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Salvador de Bahia, primissimi giorni di missione per Alessandra, Anna e Tommaso

Dopo Martha Ferrari, altri tre giovani della Diocesi di Cremona hanno raggiunto la parrocchia di Cristo Risorto, a Salvador de Bahia, in Brasile, dando il via alla loro estate missionaria, iniziata quasi due mesi dopo il mandato ricevuto dal vescovo Napolioni il 5 giugno, domenica di Pentecoste, e che durerà fino alla terza settimana di agosto.

Arrivati in Brasile nella tarda serata del 28 luglio, i tre giovani hanno raggiunto la parrocchia il giorno successivo, dove hanno incontrato i ragazzi del posto: «Ci ha colpito chiaramente la diversità, dal punto di vista della mentalità, ma anche dello stile di vita – commentano – a tratti davvero insostenibile».

«La cosa che ci ha maggiormente colpito è stata il doposcuola – raccontano i tre ragazzi – che si svolge in uno spazio chiamato “kilombo”, in cui ci siamo resi conto che il livello di istruzione, oltre a essere molto basso, porta in sé anche una mentalità caotica, che si riflette anche sull’incapacità dei bambini di mantenere l’attenzione e la concentrazione e di attuare ragionamenti complessi. L’unico modo che si è trovato per ovviare a questo problema è stato quello di sviluppare un metodo di insegnamento basato sulla rigidità e sulla ripetizione mnemonica».

Un’impatto certamente forte per i primi giorni dei tre giovani in “missione”, di certo non privo di qualche difficoltà: «Se dovessimo scegliere tre parole per sintetizzare questi primi giorni – proseguono –, sarebbero “confusione”, “rumore”, “eccesso”. “Confusione” sia dal punto dell’organizzazione delle giornate, ma anche dal punto di vista delle stagioni, del clima, che qui è sempre più o meno uguale, caldo. Per quanto riguarda il “rumore” ci ha colpito sia la musica assordante proveniente dalle case e dalle macchine di passaggio, sia il tono di voce molto alto e la vivacità generale nel parlare. Infine, in contrasto con la povertà dei loro mezzi, si può notare come tendano a enfatizzare ogni momento della loro vita, colgono ogni occasione che hanno per fare festa, che sia il sabato sera o la vittoria di una squadra di calcio».

Infine l’auspicio di Alessandra, Anna e Tommaso per l’esperienza che proseguirà nelle prossime settimane in Brasile: «Speriamo di capire meglio la lingua, nei confronti della quale abbiamo riscontrato qualche difficoltà: questo ci permetterebbe di conoscere ancor meglio i ragazzi e capire qualcosa in più della loro vita».

«Un bellissimo scambio di esperienze tra le culture dei due paesi», si legge sul profilo Instagram della parrocchia brasiliana, testimone dell’entusiasmo con cui i ragazzi hanno atteso e accolto i giovani cremonesi, e con cui hanno apprezzato il lavoro svolto fin qui da Martha Ferrari, in Brasile già da inizio luglio. Nei prossimi giorni in arrivo a Salvador de Bahia anche l’ultimo dei volontari, Davide Chiari, che si andrà ad aggiungere al gruppo italiano già operativo in parrocchia.




Drum Bun, l’associazione con lo “zaino in spalla”per conoscere esperienze di bene comune

Ci sono momenti in cui è necessario fare un bilancio del proprio percorso, ancor più quando occorre raccogliere il patrimonio della propria identità e rilanciarla nel presente e per il futuro: la pandemia, sotto questo punto di vista, è stata violentemente e forzatamente illuminante, poiché ha imposto limiti – fino a due anni fa – imprevedibili ed inimmaginabili, con cui oggi fare i conti.

Ecco dunque che anche Drum Bun, un’associazione con oltre vent’anni di storia di viaggi di volontariato in Italia e all’estero (tra Romania ed Albania), trovandosi per un lungo periodo impossibilitata a rispondere alla sua prima vocazione e missione, si è trovata costretta a ripensarsi. La risposta del servizio sul territorio, in termini animativi ed educativi e di aiuto alla rete di solidarietà locale è stata entusiastica e partecipata, ma ha acceso contestualmente il desiderio forte di immaginare nuove proposte per il bene comune anche a km0.

Da qui l’intuizione che ha ispirato l’iniziativa estiva “Zaino in spalla”: un viaggio per osservare, ascoltare, ispirarsi e tessere nuove relazioni.

Due le tappe principali del cammino di quattro giorni che ha impegnato un gruppo di giovani volontari dell’associazione cremonese nell’ultima settimana di luglio: Torino e Ventimiglia.

Primo step: l’incontro, presso l’Arsenale della Pace del SERMIG di Torino, con alcuni membri della Fraternità della Speranza, tra i quali il fondatore Ernesto Olivero, l’attuale presidente Rosanna Tabasso e il sacerdote cremonese don Marco Vitale; a seguire, nella splendida cornice del Parco del Valentino, lo scambio di prospettive con Riccardo d’Agostino dell’associazione ASAI di Torino, da anni impegnata in progetti di inclusione sociale a 360°.

La tappa piemontese si è poi conclusa con un dialogo aperto sul tema delle povertà digitali e sulle sinergie del territorio dedicate ai giovani con don Luca Peyron, responsabile della pastorale universitaria e dell’Apostolato Digitale di Torino, Ivan Brombeis, vicedirettore di Caritas Torino, e Salvatore Lanzafame, membro della Fondazione Carlo Acutis. A seguire e coronare la serie di incontri una mattinata di servizio, presso una struttura di prima accoglienza di Caritas di Ventimiglia, con Eugenia Genovese di Save The Children.

