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«L’ABC del cristiano… e della pace». Il messaggio del Vescovo per la Quaresima

Benedetta Quaresima! Che arriva per riproporci un cammino educativo alla fede, essenziale e impegnativo, specie in questo tempo che ci preme addosso con le sue drammatiche sfide. La Chiesa non si smarrisce, quando guarda al suo Signore che cammina deciso verso la Pasqua. E ci aiuta a non cadere nelle tentazioni di fuga, illusorie e deludenti, vigliacche o aggressive, che si mascherano in mille modi, per sedurci ed ammalarci ancor di più.

La liturgia domenicale alterna tre cicli di letture e preghiere, e quest’anno ripropone l’anno A, quasi per farci ricordare l’alfabeto del cristianesimo. I Vangeli ci chiamano a stare con Gesù: tenta­to, trasfigurato, acqua viva per la Samaritana, luce per il cieco nato, resurrezione e vita piena per l’amico Lazzaro… passo dopo passo giungeremo con Lui a Gerusalemme, teatro della passione e della Pasqua, per la nostra salvezza.

Il primo invito che dunque rivolgo a me e a tutti voi, cari amici, è quello di lasciarci evangeliz­zare. Come se non avessimo mai ascoltato questa Parola, perché ci sorprenda col suo potere di cam­biamento, di conversione. Invito a leggere insieme questi Vangeli, in parrocchia o meglio nelle ca­se, a piccoli gruppi. Se vorrete, anche io potrò entrare (con un breve video) e offrirvi qualche pista di riflessione, su cui fare condivisione e testimoniarci vissute ragioni di speranza. I parroci indiche­ranno tempi e luoghi per compiere questo primo gesto della Quaresima.

Il punto B non può che essere la partecipazione all’eucaristia domenicale, cuore di un ritmo di preghiera che sarà bello possa impregnare tutte le nostre giornate. I sussidi offerti dalla nostra Fede­razione Oratori alle famiglie propongono la preghiera prima dei pasti, segno di gratitudine e di fidu­cia nella Provvidenza, che per mezzo nostro vuole giungere anche ai meno fortunati.

Abbiamo tanto bisogno anche della preghiera silenziosa, di qualche frammento di deserto, in cui ascoltare le attese del nostro cuore e soprattutto percepire il venirci incontro del Salvatore, volto della Misericordia di Dio, che nella Confessione è gratuitamente donata a chi sente nostalgia dell’abbraccio del Padre. Quanta grazia è seminata ovunque e, con il piccolo Sì della nostra libertà, può germogliare e portare frutto!

A, B e… C: sempre la relazione con Gesù coinvolge nella sua stessa compassione attiva verso i fratelli, e diventa carità, ricevuta e trafficata, operosamente. Basta guardarsi attorno un istante e scopriamo infiniti bisogni, opportunità di incontro che fanno bene anche a noi, fatti non per l’egoismo ma per la comunione. La Borsa di Sant’Omobono, che la Caritas diocesana ha attivato negli ultimi anni, a beneficio di tanti, è sempre aperta, per ricevere e dare, favorendo prassi di giu­stizia, che sono il necessario fondamento di una pace vera e robusta. Le difficoltà lavorative ed eco­nomiche di tanti non possono lasciarci indifferenti. E non saremo certo insensibili alle conseguenze umanitarie della grande tragedia del recente terremoto in Turchia e Siria. Anche perché ci rimette­rebbe la pace, sia nelle nostre città e contrade, che in tutto questo piccolo mondo.

Sì, mentre rischiamo di assuefarci al male, decidiamo di credere nella pace, che si realizza nella misura in cui ne parliamo la lingua e ne percorriamo la strada. La Quaresima, via della croce e della luce, è qui, e ci chiama a muoverci nell’ascolto, nella preghiera, nella carità. Ne usciremo più forti e coraggiosi, più uniti nell’osare il nuovo, liberi di offrirci con Gesù, principe della pace.

