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La paternità al centro dell’intervento di don Guglielmo Cazzulani al clero diocesano

La paternità, nel suo significato più profondo e nelle sue implicazioni anche più problematiche, impegnative e comunque feconde. Questo il filo conduttore della riflessione – articolata, coinvolgente, documentata, provocante – che don Guglielmo Cazzulani, della diocesi di Lodi, parroco, direttore dell’Ufficio catechistico e docente di Spiritualità, ha offerto al clero cremonese, riunito in plenaria con il vescovo Antonio Napolioni in Seminario la mattina di giovedì 2 dicembre.

L’incontro è stato introdotto dalla recita delle Lodi, in cui il Vescovo, commentando il brando di Michea, ha richiamato tra l’altro come i verbi espressi al tempo futuro «aprano a un orizzonte sicuro e segnalino il dinamismo della storia», cosicché «Egli è davvero, oggi e sempre, la nostra pace», e ha invitato a mettersi in «stato di Avvento», in cui le attuali difficoltà «non impediscano la gioia di essere salvati, ma acuiscano il desiderio di essere salvati secondo lo Spirito».

Ha quindi preso la parola don Cazzulani che, incentrando l’attenzione sulla “generatività”, ha evidenziato innanzitutto come oggi la paternità e la maternità siano tutt’altro che valori scontati e diffusi: sembra che sempre meno si desideri essere padri o madri, come è documentato anche dal calo demografico in Italia.

Certo, un figlio è sempre un’incognita, per cui si potrebbe pensare che sia meglio non metterlo al mondo, magari per non sentirsi addirittura rinfacciare la più dolorosa delle accuse, quella di averlo generato.

Don Guglielmo ha offerto esempi concreti, che di fatto sono sotto gli occhi di tutti, il cui comune denominatore è stata proprio la fatica a non pensare che alla propria immediata ed effimera felicità e all’indisponibilità a replicare a propria volta quei sacrifici che i genitori hanno fatto.

Dunque, la paternità è una vocazione continua al dono, perché – di fatto – è una privazione continua per un altro, come risposta a una vocazione che richiede una infinita disponibilità.

Avere un figlio, dunque – ha sottolineato – significa accettare una lunga serie di disagi, anche perché egli si discosta inevitabilmente dall’immagine ideale che se ne può costruire.

Ecco allora la bellezza e la profondità teologica ed esistenziale della parabola del “figliol prodigo”, in cui il più prodigo e generoso è il Padre, che dimostra come essere tale significhi porsi come indifeso, esagerare nell’amore, non smettere mai di volere bene, anche nei confronti di ciò che non è amabile.

Anche i preti possono vivere e vivono una dimensione autentica e  profonda di paternità – ha invitato a riflettere -, nell’amore verso tutto  e verso tutti, anche e proprio nei confronti di chi nessuno ama, in un equilibrato esercizio di amore e di fermezza, magari anche attraverso una relazione comunque ruvida, ma intrisa di desiderio del bene dell’altro.

E anche ognuno di noi non può non scoprirsi amato, nel proprio essere poveramente carnali e miserevoli: come Dio potrebbe amarci, se non nelle condizioni concretamente imperfette della nostra vita?.

Don Cazzulani ha dunque rimarcato come la paternità assuma caratteristiche peculiari, come la generosità, l’altruismo, la morte personale, il servizio…, ma può rivelare anche un suo sottofondo tragico, quando essa entra in conflitto con le radici più profonde e autentiche di chi ha generato, soprattutto nel tempo del distacco, della “desatellizzazione”, della evidenza che il figlio non è proprietà di nessuno.

Ma – ha richiamato con forza – per essere padri bisogna avere desiderio di futuro; e tenere conto che le parole “felicità” e “fecondità” hanno la stessa radice. Perché una persona è felice quando è generativa.

L’incontro è quindi proseguito con l’assemblea dei membri della Società di Mutuo Soccorso e Previdenza fra i Sacerdoti della Diocesi di Cremona che ha provveduto tra l’altro ad approvare il nuovo statuto.




Il Vescovo al Politecnico: «La scommessa di Cremona: un futuro da città universitaria»

«Cremona sta scommettendo su se stessa per poter diventare una bella città universitaria, ma per farlo ci vuole l’impegno di tutti, bisogna diventare persone complete e pronte ad ascoltare, che non giudicano frettolosamente e che sanno riconoscere la realtà senza pregiudizi. La realtà è come un poliedro, ricca di sfaccettature e increspature, è quindi necessario saperla affrontare con prontezza di spirito e impegno». Con queste parole il vescovo Antonio Napolioni si è rivolto agli invitati alla consegna delle borse di studio del Politecnico di Cremona, che si è svolta nel pomeriggio di lunedì 29 novembre presso l’ateneo cremonese.

