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Dedicata alle “Frontiere” la nuova edizione di Riflessi

È online sul sito riflessimag.it la nuova edizione del mensile digitale Riflessi Magazine che, prima della pausa estiva, dedica il numero di giugno al tema delle frontiere.


«Quando sei “di frontiera” – si legge nell’introduzione – cammini lungo una linea di demarcazione, vivi in bilico: come se non appartenessi all’una o all’altra parte. Non del tutto. Non ancora. Eppure è l’esperienza di tutti, quella del limite. Quella della contaminazione. Veniamo da un’esperienza tragica che ha spinto tutti sull’orlo dell’incertezza. Ci siamo riscoperti tutti sul confine: tra la vita e la morte, il dentro e il fuori, la presenza e l’assenza, la nostalgia e la rinascita». Significativa l’immagine di copertina, scattata dalla fotografa Giulia Barbieri proprio sulla grande scala che collega i piani e i reparti dell’Ospedale di Cremona, luogo simbolo del fronte di resistenza alla pandemia, con due operatori sanitari che lanciano quasi con stupore uno sguardo verso l’alto, come nella ricerca della prossima frontiera da raggiungere per continuare la risalita di tutto un territorio e di tutta una comunità.
Così i racconti e le immagini che si affacciano dalle pagine digitali di “Frontiere” sono volti e storie che danno coraggio, invitano a fidarsi che portano: «tra i campi di calcio di un campionato senza patria, a caccia delle tracce di luce che bucavano la quarantena, tra aeroporti e dogane, dentro i reparti dell’ospedale e tra i corridoi di una casa di riposo; e ancora nel profondo della Caverna di Platone insieme ad un gruppo di maturandi e ad una scolaresca di bimbi di 5 anni, e poi saliti in cima al Torrazzo, il monumento simbolo, da cui lo sguardo corre lontano, dove i confini della città si confondono con quelli del mondo. Oltre l’ultima frontiera. A un passo dalla prossima».




La testimonianza dei sanitari accolti nelle strutture diocesane durante l’emergenza covid: «Così la carità di Cremona ci ha dato una casa»

Papa Francesco ha voluto esprimere il grazie proprio e quello dell’intera comunità ecclesiale a quegli operatori sanitari e socio-sanitari che durante l’emergenza sanitaria hanno dimostrato di essere “artigiani della cultura della prossimità e della tenerezza”: medici, infermieri, operatori impegnati in diverso modo nell’ambito sanitario, ma anche sacerdoti e volontari [Leggi il resoconto dell’udienza]. Un riconoscimento che anche la Diocesi di Cremona ha voluto da subito esprimere anche in un modo molto concreto: l’ospitalità, nelle proprie strutture, di medici e infermieri giunti sul territorio da altre zone d’Italia o che non potevano rientrare nelle loro abitazioni per scongiurare il contagio nei confronti dei loro familiari.

È stato così a Cremona presso Casa dell’Accoglienza, per gli uomini, e a Casa di Nostra Signora, per le donne; così come a Caravaggio presso il Centro di spiritualità del Santuario. Tra loro Gabriele e Andrea: toscano l’uno e bergamasco l’altro, accorsi a Cremona per dare una mano e ospitati in alcune strutture della diocesi, messe a disposizione proprio per questo scopo.

«Potrei raccontare molte cose di questa esperienza, ma posso solo partire da una gratitudine per come Cremona mi ha accolto», racconta Gabriele Tinti, giovane infermiere di Arezzo. «Scaraventato nel pieno della crisi, mi sono trovato a dover decidere dove passare le poche ore che avevo tra un turno e l’altro. C’era posto nella foresteria dell’ospedale oppure presso la Casa dell’accoglienza della Caritas. Non ho avuto esitazioni: cercavo un posto dove poter “staccare” e che potesse aiutarmi umanamente a rimanere vivo. Così ho incontrato don Pier e tutti gli ospiti della struttura». Racconta di settimane difficili, dove la paura di questo virus sconosciuto impediva i contatti umani. «Anche tra noi colleghi, eravamo in nove a dormire presso la Casa dell’Accoglienza, all’inizio non è stato scontato confrontarci per paura del contagio. Pian piano siamo però entrati in relazione con tutti: tra noi, con i sacerdoti e i volontari, con gli immigrati o le persone in difficoltà. Umanamente era una boccata d’aria fresca». Il lavoro – spiega – non è mai stato così intenso, eppure in qualche modo quei tre mesi gli hanno restituito con chiarezza il fatto che il mestiere d’infermiere è una vocazione, un compito. «Anche in ospedale abbiamo riscoperto il valore di quel che facciamo. Penso a tanti colleghi che avrebbero potuto prendersela con noi “arrivati da fuori”, noi a cui erano state accordate condizioni economiche migliori rispetto a loro e invece no. Ci hanno accolti facendoci esprimere professionalmente al massimo, in una gara di umanità e solidarietà che ricorderò per tutta la vita».

Anche il dottor Andrea Cometti, specializzando di chirurgia generale, si trovava a Cremona da novembre. «Vivevo in un b&b, avrei dovuto rimanere per poco tempo. Poi è arrivato il covid e tutti ci siamo trasformati in medici di medicina interna: gli pneumologici ci hanno insegnato come affrontare queste polmoniti interstiziali laterali. Ogni giorno era una triste routine fatta di ventilazioni forzate, prelievi, pazienti in terapia intensiva. A volte il malumore o le lamentele tra noi prendevano il sopravvento e mi pesava passare perfino le ore di riposo sdraiato su una brandina in ospedale. Il viceprimario, mosso a pietà, mi ha dato il numero di don Pier Codazzi dicendomi che forse avrebbe potuto aiutarmi a trovare una sistemazione. E così è stato. È stata la mia salvezza: un posto in un centro d’accoglienza a San Savino. Per me quel luogo è diventata una seconda famiglia, un luogo dove tornare e sentirmi in pace in un momento in cui – lontano da casa e con i genitori entrambi malati di covid – davo tutto e in ospedale non si parlava d’altro che di morti, letti o ventilatori mancanti, parenti da avvisare. La casa di San Savino è stata una carezza. Una seconda famiglia che, lo ripeto, non dimenticherò».