Testimonianze e servizi, ma anche momenti informali e di condivisione interna, in un’ottica di consolidamento e rafforzamento del gruppo. Il collettivo, composto da 14 membri, partito nella mattinata di giovedì 28 Luglio è tornato nel tardo pomeriggio di domenica 31, reduce da quattro giorni sicuramente impegnativi ma densi di spunti, sogni e progetti che verranno discussi e concretizzati in proposte proattive per il territorio cremonese.




Battistello Caracciolo: un capolavoro del Museo Diocesano in mostra al Museo di Capodimonte di Napoli

Tra le suggestive opere custodite all’interno del Museo Diocesano di Cremona, spicca Gesù nell’orto confortato dall’angelo, un quadro realizzato – con olio su tela – dal pittore napoletano Battistello Caracciolo (Napoli, 1578-1635) e che rappresenta Cristo proprio nel Getsemani, nei giorni della Sua Passione.

Dedicata proprio al Battistello, è attualmente allestita, presso la sala Causa del Museo e Real Bosco di Capodimonte di Napoli, la grande mostra monografica sull’artista che più di altri ha incarnato gli insegnamenti di Caravaggio, al punto da ottenere la definizione di “patriarca bronzeo dei Caravaggeschi” dallo storico dell’arte e critico Roberto Longhi. Proprio a questa mostra, attiva sino al 2 ottobre, il Museo Diocesano ha prestato la “sua” opera.  Essa si trova di fianco a Cristo e l’angelo, quadro, in prestito dal Kunsthistorisches Museum di Vienna, in cui l’autore raffigura il medesimo tema, in una collocazione che propone il suggestivo e inedito confronto tra le due tele.

L’esposizione, a cura di Stefano Causa e Patrizia Piscitello, è nata dall’idea di Sylvain Bellenger, direttore del Museo, con la collaborazione istituzionale di Mario Epifani, direttore del Palazzo Reale di Napoli e di Marta Ragozzino, direttrice regionale Musei Campania. In sala Causa al Museo e Real Bosco di Capodimonte sono allestite quasi 80 opere molte delle quali provenienti da istituzioni pubbliche, italiane ed estere, collezionisti privati ed enti ecclesiastici, tra cui appunto, il Museo Diocesano di Cremona che con questo prestito coglie una preziosa occasione di dialogo e collaborazione con una delle più importanti istituzioni artistiche nazionali e internazionali come il Museo di Capodimonte, così come con le altre realtà che attraverso proposte espositive di questo livello accolgono anche il neonato Museo Diocesano di Cremona nella rete della grande arte.

 

Biografia di Battistello Caracciolo

Nato a Napoli nel 1578, dove muore nel 1635, Giovan Battista Caracciolo, detto Battistello, è il primo e il maggiore dei pittori caravaggeschi dell’Italia meridionale.

Fu scolaro di Fabrizio Santafede e seguace della “scuola” caravaggesca appresa quando Caravaggio giunse a Napoli verso la fine del 1606 per sfuggire alla cattura che rischiava dopo l’omicidio compiuto a Roma, restando in città per circa otto mesi. Il suo impatto sulla vita artistica della città fu immediato e molto profondo.

Battistello, di pochi anni più giovane di Caravaggio e allievo di Belisario Corenzio, fu uno dei primi a testimoniare il nuovo stile e senz’altro uno dei più talentuosi tra i vari artisti che si cimentarono (ad esempio Carlo Sellitto) con le tecniche pittoriche introdotte dal grande maestro, improntate al drammatico tenebrismo di una pittura piana e poco profonda con figure scultoree in cui la luce acquistava sempre maggior importanza rispetto alla prospettiva.

Uno dei primi lavori che testimoniano l’influenza caravaggesca fu La liberazione di San Pietro (1608-1610), eseguita per la chiesa del Pio Monte della Misericordia (quello stesso luogo che ospitava, ed ospita tuttora, il capolavoro di Caravaggio: le Sette opere di Misericordia).

La sua pittura diventò più raffinata subito dopo il suo soggiorno romano del 1614, dopo essere diventato il maestro della scuola napoletana; i suoi soggetti preferiti furono quelli religiosi con pale d’altare e, in modo inusuale per la pittura caravaggesca, affreschi. In effetti a Roma ebbe modo di avvicinarsi a varie correnti e quindi poté espandere il suo orizzonte figurativo, non tanto allineandosi con il Barocco quanto distaccandosi progressivamente dal Caravaggio e accostandosi al manierismo e ai Carracci.

Dal 1618 soggiornò a Genova, a Firenze e tornò nuovamente a Roma, dove iniziò a manifestare interesse per il classicismo del Carracci e della scuola emiliana, lavorando per sintetizzare il suo personale caravaggismo con queste nuove tendenze

Di nuovo a Napoli, tradusse questa sintesi nelle grandiose scene d’affresco raffigurate nel suo capolavoro La lavanda dei piedi (1622), eseguito per la Certosa di San Martino.

Se Battistello fu quanto di più simile ad un allievo il Caravaggio avesse avuto, bisogna riconoscere che fu un caravaggesco molto infedele. A differenza del maestro, egli disegna, affresca e incide. Alcuni dei lavori più impegnativi dell’ultimo tempo del Caracciolo, negli anni 1630, sono tra i capolavori della pittura murale in Italia meridionale. Battistello, di fatto, si forma come frescante tra la fine del ‘5oo e i primi del ‘6oo e, come pittore ad affresco, conclude, con l’aiuto di una bottega, il suo percorso in alcune delle maggiori chiese della città.