Il discorso del Vescovo non è stato solamente un invito a migliorarsi individualmente, ma ha voluto spronare tutta la comunità a farsi protagonista di un processo tanto forte quanto inarrestabile di rinnovamento della città, che grazie ai giovani, e in particolar modo alle “eccellenze”, può affermarsi in un panorama sempre più internazionale e moderno.

A testimoniare l’attenzione della Chiesa cremonese anche la presenza di don Maurizio Compiani, incaricato diocesano per la Pastorale universitaria, e don Francesco Fontana, incaricato diocesano per la Pastorale giovanile.

L’intervento del prorettore Gianni Ferretti ha elogiato l’impegno e la dedizione dei ragazzi che han meritato il riconoscimento accademico, infatti «il nostro futuro è nelle loro mani, loro possono dove noi abbiamo sbagliato, è questo che vogliamo per la nostra città: un posto che possa essere ereditato da chi verrà dopo, da chi non ha colpa di nulla».

Durante la cerimonia, iniziata alle 16 presso l’aula magna del Politecnico di Cremona, sono state distribuite diverse borse di studio agli studenti meritevoli:

  • Le Borse di Studio in memoria di Annalisa Lughignani.

La famiglia Lughignani per onorare la memoria della figlia Annalisa, prematuramente scomparsa il 21 ottobre 2003 all’età di 22 anni in un tragico incidente stradale, e per mantenere vivo il suo ricordo ha promosso questa iniziativa in collaborazione con il Politecnico di Milano – Polo di Cremona ed ha erogato 2 borse di studio da 1.000 € ciascuna che sono state assegnate a 2 studenti iscritti al secondo anno del Corso di Laurea in Ingegneria Informatica presso il Campus di Cremona. L’obiettivo della famiglia Lughignani è supportare economicamente gli studi di due alunni meritevoli e offrire così loro la possibilità di portare avanti i propri sogni ed interessi, mantenendo vivo il ricordo di Annalisa. La giovane, che al momento della scomparsa lavorava per una rete televisiva locale, ha sempre manifestato un grande amore per la musica e per la comunicazione, una passione che grazie a questa collaborazione ora potrà essere trasmessa agli studenti per risuonare tra le aule del Campus cremonese. Con la speranza che il sorriso, la voglia di vivere, di fare ed imparare di Annalisa possano splendere sul volto dei vincitori delle borse di studio a Lei intitolate ed il suo ricordo rimanga vivo in tutti coloro che l’hanno conosciuta ed apprezzata per le sue doti.

  • Le Borse di Studio riservate agli studenti delle Lauree Magistrali.

L’obiettivo di questi riconoscimenti è premiare il merito di chi decide di continuare gli studi, intraprendendo un percorso che si focalizza sull’acustica musicale, per diventare un Ingegnere Acustico, cioè un esperto dei sistemi vibranti e risonanti, progettista di sistemi per la produzione, la modifica, la manipolazione e la fruizione di campi acustici in ambito musicale e non. Da quest’anno il Campus di Cremona sostiene anche gli studenti meritevoli che hanno deciso di intraprendere il nuovo percorso di Laurea Magistrale in Agricultural Engineering per diventare Ingegneri dell’Agricoltura, cioè progettisti e gestori di sistemi produttivi agricoli e agroindustriali sostenibili a livello economico, ambientale e sociale. Questa figura, richiesta sia nel contesto nazionale che in quello internazionale, saprà gestire i diversi e complessi aspetti della produzione agricola e agro-industriale in questo particolare periodo, dove il settore sta affrontando una trasformazione sia di tipo tecnico ingegneristico che gestionale ed organizzativo per conseguire gli obiettivi di innovazione e sostenibilità non differibili e declinati nei 9 obiettivi della futura politica agricola comune europea.

  • I Percorsi di Eccellenza.