 

“Io avrò cura di te”, già diversi gli operatori sanitari accolti nelle strutture diocesane: le storie e le testimonianze

Il Papa: tanti gli eroi nella pandemia, ripartiamo da un’umanità che scalda il cuore (VIDEO e FOTO)




Catecumenato/2. A Bosco ex Parmigiano il battesimo di Sofje

Sofje proviene da una famiglia numerosa, di origine musulmana, ma sotto il regime comunista in Albania professare la fede è difficile. Così arriva in Italia vent’anni fa con un barcone che trasporta migliaia di albanesi come lei in fuga dal Paese. Accolta a Cremona, presso la Casa “Focolare Grassi”, inizia a conoscere alcune coppie della San Vincenzo de’ Paoli. Sono anni dove non si perde d’animo, lavora, tesse amicizie, come quella con i coniugi Ferragni, fino all’incontro con Angelo, con cui si sposa e si trasferisce a Lodi. Dentro di lei cresce e matura il desiderio di aderire alla fede cristiana e di ricevere il Battesimo per l’incontro con alcuni amici che la accolgono e le parlano di un Gesù vivo, non qualcosa di lontano e sepolto nel tempo.

Il desiderio si fa più prepotente quando – tornati a Cremona – Angelo si ammala di tumore e poi muore, un anno e mezzo fa. Nel dolore e la sofferenza prende coscienza una volta di più della necessità di un dialogo e di una figliolanza con Dio.

Il Battesimo, insieme alla Cresima e alla Prima Comunione, viene fissato per la notte di Pasqua, ma il covid arriva a complicare le cose. Ma è rimandato solo di qualche settimana.

Nel pomeriggio di domenica 21 giugno, infatti, Sofje ha ricevuto i sacramenti dell’iniziazione cristiana dalle mani del Vescovo nella chiesa del Bosco e ex Parmigiano, accompagnata dagli amici don Alberto Mangili e don Marco Genzini, dai coniugi Ferragni (padrino e madrina), dai fratelli e familiari e dai tanti amici con cui condivide il cammino umano e di fede all’interno di Comunione e Liberazione.

«”Chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anche io lo riconoscerò davanti al Padre che è nei cieli”. Tra le tante parole che Gesù ci rivolge oggi, questa mi sembra illuminante per chi, come te Sofje, riconosce Gesù come Signore con semplicità. Chi si accorge di un amore così e lo riconosce, ci si immerge conoscendo così ancor meglio la propria vita. Riconoscendo Gesù riconosciamo noi stessi», ha detto mons. Napolioni durante l’omelia. «Il battesimo è un tuffo nel mistero della morte e della Risurrezione, in quell’acqua viva che chiama l’eternità. Perché il Signore è fedele alle sue promesse».

 

 

 

 

 

 

 

 

Catecumenato/1, a Casalmaggiore l’iniziazione cristiana di Pietro




Don Maggi: «Prosegue il servizio della comunicazione diocesana verso nuovi obiettivi e con rinnovato slancio»

È di domenica 21 giugno la notizia dell’incarico parrocchiale affidato a don Enrico Maggi come pastore della comunità di Sesto Cremonese, dal prossimo settembre. Un cambio al vertice della comunicazione diocesana dopo quattro anni di lavoro alla direzione dell’Ufficio che si occupa della comunicazione istituzionale della Chiesa cremonese, soprattutto attraverso i canali digitali, radiotelevisivi ed editoriali.

A dire il vero, non si tratta del primo congedo: dopo gli anni di perfezionamento accademico all’Università Gregoriana e poi all’Università Salesiana di Roma, don Maggi aveva già ricoperto per alcuni anni lo stesso incarico diocesano, proprio nel periodo in cui prendeva forma il primo progetto di comunicazione web della Chiesa cremonese, con il portale diocesidicremona.it, per poi dedicarsi, dal 2005, al ministero parrocchiale.

L’orizzonte è rapidamente mutato: alla ripresa del servizio diocesano alla comunicazione alcune decisioni di medio e lungo periodo si sono rivelate necessarie per la tenuta  complessiva del comparto. La sofferta scelta di rinunciare al settimanale diocesano per sperimentare e implementare la comunicazione digitale, la convergenza amministrativa e redazionale nella produzione multimediale, la cura dei social network e l’edizione online di un nuovo strumento di comunicazione culturale, Riflessi Magazine. Una sfida aperta e impegnativa, che la Chiesa cremonese ha apertamente approvato e che ancora meriterà dedizione e tanto lavoro..

Il Vescovo Napolioni ha voluto personalmente esprimere la sua gratitudine a don Maggi, direttore uscente dell’Ufficio comunicazioni sociali, con una sua lettera in cui ha inteso “documentare la serietà e la passione con cui hai accettato nel 2016 di cimentarti in un compito cui sì ti eri preparato da tempo con adeguati studi, ma che al momento rappresentava una sfida complessa e ardua per chiunque”. “Hai saputo condurre con rigore e sapienza – continua il Vescovo – un processo di analisi, confronto, discernimento e riprogettazione che ha coinvolto responsabili diocesani ed esperti di vari settori, offrendo così senza pregiudizi elementi di valutazione indispensabili per giungere insieme a scelte valide anche in prospettiva futura. L’integrazione dei media in un’unica direzione, la scelta della multimedialità e della presenza sul web e sui social, la valorizzazione di significative competenze laicali e giovanili sia professionalmente sia come volontariato, la realizzazione di prodotti ed iniziative di grande spessore culturale, il contenimento di costi in limiti assai più accettabili, sono solo alcuni dei risultati che dobbiamo alla tua gestione, seria, meticolosa, creativa”.