+ Antonio, vescovo

 

 

“Effatà, per sviluppare il Giorno dell’ascolto”, la Parola al centro del cammino quaresimale

Quaresima, disponibili i sussidi per tutte le età preparati dalla Federazione Oratori Cremonesi

Quaresima di carità: in aiuto ai poveri si apre la Borsa di Sant’Omobono




Chiesa di casa, diaconato: il ministero della soglia

«Il diaconato è il ministero della soglia». Con queste parole Gianmario Anselmi, diacono permanente della diocesi di Cremona, ha definito il proprio ministero nella nuova puntata di Chiesa di casa. Ospite insieme a Mario Pedrinazzi, che riceverà l’ordinazione diaconale nella mattina di domenica 19 febbraio a Castelleone, Anselmi ha sottolineato come «stare sulla soglia tra Chiesa e mondo non significa essere divisi, bensì pronti ad accogliere e farsi carico delle necessità di ciascuno».

Ed è proprio in questa disponibilità che si declina il ministero diaconale. Il termine stesso, diacono, rimanda alla nome greco che definisce colui che si mette al servizio. «Il nostro in particolare — ha precisato Anselmi — si modella sul modo di servire di Gesù, che non ha cercato i riflettori, ma si è fatto carico del prossimo».

D’altra parte, l’attenzione ai bisogni dell’altro e della comunità è un atteggiamento tipico della vita cristiana. «Vedo nell’imminente inizio del mio ministero — ha raccontato Pedrinazzi — una naturale prosecuzione dell’impegno che, in questi anni, ho portato avanti all’interno delle realtà in cui ho vissuto, Castelleone e Annicco su tutte. Questo, ovviamente, non significa che non ci sia stato alcun tipo di preparazione in vista dell’ordinazione». Al percorso di studi teologici, infatti, per i candidati al diaconato si affianca un percorso formativo a livello umano e spirituale, insieme ad un cammino di discernimento vocazionale.

Lo stesso Anselmi, ordinato nel 2008, ha ricordato l’importanza della formazione, «che per noi diaconi, come per i presbiteri, è permanente. Ci incontriamo periodicamente tra di noi, o partecipando alle riunioni del clero, così da poterci confrontare in modo continuo sul nostro ministero».

Di ministero si parla, e non di incarico, perché ciò che si riceve con l’ordinazione diaconale è un sacramento, così come il matrimonio. E pur trattandosi, in entrambi i casi, di scelte che comportano una certa definitività, non si escludono l’un l’altra. «Penso che la definizione migliore — secondo Pedrinazzi — sia diaconia familiare. Non posso immaginare il ministero diaconale senza mia moglie e mio figlio. Credo che le due dimensioni si completino a vicenda. Certo, in prima linea ci sarò io, ma la mia famiglia sarà pienamente coinvolta, come è sempre stato, in questa nuova esperienza».

«Quando si parla di scelte di questo tipo — ha concluso Anselmi — non si può che fare affidamento sul Signore e sul suo Spirito. Da parte nostra è richiesto l’impegno a mantenerci fedeli ad una promessa, consapevoli dei nostri limiti e delle nostre fragilità, che sono quelli di tutti».

Ecco perché il diaconato è il ministero della soglia: tiene aperta la porta che mette in comunicazione Chiesa e mondo, e aiuta a ricordare che i ministri ordinati sono uomini, figli di una comunità, chiamati a servirla in modo particolare.




La visita del Vescovo a Soresina tra educazione, volontariato e fragilità

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Dialogo e annuncio, questi i temi cardine della visita pastorale del vescovo Antonio Napolioni a Soresina, tenutasi dal 10 al 12 febbraio. «Una visita pastorale che si è sviluppata attorno a tre dimensioni – ha spiegato il parroco, don Angelo Piccinelli –: quella educativa, quella delle fragilità e quella delle risorse di “amicizia sociale”».