Aziende e istituzioni identificano in questa iniziativa un valore rilevante, infatti quest’anno Associazione Cremonese Studi Universitari (ACSU), Linea Group Holding – Gruppo A2A e Infor Srl hanno finanziato le borse di studio che han ricevuto i primi cinque assegnatari in graduatoria. Un’ulteriore conferma dell’efficacia di questo progetto è il ruolo ricoperto nelle aziende dai ragazzi che hanno completato con successo i Percorsi di Eccellenza: tutti hanno fatto strada anche nel mondo del lavoro e oggi ricoprono posizioni di rilievo sia in importanti aziende italiane sia in significative realtà straniere. Gli assegnatari di questo premio, oltre a ricevere una borsa di studio del valore complessivo di 5.000 €, potranno usufruire di ulteriori opportunità: prima fra tutte la possibilità di svolgere ogni estate un tirocinio in azienda, sperimentando in prima persona le dinamiche aziendali che entrano in gioco in un contesto diverso da quello universitario, dove la propositività, un impegno costante e il senso di responsabilità fanno la differenza. Imparare in un contesto lavorativo aiuta ad avere un metodo multidisciplinare rispetto alle tematiche affrontate e ad acquisire un approccio meritocratico. Nelle precedenti 13 edizioni sono stati attivati un totale di 117 tirocini estivi, traguardo raggiunto grazie al supporto di 62 aziende, in alcuni casi diventate finanziatrici dei Percorsi, che ne hanno condiviso gli obiettivi e hanno scelto di ospitare gli assegnatari nel periodo estivo per attivare una proficua collaborazione che per alcuni di loro è proseguita anche dopo la laurea.

Sono state consegnate le borse dei Percorsi di eccellenza finanziate dalle aziende:

  • il Claudio Sanna, Amministratore Delegato di Linea Group Holding – Gruppo A2A, che quest’anno ha siglato un protocollo d’intesa con il Comune di Cremona ed il Polo di Cremona del Politecnico di Milano con l’obiettivo di valorizzare il capitale territoriale nell’ambito della transizione energetica e dell’intelligenza artificiale.
  • il Fabrizio Montali, Amministratore Delegato di Infor Srl, che già da alcuni anni collabora con il Polo di Cremona ed ha già ospitato alcuni degli studenti assegnatari dei Percorsi durante i summer job.

 




Giornata “Pro Orantibus”, a S. Sigismondo la celebrazione presieduta dal vescovo Lafranconi

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Domenica 21 novembre la Chiesa ha celebrato l’annuale Giornata “pro orantibus” che invita a pregare a favore delle comunità di clausura.

Questa giornata è stata istituita nel 1953 da Pio XII che pose l’attenzione su tutti i monasteri clustrali del mondo, segnati dalla fine del conflitto mondiale, che li aveva portati ad affrontare gravi situazioni di indigenza. Con il passare del tempo questa giornata ha acquisito un significato più spirituale, di vicinanza e solidarietà.

In diocesi di Cremona sono presenti due comunità di clausura: le monache Visitandine a Soresina e le monache Domenicane a Cremona.

Proprio nella chiesa di San Sigismondo nel pomeriggio del 21 novembre si è svolto un momento di adorazione e riflessione che ha unito nella preghiera le claustrali a tutte le religiose e religiosi di vita apostolica, al quale hanno partecipato anche diversi laici.

Alle 16 si è tenuto il canto del Vespro, presieduto dal vescovo emerito di Cremona, mons. Dante Lafranconi, che nella sua riflessione ha posto l’attenzione sulla speranza, che “è quella tensione che si basa sulla promessa di Dio e guarda al futuro della propria vita”.

“Quando penso da cristiano alla speranza – ha detto il vescovo emerito – la vedo collegata strettamente con la promessa di Dio”. E ha proseguito: “Guardiamo il percorso della storia della salvezza così come lo troviamo nella Bibbia, in fondo la prima volta che Dio fa una promessa all’uomo è quando dopo il peccato originale Dio si preoccupa dell’uomo e addirittura gli prospetta il superamento del male”.

Mons. Lafranconi ha concluso affermando che “la speranza è un filo che attraversa tutta la storia dell’umanità fino alla sua consumazione, e noi del Natale celebriamo l’epicentro, il motivo, la radice, la forza e la forma di questa speranza”.

La celebrazione, introdotta da madre Giuliana Arsuffi (responsabile Usmi) e alla presenza del delegato episcopale per la Vita consacrata don Giulio Brambilla, si è conclusa con l’esposizione del Santissimo e l’adorazione.




«Con l’arte scopriamo il piacere di vivere» MagicaMusica protagonista ai Traiettorie di Sguardi

La bellezza attraverso l’arte di raccontare la diversità per generare armonia. Questo il cuore dell’esperienza vissuta nella serata di domenica 14 novembre nel secondo appuntamento della rassegna “Traiettorie di sguardi”, il ciclo di incontri per giovani ospitato dalla Parrocchia del Maristella. Ospite della seconda serata è stata l’associazione MagicaMusica guidata dal direttore Piero Lombardi, il progetto di Castelleone che da anni sostiene una grande orchestra musicale formata da ragazzi e ragazze speciali.
Tanti i ragazzi che si sono interessati ed hanno voluto conoscere da vicino l’esperienza dell’orchestra inclusiva, composta da 30 ragazzi con disabilità e 10 educatori: «Mi si è allargato il cuore di fronte ad una chiesa così gremita di giovani interessati» ha spiegato Lombardi al termine dell’incontro. «Ho raccontato loro come attraverso la bellezza dell’arte tutti possano assaporare il piacere della vita».