«Ringrazio il Vescovo – commenta don Maggi – per l’attestazione di stima nei miei confronti. Molto di ciò che abbiamo realizzato è però frutto dalla coesione e dalla professionalità dello staff di collaboratori e del Consiglio di amministrazione della società TRC. Di certo il futuro ci attende al varco… l’annuncio del Vangelo e la presenza della voce dei credenti nel contesto mediale richiede fresche energie e nuovo slancio, grande apertura mentale e competenza tecnologica. E, a mio avviso, anche una spiccata e matura sensibilità laicale».

«È in questa chiave – continua l’ex direttore – che anche l’attuale avvicendamento trova il suo significato più autentico, come ho sempre auspicato, ai fini di una presenza ecclesiale dei laici più incisiva nella comunicazione. Una scommessa da giocare perché la Diocesi non sia solo una rispettabile Istituzione ma soprattutto una comunità che intrecci i racconti della vita, i fatti e la ricerca di senso delle persone. Alla luce del Vangelo».

Tutto prosegue, quindi in TeleRadio Cremona Cittanova, la società che gestisce i media della Chiesa cremonese, in attesa del perfezionamento del nuovo assetto organizzativo interno.

«Ritorno volentieri alla vita pastorale da parroco, l’ho desiderato – aggiunge don Maggi – convinto che altri sapranno fare meglio e di più in questo ambito così particolare. Tanto, alla fine, siamo tutti – preti e laici – egualmente al lavoro per un annuncio di Gesù più credibile e coinvolgente. Con la stessa passione».




Nomine: don Staffieri canonico della Cattedrale, don Maggi parroco di Sesto e Luignano, don Giuseppe Ghisolfi collaboratore a Robecco

Domenica 21 giugno, nelle parrocchie interessate, sono stati comunicati nuovi incarichi per alcuni sacerdoti diocesani, ufficializzati nel decreto vescovile datato 19 giugno. Mons. Napolioni ha accettato le rinunce di don Angelo Staffieri a parroco della Parrocchia “Santi Nazario e Celso” in Sesto Cremonese e di don Giovanni Nava ad amministratore parrocchiale della Parrocchia “Santi Pietro e Paolo in Luignano” con effetto dal 1° settembre 2020, quando assumerà il ruolo di parroco di entrambe le comunità don Enrico Maggi, che lascerà dunque la guida dell’Ufficio Comunicazioni Sociali e il coordinamento dei mezzi di comunicazione diocesani, oltre all’incarico di Cappellano del monastero domenicano di Cremona. Nello stesso tempo il Vescovo ha nominato don Staffieri Canonico effettivo della Cattedrale. Infine don Giuseppe Ghisolfi è stato nominato collaboratore parrocchiale della Parrocchia “Santi Giuseppe e Biagio” in Robecco d’Oglio.

 

Biografia dei sacerdoti interessati dai provvedimenti vescovili

Don Angelo Staffieri, classe 1946, originario di Formigara, è stato ordinato sacerdote il 24 giugno 1972, iniziando il proprio ministero come vicario a Cremona nella parrocchia di S. Sebastiano. Nel 1985 è stato nominato parroco di Fengo. Nel 1997 il trasferimento, sempre come parroco, a Sesto Cremonese assumendo anche gli incarichi di amministratore parrocchiale di Luignano (dal 1998 al 2000) e Crotta d’Adda (nel 2008). Ora mons. Napolioni accettando la sua rinuncia a parroco di Sesto (che diventerà effettiva dal 1° settembre) l’ha nominato Canonico effettivo del Capitolo della Cattedrale di Cremona.

 

Don Giovanni Nava, classe 1963, originario di Barbata, è stato ordinato sacerdote il 20 giugno 1987. Dopo essere stato vicario a Casirate d’Adda (1987-1991), S. Sebastiano in Cremona (1991-1998) e Soresina (1998-2001), nel 2001 il Vescovo Lafranconi l’ha nominato parroco di Ticengo. Nel 2006 il trasferimento, sempre come parroco, a Cavallara e Villastrada. Dal 2009 è parroco delle comunità di Acquanegra Cremonese e Fengo, oltre che amministratore parrocchiale di Luignano (incarico che lascerà dal 1° settembre). Dal 2019 presta anche servizio in Curia, presso la Cancelleria.

 

Don Enrico Maggi, classe 1963, originario di Sabbioneta, è stato ordinato sacerdote il 9 giugno 1990. Dopo un’esperienza di quattro anni come vicario a Viadana S. Pietro, è stato inviato a Roma a perfezionare gli studi teologici e nel campo della comunicazione, conseguendo la Licenza in Teologia Fondamentale, il diploma in Comunicazioni sociali e la Licenza in Scienze delle comunicazioni sociali. Nel 2000, rientrato in diocesi, è stato amministratore parrocchiale di Ca’ di Andrea, fino al 2002, quando il Vescovo Lafranconi lo ha scelto come direttore dell’Ufficio diocesano per le Comunicazioni sociali e portavoce del Vescovo e della Curia: incarico che ha mantenuto fino al 2007.
Nel 2005 la nomina di parroco della comunità Santi Nazario e Celso in San Giuseppe, presso il quartiere Cambonino di Cremona. Nel 2013 in trasferimento a Pizzighettone, come parroco delle parrocchie di San Bassiano, S. Patrizio in Regona, San Pietro e San Rocco in Gera d’Adda. E dal 2014 anche della parrocchia Beata Vergine del Roggione.
Dal 1° settembre 2016 don Maggi ha lasciato il ministero pastorale in parrocchia per tornare ad assumere la guida dell’Ufficio diocesano per le Comunicazioni Sociali e il coordinamento dei mezzi di comunicazione della Chiesa locale, avviando un processo di riassetto complessivo del settore e la progressiva convergenza digitale dei media, nel segno della multimedialità e della sostenibilità economica.
Ora monsignor Napolioni l’ha scelto come nuovo parroco di Sesto Cremonese e Luignano, con effetto dal 1° settembre, quando lascerà la guida delle comunicazioni diocesane e l’incarico di Cappellano del monastero domenicano di Cremona, dove prestava servizio dall’estate 2019.