Il confronto con la prima dimensione si è particolarmente concretizzato negli incontri con le realtà scolastiche soresinesi, in cui il vescovo ha potuto conoscere e dialogare con i ragazzi e i docenti della scuola statale “Bertesi” e della scuola paritaria “Immacolata”, e negli incontri con i ragazzi della Mistagogia, con gli adolescenti e con i giovani della parrocchia, i «futuri adulti» che hanno popolato l’oratorio Sirino nel pomeriggio e nella serata di sabato 11 febbraio.

Anche la dimensione delle fragilità è stata affrontata attraverso numerose iniziative, quali la visita, la mattina di venerdì 10 febbraio, agli ospiti del centro diurno disabili, e ad alcuni anziani nelle loro case. L’incontro del sabato invece con i malati del Polo sanitario, la Messa per “gli angeli dell’oratorio”, e la visita alla casa di riposo Zucchi-Falcina, presso la quale mons. Napolioni ha presieduto la Messa per la Giornata del Malato, al termine della quale è seguita la visita ai reparti e al nucleo Alzheimer per un saluto agli ospiti e allo staff impegnato nell’assistenza al pranzo (Leggi l’articolo dedicato).

La terza dimensione, quella delle risorse di “amicizia sociale”, ha riguardato il volontariato, in tutte le sue forme, ma anche il mondo della cultura e dello sport. Un ricco pomeriggio, quello di sabato 11 febbraio, in cui il vescovo Napolioni ha incontrato, presso il palazzetto dello sport, la squadra “Magico Basket” e, presso la sala Mosconi del centro parrocchiale, il mondo culturale e i volontari soresinesi. «Occasioni – come raccontato dal parroco – di incoraggiamento, a fare sempre più unione e a non curare esclusivamente il proprio orticello».

Dialogo e annuncio, temi che ritornano. Anche per il Giorno dell’Ascolto e per l’incontro di mons. Napolioni con il Centro islamico di Soresina. «Un incontro di amicizia e di lealtà – ha concluso don Piccinelli –, in cui ci siamo potuti confrontare su diversi temi, tra cui il mondo giovanile, un mondo che necessita di un’alleanza educativa, finalizzata all’inclusione, non solo in parrocchia, ma nella società».

La visita pastorale si è conclusa la mattina di domenica 12 febbraio. A chiudere il ciclo di iniziative, l’incontro con i genitori dell’iniziazione cristiana e la Messa domenicale presieduta dal vescovo per tutta la comunità di San Siro.

 

 

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Giornata del Malato: con lo stile della cura ci riconosciamo creature




Giornata del Malato: con lo stile della cura ci riconosciamo creature

«Mettersi al fianco è lo stile migliore della testimonianza cristiana».Con queste parole padre Virginio Bebber, amministratore delegato dell’Opera San Camillo e presidente nazionale dell’Aris, ha presentato la giornata del malato durante la puntata del programma «Chiesa di casa» in onda sui canali digitali della Diocesi di Cremona in questa settimana.Dal 1992 infatti, in occasione della memoria liturgica dell’apparizione della Madonna di Lourdes, la comunità cristiana celebra la giornata dedicata a tutti coloro che vivono e sperimentano la malattia. Il legame con Maria non è casuale. «Gli ammalati si rivolgono a lei per ricevere sollievo — ha spiegato padre Bebber — come si fa con una madre a cui si domanda consolazione».«Celebrare la Giornata del malato — secondo Angela Bigi, responsabile risorse umane e ministro straordinario dell’Eucaristia della cappellania dell’ospedale Oglio Po — ci aiuta a riscoprire la nostra dimensione creaturale. Oggi, invece, la nostra società ci vuole belli, sani e perfetti, cioè non bisognosi di nessuno».

