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Chiesa di Casa verso la Gmg, ascolto e dialogo le sfide per i giovani

 

Ascolto e dialogo. Sono questi i temi fondamentali emersi durante la nuova puntata, interamente dedicata al mondo dei giovani, di Chiesa di casa, il talk di approfondimento pastorale della Diocesi disponibile sui canali social ufficiali e in onda la domenica alle 12.15 su Cremona1. Nel fine settimana in cui la Chiesa universale celebra la Giornata mondiale della gioventù il focus non poteva che essere posto su chi ne è assoluto protagonista.

«Stando a contatto con i ragazzi e i giovani – ha raccontato don Daniele Rossi, assistente Giovani dell’AC di Cremona – si percepisce un forte bisogno di ascolto, unito a un desiderio di valorizzazione. La sfida, però, non è semplicemente ascoltare, ma anche tentare di dare risposte concrete. Nella mia esperienza ho osservato che, molto spesso, è ciò che viene maggiormente richiesto».

A confermare la percezione espressa da don Rossi è Martina Allevi, collaboratrice della Federazione Oratori Cremonesi. «Non sempre, da giovani, ci sentiamo pienamente ascoltati. Creare un canale di comunicazione non è semplice, lo sappiamo bene, perché abbiamo due sistemi differenti. Riuscire a generare un dialogo, però, mi pare fondamentale per costruire relazioni vere e autentiche all’interno della Chiesa e della società».

Chi, da diversi anni, incontra spesso il mondo giovanile nel territorio cremonese è l’associazione “Gli amici di Robi”. A raccontarne lo stile è Pietro Ginevra, docente di Scienze motorie e membro fondatore del gruppo. «Il nostro obiettivo è quello di cercare di rendere i giovani partecipi della vita della città, facendo loro capire che eventi come quelli che organizziamo, sportivi, musicali o puramente aggregativi, possono effettivamente essere proposti. Questo, secondo noi, può anche dare la spinta a nuove realtà diverse dalla nostra, che possono intercettare altri bisogni, avendo un’identità differente».

L’incontro, la relazione e la partecipazione sembrano dunque elementi chiave per costruire un vero e autentico dialogo. In questo senso, molto preziosa è stata l’esperienza della Gmg di Lisbona, vissuta dai giovani di tutto il mondo durante l’estate passata. Da sempre le Giornate mondiali della gioventù sono incredibili occasioni di incontro e condivisione, Il rischio, però, è sempre quello di viverle in maniera isolata e limitata nel tempo. «Molti ragazzi che sono stati a Lisbona – ha sottolineato don Rossi – hanno apprezzato la possibilità di confrontarsi, durante i momenti formativi e di catechesi, su questioni molto vicine alle loro vite. Su questo, nelle nostre comunità, si fa spesso molta fatica, perché i numeri sono ridotti i non ci sono le forze per attivare iniziative concrete. Diventa allora importante l’interparrocchialità, la collaborazione a livello zonale e la strutturazione di proposte che aiutino a respirare un clima che sia davvero ecclesiale anche al di fuori del singolo evento globale». E secondo Martina Allevi, «il bisogno di mantenere le relazioni e di coltivarle è molto forte: i ragazzi e i giovani stessi si stanno organizzando per vedersi, incontrarsi e poter mantenere vivi quei legami che si sono costruiti».

Ascolto e dialogo, dunque, sono elementi chiave solo se accompagnati da un percorso di valorizzazione e coinvolgimento all’interno del tessuto sociale e relazionale. «È necessario creare entusiasmo – ha concluso Pietro Ginevra – e far sentire anche i più giovani importanti e partecipi. Si tratta di un rischio? Sì, ma bisogna correrlo per portare freschezza e novità di idee. I più giovani sono linfa vitale e portano un ricambio che è davvero necessario per la crescita della nostra comunità».




Fede e filosofia unite dallo sguardo sull’altro

«Abbiamo bisogno dell’incontro con l’altro». Questa la necessità espressa dalla professoressa Francesca Nodari, presidente della Fondazione “Filosofi lungo l’Oglio”, durante la nuova puntata di Chiesa di casa, il talk di approfondimento diocesano, dedicata alla Giornata mondiale della filosofia, celebrata lo scorso 16 novembre. «Spesso pensiamo alla riflessione filosofica come a qualcosa di disincarnato – ha spiegato Nodari – ma non è così. La relazione con l’altro ci mette in discussione, ci provoca, e fa nascere delle domande. Già questa è filosofia».