Il gruppo di MagicaMusica lo sperimenta tutti i giorni tra le tante attività: dalla danza, al canto, dall’arte alle attività in piscina. «Nemmeno il lockdown ci ha fermato». Durante l’incontro «ho mostrato alcuni video dedicati alle nostre progettualità da remoto». Tre video hanno raccontato l’impegno di questi artisti anche a distanza: «abbiamo trovato nell’arte il modo per stare vicini. Per salvarci, insieme».

 

 




Il Vescovo a Vicobellignano nel ricordo di san Vincenzo Grossi: «Siamo tutti chiamati alla santità, cioè a una vita nel Signore»

Domenica 7 novembre, nella memoria liturgica di san Vincenzo Grossi, il sacerdote pizzighettonese fondatore delle Figlie dell’Oratorio che a Vicobellignano è stato parroco dal 1883 sino alla morte (avvenuta il 7 novembre 1917), il vescovo Antonio Napolioni ha celebrato l’Eucaristia nella chiesa parrocchiale di Vicobellignano, affiancato dal parroco don Gabriele Bonoldi e da don Franco Vecchini, parroco emerito residente in paese.

«Siamo qui per ricordare insieme il giorno in cui san Vincenzo raggiungeva quel Gesù che aveva amato e cercato di fare amare da tutti – ha detto don Bonoldi all’inizio della celebrazione -. Lo aveva fatto con la parola, i sacramenti e la vita. In lui affidava pensieri e propostiti. Spetta a noi non lasciar spegnere quella luce di santità che ha brillato in questa chiesa».

Dopo aver confidato il piacere nel vedere un’intera comunità «dal passeggino al bastone» riunita tutta in chiesa, il vescovo Napolioni si è soffermato sulla Parola del giorno per comprendere meglio la vicinanza dei Santi, in particolare alla comunità insieme alla quale hanno vissuto buona parte della loro vocazione.

«Noi facciamo la festa ai santi – ha detto monsignor Napolioni – ma alla fine ci incontriamo tutti nel Signore Gesù, unico figlio di Dio che ha dato la vita per noi e continua a darci gioia e speranza». È sull’esempio testimoniato dai profeti, sia vetero-testamentari (come il profeta Elia della seconda lettura) che contemporanei (come san Grossi), che «siamo tutti chiamati alla santità con San Vincenzo Grossi, cioè a una vita nel Signore. E, qualunque sia la nostra vocazione, a spenderci totalmente».

Avvicinando quindi la figura di san Vincenzo Grossi a quella del profeta Elia, monsignor Napolioni ha proseguito: «Gli assomiglia perché come lui era convincente portatore della forza di Dio. Entrambi infatti hanno combattuto contro i falsi profeti con le armi di Dio che sono l’essergli fedele e l’avere pazienza».

Quali sono state dunque le iniziative prese dall’allora don Vincenzo per rendere la parrocchia una bella comunità? «Attirare i giovani, le donne, gli animatori, i catechisti e gli allenatori. Dando a ciascuno il suo spazio in comunità. E soprattutto inventando nel 1885 la Congregazione delle Figlie dell’Oratorio».

Dove ha trovato san Vincenzo la forza del suo coraggio? «Nella preghiera costante davanti a questo altare, in questa chiesa in cui per tanti anni don Vincenzo rimaneva solo a pregare e ritrovava la forza per essere un convincente testimone della sua esperienza di fede».

Da ultimo, soffermandosi sul Vangelo della povera vedova che dona la sua unica moneta, il Vescovo ha fatto un appello ai numerosi bambini e ragazzi presenti alla celebrazione: «Promettetemi che non butterete mai più il pane che avanza in tavola. Il pane non si butta mai, sprecare oggi nel mondo è un delitto!». E, fuor di metafora, ha concluso dicendo: «La parrocchia povera assomiglia alla vedova. Come si fa a essere una bella comunità? Se ognuno mette la sua monetina, se ognuno mette se stesso. Allora – ha terminato – che ne dite di mettere tutta la vostra gioia, i nostri sogni e il vostro futuro nel tesoro della comunità?».