Per l’oratorio di Rivolta d’Adda a Pellaud riparte un’esperienza ricca di passato che guarda al futuro

Da martedì 5 a sabato 23 luglio, dopo due anni di pausa a causa della pandemia, la parrocchia di Rivolta d’Adda ha ripreso la lunga tradizione (quest’anno è stato il 53° anno) del campo estivo presso il campeggio “Viva la gente” in località Pellaud, nel comune di Rhemes Notre Dame (AO). Immersi nella natura del Parco Nazionale del Gran Paradiso, su due lati il torrente e sugli altri due il bosco, a 1800 metri di altezza, nelle vicinanze di un lago splendido che quest’anno, anche lui, purtroppo, ha risentito della carenza idrica, si stanno svolgendo tre turni di campo all’insegna delle relazioni e dell’inclusività.

I primi due turni sono stati partecipati rispettivamente da 26 ragazzi di quinta elementare e prima media e da 35 ragazzi dalla seconda media alla prima superiore. Da quest’anno la proposta è stata allargata a una collaborazione con una struttura per persone diversamente abili di Rivolta d’Adda per vivere un’esperienza di vacanza e convivenza nella struttura.

Nonostante la situazione pandemica non sia ancora completamente risolta, la scelta pastorale, condivisa con le famiglie, è stata quella di ripartire con questa proposta da quest’anno, mantenendo tutte le misure di sicurezza segnalate dai protocolli e avvalendosi anche della collaborazione preziosa dei tanti educatori presenti (tra cui un medico) che oltre all’impegno costante di assistenza e prossimità nei confronti dei ragazzi si stanno spendendo anche perché tutte le misure per il contenimento dei contagi siano garantite.

Le giornate al campo non sono mai state vuote. Appuntamento fisso e fulcro di ogni giornata la celebrazione eucaristica, poi non sono mancati i momenti di gioco e condivisione di esperienze. Due camminate per turno hanno permesso di raggiungere i 2300 metri con il primo turno e i 2700 metri con il secondo, non senza fatica, ma con grande soddisfazione una volta arrivati. Quest’anno si è aggiunta alla proposta un’esperienza già vissuta in passato e molto apprezzata da tutti i ragazzi: ai piedi della valle i ragazzi hanno vissuto l’esperienza del rafting, ancora una volta condividendo sforzi, impegno e divertimento.

Il tema del campo è stato quello delle relazioni sperimentate nelle varie esperienze e anche grazie a delle attività preparate con passione dagli educatori del campo che hanno saputo coinvolgere e fare riflettere i ragazzi sul loro rapporto con sé stessi, con gli altri, con il creato e con Dio.

Pur non essendo mancato qualche imprevisto che, come gli anni scorsi, è stato prontamente contenuto, quasi alla conclusione del campo gli educatori con il don possono dire che il bilancio è assolutamente positivo per presenza, partecipazione e coinvolgimento dei ragazzi, delle loro famiglie e di tutto il movimento di volontari (educatori, cuochi, montatori e smontatori, chi si occupa delle richieste e della documentazione…) che da più di cinquant’anni mantiene viva, anno dopo anno, questa struttura che è espressione di una realtà educativa.




«Il Museo sa cambiare in meglio chi lo visita», presentato il libro di don D’Agostino e don Gaiardi

«Il museo è un’esperienza della Chiesa che si presenta al pubblico attraverso la bellezza, ogni giorno si sente sempre più spesso sottolineare quali sono gli aspetti della vita che non funzionano come dovrebbero, è però necessario soffermarsi anche ad apprezzare le sfaccettature della città che grazie all’impegno e alla dedizione di molti riescono ad essere belle ed efficienti». Don Marco D’Agostino, rettore del Seminario vescovile di Cremona, racconta così la propria esperienza nel Museo Diocesano, ispiratore per la stesura del libro La chiave del museo (ed. TRC), presentato al pubblico nella serata di mercoledì 13 luglio presso il cortile del Palazzo vescovile di Cremona.

«Mi piace pensare che l’esperienza del Museo Diocesano sia non solo un percorso artistico che raccoglie numerose opere, ma anche un vantaggio che sa cambiare in meglio chi viene ad ammirarlo – spiega l’autore –. È proprio da questo concetto che ho realizzato il sottotitolo “Percorso artistico per diventare buoni”». L’opera editata da TeleRadio Cremona Cittanova si articola come un racconto adatto ad ogni età, ambientato nello stesso Museo Diocesano durante la notte prima dell’inaugurazione, dove il protagonista, ovvero il vescovo Antonio Napolioni, smarrendo le chiavi d’ingresso si ritrova a muoversi misteriosamente fra le sale museali accompagnato da un personaggio che, come Virgilio per Dante, lo guida e lo indirizza per aprire, in una similitudine, oltre alla porta principale anche il proprio cuore.

Durante la presentazione, alternato alla lettura di brani tratti dal libro, l’intervento musicale di don Goffredo Crema alla tastiera, che ha voluto dedicare la sua melodia ai caduti in tutte le guerre del mondo, ponendo particolare attenzione a quelli che oggi muoiono a causa del conflitto fra Russia e Ucraina, presentando così al pubblico melodie tratte dal repertorio della tradizione nazionale dei due paesi.