Proprio in questo senso la Chiesa può dare il proprio contributo. La Parola, il Vangelo sono forieri di uno stile: presenza, vicinanza, accompagnamento. «Il buon samaritano ha una compassione vera — ha raccontato Angela Bigi — cioè concreta, non fatta di sole emozioni. Oggi i malati vogliono essere ascoltati senza pregiudizi. E anche il tocco è importante, è l’esperienza concreta dell’amore di Dio».Purtroppo la vicinanza, spesso, non basta a condurre alla guarigione. Lo ha testimoniato anche padre Bebber, che ha ricordato come «non sempre si riesca a dare risposte, sicurezze. Penso però all’hospice, dove si cura sempre, anche se non si guarisce mai. Ed è bello vedere il personale che sa stare vicino agli ammalati per regalare uno spiraglio di luce anche nei momenti più bui». La vera sfida per i cristiani, allora, è quella di «provare ad essere come il samaritano, che non va oltre, ma si ferma a prestare soccorso».Esserci è tutto quel che, spesso, si può fare. Offrire orecchie capaci di ascoltare, di cogliere i bisogni dell’altro.

«Esserci è anche un segno grande di speranza», per Angela Bigi. Una speranza che passa dalla fede, «ma non per proporre Dio come antidolorifico. Perché in realtà Gesù è un incontro, non uno strumento utile alla causa».Le sue parole sono state riprese da padre Bebber, che ha ricordato il profondo valore educativo che l’esperienza del Covid ha portato con sé. «In quel periodo i malati hanno sperimentato una grande solitudine. Accanto potevano avere solo i loro curanti. Questo ci ha insegnato il valore del calore umano per chi vive la preoccupazione e l’incertezza».Non è mancato, poi, nelle parole degli ospiti del talk di approfondimento pastorale, un riferimento al territorio. Secondo Angela Bigi esso «può diventare il terreno fertile per quel seme che, durante i giorni in ospedale, siamo riusciti a gettare». Padre Bebber ha invece ripreso il documento pubblicato dalla Cei nel 2006, in cui «si ricordava alle parrocchie di essere comunità sananti, capaci di farsi carico dei malati, nel corpo e nello spirito».

Vicinanza e ascolto, accoglienza e preghiera. Con questo stile la Chiesa si prepara a celebrare, ancora una volta, la giornata del malato.




“Exodus”, gli alunni della Sacra Famiglia intervistano la curatrice della mostra

Lo scorso gennaio, due classi terze della scuola media Sacra Famiglia di Cremona hanno avuto l’occasione di visitare nelle sale del Museo Diocesano di Cremona la mostra “Exodus”, progetto fotografico di Nicolò Filippo Rosso, che documenta le storie dei migranti dell’America Latina, e che è ospitato fino al 17 febbraio presso il Museo Diocesano di Cremona.

Poteva essere una “uscita” come tante, qualche ora fuori dalla routine scolastica e invece per i ragazzi è diventato molto di più. Incuriositi da quegli scatti hanno voluto andare oltre: cosa ha spinto quelle persone ad affrontare viaggi estenuanti alla ricerca di un futuro migliore? Le fotografie esposte, infatti, sono frutto del lavoro del fotografo lungo un arco di quattro anni passati fra Venezuela, Colombia, Guatemala e i confini di Messico e Stati Uniti. Ci sono il dramma della solitudine, le paure dei bambini e quelle dei grandi, i rischi di finire tra le mani di trafficanti di esseri umani o banditi, l’angoscia di non sapere se si arriverà mai “dall’altra parte”.

Osservare, entrare in quegli scatti non ha fornito risposte, ma paradossalmente ha aumentato esponenzialmente il desiderio di saperne di più. Così Alice, Sebastiano e Francesco hanno chiesto di poter intervistare la curatrice della mostra, Laura Covelli.




Emiliani (MpV): «La grande forma di educazione su tutte le frontiere della fragilità umana è la compassione»

«La grande forma di educazione su tutte le frontiere della fragilità umana è la compassione». Così il dottor Paolo Emiliani, medico chirurgo e presidente del Movimento per la vita di Cremona, ha sintetizzato il suo pensiero sullo stile educativo utile ad accompagnare l’esistenza di ciascuno. Intervenuto durante l’ultima puntata del talk di approfondimento pastorale Chiesa di casa, insieme a don Maurizio Lucini, incaricato per la Pastorale della salute della diocesi e cappellano all’Ospedale di Cremona, Emiliani ha sottolineato come il compatire nasca «da uno sguardo contemplativo che unisce ragione e mistero».