Il focus della puntata, infatti, è stato posto sulla concretezza, sul valore che la speculazione filosofica può avere nel quotidiano. La professoressa Chiara Ghezzi, docente di filosofia al liceo Manin di Cremona, ha sottolineato a sua volta lo stretto legame tra filosofia e vita. «Quando parlo ai miei studenti porto sempre come esempio quello dei bambini: i loro “perché?”, uniti ai “per che”, sono la più bella testimonianza del fatto che siamo naturalmente portati a fare filosofia, che è poi l’arte delle domande, non una semplice materia scolastica».

La domanda, l’interrogativo si pone allora come cardine del pensiero e della riflessione. «Mi pare molto interessante – ha evidenziato don Emanuele Campagnoli, dottorato in filosofia e docente presso l’Istituto superiore di Scienze religiose “Sant’Agostino” – far notare che ci si interroga quando si viene toccati dalla realtà. Questo aspetto testimonia, una volta in più, quanto sia forte il legame tra speculazione e concretezza, tra filosofia e relazione. Il mio incontro con la realtà, infatti, si confronta con quello dell’altro, perché anch’egli la abita. E dal nostro dialogo può nascere un nuovo modo di pensare, riflettere e agire».

La relazione, l’apertura all’altro, dunque, diventa occasione per condividere non solo una linea di pensiero, ma anche un modo di approcciarsi alla realtà. «È l’esperienza che viviamo con il nostro annuale festival “Filosofi lungo l’Oglio” – ha raccontato Nodari – in cui i maggiori pensatori della nostra epoca ci aiutano a indagare un tema specifico. Nella nostra esperienza abbiamo notato che, se si gettano dei semi buoni, la filosofia diventa davvero cultura animi, come direbbe Cicerone. Oggi più che mai c’è un grande bisogno di senso: con la riflessione filosofica possiamo imparare ad indossare idealmente quegli occhiali che ci permettono di guardare alla realtà per ciò che è davvero».

Una realtà che talvolta è ingiusta, non sempre accogliente, ma certamente abitata dai volti delle persone che la vivono. E secondo la riflessione di Levinàs è proprio il volto a essere il primo veicolo di incontro con l’altro e l’unico luogo in cui si possa fare esperienza dell’infinito. «Questo ci può aiutare, oggi, a recuperare il vero valore della persona – secondo don Campagnoli – tenendo però ben presente ciò che la differenzia dall’individuo. Quest’ultimo è un elemento della massa, mentre la persona è libera. Inoltre, la persona è irripetibile, unica, originale e creativa; l’individuo, invece, risponde a una forma, è la semplice espressione di una necessità».

«Far comprendere tutto questo a degli adolescenti non è semplice – ha concluso la professoressa Ghezzi – ma cerchiamo di stimolarli ad un modo di pensare rivolto all’altro, capace di coglierne il valore, di confrontarsi con le sue idee, che possono essere diverse, senza attaccare la persona. Questo è l’esercizio di filosofia, e di vita, più bello che si possa fare».




Chiesa di Casa, le sfide della povertà e del volontariato oggi nel ricordo del patrono Omobono

Alla vigilia delle celebrazioni di sant’Omobono, in diocesi è significativo porre l’attenzione sulla povertà, tematica cara al patrono cremonese. Proprio per questo motivo la nuova puntata di Chiesa di casa, il talk di approfondimento diocesano, ha posto il focus proprio sulla fragilità e sulle esperienze di carità presenti sul territorio.

«Omobono era un laico – ha raccontato Massimo Fertonani, presidente della Conferenza centrale della San Vincenzo de’ Paoli di Cremona – ed era piuttosto benestante. Proprio a partire da questa sua condizione ha messo a disposizione buona parte delle sue sostanze per aiutare il prossimo. Questo non è solo un esempio, ma ricalca fedelmente l’attualità. Oggi i nostri volontari donano non solo denaro, ma soprattutto il loro tempo in favore dei molti che si trovano in situazioni di necessità».

A dare, poi, una fotografia, a livello macroscopico, della situazione attuale è stato Stefano Lampertico, direttore del giornale di strada Scarp de’ tenis. «I numeri ci parlano di una povertà in aumento, che significa molte cose diverse. I centri di ascolto Caritas raccontano bisogni differenti a cui, troppo spesso, si fatica a far fronte».

