrono i fiumi Hasbani e Litani, che proprio sul suolo libanese, si gettano nel Giordano.

Neppure l’India è in pace a motivo dell’acqua. La costruzione di dighe attraverso lo sbarramento dei due fiumi sacri, il Gange e il Narmada, ha provocato enormi proteste da parte dei contadini e delle donne che si sono visti distruggere i mezzi di sussistenza e minacciare i luoghi sacri. La gente della valle del Narmada non si oppone solo alle evacuazioni, rese obbligatorie dalle dighe, ma sta combattendo una battaglia per la custodia della loro cultura religiosa e della loro civiltà.

I casi di guerra si moltiplicano. L’accaparramento dell’acqua finisce per giustificare conflitti di prevaricazione o per scatenare proteste in nome dell’acqua, il cui significato simbolico è riconosciuto da molte culture. Osserva lo scrittore Erri De Luca: «Prima che si scatenino guerre per la sete, si può stabilire che le fonti appartengono alla comunità del mondo, come le nuvole, la neve, il vento, gli oceani, le maree» a tutti.