A raccontare com’è nata l’idea di don Marco è l’incaricato diocesano per i Beni Culturali – nonché illustratore dell’opera – don Gianluca Gaiardi, indicando che «l’arte del Museo Diocesano è un’esperienza di vera fede nata grazie al contributo di più di 1400 persone, e quando una domenica pomeriggio don Marco è venuto a visitarlo, l’ispirazione l’ha portato a pensare che fosse necessario raccontarlo attraverso un libro, attraverso un racconto. Dopo un inizio un po’ difficile ecco l’illuminazione: scegliere come protagonista il nostro Vescovo. Il resto potete leggerlo fra le pagine de La chiave del museo».

“La chiave del museo”: il 13 luglio a Cremona la presentazione del libro di don D’Agostino e don Gaiardi




La Diocesi promuove le comunità energetiche rinnovalbili. Quattro progetti pilota pronti a partire

Si è svolta nel pomeriggio di martedì 12 luglio, presso la sala conferenze della Curia di Cremona, la conferenza stampa di presentazione del progetto della costituzione di alcune Comunità energetiche rinnovabili (CER) sul territorio diocesano nella provincia di Cremona. Un’iniziativa attraverso cui la Diocesi di Cremona raccoglie le sollecitazioni della 49ª Settimana sociale dei cattolici italiani, tenutasi a Taranto lo scorso anno, condividendo l’obiettivo di contribuire al raggiungimento dei target europei in termini di lotta ai cambiamenti climatici e, nello stesso tempo, riuscire a ridurre la povertà energetica di singoli e famiglie in condizione di fragilità, aumentando nel contempo la coesione sociale delle comunità locali.

A presentare il progetto, insieme al Vescovo Antonio Napolioni, sono stati il direttore dell’Ufficio diocesano per la Pastorale sociale e del lavoro Eugenio Bignardi e l’ingegner Giuseppe Dasti, coordinatore del tavolo di lavoro dedicato.

«Il mondo grida, il pianeta grida e siamo noi che dobbiamo invertire la rotta» – ha riflettuto monsignor Napolioni durante il suo intervento. «È questione vitale quella di un’economia diversa più a misura di tutti, con più giustizia, condivisione e rispetto dei limiti e della sostenibilità. Siamo di fronte – ha aggiunto – a un’occasione epocale per esercitare il compito originale dell’umanità: servirsi del creato servendo il creato, in un dialogo rispettoso e in un’armonia possibile».

Saranno quattro i progetti pilota che parteciperanno al bando “Alternative”, promosso dalla Fondazione Cariplo per il sostegno alla formazione delle CER:

Comunità energetica rinnovabile di SORESINA

      • Parrocchia San Siro Vescovo in Soresina (capofila)
      • Comune di Soresina (partner)
      • Fondazione “Benefattori Soresinesi” (partner)

Comunità energetica rinnovabile di PIADENA DRIZZONA

      • Parrocchia Santa Maria Assunta in Piadena (capofila)
      • Comune di Piadena Drizzona (partner)
      • Cooperativa “Il Gabbiano” (partner)

Comunità energetica rinnovabile di SOSPIRO

      • Fondazione Sospiro (capofila)
      • Comune di Sospiro (partner)
      • Parrocchia San Siro Vescovo in Sospiro (partner)

Comunità energetica rinnovabile di GUSSOLA

      • Unione dei Comuni Lombarda “Terrae Fluminis” (capofila)
      • Parrocchia Annunciazione in Gussola (partner)

Ciascuna di queste alleanze si apre inoltre al territorio con la possibilità anche per piccole e medie imprese e famiglie di aderire alla CER partecipando al ciclo di autoconsumo, anche come semplici utenti, come hanno spiegato nei loro interventi Bignardi e Dasti, alla presenza dei rappresentanti di tutti gli attori protagonisti: parrocchie, amministrazioni comunali ed enti del terzo settore.

Le slides di sintesi del progetto

Le Comunità energetiche rinnovabili – hanno quindi specificato i relatori – non si riducono a una mera scelta tecnica, ma sono il frutto di un cammino spirituale e sociale fatto in questi anni come Chiesa in ascolto del territorio. Sono il segno concreto con cui si intende riaffermare la “ecologia integrale” come nuovo modello di sviluppo. Per questo scegliere di investire sulle Comunità energetiche rinnovabili diventa la risposta alla conversione personale e sociale richiesta già nel 2015 da Papa Francesco nell’enciclica Laudato si’, nella quale ha proposto la logica di un’ecologia integrale quale modello di sviluppo sostenibile in alternativa ai conflitti sociali ed ambientali, locali e globali.

La Diocesi di Cremona, attraverso l’Ufficio diocesano per la Pastorale sociale e il lavoro, guidato da Eugenio Bignardi, ha invitato le Parrocchie ad avviare il processo di costituzione delle CER coinvolgendo, dove possibile, l’Amministrazione comunale e le realtà del Terzo settore più significative sul territorio.

I tre pilastri della CER

1. Benefici economici
Chi sceglie di autoconsumare l’energia elettrica prodotta da un impianto fotovoltaico risparmia in bolletta e guadagna sull’energia condivisa nella comunità grazie a incentivi per 20 anni.

2. Benefici ambientali
L’energia prodotta da fotovoltaico azzera le emissioni di CO2. Per esempio, un piccolo impianto per una famiglia che consuma 2700 kWh/anno evita 950 kg CO2/anno, corrispondenti all’attività di assorbimento di circa 95 alberi.