Molte sono dunque le necessità, spesso parecchio differenziate tra loro. Ad avere un’attenzione particolare al territorio è stato Giuseppe Spriveri, assistente sociale del Comune di Cremona, che ha raccontato di quante siano «le sfaccettature della povertà: dal minore che ha bisogno di assistenza, alla famiglia che fatica a pagare le bollette. Ciò che, però, rimane invariato, è lo stile che ci deve caratterizzare. L’invito che, come assistenti sociali, ci sentiamo rivolgere è quello di guardare all’altro come a una persona, non semplicemente un povero che va aiutato».

Significativa allora è nuovamente la figura di Omobono che, come testimoniato da Fertonani, «ha acquisito presso i suoi concittadini una notevole autorevolezza. Era normale che intervenisse nel placare le contese, e le persone si fidavano di lui proprio perché il suo spendersi per le altre persone lo rendeva figura affidabile e di riferimento».

«Ancora oggi sono molti, per fortuna, coloro che testimoniano la carità con la propria vita – ha sottolineato Lampertico – e che offrono un bellissimo esempio di dedizione e cura nel quotidiano, senza ricorrere a gesti eclatanti».

La presenza sul territorio diventa allora fondamentale, secondo Spriveri, «soprattutto nei volti che si incontrano, prima che dalle iniziative istituzionali. C’è una rete di associazioni e volontari che lavorano e si spendono per le varie necessità che incontriamo. Ci sono poi tutti quegli interventi più nascosti, che prevedono un interfacciamento con enti come San Vincenzo e Caritas per le situazioni particolari relative all’accoglienza e al soddisfacimento dei bisogni primari».

Raccogliere e comprendere le esigenze e le fatiche delle persone non sempre è semplice. «Con Scarp de’ tenis abbiamo un osservatorio privilegiato – ha concluso Lampertico – perché grazie al contatto con i vari uffici Caritas riusciamo ad avere sempre una fotografia ben chiara della situazione, oltre alla possibilità di incontrare volti, persone e storie che ci aiutano a promuovere e sostenere le iniziative di carità presenti sul territorio».




A Chiesa di Casa in dialogo sulle domande di senso oltre il folklore delle zucche

La festa di Tutti i Santi e la commemorazione dei defunti. È questo che la Chiesa celebra, ogni anno, all’inizio del mese di novembre. Dall’altra parte si confronta con una società in cui, nella serata del 31 ottobre, viene data una grande rilevanza alla festa di Halloween. Molto spesso c’è stata una netta opposizione tra le due tradizioni ed è per questo motivo che la nuova puntata di “Chiesa di casa”, il talk di approfondimento pastorale diocesano, ha provato ad approfondire la questione.

«Le celebrazioni di questi giorni – ha spiegato don Andrea Lamperti Tornaghi, vicario parrocchiale a Pandino e insegnante di religione della scuola casearia del paese – ricordano a noi cristiani il valore della santità, che è per tutti, e aiutano a tenere vivo il ricordo e la preghiera per coloro che ci hanno preceduti in cielo».

Siamo abituati a pensare che la festa di Halloween si ponga in netta contrapposizione, ma la realtà sembra essere differente. Secondo il divulgatore storico Guido Damini, autore del podcast “Le Caporetto degli altri” su radio Deejay, «fonti alla mano ci sono tracce di una festa che i cristiani celebravano già nel terzo secolo, in cui, nelle catacombe, venivano ricordati i martiri. Sembrano essere queste le basi che, nel corso dei secoli, hanno portato a una festività che precedesse la festa di Tutti i Santi».

Contrariamente a quanto si pensa di solito, dunque, la festa di Halloween non ha origini celtiche bensì cristiane. Nonostante questo, con il passare del tempo e con il confronto con la cultura americana, si è trasformata nella festa che oggi conosciamo. Pur avendo perso il suo legame originario con la tradizione cattolica, però, essa pone delle domande. Cerca infatti, in modo scherzoso e leggero, di mettere in contatto il mondo dei vivi con quello dei morti. «L’interrogativo sulla morte e su ciò che viene dopo affascina da sempre – ha continuato Damini – tanto che la definizione stessa di umanità si ha nel momento in cui i nostri antenati iniziano a seppellire i loro defunti».