Punto focale della puntata è stata infatti la 45ª Giornata per la vita che si celebra in Italia domenica 5 febbraio. «La Chiesa attraverso il Vangelo non può non parlare del senso della vita — ha spiegato don Lucini — dal suo concepimento alla sua fine naturale. Lo stesso Gesù Cristo si è incarnato in un uomo che è nato come chiunque altro ed è morto in croce». Questo è il motivo per cui la comunità cristiana, ancora oggi, sente il desiderio e il bisogno di inserirsi in questa riflessione.

«Va comunque detto che il dibattito sul diritto alla vita è meramente laico — ha specificato Emiliani — ma se la fede aiuta ad allargare la ragione, ben venga». Il medico cremonese si è spinto anche oltre, evidenziando l’aspetto biologico della questione. «Il diritto alla vita è però fondamentale anche al di fuori dell’ambito cristiano. Ogni tentativo di forzare la vita dell’individuo, all’inizio o alla fine, è un pregiudizio ideologico che non è riscontrabile da una ragione che sostenga la realtà».

La riflessione si è poi spostata sull’accompagnamento di chi, nella vita, sperimenta il dolore e la malattia. Secondo Lucini, infatti, «il contributo che la Chiesa, insieme a molte altre realtà, può dare è la presenza, la vicinanza. Si tratta di una vera e propria luce portata a chi vive la sofferenza».

Un pensiero condiviso anche dal dottor Emiliani che, da medico, ha ricordato come «non si elimina il malato per lenire la fatica, ma gli si propone un cammino di accompagnamento per non lasciarlo solo».

L’attenzione per la vita, dunque, non si focalizza semplicemente sui momenti del suo inizio e della sua fine, ma richiede un atteggiamento più pervasivo. E, di conseguenza, coinvolge l’intera comunità. «Come ha ricordato più volte anche Papa Francesco — ha concluso don Lucini — nessuno di noi può salvarsi da solo. L’idea del singolo individuo che risolve il dramma dell’esistenza è distorta».

Le celebrazioni per la Giornata della Vita, che dal 1978 è parte del calendario della Chiesa italiana come risposta alla legge sull’aborto del ‘72, si svolgeranno nel segno della preghiera e dell’educazione.

 

Giornata della vita, dal 3 al 6 febbraio eventi di riflessione e preghiera a Cremona e Casalmaggiore




Il video dell’intervista a don Trevisi

A margine dell’annuncio dell’elezione a vescovo di Trieste di don Enrico Trevisi, l’ex rettore del Seminario e attuale parroco di Cristo Re, ha rilasciato una prima dichiarazione a caldo per il notiziario settimanale diocesano “Giorno del Signore”, nella quale ha raccontato le sue emozioni e le sue sensazioni in merito alla nomina episcopale.

«Mi sento di dire che il Signore ci precede sempre – ha detto Trevisi –, per cui certamente a Trieste troverò un Signore che è attivo e che lavora nel cuore di molta gente».

Non sono mancate però parole di ringraziamento e gratitudine verso la Chiesa cremonese, che lo ha “cresciuto” e accompagnato durante il suo cammino sacerdotale. «Una gratitudine verso questa Chiesa dove ho incontrato il Signore, che si è mostrato nei volti di tantissima gente – ha raccontato il vescovo eletto –. Una gratitudine quindi verso il Signore, ma anche verso la Chiesa concreta».

Dalla freschezza della nomina ai primi auspici per la nuova “vita” da vescovo: «Ho un desiderio di comunione in questo mondo separato, in comunità che talvolta faticano a stimarsi e a camminare insieme, per cui c’è un po’ questo desiderio di essere al servizio del Vangelo – ha concluso don Trevisi –. E siccome so di tanti limiti e fatiche che ho, che risalti di più la gloria del Signore».