3. Benefici sociali
L’Italia è tra i Paesi europei in cui le famiglie hanno più difficoltà a pagare le bollette di luce e gas: il 14,6% delle famiglie non riesce a mantenere la propria casa riscaldata in modo adeguato (dati 2018).
La creazione di una comunità energetica è una delle soluzioni per contrastare la povertà energetica:
• sensibilizzando i consumatori e consentendo di monitorare e ottimizzare i consumi energetici individuali;
• destinando una parte dei contributi incentivanti alle famiglie in difficoltà.

Perché la Diocesi si impegna per le CER?

Le CER costituiscono uno strumento particolarmente efficace per promuovere una cultura e una prassi coerenti con i principi dell’ecologia integrale:

1. rafforzare i legami di comunità sul territorio e tra i cittadini
• coinvolgimento necessario nel progetto di Parrocchia e Comune;
• coinvolgimento allargato agli enti del Terzo settore che operano sul territorio

2. costruire reti aperte e inclusive sui territori
• alleanze con imprese e famiglie
• condivisione dell’energia nella volontà di partecipare con altri alla produzione e al consumo responsabile di un bene primario

3. prevenire e combattere la povertà energetica
• offrire un aiuto economico a chi ha difficoltà ad accedere al bene energia
• offrire un aiuto per la sostituzione di apparecchiature “energivore” e ridurre i consumi

4. accelerare la transizione verso un modello di sviluppo più sostenibile sotto il profilo socio-ambientale e più inclusivo
• aiutare tutti i membri della comunità a conoscere l’ecologia integrale per sperimentare nuovi modelli di sviluppo sostenibile
• sostenere e stimolare il protagonismo del mondo giovanile

Con questi obiettivi il progetto CER ha avviato la sua prima fase di realizzazione che, avviato il processo di accreditamento dei progetti pilota, proseguirà con la roadmap indicata in conclusione del progetto presentato al Consiglio Pastorale diocesano:

  • Costituzione di un gruppo di coordinamento che, raccogliendo le competenze e disponibilità locali, sia attuatore del progetto;
  • Individuazione di un gruppo di promozione delle CER in diocesi;
  • Corso di formazione per i promotori e preparazione di materiale divulgativo, in collaborazione con l’Ufficio diocesano per le Comunicazioni Sociali;
  • Percorsi condivisi con il mondo giovanile, da sempre più attento a questi temi, nella elaborazione di esperienze e percorsi formativi e nella gestione concreta delle CER apertura di spazi per esperienze professionali;
  • Attività di informazione e formazione nelle zone pastorali
  • Raccolta del consenso per lo sviluppo delle CER in tutta la diocesi

 

 

Anche la diocesi di Cremona firma l’appello per “sbloccare” le comunità energetiche




Il Grest e il “Circo Emozioni”: uno spettacolo per tutte le età in tour negli oratori

Tra le iniziative di animazione negli oratori per sviluppare il teme del Grest 2022 c’è lo spettacolo “Circo Emozioni – Pronti attenti e via”, presentato dal “Nido dei Cuccioli aps” e Magicoberu e organizzato in collaborazione con la Federazione oratori cremonesi, arrivato già a oltre una decina di repliche sul territorio diocesano.

La rappresentazione porta in scena lo spettacolo della famiglia circense Emozioni. Sulla pista sfilano e si esibiscono grandi artisti, ognuno dei quali mette in scena la propria emozione. Sotto il tendone di questo circo si assiste, si partecipa e, soprattutto, si provano e si sperimentano le emozioni: stupore, rabbia, affetto, paura, amicizia, confusione, entusiasmo.

«Da vent’anni cerchiamo di portare in scena, nelle piazze, nei teatri e negli oratori spettacoli e animazioni che trattino di temi importanti, ma con un linguaggio fresco, quasi leggero, che ha il pregio di diventare di sicuro coinvolgimento per il pubblico – spiega Stefano Priori, in arte Beru, autore della rappresentazione –. Questi ultimi due anni sono stati quindi un po’ più complicati, ma ora siamo davvero felici di essere tornati sul palco per emozionare ed emozionarci. Un tema come quello delle emozioni ci ha subito messi a nostro agio e ci è sembrato che l’idea di un circo in cui un turbinio di emozioni invadesse la pista fosse il modo migliore per comunicare gioia».

Presentato con lo slogan “Lo spettacolo della famiglia Emozioni, fatto di emozioni, che fa emozionare raccontando emozioni”, è un susseguirsi di giochi, parole, magie, immagini, risate, musiche e suoni misteriosi che riempiono la pista del circo di situazioni divertenti e uniche, rendendo il pubblico inevitabilmente partecipe in un viaggio alla scoperta delle emozioni. Come racconta infatti Beru: «Negli spettacoli due sono gli ingredienti fondamentali: la partecipazione e la musica. Non amiamo fare spettacoli da guardare, ma da compartecipare. Terminiamo da sempre le nostre performance ringraziando il pubblico per aver fatto, loro malgrado, lo spettacolo al posto nostro. La musica originale, scritta appositamente per ogni spettacolo, è funzionale al coinvolgimento del nostro pubblico. Curiamo i testi, le musiche, i dettagli, perché anche se talune scelte potrebbero sembrare casuali, dietro a ognuna di esse ci sono mesi di lavoro e di continui aggiustamenti».