«Per noi, come Chiesa, – ha concluso don Lamperti – questi giorni possono essere un’occasione speciale per aiutare, soprattutto i più giovani, a riflettere e ragionare sul tema del dopo. Questo, poi, significa sempre parlare di vita, perché, quella della morte, non è una tematica da cui si sentono staccati o lontani. Al contrario essa suscita sempre domande profonde e ricche di significato».




Verso la Giornata diocesana di Avvenire: a Chiesa di Casa la buona comunicazione che non si misura a “like”

«Una buona comunicazione non si misura con i like». Così si è espresso Francesco Ognibene, caporedattore centrale di Avvenire, intervenuto durante la nuova puntata di Chiesa di casa, il talk di approfondimento pastorale della Diocesi che questa settimana ha preso spunto dalla Giornata diocesana del quotidiano Avvenire che si celebra domenica 29 ottobre in tutte le parrocchie. «Non è detto, infatti – ha proseguito il giornalista – che un post con molte interazioni abbia effettivamente reso un servizio ai lettori». Ed è proprio su questa dinamica tra comunicatori e lettori che si è incentrata la trasmissione.

Sulla stessa linea tracciata da Ognibene si è mosso anche Filippo Gilardi, coordinatore della redazione di TeleRadio Cremona Cittanova, che si occupa della comunicazione istituzionale della Diocesi di Cremona. «Un buon interrogativo che possiamo porci riguarda la notizia, il contenuto di ciò che comunichiamo, che non va confuso con il mezzo. Il rischio che spesso corriamo è quello di appiattirci sugli strumenti, perdendo così di vista i bisogni del lettore».

Quello di focalizzarsi sul mezzo, sulla piattaforma, è un pericolo che si corre soprattutto nella comunicazione veicolata dai social. «Oggi la notizia va data il prima possibile – ha commentato Claudio Gagliardini, esperto di comunicazione online e collaboratore di Riflessi Magazine – anche per esigenze di mercato. Ma è necessario prestare attenzione alle valutazioni sui fatti. Un giudizio troppo affrettato potrebbe non essere corretto e, molto spesso, viene rifiutato dai lettori».

Una riflessione a partire dai fatti, dunque, appare necessaria, ma necessita di un certo lasso di tempo per essere formulata in modo serio. «Da un lato ce lo impone la deontologia – ha sottolineato Ognibene – e dall’altro lo stile comunicativo che rappresentiamo e a cui apparteniamo, ossia quello ecclesiale. È fondamentale prendersi dello spazio per valutare, comprendere e, solo a quel punto, esprimersi. Questo significa incontrare i bisogni del lettore».

Parole, quelle di Ognibene, che sembrano controcorrente rispetto ai titoli flash cui siamo abituati. «Con l’esperienza di Riflessi Magazine – ha spiegato Gilardi – tentiamo di fare proprio questo: strutturare titoli che siano in grado di suscitare il desiderio di approfondire le notizie, così da creare relazioni, tra le persone e con il territorio».

Per Gagliardini è proprio questa la chiave: far sì che gli strumenti comunicativi siano a servizio delle persone e dei loro bisogni di interazione, informazione e relazione.

Per la Diocesi di Cremona, dunque, la giornata dedicata al quotidiano Avvenire si prospetta come un’occasione utile per ragionare e riflettere, ancora una volta, sul senso e sul valore della comunicazione e delle necessità delle persone.




A Chiesa di Casa è “Il tempo dell’ascolto”

«Ascolta». È questo l’imperativo che Dio rivolge a Israele, come ricordato da don Pierluigi Codazzi, direttore della Caritas diocesana, durante la puntata di questa settimana di Chiesa di casa, il talk di approfondimento diocesano. Proprio in occasione della Giornata mondiale dell’ascolto, che si celebra come ogni anno il 21 ottobre, le parole del sacerdote cremonese ne hanno sottolineato il valore fondativo: «Dio chiede di aprire i propri orecchi. Questo introduce il tema della relazione e significa che essa parte da Dio, non dall’uomo. È una dinamica intrinseca, ed è bene che ce lo ricordiamo. Altrimenti l’ascolto rischia di diventare solamente un’azione o un’operazione messa in atto».

A evidenziare ulteriormente il valore della relazione è stata Alessandra Lupi, psicologa, psicoterapeuta e autrice del podcast Sei boomer papà. «L’ascolto parte dal presupposto che deve esistere l’altro. Questo è un concetto che oggi si sta perdendo, purtroppo. Esso presuppone, inoltre, un’attività: non è una semplice recezione passiva, perché per un ascolto vero esiste solo l’altro, non il mio bisogno».