 

Don Giuseppe Ghisolfi, classe 1950, originario di Robecco d’Oglio, è stato ordinato il 25 giugno 1977. Dopo essere stato vicario a Casalbuttano (1977-1985) e a Cremona nella parrocchia di San Michele Vetere (1985-1989), è stato destinato alla comunità di Olmeneta come parroco. Nel 2000 il ritorno in città come parroco della Parrocchia Beata Vergine Lauretana e San Genesio, nel quartiere di Borgo Loreto, che ha guidato sino al 2019 quando la parrocchia ha iniziato il cammino pastorale in sinergia con le comunità di San Bernardo, San Francesco d’Assisi e Immacolata Concezione. Si è quindi stabilito, per motivi di salute, nella sua parrocchia d’origine, di cui ora diventa ufficialmente collaboratore parrocchiale.




Il Papa: tanti gli eroi nella pandemia, ripartiamo da un’umanità che scalda il cuore (VIDEO e FOTO)

Un “abbraccio ideale” alle Regioni italiane più colpite dal coronavirus: l’ha dato, nella mattinata di sabato 20 giugno, Papa Francesco, ricevendo in udienza una rappresentanza di medici, infermieri e operatori sanitari provenienti dalla Lombardia, una delle Regioni italiane più colpite dall’epidemia di Covid-19. Una ottantina di persone in tutto radunate, nel rispetto del distanziamento e con indosso le mascherine. Tra loro anche il vescovo Antonio Napolioni con quattro sacerdoti cremonesi, scelti tra i cappellani che operano negli ospedali del territorio: l’incaricato per la Pastorale della salute don Maurizio Lucini che, insieme a don Riccardo Vesperini, presta servizio all’Ospedale di Cremona; don Alfredo Assandri in servizio all’Oglio Po di Vicomoscano; don Angelo Rossi che opera all’Ospedale Caravaggio-Teviglio. Con loro anche Dario Abruzzi, giovane medico cremonese figlio del dottor Luciano Abruzzi, neurologo dell’Ospedale di Cremona che in servizio ha contratto il virus che gli è costato la vita.

Presente il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana, con una delegazione ufficiale, l’arcivescovo di Milano e metropolita di Lombardia mons. Mario Delpini con i vescovi di Bergamo, Brescia, Crema e Lodi, oltre che di Cremona, insieme anche a quello di vescovo di Padova. Presenti medici, infermieri, operatori sanitari e della Protezione civile, alpini, sacerdoti e religiosi.

“Nel corso di questi mesi travagliati, le varie realtà della società italiana si sono sforzate di fronteggiare l’emergenza sanitaria con generosità e impegno – ha ricordato il Pontefice -. Penso alle istituzioni nazionali e regionali, ai Comuni; penso alle diocesi e alle comunità parrocchiali e religiose; alle tante associazioni di volontariato. Abbiamo sentito più che mai viva la riconoscenza per i medici, gli infermieri e tutti gli operatori sanitari, in prima linea nello svolgimento di un servizio arduo e a volte eroico. Sono stati segno visibile di umanità che scalda il cuore. Molti di loro si sono ammalati e alcuni purtroppo sono morti, nell’esercizio della professione. Li ricordiamo nella preghiera con tanta gratitudine”.

Nel turbine di un’epidemia “con effetti sconvolgenti e inaspettati”, per il Santo Padre “la presenza affidabile e generosa del personale medico e paramedico ha costituito il punto di riferimento sicuro, prima di tutto per i malati, ma in maniera davvero speciale per i familiari, che in questo caso non avevano la possibilità di fare visita ai loro cari. E così hanno trovato in voi, operatori sanitari, quasi delle altre persone di famiglia, capaci di unire alla competenza professionale quelle attenzioni che sono concrete espressioni di amore”. I pazienti, poi, “hanno sentito spesso di avere accanto a sé degli ‘angeli’, che li hanno aiutati a recuperare la salute e, nello stesso tempo, li hanno consolati, sostenuti e, a volte, accompagnati fino alle soglie dell’incontro finale con il Signore”.

Il Papa ha sottolineato: “Questi operatori sanitari, sostenuti dalla sollecitudine dei cappellani degli Ospedali, hanno testimoniato la vicinanza di Dio a chi soffre; sono stati silenziosi artigiani della cultura della prossimità e della tenerezza”. “Cultura della prossimità e della tenerezza – ha ribadito a braccio -. E voi ne siete stati testimoni, anche nelle piccole cose: nelle carezze…, anche con il telefonino, collegare quell’anziano che stava per morire con il figlio, con la figlia per congedarli, per vederli l’ultima volta…; piccoli gesti di creatività di amore… Questo ha fatto bene a tutti noi. Testimonianza di prossimità e di tenerezza”.