Alla celebrazione – che è stata animata con il canto dalla corale parrocchiale diretta dal maestro Maurizio Monti, con all’organo il maestro Vittorio Rizzi – ha preso parte anche una rappresentanza delle Figlie dell’Oratorio, l’istituto religioso fondato da san Vincenzo Grossi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

San Vincenzo Grossi

San Vincenzo Grossi nacque il 9 marzo 1845 a Pizzighettone (Cremona) da una umile famiglia. A diciannove anni nel 1864 entrò nel nostro Seminario e fu ordinato sacerdote il 22 maggio 1869. Da allora tutta la sua attività pastorale si svolse in diverse parrocchie della nostra Diocesi (fu successivamente vicario a S. Rocco di Gera di Pizzighettone, a Sesto Cremonese, economo spirituale a Ca’ de Soresini). Nel 1873 fu nominato parroco di Regona di Pizzighettone e nel 1883 passò a Vicobellignano. Tutta la sua vita fu spesa nel ministero pastorale: animazione delle comunità a lui affidate, predicazione di missioni al popolo, formazione spirituale delle coscienze, attenzione ai poveri, educazione dei fanciulli e dei giovani. Per aiutare i sacerdoti nella catechesi e nella formazione umana, soprattutto della gioventù femminile, don Vincenzo cominciò a raccogliere attorno a sé delle giovani, con le quali diede vita all’Istituto delle Figlie dell’Oratorio. Morì a Vicobellignano il 7 novembre 1917. Fu canonizzato da papa Francesco il 18 ottobre 2015.

 

Lo speciale del nostro portale per la canonizzazione del 2015

 




L’Africa oltre gli stereotipi raccontata da don Dante Carraro del Cuamm

«Ho voluto scrivere e raccontare un continente che non è unicamente problemi, ma che ci riguarda e che per noi medici del Cuamm è diventato una grande opportunità di vita». Così don Dante Carraro, direttore di Medici con l’Africa Cuamm, alla presentazione del libro “Quello che possiamo imparare in Africa, la salute come bene comune”, tenutasi nella serata di mercoledì 27 ottobre presso la sede Avis di Cremona. La serata è stata l’occasione per presentare questo volume in cui don Carraro ripercorre la sua decennale esperienza in Africa come sacerdote e medico Cuamm tentando di andare oltre ai soliti stereotipi di un continente soltanto pieno di problemi irrisolti. Ad aprire la serata anche il saluto del sindaco di Cremona, Gianluca Galimberti e un video di presentazione con le diverse attività che vengono svolte in Sierra Leone, Repubblica Centrafricana, Sud Sudan, Etiopia, Uganda, Tanzania, Angola e Monzambico.

L’appassionato racconto di don Carraro è stato accompagnato anche da quelli di altri due medici Cuamm, Alberto Rigolli, ginecologo direttore di Ostetricia all’Ospedale Oglio Po di Casalmaggiore, e Giacomo Ferrari, medico della casa di riposo di Casalbuttano.

Gli interventi sono stati moderati dal giornalista di Cremona 1 Simone Bacchetta, il quale ha sollecitato don Carraro a spiegare le ragioni di questo libro. «Il clima complessivo – ha affermato il sacerdote – dà la percezione che l’Africa sia una disgrazia che ci è capitata così vicino, dall’altra parte di quel laghetto che è il Mediterraneo, e noi siamo la porta di un flusso di gente e di problemi. Ma non è così, perché l’Africa è molto di più. Questo voglio raccontare in questo libro».

La testimonianza di Alberto Rigolli è stata contrassegnata dal racconto della sua esperienza con il Cuamm, fin dall’età giovanile: «Quando rivedo le immagini delle attività del Cuamm in Africa mi rendo conto che la cosa bella è che sono immagini vere, che ti cambiano quando vai là e quando torni a casa nella vita quotidiana».

Giacomo Ferrari ha poi continuato il racconto con uno sguardo rivolto anche al futuro: «Queste esperienze formano in noi un rapporto e un impegno con il Cuamm, perché si crea qualcosa che tiene molto legati all’Africa e a tutto quello che succede continuando a preoccuparsi perché l’Africa possa crescere con il contributo che possiamo dare».

Al termine la riflessione finale don Dante Carraro, in risposta anche ad alcune sollecitazioni dei presenti, si è concentrato sui problemi africani e dei diversi e numerosi finanziamenti che arrivano da varie parti del mondo, anche alla luce dell’attività di collaborazione e formazione delle comunità locali africane, tipica modalità di operare del Cuamm: «Il tema della cooperazione prima di tutto è incontro e formazione del personale in loco: bisogna investire nel capitale umano», ha affermato il direttore di Medici con l’Africa Cuamm.




Barnabiti, un secolo di missione in Afghanistan

Il 26 agosto scorso, dopo giorni concitati e drammatici, padre Gianni Scalese è rientrato dall’Afghanistan insieme alle suore della Congregazione di Madre Teresa e ad alcuni bambini orfani. Barnabita, cappellanno della missione “sui iuris” voluta da Giovanni Paolo II nel Paese asiatico presso l’ambasciata italiana, padre Scalese è l’ultimo di una lunga serie di sacerdoti barnabiti che per cento anni hanno accompagnato la minuscola ma preziosissima presenza cristiana in terra afghana.