Ed è proprio il bisogno, espresso o non espresso, che spesso diventa oggetto di ascolto e di dialogo. In questo senso è stato significativo l’intervento di Milena Fracassi, del Centro di aiuto alla vita di Cremona. In riferimento ai tanti anni di servizio in ospedale e presso la sede di via Milano, Fracassi ha sottolineato come spesso i bisogni che si incontrano siano simili: «Molte volte la richiesta di aiuto cela il semplice bisogno di un abbraccio, di una rassicurazione. Altre volte, invece, c’è molta concretezza nel far fronte alle necessità che si presentano, soprattutto solitudine e difficoltà economica. La fragilità nell’accoglienza di una nuova vita è comprensibile, ed è qui che si colloca il Centro di aiuto alla vita che, insieme ad altre entità del territorio – su tutte il consultorio Ucipem – cerca di far fronte ai bisogni della comunità».

La necessità di un confronto è stata più volte sottolineata anche da don Codazzi, che ha ribadito uno slogan molto chiaro. «Ai nostri volontari ricordo sempre di non essere mai da soli. Questa consapevolezza, innanzitutto, ci sostiene. In più, però, ci permette di non creare relazioni di dipendenza con le persone che si rivolgono a noi. Mai da soli significa che ci è richiesto un confronto con l’altro, un confronto che ci toglie dal pericolo di renderci un assoluto per il bisognoso».

Il rischio di costruire rapporti non sempre positivi è in effetti concreto, soprattutto quando si parla di relazioni che durano nel tempo. «E d’altra parte è proprio il tempo – ha spiegato Lupi – a permetterci di costruire un vero rapporto di fiducia. Chi chiede di essere ascoltato, chi ne ha bisogno, chiede innanzitutto il nostro tempo. E poi serve che l’orecchio di chi ascolta sia in grado di custodire ciò che di prezioso l’altro affida, specialmente quando si parla di adolescenti».

Alle parole della psicologa hanno fatto eco quelle di Milena Fracassi, che ha ricordato di come, anche al Centro di aiuto alla vita, «vengano pensati percorsi distesi nel tempo, in modo che le persone che vi prendano parte possano avere l’opportunità di sentirsi accolte e ascoltate per davvero».




Chiesa di Casa, per la scuola una sfida tra presente e futuro

È passato un mese dalla ripresa delle attività scolastiche, con il rientro di bambini e ragazzi nella quotidianità formativa che li terrà impegnati fino alla prossima estate. E proprio di scuola si è parlato nell’ultima puntata di Chiesa di Casa, il talk settimanale della Diocesi di Cremona, che proprio oggi celebra la Giornata diocesana della scuola. Ospiti della puntata Margherita Costa, vicepreside del liceo sportivo «Girolamo Vida», Maria Paola, direttrice della scuola primaria «Sacra Famiglia», e Simona Piperno, dirigente degli istituti di istruzione superiore «Arcangelo Ghisleri» e «Janello Torriani» di Cremona.

«Fare scuola oggi significa guardare la realtà, indirizzare lo sguardo ai bambini che abbiamo davanti e voler bene alla realtà che ci troviamo di fronte, senza rimpianti del passato», ha sottolineato Maria Paola, che ha aggiunto: «Serve però anche una grande speranza sul futuro».

Ma non c’è futuro senza prospettive. Prospettive che iniziano a maturare sin da piccoli e che magari cambiano e si concretizzano progressivamente, sino – e durante – gli anni delle superiori. «Accogliamo ragazzi che stanno diventando grandi – ha evidenziato Margherita Costa –. In terza superiore avviene poi il giro di boa, quando cominciano a capire meglio chi sono; e più avanti, in quarta e quinta, cosa vogliono diventare».

La scuola come ambiente di crescita personale, di formazione, luogo di istruzione e di educazione. Un aspetto che, però, deve essere alimentato dall’alleanza tra la scuola e le famiglie, anche se questa non è sempre facile da consolidare. «A fronte di famiglie che collaborano, ce ne sono tante altre che fatichiamo a intercettare – ha raccontato Simona Piperno –. La scuola è solo un tassello della comunità educante, la famiglia è l’elemento fondante». È importante tessere rapporti con i nuclei famigliari, ma anche con le altre realtà che gravitano attorno alla vita quotidiana dei giovani, come gli oratori e le società sportive. «Le realtà che comunicano tra di loro sono di diversa natura – ha aggiunto – ma hanno tutte un obiettivo comune: il benessere dei ragazzi».