E, rivolgendosi direttamente a medici e infermieri, ha detto: “Il mondo ha potuto vedere quanto bene avete fatto in una situazione di grande prova. Anche se esausti, avete continuato a impegnarvi con professionalità e abnegazione”. Quindi, ha ricordato: “Quanti, medici e paramedici, infermieri non potevano andare a casa e dormivano lì, dove potevano perché non c’erano letti, nell’ospedale! E questo genera speranza”. Il Papa ha evidenziato: “Siete stati una delle colonne portanti dell’intero Paese. A voi qui presenti e ai vostri colleghi di tutta Italia vanno la mia stima e il mio grazie sincero, e so bene di interpretare i sentimenti di tutti”.

“Adesso, è il momento di fare tesoro di tutta” la “energia positiva che è stata investita. Non dimenticare! È una ricchezza che in parte, certamente, è andata ‘a fondo perduto’, nel dramma dell’emergenza; ma in buona parte può e deve portare frutto per il presente e il futuro della società lombarda e italiana”. “La pandemia ha segnato a fondo la vita delle persone e la storia delle comunità. Per onorare la sofferenza dei malati e dei tanti defunti, soprattutto anziani, la cui esperienza di vita non va dimenticata, occorre costruire il domani: esso richiede l’impegno, la forza e la dedizione di tutti”, ha sottolineato il Pontefice. Si tratta “di ripartire dalle innumerevoli testimonianze di amore generoso e gratuito, che hanno lasciato un’impronta indelebile nelle coscienze e nel tessuto della società, insegnando quanto ci sia bisogno di vicinanza, di cura, di sacrificio per alimentare la fraternità e la convivenza civile”. E, “guardando al futuro, mi viene in mente quel discorso, nel lazzaretto, di Fra Felice, nel Manzoni (Promessi sposi, cap. 36°, ndr): con quanto realismo guarda alla tragedia, guarda alla morte, ma guarda al futuro e porta avanti”.

In questo modo, ha osservato il Santo Padre, “potremo uscire da questa crisi spiritualmente e moralmente più forti; e ciò dipende dalla coscienza e dalla responsabilità di ognuno di noi. Non da soli, però, ma insieme e con la grazia di Dio”. E ha aggiunto: “Come credenti ci spetta testimoniare che Dio non ci abbandona, ma dà senso in Cristo anche a questa realtà e al nostro limite; che con il suo aiuto si possono affrontare le prove più dure. Dio ci ha creato per la comunione, per la fraternità, ed ora più che mai si è dimostrata illusoria la pretesa di puntare tutto su sé stessi – è illusorio – di fare dell’individualismo il principio-guida della società”. Ma, ha avvertito il Papa, “stiamo attenti perché, appena passata l’emergenza, è facile scivolare, è facile ricadere in questa illusione. È facile dimenticare alla svelta che abbiamo bisogno degli altri, di qualcuno che si prenda cura di noi, che ci dia coraggio. Dimenticare che, tutti abbiamo bisogno di un Padre che ci tende la mano. Pregarlo, invocarlo, non è illusione; illusione è pensare di farne a meno! La preghiera è l’anima della speranza”.

“In questi mesi, le persone non hanno potuto partecipare di presenza alle celebrazioni liturgiche, ma non hanno smesso di sentirsi comunità. Hanno pregato singolarmente o in famiglia, anche attraverso i mezzi di comunicazione sociale, spiritualmente uniti e percependo che l’abbraccio del Signore andava oltre i limiti dello spazio”. Lo ha evidenziato, stamattina, Papa Francesco, ricevendo in udienza una rappresentanza di medici, infermieri e operatori sanitari provenienti dalla Lombardia. “Lo zelo pastorale e la sollecitudine creativa dei sacerdoti – ha aggiunto – hanno aiutato la gente a proseguire il cammino della fede e a non rimanere sola di fronte al dolore e alla paura”. Il Pontefice ha evidenziato: “Questa creatività sacerdotale che ha vinto alcune, poche, espressioni ‘adolescenti’ contro le misure dell’autorità, che ha l’obbligo di custodire la salute del popolo. La maggior parte sono stati obbedienti e creativi. Ho ammirato lo spirito apostolico di tanti sacerdoti, che andavano con il telefono, a bussare alle porte, a suonare alle case: ‘Ha bisogno di qualcosa? Io le faccio la spesa…’. Mille cose. La vicinanza, la creatività, senza vergogna”. Questi sacerdoti che “sono rimasti accanto al loro popolo nella condivisione premurosa e quotidiana” sono stati “segno della presenza consolante di Dio. Sono stati padri, non adolescenti. Purtroppo non pochi di loro sono deceduti, come anche i medici e il personale paramedico”. E, ha detto rivolgendosi ai presenti, “anche tra voi ci sono alcuni sacerdoti che sono stati malati e grazie a Dio sono guariti. In voi ringrazio tutto il clero italiano, che ha dato prova di coraggio e di amore alla gente”.

Il Santo Padre ha concluso: “Rinnovo a ciascuno di voi e a quanti rappresentate il mio vivo apprezzamento per quanto avete fatto in questa situazione faticosa e complessa. La Vergine Maria, venerata nelle vostre terre in numerosi santuari e chiese, vi accompagni e vi sostenga sempre con la sua materna protezione. E non dimenticate che con il vostro lavoro, di tutti voi, medici, paramedici, volontari, sacerdoti, religiosi, laici, che avete fatto questo, avete incominciato un miracolo. Abbiate fede e, come diceva quel sarto, teologo mancato: ‘Mai ho trovato che Dio abbia incominciato un miracolo senza finirlo bene’ (Manzoni, Promessi sposi, cap. 24°, ndr). Che finisca bene questo miracolo che voi avete incominciato! Da parte mia, continuo a pregare per voi e per le vostre comunità, e con affetto vi imparto una speciale benedizione apostolica. E voi, per favore, non dimenticatevi di pregare per me, ne ho bisogno”.