Don Enrico Trevisi eletto vescovo di Trieste

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L’annuncio ufficiale è stato dato alle 12 di giovedì 2 febbraio: don Enrico Trevisi, sacerdote diocesano classe 1963 originario di Pieve San Giacomo, è stato eletto vescovo di Trieste. In contemporanea con il bollettino ufficiale della Santa Sede e la Diocesi di Trieste, la notizia è stata resa nota ufficialmente anche in diocesi di Cremona dal vescovo Antonio Napolioni in Seminario a conclusione dell’incontro plenario del clero che, in occasione della Giornata mondiale della vita consacrata, ha visto la presenza anche di suore e religiosi.

È stato il vescovo Antonio Napolioni, al termine della mattinata, a dare lettura alla comunicazione del nunzio apostolico: «Eccellenza, mi reco a premura di comunicarLe che il Santo Padre ha nominato Vescovo di Trieste il rev. Enrico Trevisi, del Clero di Cremona, finora parroco e docente». Un annuncio salutato da un lungo e caloroso applauso, seguito dall’abbraccio fraterno con il vescovo Napolioni e l’emerito Dante Lafranconi. E proprio il vescovo Napolioni ha posto al collo di don Trevisi la croce pettorale, segno dell’episcopato.

«Mistero, comunione e missione», il vescovo Napolioni ha voluto riprendere le chiavi di lettura del Concilio indicate da Papa Giovanni Paolo II per esprimere i propri sentimenti in questa circostanza.

«È mistero la vita della Chiesa – ha detto monsignor Napolioni – perché è intrisa di santità e di divinità, ma anche della nostra fragilità umana. E dunque è mistero quando un uomo e un prete viene chiamato a essere segno di Cristo pastore, come in maniera eccezionale la vita del vescovo incarna». E ancora: «Comunione significa relazione, fraternità, Chiesa di Chiese; e quando l’altra sera ci siamo sentiti con il vescovo Crepaldi, da oggi amministratore apostolico della Chiesa di Trieste, ho detto: diventiamo parenti, c’è un legame tra le Chiese che moltiplica la curiosità innanzitutto, la conoscenza, il dono reciproco, l’arricchimento attraverso le diversità». E infine la missione: «Enrico – ha concluso il vescovo Napolioni – va in una Chiesa nobile, antica, con una storia complessa. Ma ma è bello sentire che parte, come ci dirà, con gratitudine e con fiducia».

Dopo il saluto commosso e pieno di ricordi del vescovo eletto Enrico Trevisi (leggi il testo integrale), monsignor Napolioni ha voluto tracciare il profilo della diocesi di Trieste, sottolineando in particolare tre legami con Cremona: la presenza dell’Istituto della Beata Vergine, l’acciaieria Arvedi e il fatto che all’inizio del XIV secolo vi fu un vescovo originario della terra cremonese, originario di Robecco d’Oglio, mons. Rodolfo Pedrazzani (eletto l’8 agosto 1302 e deceduto il 7 marzo 1320).

Ha quindi preso la parola anche il vescovo emerito Dante Lafranconi, che ha ricordato proprio il viaggio a Trieste in occasione del centenario del vescovo originario di Robecco.

 

 

Tutte le notizie dell’elezione a vescovo di don Trevisi

 

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Guarda il video dell’annuncio nel salone Bonomelli del Seminario Vescovile di Cremona

 

Guarda l’annuncio dato nella Sala dei Vescovi del Palazzo vescovile di Trieste

 

 

Biografia del vescovo eletto

Mons. Enrico Trevisi è nato a Asola (Mn) il 5 agosto 1963 ed è stato ordinato il 20 giugno 1987 mentre risiedeva nella parrocchia di Pieve S. Giacomo. Laureato in Teologia morale a Roma, presso la Pontificia Università Gregoriana, è rientrato in diocesi nel 1990 con l’incarico di vicerettore del Seminario.