«Spesso i genitori ci chiedono aiuto – ha voluto aggiungere Maria Paola –. Non è una rinuncia, è dovuto al fatto che a volte sono molto soli. Proprio per questo credo che sarebbe molto utile un maggiore dialogo tra scuola e famiglie».

La gente è spesso portata a pensare alla scuola come il semplice processo verso una valutazione. Non è semplicemente questo, ma è bene concentrarsi su questo termine: «processo». Perché la scuola è un cammino. Esistono, infatti, vari tipi di valutazione. E una di queste è la valutazione per competenze, che si concentra più sulla persona che sulla prova in sé. «Si può non eccellere in una disciplina, ma avere comunque competenze spendibili nel mondo del lavoro – ha spiegato la Piperno –. Questo è il tipo di valutazione che permette di capire quali sono le reali attitudini dello studente. Valutare per competenze significa quindi riconoscere i punti di forza, ma anche le criticità che devono essere implementate e rafforzate». Uno sguardo davvero attento al percorso di ciascuno.

Si può dire quindi che la scuola non è solo studio. È crescita, incontro, relazione, comunità, equilibrio. Passato e futuro sono i due piatti della bilancia, per donare significato e stabilità al presente. Dell’istruzione, degli alunni, di ognuno.




Il valore dell’accoglienza tra carità e “buonismo”. Dialogo a Chiesa di Casa

 

“Accoglienza. Tra carità e buonismo”. È questo il titolo dell’ultima puntata di Chiesa di Casa, il talk di approfondimento diocesano a cui hanno preso parte don Maurizio Ghilardi, incaricato diocesano Migrantes e Giusi Biaggi, presidente del consorzio nazionale CGM e della cooperativa “Nazareth”, ente cremonese che si occupa dei minori stranieri non accompagnati. Uno sguardo dunque ai «più piccoli», non solo anagraficamente, costretti a fuggire e a cercare, oltremare e oltre i confini, qualche segno di pace, di fratellanza, di vita dignitosa, che nei loro Paesi non riescono più a trovare.

«I piccoli sono coloro che non hanno voce in capitolo; i piccoli sono coloro che devono pagare i prezzi elevatissimi di scente fatti grandi; i piccoli sono coloro che partono dai loro paesi necessariamente perché creiamo condizioni tali per cui non si può più aiutarli a casa loro, visto che non lo facciamo» sottolinea don Maurizio Ghilardi. «I piccoli sono coloro che nella Chiesa ovviamente devono avere il massimo dell’attenzione. E non sono sempre soltanto i minori, cioè i piccoli – nel senso anagrafico del termine – che partono, sono anche i rappresentanti di famiglie intere che, economicamente parlando, non possono permettersi di partire e, dunque, cercano di spingere almeno un rappresentante, perché almeno lui o lei si salvi da situazioni ormai al limite della sopravvivenza».

Ma se per parlare di piccoli l’attenzione volge inevitabilmente sui minori, ecco che anche le associazioni, gli enti, le cooperative dedicate entrano in gioco. Ed è questo, ad esempio, il caso della cooperativa “Nazareth”, che opera in questo campo da più di vent’anni. «I ragazzi che arrivano sono ragazzi carichi di responsabilità, mandati con la missione di poter avere un percorso di successo in Europa che consenta un sostegno alla famiglia d’origine», spiega Giusi Biaggi. E prosegue: «Il legame tra questi ragazzi e la comunità di origine è dunque fortissimo, tanto da essere un elemento che crea addirittura un appesantimento nel percorso».

 

 

Sarebbe alquanto scontato e ridondante sottolineare ancora una volta quanto questo cammino migratorio sia difficoltoso per coloro che partono in cerca di rinascita. Una difficoltà che però – e forse passa inosservata – viene aggravata anche da una sorta di confusione comunicativa. «Un conto sono le narrazioni che abbiamo noi e che produciamo noi sul nostro territorio, e un conto sono le informazioni che ricevono questi ragazzi dai loro mezzi di comunicazione e conoscenza – evidenzia don Ghilardi –. Questo genera il pensiero di poter entrare in Europa in maniera piuttosto libera e tranquilla, e invece c’è una Comunità europea che si trova, al suo interno, totalmente divisa, ancora una volta su delle tematiche fondamentali, dimenticando che c’è un continente europeo con delle grosse responsabilità nei confronti di altri continenti».