Insieme a padre Giovanni Villa, già superiore generale dei Barnabiti oggi di stanza a Cremona presso comunità di San Luca, padre Scalese ha raccontato la sua esperienza nella serata di giovedì 21 ottobre presso il Centro pastorale diocesano di Cremona nell’incontro promosso dal gruppo missionario della parrocchia cittadina di Sant’Abbondio e moderato da Daniela Negri.

«L’Afghanistan diventa indipendente nel 1919 e nel 1921, con un Trattato stipulato con lo Stato italiano, viene resa possibile la costruzione di un luogo di culto per cattolici stranieri. Certo, non era possibile evangelizzare, ma solo servire chi per ragioni commerciali, politiche e diplomatiche visitava il Paese. La presenza barnabita inizia così, con una cappella cattolica all’interno dell’ambasciata italiana. Dal 1933 a oggi, otto sacerdoti barnabiti si sono succeduti e padre Scalese è stato l’ultimo», ha spiegato padre Villa introducendo l’incontro. «Cremona è stata una delle città più interessate alla nostra presenza in Afghanistan – ha quindi sottolineato – perché negli anni Novanta qui a Cremona c’era uno dei sacerdoti che è stato cappellano laggiù per 25 anni, padre Angelo Panigati».

La parola è poi passata a padre Scalese che, in collegamento da Roma, ha ricordato come segni di una presenza cristiana nel Paese sono state anche le Suore di Madre Teresa di Calcutta, quelle del centro per i bambini di Kabul, i Gesuiti indiani e le Piccole Sorelle di Charles de Foucauld, arrivate negli anni Cinquanta. Tutti loro si sono dovuti confrontare con le difficoltà di vivere in una nazione dove l’islam è religione di Stato e la conversione ad altre fedi è rato: «Non è stato possibile negli ultimi tempi svolgere un servizio pastorale esteso al contatto con la gente, e così azioni di promozione sociale hanno rappresentato l’unica forma possibile di missione».

Padre Scalese ha ripreso poi il titolo del messaggio di Papa Francesco per la Giornata mondiale delle missioni: «Non è semplice annunciare in Afghanistan quello che “abbiamo visto e ascoltato”, perché lì siamo costretti a tacere. Ma dopo la presa del potere dei talebani, abbiamo sperimentato la protezione divina e della Madonna. Il 13 ottobre del 2017, al termine del centenario di Fatima, ci siamo consacrati come missione «sui iuris» al Cuore immacolato di Maria. E non abbiamo voluto consacrare solo noi stessi e la missione, ma anche l’Afghanistan. Perché consacrare un Paese al 99 per cento islamico? Perché, la storia lo insegna, questo ha risvolti anche geopolitici: pensate a quella che fece Giovanni Paolo II, cui seguì il crollo dell’Urss. Noi abbiamo sperimentato la protezione della Madonna negli ultimi giorni trascorsi a Kabul: nessuno di noi si è fatto un graffio nonostante gli attentati e le tensioni. Io penso che questa storia, iniziata cento anni fa, potrà continuare, perché ho conosciuto tanti afghani affascinati dal cristianesimo. Prego e spero che la vita della missione presto o tardi possa riprendere al servizio di un popolo che non merita di vivere nella guerra».




A Tds riflessione su giovani e lavoro con il prof. Fabio Antoldi

La vita, così come il lavoro, dipende essenzialmente dal contesto, dall’ambiente, da che cosa e da chi abbiamo intorno: purtroppo, però, la situazione non è affatto positiva. L’epidemia mondiale da Covid-19 cade a conclusione di un “decennio tosto”, tristemente segnato da un susseguirsi continuo di sconvolgimenti geopolitici, sociologici, ambientali e demografici globali.

I grandi cambiamenti che hanno veicolato le economie delle nazioni degli ultimi anni si possono raggruppare in alcuni “megatrends”, quali il cambiamento climatico e la variazione del mercato delle fonti energetiche, la digitalizzazione, invecchiamento della popolazione e il rovesciamento della piramide demografica, la riorganizzazione del potere mondiale e le connessioni legate al tema di una globalizzazione sfrenata.

Questi enormi meccanismi hanno messo in ginocchio anche e soprattutto il “Bel Paese”, che – secondo gli ultimi dati – risulta tra i Paesi meno digitalizzati, capaci di parlare la lingua inglese, innovativi, competitivi, impegnati sul fronte dell’occupazione giovanile e capaci di valorizzare economicamente i lavoratori. Insomma uno scenario a dir poco drammatico quello dipinto dal prof. Antoldi, docente dell’Università cattolica di Cremona e Piacenza e primo ospite del percorso giovanile diocesano Tds-Traiettorie di sguardi, inaugurato nel pomeriggio di domenica 17 ottobre a Cremona nella chiesa del Maristella.