Dal 1997 al 2004, pur continuando l’insegnamento in Seminario, è stato direttore del Centro pastorale diocesano e, dal 1997 al 2003, anche dell’Ufficio diocesano per la Pastorale sociale e del lavoro. Inoltre tra il 2000 e il 2005 è stato assistente spirituale della Acli.

Nel 2004 è rientrato in Seminario con il ruolo di rettore.

Il 10 giugno 2016 il vescovo Antonio Napolioni l’aveva nominato parroco della parrocchia di Cristo Re in Cremona, dove ha fatto il proprio ingresso domenica 18 settembre 2016.

Dal 1 settembre 2016, inoltre, don Trevisi era coordinatore dell’Area pastorale “Comunità educante famiglia di famiglie” e incaricato della Pastorale familiare insieme ai coniugi Maria Grazia e Roberto Dainesi.

Don Trevisi, inoltre, era membro del Consiglio presbiterale diocesano e del Collegio dei Consultori.

Ha ricoperto incarichi di insegnamento nell’Istituto superiore di Scienze religiose a Mantova, nella Facoltà teologica dell’Italia Settentrionale (MIlano) e nella sede cremonese dell’Università Cattolica del S. Cuore.

 




Nell’unità pastorale Santa Maria della Pace la visita del Vescovo, don Conti: «Quando nella Chiesa sappiamo che il nostro pastore ci guida, questo ci permette di prendere coraggio»

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«La nostra comunità vuole ringraziare il Vescovo per aver fatto un cammino insieme a noi, per averci donato parte del suo tempo, ma soprattutto per averci consolati e stimolati a fare un cammino insieme. Quando nella Chiesa sappiamo che il nostro pastore ci guida, questo ci permette di prendere coraggio». Con queste parole don Ettore Conti, affiancato dai collaboratori pastorali don Luigi Carrai e don Paolo Tonghini, al termine della celebrazione che domenica 29 gennaio a Scandolara Ravara ha concluso i tre giorni la visita pastorale del vescovo Antonio Napolioni nell’unità pastorale “Santa Maria della Pace”, formata dalle parrocchie di Ca’ de’ Soresini, Castelponzone, Cingia de’ Botti, Motta Baluffi, San Martino del Lago, Scandolara Ravara, Solarolo Monasterolo e Vidiceto.

Il primo momento d’incontro che ha dato il via all’itinerario di incontri con la comunità si è svolto presso la Fondazione «Elisabetta Germani» di Cingia de’ Botti, dove fra i reparti gli ospiti hanno accolto il Vescovo fra saluti, cartelloni di benvenuto e lavori di cucito preparati a mano appositamente per quella giornata. Il presidente della fondazione Enrico Marsella ha raccontato dell’esperienza, spiegando che «la presenza del Vescovo ha un significato molto importante, ha portato parole di vicinanza e conforto ai nostri ospiti che hanno apprezzato molto la sua visita. Oggi si sono ricordati ancora una volta i valori che fondano l’eticità della nostra struttura, la dottrina sociale della Chiesa mette al primo posto l’importanza della persona, e i nostri operatori la vedono come il principio verso il quale ispirarsi».

 

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Sono stati particolarmente significativi anche gli incontri di sabato 28 gennaio con la realtà amministrativa dei vari paesi, insieme ai sindaci e agli imprenditori che operano come motore e colonna portante delle comunità, fino ad arrivare ai momenti di condivisione di idee ed esperienze che han visto come protagonisti i giovani, che con il Vescovo si son riuniti per lasciare libertà al dialogo costruttivo e sincero che caratterizza la vita di ragazzi e ragazze, concludendosi nella spensieratezza di una cena fatta in compagnia, fra risate e giochi che si sono protratti per il resto della serata.

Una particolare attenzione è stata rivolta alle singole comunità delle numerose frazioni che formano l’unità pastorale, ognuna di esse ha infatti potuto trovare un momento per incontrare il vescovo Napolioni durante i momenti di preghiera e durante le celebrazioni che si sono tenute su tutto il territorio fra venerdì, sabato e domenica.