Un appello che si trasforma in testimonianza. Testimonianza di un’attività di accoglienza che richiede però notevoli sforzi, tra la carenza di posti, che magari genera a sua volta carenza di personale, e mille altre difficoltà. «Un legame con qualsiasi persona è una responsabilità, un dovere, un problema e una risorsa – ci tiene a sottolineare Giusi Biaggi –. Quello che penso sia doveroso da parte della nostra società civile è quello di tenere dentro tutte queste parole, con oggettività, nel tema della migrazione, che è doveroso ma non è facile, e far sì che sia un tema di comunità, non delegato solo ad alcuni». Un messaggio a cui si associa anche il pensiero di don Ghilardi, che, riferendosi alla presenza delle comunità etniche nel territorio diocesano, chiede di «non sovraccaricare le piccole comunità cristiane parrocchiali, ma di vivere tutto in relazione con gli organismi che hanno strumenti per accompagnare le persone in una formazione di questo genere».




Il vescovo risponde a “Chiesa di Casa”: «Nelle vostre domande una strada da percorrere con tutta la comunità»

Nella sua definizione, la parola «dialogo» indica un discorso, un colloquio fra due o più persone che abbia come finalità la ricerca di un punto di intesa, di un incontro anche partendo da visioni o posizioni differenti. Così inteso, ingrediente essenziale delle relazioni, il dialogo è indicato come una componente fondamentale anche per il percorso del nuovo anno pastorale nella diocesi di Cremona.

E con questa intenzione si apre la stagione 2023/24 di «Chiesa di Casa», il talk di approfondimento della diocesi di Cremona, inaugurata proprio in questo fine settimana con una puntata speciale in cui il vescovo di Cremona, monsignor Antonio Napolioni si è posto in dialogo con tre ospiti che hanno portato in studio le domande del mondo giovanile, delle famiglie e delle comunità, del mondo del lavoro e del volontariato: Lorenzo Mascaretti, giovane di Caravaggio che ha partecipato all’ultima Giornata mondiale della Gioventù, Cristina Paternazzi, mamma e catechista della parrocchia di San Daniele Po, e Federica Zignani, operatrice di rsa presso l’Opera Pia SS. Redentore di Castelverde.

Domande, provocazioni, curiosità. Spunti di riflessione posti dai tre ospiti laici, in cerca di una risposta dal loro vescovo. Domande – come evidenzia monsignor Napolioni – poste «non solo per rispondere in questo momento, ma per rifletterci e “camminarci dentro” con tutta la comunità».

«Come si può essere testimoni gioiosi del Vangelo, pur nelle fatiche e nelle fragilità della vita?», chiede Cristina. «Senza le fragilità non c’è bisogno di avere il Vangelo, che è buona notizia della salvezza – ribatte il vescovo –. E solo chi è in mezzo al mare, solo chi è nella solitudine, chi non conta solo sulle sue forze ha bisogno di salvezza».

 

 

E «cosa si intende per “villaggio” nella società di oggi, così urbanizzata, che vive così tanto di città?», chiede invece Lorenzo, che nel suo percorso di studi letterari ha spesso a che fare con questo concetto. Come dice Papa Francesco, è una parola che deriva da un detto africano: «Per mettere al mondo un figlio basta una mamma, per farlo crescere ci vuole un villaggio». «E la memoria dei nostri paesi custodisce questa esperienza», aggiunge Napolioni. «È senso di appartenenza, di partecipazione, di socialità in cui non prevale il conflitto, ma la solidarietà». Si può, si deve, dunque, parlare di «villaggio globale, che è così faticoso da tenere insieme, ma che si è fatto più piccolo, perché ci costringe a salvarci insieme, come sperimentato con la pandemia».

Uno sguardo al villaggio, alla società, al territorio che naturalmente diventa uno sguardo all’altro, alla carità. Il volontariato, nei paesi, è spesso legato alle realtà laiche e non alle comunità ecclesiali, fa notare Federica: «Le comunità cristiane saranno in grado, e come, di interagire e accostarsi a questi volontari, non solo per evangelizzare, ma anche per imparare?». La risposta sembra suonare facile, ma è tutt’altro banale: «Bisogna volerlo!». In una società storicamente spaccata da ideologie, suggerisce il vescovo, «oggi dobbiamo assolutamente vedere il bene e riconoscerlo da qualunque parte venga». Ben vengano, dunque, le alleanze nei paesi e nei quartieri.