Una rappresentazione, quella di quest’anno, adatta a tutte le età, ideata e animata da Stefano Priori, con il coordinamento di Sonia Ballestriero e il supporto tecnico di Daniele Tonani. Le musiche originali sono composte, eseguite e cantate da Marco Bonini, cantautore cremonese di ispirazione cristiana a tutto tondo, che spazia dal genere pop al rock, anche con un tocco di rap. Da sempre si caratterizza in modo particolare per i testi, che, prendendo spunto da problematiche attuali, raccontano di valori universali, interpretati alla luce della fede.

Già tanti gli oratori in cui lo spettacolo è andato in scena, e altrettanti quelli in cui è in programma nelle prossime settimane. Per maggiori informazioni scrivere a info@magicoberu.it o telefonare al 338-8469748.




A Sospiro il Grest educa all’inclusione sociale

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Grest è da sempre sinonimo di giochi, divertimento e costruzione di relazioni. Al grest dell’unità pastorale Madre Nostra, a Sospiro, sempre più importanti sono le collaborazioni con il territorio e in particolare con la realtà di Fondazione Sospiro.

In particolare ai ragazzi di quinta elementare e delle medie del Grest sono state aperte le porte di Cascina San Marco, l’impresa agricola sociale di Tidolo che si occupa di coltivazione, raccolta e trasformazione di frutti rossi. Protagonisti dell’azienda sono giovani con disabilità intellettiva e autismo che possono sperimentare la vita lavorativa partecipando in prima persona a tutte le fasi della produzione delle confetture guidati da personale qualificato.

Grazie alla collaborazione tra oratorio e Fondazione i ragazzi del Grest, accompagnati dagli animatori e dal vicario don Francesco Tassi, hanno potuto vivere alcuni momenti della raccolta dei frutti insieme agli ospiti di Fondazione Sospiro e tra i filari si sono costruite relazioni e nuove amicizie.

I bambini delle altre classi delle elementari, invece, pur rimanendo in oratorio hanno avuto la possibilità di svolgere laboratori di danza-movimento e di pittura insieme ai ragazzi di Fondazione, guidati da esperti che lavorano nella struttura dell’istituto ospedaliero di Sospiro.

«È bellissimo essere riusciti anche quest’anno – ha affermato Simone Zani, presidente di Cascina San Marco – a popolare la nostra realtà sociale con giovanissimi e adolescenti del Grest, impegnati a fianco dei nostri ragazzi nelle varie attività; un’esperienza educativa e di crescita che stiamo sviluppando da diversi anni grazie alla preziosa collaborazione con la Parrocchia di Sospiro».  E don Federico Celini, parroco e moderatore dell’unità pastorale conferma: «Una collaborazione intensa, la nostra, che si è sviluppata all’insegna di una forte e motivata condivisione di unità di intenti, che fa bene a tutti».

L’iniziativa, nelle sue diverse forme, ha permesso davvero di educare all’accoglienza, all’apertura e sensibilizzare all’inclusione sociale.




Casa San Facio, a Cremona una casa per gli universitari

Da 50 anni Caritas Cremonese cerca di rispondere ai bisogni della città e della diocesi. Una vocazione del prendersi cura integrale della persona perseguita sperimentando anche modalità innovative, come nell’ultimo progetto di housing sociale che ha coinvolto, a Cremona, due stabili di via Martiri di Sclemo. Uno di questo interamente pensato per l’accoglienza di giovani universitari: Casa San Facio.

«A fronte del grande impegno delle nostre Università cittadine nell’ampliare e qualificare l’offerta formativa ­– spiega don Maurizio Compiani, incaricato diocesano per la Pastorale universitaria – sta sensibilmente crescendo la presenza a Cremona di giovani studenti, italiani e stranieri, che necessitano di trovare soluzioni abitative. Gli appartamenti disponibili sono pochi e, spesso, poco adatti alle loro esigenze, con il prezzo degli affitti che qualche volta appare perfino irragionevole rispetto a quanto offerto. La Chiesa cremonese si è sempre mostrata sensibile a tale problematica e oggi, tramite la Caritas, aggiunge anche Casa San Facio tra le sue offerte».

Da queste premesse nasce, grazie all’essenziale contributo della Fondazione Arvedi-Buschini, il progetto che in via Martiri di Sclemo prende vita grazie alla Cooperativa “Servizi per l’accoglienza”, braccio operativo di Caritas Cremonese, cui è affidata la gestione di Casa San Facio. «Si tratta di un’opera-segno della Diocesi – sottolinea ancora don Compiani – dal carattere innovativo. Nove appartamenti in un’unica palazzina totalmente rinnovati, dotati delle più moderne tecniche per la riduzione dell’impatto ambientale e progettati con l’apporto di suggerimenti offerti dalle stesse Università. Anche la posizione è significativa: in centro a Cremona, non lontano dagli Atenei, vicino ma indipendente rispetto alla sede della Caritas. Si parla, infatti, a giovani che studiano, ma il cui bagaglio di esperienza è più ampio e, se lo vogliono, può aprirsi anche a dimensioni di volontariato e condivisione». «Un progetto voluto e pensato a misura di studente e che in Università Cattolica – prosegue il sacerdote, assistente ecclesiastico del campus di Santa Monica – sta già suscitando un notevole e impaziente interesse, come posso attestare dalle molteplici richieste di informazioni».