Il testo integrale dell’intevento del Papa

Al al termine dell’udienza il vescovo Napolioni ha avuto modo di ricordare a Papa Francesco una significativa coincidenza: l’udienza, infatti, è avvenuta esattamente tre anni dopo la visita del Santo Padre in diocesi. Il 20 giugno del 2017 Francesco fu accolto proprio da monsignor Napolioni a Bozzolo dove visitò la tomba di don Primo Mazzolari dando idealmente avvio al processo di beatificazione del sacerdote originario del Boschetto. Un processo che oggi continua con le tappe della fase diocesana. Nell’occasione Papa Francesco espresse tutta la sua ammirazione verso la figura, il pensiero e l’opera di don Primo, che già aveva voluto omaggiare con una rosa d’argento da porre sulla sua tomba, nella chiesa parrocchiale di Bozzolo.

«Questo incontro che il Papa ci ha voluto concedere – ha commentato il vescovo Napolioni dopo l’udienza in sala Clementina – è stato un segno di conferma della grande attenzione che ha rivolto e ancora rivolge alle nostre comunità, così profondamente segnate negli scorsi mesi dal passaggio della malattia. Con le sue parole – aggiunge – ha sottolineato in particolare il valore della prossimità e della tenerezza nella cura del prossimo. Una attenzione che anche per il futuro deve orientare le scelte e l’atteggiamento di tutti noi».

 

 

 

 

 

 

 

Photogallery della delegazione cremonese in Vaticano

 




Il Cattedrale il ricordo del vescovo Nicolini nella giornata di santificazione dei sacerdoti (AUDIO e FOTO)

Venerdì 19 giugno la Chiesa cremonese si è raccolta in preghiera in Cattedrale ricordando il vescovo Giulio Nicolini (vescovo di Cremona dal 1993 al 2001) in occasione del 19esimo anniversario della sua morte, avvenuta in modo improvviso la mattina del 19 giugno 2001. Alle 18 in Cattedrale il vescovo emerito Dante Lafranconi ha presieduto la Messa di suffragio concelebrata dal Capitolo della Cattedrale e vissuta in comunione con il vescovo Antonio Napolioni, impossibilitato a essere presente.

Una ricorrenza che quest’anno è stata vissuta nella coincidenza con la festa del Sacro Cuore, giorno dedicato la santificazione dei presbiteri. Su questo si è voluto concentrare nell’omelia monsignor Lafranconi, in particolare richiamando il messaggio che il vescovo Nicolini rivolse nel Giovedì Santo del 1998 al clero diocesano.

Due gli aspetti sottolineati: anzitutto l’esistenza umana come cammino di santificazione che trova la sua ultima parola nel momento della morte. Da qui la domanda, rivolta a se stesso e a ogni sacerdote: «Io come prete mi sento interessato alla mia santificazione?». Domanda che però ha idealmente rivolto anche i laici, chiamati a giudicare i propri sacerdoti sulla loro sanità, e non tanto su quanto promuovono o organizzano. Un cammino verso la sanità che, per i sacerdoti prima di tutto, deve essere quotidianamente sostenuto dall’Eucaristia, ha quindi sottolineato il vescovo emerito, citando ancora monsignor Nicolini.

Da qui l’invito a pregare per la santificazione dei sacerdoti. «Un invito – ha concluso monsignor Lafranconi – che noi raccogliamo volentieri insieme con tutta quanta la Chiesa. Lo raccogliamo anche dalla voce del vescovo Giulio. Lo raccogliamo volentieri dal desiderio di tutti i preti e dal desiderio di tutti voi, che non aspirate ad avere nulla di meglio se non un prete santo in mezzo a voi».

Al termine della celebrazione i sacerdoti e i fedeli presenti sono scesi in cripta per la preghiera alla tomba del vescovo di origine bresciana, situata proprio di fronte all’urna del patrono sant’Omobono.

Photogallery della celebrazione

 

Profilo biografico di mons. Nicolini

Nato a San Vigilio di Concesio nel 1926 e ordinato sacerdote nel 1952, mons. Nicolini esercitò il suo primo apostolato tra i migranti in Svizzera, nell’Azione Cattolica e come insegnante. L’attività che meglio lo contraddistinse, però, fu sicuramente il suo impegno nel campo della comunicazione sociale. Dal 1972 ricoprì diversi incarichi a Roma: nella Pontificia commissione per la pastorale delle migrazioni, nella Congregazione per i vescovi, e nella sala stampa della Santa Sede dove svolse il ruolo di vicedirettore.

Il 25 luglio 1987 Giovanni Paolo II lo nominò vescovo di Alba. Consacrato dallo stesso Pontefice nella basilica di San Pietro il 5 settembre, entrò nella diocesi piemontese domenica 27 settembre 1987.

Il 16 febbraio 1993 fu nominato vescovo di Cremona e fece il suo solenne ingresso il 4 aprile 1993, domenica delle Palme.

Negli otto anni di episcopato cremonese mons. Nicolini si adoperò su molti fronti: dall’attenzione della storia locale con l’anno di S. Omobono e i restauri della Cattedrale all’animazione del grande Giubileo del 2000, fino alla nascita della Casa della Comunicazione e della Casa della Speranza per malati di AIDS.

La conclusione del Sinodo diocesano, sancito da un importante pellegrinaggio alla Sede di Pietro, fu uno dei traguardi più importanti del suo episcopato.