Tuttavia, prosegue il relatore, «come docente, esperto del mondo del lavoro e padre» esistono delle vie d’uscita per un futuro più roseo e incoraggiante. Una soluzione si trova paradossalmente nella stessa etimologia di quella crisi che da anni affligge il sistema economico e politico italiano (e non solo): «Il significato greco di “crisi”, infatti, richiama il tema della prudenza e del discernimento, che sono nelle mani dei giovani». D’altra parte proprio i giovani, conclude Antoldi, sono la classe dirigente di un futuro che va costruito con creatività ed innovazione, mettendo in campo competenze e conoscenze e puntando ad un vero “patto sociale”.

Con questa nota di speranza si è così chiuso il primo incontro di Traiettorie di Sguardi, che tornerà con il prossimo incontro “Macchine Intelligenti” il 14 Novembre: ospite d’eccezione il prof. Paolo Benanti dell’Università Gregoriana di Roma.

 

L’intervento del prof. Fabio Antoldi




“Il contributo dell’Amoris laetitia al rinnovamento ecclesiale e alla vita del sacerdote”: la relazione del vescovo Martinelli in Seminario

“Il contributo dell’esortazione apostolica post-sinodale Amoris Laetitia al rinnovamento ecclesiale”: questo il tema su cui si è incentrata la ricca, profonda, apprezzata  riflessione offerta da Mons. Paolo Martinelli, vescovo ausiliario di Milano, ai preti della diocesi di Cremona, riuniti in assemblea plenaria presso il Seminario vescovile, la mattina di giovedì 7 ottobre.

Accolto e introdotto dal vescovo Mons. Antonio Napolioni, che nella sua stimolante riflessione ha messo il punto, tra l’altro, sulla necessità di una “riforma come continua conformazione a Cristo”, Mons. Martinelli ha preso le mosse dalla una considerazione di fondo: l’Amoris Laetizia  si colloca in rapporto con tutta la vita della Chiesa, che da essa viene rimessa in gioco, con una conseguente ricchissima molteplicità di implicazioni. Dunque, l’Amoris Laetitia comporta e sollecita il necessario ripensamento delle relazioni tra le diverse vocazioni, delle quale è necessario un riposizionamento comunionale.

Dopo avere introdotto l’attualissimo tema della sinodalità della Chiesa, rilanciato con grande forza da Papa Francesco, il presule ha insistito e si è soffermato su come la famiglia, che vive ed esprime una sua vera e propria vocazione pienamente ecclesiale, ora debba porsi come primo soggetto di azione pastorale e di evangelizzazione e non più come oggetto: così, ha citato tra l’altro, “la famiglia cristiana si costituisce come soggetto dell’azione pastorale attraverso l’annuncio esplicito del Vangelo e l’eredità di numerose forme di testimonianza”. Una prospettiva certamente non nuova: infatti “la famiglia come soggetto di vita pastorale e di evangelizzazione è una modalità con cui Papa Francesco riprende l’idea patristica ed affermata dal Vaticano II in Gaudium et Spes della famiglia come Chiesa domestica”. Ecco allora che si passa da un uso “esclusivo” della azione pastorale” a uno “inclusivo”, che tiene conto e valorizza la vocazione alla santità di tutti i credenti. Certo, è innegabile che l’annosa eredità moderna, oltre ai complessi fenomeni della secolarizzazione e della attuale “impertinenza della fede”, debbano comportare e richiedano passaggi decisivi, per la vita della Chiesa, attraverso un lungo percorso, che non prescinda dalla riflessione teologica (teologia del laicato), dai movimenti di vita cristiana (con la riscoperta del battesimo  e della spiritualità familiare…), dal magistero (Gaudium et Spes, Lumen Gantium, Familiaris Consortio, Deus Caritas est, Amoris Laetitia…). L’Amoris laetitia allora non può non porsi come fondamentale contributo dal punto di vista della dinamica ecclesiale e pastorale, nell’ottica di una “pluriformità vocazionale nell’unità”.

Federico Celini

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Assemblea Oratori, don Bianchi: «Al centro della vita non ci sono le strutture, ma la relazione»

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L’Assemblea Oratori è tornata in presenza nel tardo pomeriggio di giovedì 23 settembre presso il Seminario vescovile di Cremona con la partecipazione dei responsabili di oratorio, sacerdoti ed educatori: dopo tanti mesi di alternanza tra zone di colore diverso e le relative restrizioni che hanno penalizzato le proposte educative, ma anche dopo un’estate che ha segnato una forte ripresa di iniziative ed esperienze.