Si tratta di nove appartamenti di nuova generazione e completamente rinnovati – sostenibili anche dal punto di vista ambientale ­– disposti su tre piani: tre bilocali da 40 m² (con stanza doppia o doppia a uso singolo) e sei trilocali da 60/70 m² (con una stanza doppia o doppia a uso singolo e una stanza singola); ogni appartamento è dotato di ingresso/soggiorno con angolo cottura fornito di stoviglie, lavastoviglie e forno, televisore, lavatrice, balcone, impianto dell’aria condizionata, zanzariere, wi-fi. La struttura, dotata di ascensore, conta di spazi comuni, con un’aula studio al piano interrato e un ampio giardino con parcheggio interno per le biciclette.

La planimetria degli appartamenti

Le tariffe variano dai 250 ai 450 euro al mese in base alle stanze – singole, doppie o doppie uso singolo – con le utenze che hanno un costo forfettario ad appartamento. Vi sarà un operatore dedicato come punto di riferimento per gli studenti e la possibilità di servizi opzionali a pagamento, quali lavanderia, pulizie degli appartamenti, disponibilità di biciclette, servizio fotocopie e stampa.

Il progetto di housing sociale ha portato a investire contemporaneamente nel recupero della struttura sia dal punto di vista edilizio che dal punto di vista educativo di chi la abiterà. Casa San Facio non intende essere, infatti, solo la risposta a un’esigenza abitativa, ma un’occasione di crescita relazionale e personale. Gli studenti che la abiteranno avranno come riferimento un educatore e un tutor che li accompagneranno nell’esperienza dell’abitare e nell’inserimento all’interno della comunità di Cremona, rispondendo ai bisogni dei ragazzi e delle loro famiglie, orientando ai servizi, favorendo il “vivere insieme”. “Il bello di vivere da soli. Il piacere di vivere insieme” è, infatti, lo slogan del progetto.

«Il termine che maggiormente rende bella e impegnativa la sfida di Casa San Facio – precisa don Pierluigi Codazzi, direttore di Caritas Cremonese – è proprio il termine “insieme”. Insieme tra i vari settori della pastorale diocesana: auspichiamo sia un piccolo segno di quella sinodalità che andiamo ricercando come stile. Insieme con le varie università di Cremona: c’è stato un confronto continuo e condiviso sia riguardo ai bisogni, sia rispetto alle modalità di risposta, per arrivare alle esigenze di sistemazione e arredo. Insieme al territorio: sono stati coinvolti enti pubblici e privati, perché gli studenti possano trovare una città che li accoglie. E insieme con un educatore e alcuni studenti universitari, che si dedicheranno a favorire le relazioni tra le persone, tra le persone e la città, perché Casa San Facio possa divenire una buona esperienza. Ce lo auguriamo tutti».

Maggiori informazioni visitando il sito internet caritascremonese.it/alloggi-universitari, scrivendo a universitari@serviziaccoglienza.it o chiamando il numero 349-3928314 da lunedì a venerdì dalle 9 alle 12, per un colloquio di conoscenza e di approfondimento delle esigenze di ciascuno.

Casa San Facio si pone l’ambizioso obiettivo di fare da progetto pilota per altre simili iniziative, come quella che Caritas Cremonese mette a disposizione a Cremona per le studentesse universitarie con monolocali e camere presso la residenza femminile di Casa di Nostra Signora, in via Ettore Sacchi. Nel contesto di una realtà che, a livello di Chiesa diocesana, intende guardare ai giovani sempre più come protagonisti e speranza per il futuro.

«Onestamente si fa ancora un po’ fatica a pensare a Cremona come ad una città universitaria – afferma don Francesco Fontana, incaricato diocesano per la Pastorale giovanile – eppure la situazione è questa e porta con sé nuove sfide e prospettive pastorali molto interessanti e promettenti. La pastorale universitaria da un lato e la rete degli oratori cittadini dall’altro si stanno interrogando su come accogliere e accompagnare in un tratto di camino di vita e di fede i giovani universitari. Sono diverse le proposte già messe in campo, ma la presenza di studenti fuori sede chiede un’attenzione specifica. L’iniziativa di Caritas di offrire un contesto abitativo significativo è un tassello di una cura pastorale più ampia che via via si cercherà di mettere in atto».




Castelverde in festa per i 120 anni della Fondazione Opera Pia SS. Redentore

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Una mattina di festa e di ringraziamento nel segno della preghiera, della musica e dello stare insieme ha caratterizzato la celebrazione dei 120 anni della Fondazione Opera Pia SS. Redentore di Castelverde. La festa è iniziata con la celebrazione eucaristica presieduta dal vescovo emerito di Cremona, mons. Dante Lafranconi, affiancato dal presidente della Fondazione don Claudio Rasoli, dal parroco di Castelverde don Giuliano Vezzosi e da mons. Carlo Rodolfi, canonico della Cattedrale che in passato fu parroco di Castelverde per diversi anni.

Ad animare la celebrazione gli ospiti della RSA e della RSA insieme ai lavoratori della struttura e ai tanti parenti e amici che per l’occasione non hanno voluto mancare. Presenti per festeggiare questo anniversario anche la sindaca di Castelverde Graziella Locci e il direttore generale Fabio Berusi.