Adeguamento liturgico della Cattedrale, sarà una «gara d’amore» (VIDEO e FOTO)

“Spazi per celebrare: adeguamento liturgico della Cattedrale”: questo il titolo del documentato convegno svoltosi nella serata di giovedì 18 giugno nella Cattedrale di Cremona e trasmesso in diretta sui canali web della Diocesi. Una serata che ha fatto il punto sulla prossima sfida che attende la comunità cremonese: la rielaborazione dell’area presbiterale del plurisecolare tempio e che porterà a una definitiva sistemazione dell’altare, dell’ambone e della cattedra del Vescovo, da anni affidati a strutture mobili divenute sempre più inadeguate. Da qui la preziosa opportunità offerta dal bando pubblicato nel 2018 dalla Conferenza episcopale italiana e alla quale la Diocesi cremonese ha partecipato con entusiasmo e speranza.

Dopo il saluto di Gabriele Barucca, della Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Cremona, Lodi e Mantova, il convegno è iniziato con un breve filmato, tratto dal documentario “Gli affreschi della Navata Maggiore” con il professor Antonio Paolucci, cui è seguita la relazione di don Andrea Foglia, esperto di storia della chiesa locale e già responsabile dell’Archivio storico diocesano. A lui il compito di riassumere la corposa cronologia della Cattedrale. «Non è certo facile compiere una opera di ricostruzione storica – ha premesso il sacerdote –. Un primo dato certo ha tuttavia una forte valenza simbolica: la Cattedrale attuale insiste sull’area che tra la fine del quarto e gli inizi del quinto secolo era occupata dal cosiddetto gruppo episcopale, un complesso articolato in due edifici paralleli: uno più grande, dedicato a santa Maria e utilizzato per le celebrazioni festive con il popolo, e uno più piccolo, dedicato a Santo Stefano e utilizzato probabilmente dal vescovo per l’officiatura feriale. Al centro, verso est, sorgeva il Battistero». «Quando a partire dal 1107 fu costruita l’attuale Cattedrale – ha significativamente evidenziato don Foglia – il presbiterio fu realizzato in corrispondenza con antico battistero: l’area dove era iniziata la prima irradiazione cristiana in città, insomma, è venuta a trovarsi nel cuore del nuovo edificio, in stretto rapporto con i nuovi spazi delle celebrazioni liturgiche».

«Perché adeguare?», si è interrogato don Daniele Piazzi, responsabile dell’ufficio liturgico diocesano, nelle prime battute del suo intervento, anch’esso introdotto da un filmato. «La motivazione che sta alla base del cambiamento è molto profonda: la riflessione ecclesiale degli ultimi due secoli ha infatti maturato pensieri antichi che si erano persi ma non annullati. Occorre ritornare alla radice stessa del popolo di Dio, all’assemblea, mai uguale a se stessa nel tempo, ma sempre uguale nelle convocazioni domenicali». «Il primo spazio che abitiamo è il nostro corpo messo vicino a quello degli altri e accorgiamo in questi momenti di distanziamento sociale quanto ci manchi fare spazio insieme – ha proseguito –. La nostra radice è il Battesimo e occorre che quello che la Teologia ha riscoperto diventi la spiritualità di tutti: il momento più grande di un amore più grande che ci mette insieme è quando veniamo lavati, partecipiamo a un pasto comune». «Per questo gli spazi dell’Eucarestia non possono essere gli spazi del solo prete: occorre che questo sacerdozio battesimale quasi esploda anche nelle dimensioni degli spazi che abita – ha concluso don Piazzi –. Queste mura hanno segnato la presenza cristiana nella storia della nostra città e della nostra diocesi: quando qui ci riuniamo con il nostro Vescovo, nella molteplicità dei servizi, ci ritagliamo questo spazio e costruiamo questa comunità».

Tra gli interventi anche il collegamento video con don Valerio Pennasso, direttore nazionale per i Beni culturali ed artistici, e l’edilizia e culto. «A gennaio dello scorso anno – ha ricordato il sacerdote – diverse diocesi italiane si sono imbarcate in questa avventura che non è una questione solamente legata all’adeguamento architettonico o semplice riqualificazione di ambienti, ma va a toccare i momenti importanti della vita della comunità ecclesiale, un bene particolarmente importante per la nostra vita di Fede». «Riappropriarsi del significato delle azioni e dei gesti per entrare in Cattedrale è indispensabile per far in modo che la Cattedrale esca e si raccordi con la città e con tutte le sue espressioni culturali – ha proseguito –. Oggi non possiamo essere vicini tra di noi per il distanziamento sociale imposto dall’emergenza sanitaria e questo fa apprezzare di più la necessità che le nostre chiese diventino casa nostra». «Quando ci ritroveremo come prima nelle nostre chiese, – ha concluso – tornare ad essere vicini ci farà gustare come è bello essere popolo di Dio».
L’evento, articolato in più momenti, è stato aperto

Ha quindi preso la parola don Gianluca Gaiardi, incaricato diocesano per i Beni culturali ecclesiastici, anche ha voluto affidare a una curiosità storica l’esordio del suo intervento. «Non è sempre stato facile formulare bandi affidare lavori e appaltare opere: lo sapevano bene i canonici quando, nel 1483, dovettero difendere un artista dalla denuncia presentata da antagonisti che sollevavano dubbi sulla legittimità dell’affidamento dell’incarico». Si aprì così una lunga polemica, che si risolse più tardi in modo positivo – con la conferma della scelta dei canonici – ma che mise alla luce rivalità e divisioni, invidie e incomprensioni che solo la magnificenza di quanto realizzato è riuscita a far superare. «Sulla scorta del passato dobbiamo fare tesoro della bellezza, – ha precisato don Gianluca – conservarne la memoria, valorizzare e cercare di far vivere la nostra Cattedrale scrigno di opere d’arte, ma ancora oggi cuore della vita liturgica cittadina e diocesana».