“Ripartiamo con te” è il tema generale dell’anno oratoriano: al centro viene evidenziata la necessità e la profezia di una comunità adulta chiamata ad assumersi, ancora una volta, il compito educativo come vocazione evangelica, perché gli oratori e le altre esperienze educative rivolte ai più giovani tornino a essere casa, con porte e finestre aperte sulla vita.

Ad aprire l’assemblea è stato il momento di preghiera con la breve riflessione del vescovo Antonio Napolioni che ha voluto ringraziare don Paolo Arienti per i dieci anni di servizio nella pastorale giovanile cremonese e ha sottolineato che «La presenza di Gesù è nei volti, in una catena di mani, di generazione in generazione, di giovani che diventano adulti e che donano nuovi figli alla Chiesa e alla società». Insieme a don Arienti il Vescovo ha voluto ringraziare anche volontari della FOCr, che ha idealmente affidato a don Francesco Fontana.

Ma il pensiero del Vescovo è andato a tutti i giovani. Con un riferimento al tragico fatto di cronaca nera avvenuto solo qualche ora prima in quartiere di Cremona, e anche ai giovani campioni olimpionici cremonesi che a Roma stavano incontrando il Presidente della Repubblica. Ma pensando a tutti e ciascun giovane e ragazzo delle parrocchie della diocesi, e al di là delle nazionalità.

Anche oggi si sta vivendo un tempo di smarrimento, come i discepoli di Emmaus dopo la morte in croce del Maestro. «Gesù è venuto per gli smarriti, per i malati e i peccatori – ha ricordato il Vescovo -. Ed è con noi che si ferma». «E allora pregustiamo tanto pane spezzato», ha detto ancora con nella mente i tanti volti e le tante storie e iniziative che caratterizzeranno il nuovo anno oratoriano: «Preghiamo il Signore perché accompagni Lui il nostro cammino».

Ha quindi preso la parola don Pietro Bianchi, incaricato della Pastorale giovanile della Diocesi di Como che ha incentrato la sua riflessione sul tema dell’anno oratoriano che si sta aprendo “Ripartiamo con te: una nuova sfida per la comunità educativa oggi”. Il sacerdote comasco ha riflettuto sul tema del dono della propria vita, a partire dall’esempio di Gesù: «Come scrive san Paolo non si può annunciare il Vangelo senza dare anche la vita». Per poi continuare con un pensiero sulle modalità di vivere l’oratorio: «Si parla sempre di più di oratorio come una casa, un luogo per vivere insieme».

«La Chiesa è l’umanità nuova che si apre, un’umanità aperta di persone che hanno fatto il passaggio da persone chiuse a persone aperte, persone che vivono libere come Dio perché hanno ricevuto la Sua vita e hanno il Suo stesso modo di relazionarsi: la libertà è l’unica relazione che rende possibile l’amore perché amare davvero significa custodire nel cuore la possibilità che l’altra parte possa sempre dire di no – ha quindi proseguito don Bianchi – al centro della vita non ci sono le strutture ma la relazione che è al cuore delle persone e anche l’oratorio dev’essere questo posto vitale, un’esperienza di Chiesa che mette al cuore la relazione tra le persone»

Una articolata riflessione durante la quale non è mancato neppure un riferimento a don Roberto Malgesini, il comasco “sacerdote degli ultimi” ucciso il 15 settembre 2020 mentre portava la colazione ai senzatetto e di cui proprio il 23 settembre si è aperto il processo.

Infine, don Pietro ha richiamato il tema della missione: «Il dono che si riceve non è per sé stessi – ha affermato -: la vita è data dalle relazioni non dal sangue e mi auguro che l’oratorio possa divenire uno spazio dove possano abitare giovani e famiglie».

Al termine è stato il momento di ringraziare don Paolo Arienti per gli anni di intenso servizio alla pastorale oratoriana di tutta la diocesi: l’abbraccio con don Francesco Fontana è stato come un simbolico passaggio di consegne alla guida dell’ufficio di pastorale giovanile.

Dopo un momento conviviale con un buffet nei locali del Seminario è stato quindi il momento della divisione dei partecipanti in tre diversi laboratori tematici, aperti da brevi testimonianze pastorali: “Spazi e tempi dell’Oratorio, oggi”, “La relazione con gli adolescenti” e “La vita comune con giovanissimi e giovani”.

La serata si è quindi conclusa con la presentazione delle proposte e delle iniziative programmate nel nuovo anno oratoriano.

 

“Ripartiamo con te!”: il tema e i materiali per l’anno oratoriano 2021/22