Una tre-giorni fondata sull’ascolto e sulla condivisione, con numerosi appuntamenti che si sono alternati nelle giornate da venerdì fino a domenica, in un itinerario che ha portato il Vescovo non solo a visitare, ma proprio a vivere le comunità dell’unità pastorale, nell’incontro con i giovani e gli anziani, con i fedeli e le autorità civili.

«Tornando a casa mi metterò a riflettere su quello che abbiamo vissuto – ha affermato il Vescovo al termine della Messa di domenica – e nei prossimi giorni vi manderò una lettera che contiene i suggerimenti che abbiamo maturato, che contiene le piste su cui camminare», concludendo con l’augurio che la comunità, insieme al parroco e ai collaboratori pastorali possa continuare ad impegnarsi nella via della condivisione, strada giusta e necessaria da percorrere.

 

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Riflessi racconta il coraggio delle «partenze»  

 

È online da venerdì 27 gennaio “Partenze”, il primo numero del 2023 di Riflessi Magazine, il mensile digitale della diocesi di Cremona che ogni mese propone una nuova edizione tematica con storie, interviste, reportage e racconti, sempre accompagnati da un significativo apparato iconografico e multimediale.

«Le partenze sono così – si legge nell’introduzione – Richiedono l’energia di un animo giovane. E non bastano mai… Non leggerete di buoni propositi pronti per essere sconfessati entro carnevale, né di chiringuitos sulla spiaggia o fughe dal mondo. La partenza non è viaggiare, non è la prima tappa, tantomeno un piano, un salto nel vuoto o una fantasticheria da giocatori d’azzardo. Le partenze che abbiamo incontrato sono scelte. “Solo il primo passo costa”, perché c’è la vita da mettere sul piatto della decisione. Come quella di uno scout che stringe il nodo al fazzolettone assumendo un impegno alla soglia dell’età adulta».

 

 

Il racconto del momento di passaggio di un giovane della Agesci è una delle storie raccolte e raccontate dalla rivista digitale su riflessimag.it, per un tema affrontato da diverse angolature. Ci sono storie di migrazioni ritrovate nella suggestiva mostra Exodus curata dal Festival della fotogarfia etica nelle sale del Museo Diocesano con gli scatti di Nicolò Filippo Rosso sulle rotte dei migranti in America Latina e c’è la testimonianza di don Mattia Ferrari, sacerdote modenese che svolge il suo servizio come cappellano sulla nave di una Ong che salva migranti nel Mediterraneo. E poi arte, cinema, musica e cultura accompagnano la lettura dell’edizione che porta ad incontrare piloti di auto da corsa ed esperti di escursionismo in montagna, giovani ideatori di startup e insegnanti che accolgono e accompagnano i primi passi dei più piccoli nella scuola dell’infanzia. C’è il ricordo di Alex, che si è preparata alla sua ultima partenza lasciando una scia d’amore nelle vite di chi l’ha seguita, la scommessa di Lorenzo che ha reinventato la sua carriera da calciatore professionista volando negli States per studiare e parare; ci sono gli studenti che aspettano la prossima corsa alla stazione dei bus, gli operatori di un’ambulanza sempre pronta a fronteggiare l’emergenza, i volontari di «Passo dopo passo» che si mettono in cammino per dare un futuro ai bimbi del Nepal; il racconto teatrale del più grande patrimonio di semi al mondo. Ci sono le storie di donne che viaggiano da sole con bagagli leggeri e tasche piene di curiosità, che si arruolano in aeronautica, che volano in Africa per salvare gli scimpanzé.

«Non è mai l’unica possibilità, partire o cominciare. Serve coraggio per non stare fermi: rimettersi in piedi dopo un sogno infranto, lasciare la casa, salire su un aereo o su un barcone, cambiare programma. Ogni partenza insegna a partire. Ad ogni scelta siamo un po’ meno soli»