Don Gaiardi ha poi fatto il punto su questioni di più squisito carattere tecnico: la Diocesi cremonese ha partecipato al bando che la Cei ha promosso nel dicembre del 2018, ricevendo l’interesse di ben 63 diocesi italiane. Solo quindici diocesi – tra cui Cremona – sono tuttavia passate alla seconda fase del complesso iter burocratico, presentando la manifestazione di interesse e un preliminare studio di fattibilità. Nel maggio del 2019 la proposta cremonese è stata dichiarata ammissibile, assieme a quella di altre cinque diocesi e da lì è partito un percorso di approfondimento sempre più intenso. «Ad oggi stiamo lavorando per i punti fondamentali della fattibilità – ha proseguito don Gaiardi –. Il coinvolgimento della comunità è necessario perché il cammino possa essere il più sinodale possibile». È stimato in circa un anno il tempo per la realizzazione di tutte le tappe dell’iter amministrativo: la Cei si è impegnata a contribuire con una somma di 300mila euro, pari al 75 per cento del costo del progetto. «Le esperienze vissute mostrano come adeguare architettonicamente una Cattedrale significa toccare la carne viva della Chiesa e accedere al cuore della sua vita – ha concluso –. È molto più che adeguamento di uno spazio celebrativo, significa eseguire una operazione di spessore culturale ed artistico per poterci accostare al Corpo e al Sangue di Cristo».

«Se qualcuno pensasse che è colpa del vescovo venuto da lontano questa ennesima voglia di cambiamento, si sappia che da tempo queste strutture sono in attesa di verifica e trasformazione in qualcosa di definitivo», ha tenuto scherzosamente a precisare il vescovo Antonio Napolioni nel suo indirizzo di saluto che ha chiuso il convegno. «Gli scalini dell’ambone e della cattedra realizzati in compensato e polistirolo sono scricchiolanti e testimoniano l’urgenza di compiutezza». Una situazione provvisoria che non può proseguire a lungo e che si trasforma in «una gara d’amore per la Cattedrale». «Lo dico da figlio di questa Cattedrale – ha proseguito il vescovo – che per me è grembo materno e dove il 30 gennaio 2016 ho ricevuto ordinazione episcopale». «Il mio compito – ha concluso – sarà di accompagnare le fasi di questo processo ma anche di vigilare perché questa “mamma” non venga sfigurata, in continuità con la straordinaria bellezza che ci è stata consegnata e che deve oggi attestare l’amore dei suoi figli del ventunesimo secolo».

 

Photogallery della serata

 

 




In attesa di nuove partenze per l’estero un percorso di missionarietà per non dimenticare che ciò che muove è un Dio di amore che chiede di incontrare e accogliere

L’emergenza sanitaria mondiale ha bloccato o rimandato molti progetti, tra cui le partenze per esperienze brevi di missione. In particolare l’Ufficio missionario diocesano ha dovuto bloccare le partenze, già programmate da tempo, per Salvador de Bahia (Brasile), dove operano come “fidei donum” i cremonesi don Davide Ferretti e don Emilio Bellani. Ma il Covid-19 non ha fermato la volontà di riflettere e di formarsi intorno al grande tema della missionarietà, sia in terre lontane sia nelle comunità di appartenenza. Per questo motivo l’Ufficio missionario ha organizzato tre serate di formazione online.

Il primo incontro, avvenuto il 6 giugno – dal titolo «La cultura dell’incontro» – è stato curato dall’educatore Matteo Pizzi, che ha mostrato come per un incontro reale e profondo con l’altro siano necessari tutti e cinque i sensi umani, perché «l’unità dei sensi ci dà la forma del mondo».

«Quo vadis?» il titolo del secondo appuntamento, tenuto la sera di giovedì 18 giugno da don Marco Genzini, che ha mostrato come la missionarietà sia profondamente presente nelle Scritture. «Dio è il primo missionario», ha detto agli oltre venti partecipanti. Riconoscere il vero significato del verbo «inviare», che ricorre più di mille volte nella Bibbia, è essenziale per capire che «siamo sempre mandati da Qualcuno. Egli è sempre presente nel cuore di chi parte per uscire da sé per incontrare l’altro».

In questo periodo di apparente immobilità è importante, quindi, capire che essere missionari non significa partire per mete remote, ma ricordarsi che ciò che muove l’essere umano è un Dio di amore che chiede solamente di incontrare e accogliere.

Il prossimo appuntamento sarà il 2 luglio. Don Davide Ferretti, direttamente dal Brasile, racconterà la sua esperienza di “fidei donum” e che cosa significa per lui essere missionario. La partecipazione è aperta a tutti contattando l’Ufficio missionario diocesano.




La missione secondo i grandi viaggiatori della fede: incontro biblico con don Genzini

Uscita, cammino, incontro, cura, speranza… saranno queste le parole chiave che accompagneranno l’incontro virtuale di formazione che l’Ufficio Missionario propone «a chi desidera aprire una finestra sul mondo» giovedì 18 giugno alle ore 21, dal titolo “Quo vadis? Storia di un Dio che non si è mai fermato”.

L’incontro sarà guidato da don Marco Genzini dell’equipe del Centro missionario diocesano che percorrerà un itinerario biblico partendo dal concetto di missione, lasciandosi accompagnare dalle grandi figure di viaggiatori della fede dell’Antico Testamento fino al Gesù dei Vangeli.

Al centro della serata il dinamismo che caratterizza l’azione di Dio, la storia della Salvezza e dunque la vita del cristiano, chiamato ad uscire dall’immobilismo e dall’isolamento per muoversi, con altri, nella direzione che il Signore indica.

Alla luce della Parola, dunque, don Marco rifletterà sul valore fondativo della missione in un incontro a cui sarà possibile partecipare liberamente inviando il proprio indirizzo mail attraverso i canali social del Centro Missionario Diocesano (FacebookInstagram).