Nel saluto iniziale don Rasoli ha voluto ricordare la storia dell’istituto, nato per accogliere i contadini della zona, ripercorrendo le tappe storiche principali: «Dopo 120 anni siamo riuniti per ringraziare il Signore per le persone che hanno avuto questa sensibilità: dai primi diciassette ospiti, oggi siamo a più di duecento ospiti». Il Presidente Rasoli ha quindi voluto ricordare tutti i sostenitori dell’Opera Pia: «Un ringraziamento a tutti, a partire da chi in questi 120 anni ha contribuito a sostenere questo luogo, i fondatori e gli amministratori che si sono succeduti nel corso dei decenni, il sostegno delle associazioni di volontariato e dell’Amministrazione comunale, le suore che vi hanno prestato servizio e il vescovo Lafranconi che ha voluto essere oggi presente». E non è mancato un pensiero alle difficoltà degli ultimi anni: «Usciamo da due anni difficilissimi e ci vorrà ancora tempo per tornare alla normalità, ma sono certo che ce la faremo grazie all’abnegazione, la professionalità, lo spirito di sacrificio e l’amore dei nostri dipendenti che in questi anni hanno fatto davvero tantissimo».

Il vescovo emerito Lafranconi nella sua omelia ha voluto riflettere sul senso di celebrare questo anniversario: «Quando si commemora un’istituzione è bene guardare al passato per vedere con quale spirito gli uomini di allora si sono messi a dare avvio a quest’opera: con lo spirito della solidarietà, dell’amore. Potremmo dire lo spirito del Vangelo che ci aiuta una volta che lo guardiamo attentamente a scoprire le dimensioni più vere e più giuste della vita umana e delle relazioni». E ancora: «Non vogliamo essere schiavi dell’essere chiusi nella mentalità del presente, dove non si può sperare in un miglioramento – ha aggiunto Lafranconi – la speranza non guarda solo vagamente al futuro, ma è qualcosa che si impegna a rivificare quotidianamente la memoria del passato: il Vangelo ci dice che persino nei momenti difficili possiamo guardare con speranza al futuro». Il vescovo ha quindi concluso: «È bello il nome Divino Redentore, perché ci ricorda che possiamo procedere con gioia affrontando qualsiasi condizione futura perché la sua grazia e il suo spirito continuano ad accompagnarci».

Un allegro e gioioso momento musicale ha poi intrattenuto gli ospiti della struttura che hanno assistito alla Messa nel giardino e dalle balconate dei reparti: il corpo bandistico “Giuseppe Anelli” di Trigolo, diretto dal maestro Vittorio Zanibelli, ha infatti divertito i presenti, che hanno molto apprezzato questo momento di svago.

La festa si è conclusa con il taglio della grossa torta – per mano del presidente Rasoli, della sindaca Locci e della presidente San Vincenzo Iole Nava – e un semplice rinfresco per celebrare convivialmente l’anniversario.

 

Storia dell’Opera Pia SS. Redentore

L’Opera Pia “SS. Redentore” fu fondata in seno alla Società S. Vincenzo da’ Paoli nel 1897, per iniziativa del medico condotto del comune, dottor Ercolano Cappi, con il sostegno dell’allora parroco mons. Pietro Gardinali; tra i fondatori figurano altresì Primo Ferrari, Enrico Ferrari, Secondo Balteri e il dott. Giuseppe Camerini.

Lo scopo originario era quello di offrire ai malati cronici del comune di Castelverde una sistemazione adeguata, sia in termini di assistenza sia di vicinanza con i parenti. L’opera nacque dalla convinzione che l’anziano malato rappresenta sempre una forza positiva e, nonostante le sue fragilità, può aiutare a scoprire il valore della vita.

Il 20 marzo 1901 presero il via i lavori di costruzione dell’ospedale, la cui attività fu autorizzata dal prefetto di Cremona il 10 giugno 1902, mentre l’apertura seguì a pochi giorni di distanza: il 1° luglio 1902. Il registro di allora contava diciassette ammalati, dei comuni di Castelverde e Tredossi.

Successivamente il numero degli ospiti crebbe insieme alle esigenze assistenziali. La struttura fu allargata con la costruzione di due infermerie per cento posti letto e una cappella per il culto.

Fin dall’inizio la presenza di personale religioso si rivelò discreta, efficace ed essenziale, prima con le Canossiane (1902/1907), quindi con le Adoratrici del SS. Sacramento (dal gennaio 1908 al 2003). A partire dal 1931, anno in cui l’Opera Pia fu eretta ad ente morale diventando Ipab (Istituzione pubblica di assistenza e beneficenza), si aprirono nuove prospettive di azione, prima con la creazione della “Casa S. Giuseppe” per disabili (1932), poi, su progetto dell’ing. Giulio Ceruti, con la costruzione della scuola materna (1933), in capo alla Fondazione fino al 2005.

Dal 1° gennaio 2003, con la privatizzazione dell’ente, la gestione della Rsa (con 133 posti convenzionati e 7 solventi) e della Rsd (60 posti) è stata affidata alla Fondazione Opera Pia “SS. Redentore” onlus. Dal dicembre 2010 è stato altresì istituito come servizio per il territorio il Centro diurno integrato per anziani (12 posti) e, infine, dal luglio 2012 la struttura si è arricchita di un servizio di fisioterapia aperto agli esterni. A seguire anche il potenziamento dei servizi territoriali: assistenza domiciliare, voucher dimissioni protette, pasti a domicilio. Dal 2019 l’ente ha ottenuto un budget per la gestione della misura regionale Rsa aperta.

Dall’8 luglio 2022 presidente è don Claudio Rasoli, coadiuvato dai consiglieri di amministrazione Francesca Mondini, Linda Cottarelli, Francesco Longo e don Giuliano Vezzosi.