Così, nel dialogo che scaturisce dall’incontro, vive la carità. Carità che significa vicinanza. E questa vicinanza si concretizza grazie alle forze di molti, impegnati in quelli che il vescovo chiama «i ministeri della consolazione». Ma cosa sono?

«I ministri della consolazione sono quelle persone, laici o religiosi, che affiancano i sacerdoti nella visita alle persone malate e sole, non solo portando la grazia dell’Eucarestia o della Confessione, ma proprio affiancando quella persona o quella famiglia, imparando soprattutto l’atteggiamento dell’ascolto, della comprensione, lo stile dell’amicizia». «In un senso più vasto – prosegue Napolioni – questo servizio è oggi attualissimo. Alla Giornata mondiale della Gioventù correvano parecchie lacrime, non solo nei ragazzi, ma anche in noi adulti, perché l’esperienza di una fonte che disseta fa sentire le nostre aridità, permette di esprimere le nostre difficoltà esistenziali». «Questo è quello che dice Papa Francesco, definendo la Chiesa un ospedale da campo».

È questa la dimensione della comunità, capace di aprirsi e generare bene per se stessa e per il mondo in cui vive. Per farlo – conclude il Vescovo – «bisogna ​​​​​​​uscire da se stessi, andare incontro agli altri, e vincere la paura con l’apertura alla vita».

Giorno del Signore e Chiesa di Casa, al via le nuove stagioni




Ministeri laicali istituiti, a “Chiesa di Casa” il dialogo con il Vescovo

 

«Ministero va tradotto con servizio: dalla parola greca diaconia, ovvero quel servizio che nella Chiesa si rende necessario soprattutto per andare incontro ai poveri». Questo quanto sottolineato dal vescovo Antonio Napolioni nella puntata speciale di Chiesa di Casa, dedicata al tema dei ministeri istituiti e costruita sul dialogo con alcuni fedeli che hanno inviato la propria domanda. «I ministeri sono una pluralità di servizi non intesi come pura attività – ha aggiunto –, ma come fioritura della carità».

Con il nuovo anno entra infatti nel vivo il percorso di discernimento, nelle parrocchie e nelle unità pastorali, dei bisogni relativi ai ministeri laicali ed, effettivamente, di coloro che nell’immediato futuro inizieranno il percorso di formazione per ricevere tali mandati. Lettore, accolito e catechista: tre ministeri che, nonostante la loro storica esistenza nelle comunità, affrontano una nuova tappa di formazione e crescita. «Quando giro nelle parrocchie sento delle persone dire “siamo di meno” e “siamo anziani” – ha evidenziato il vescovo –. Dobbiamo capire perché i giovani non si coinvolgono altrettanto in una dinamica di vita comunitaria e magari riscrivere la fisionomia di certe attività, affinché parlino alle giovani famiglie, alle giovani coppie, ai giovani del nostro tempo. Non si tratta di riempire una casella, ma di ridisegnare una ricchezza di vita comunitaria». «E non è una sostituzione del prete – ha aggiunto mons. Napolioni –, ma una trasformazione del Sacramento, che certo è presieduto dal presbitero, in una capillarità di servizi, di preghiera, di annuncio della Parola che davvero deve raggiungere anche il fedele più lontano».

Dopo la scelta, quindi, la formazione, che ha già vissuto un primo momento lo scorso 2 dicembre con l’incontro tra il vescovo, i parroci e i vicepresidenti dei consigli pastorali, parrocchiali e unitari.

Ma se i ministeri – e i ministri – esistono da sempre, perché fare ora formazione?

«La formazione deve sempre affascinarci e tentarci, come ulteriore luce sulle motivazioni del nostro servizio – ha risposto mons. Napolioni –. Non c’è niente di peggio di chi trascina stancamente un compito, senza godere giorno per giorno della bellezza del mandato che ha ricevuto. Ma anche una formazione che rende aggiornati, capaci di dialogare con le generazioni che cambiano e con un mondo che ci interpella».

Ma quindi ora tutti i ministri dovranno essere istituiti?

«Non necessariamente – ha chiarito il vescovo –, perché si richiede un cammino di formazione di una certa consistenza e qualcuno potrebbe sentirsi scoraggiato». E ha quindi aggiunto: «Io mi auguro che tutti i credenti siano lettori della Parola, ma occorre che qualcuno se ne faccia animatore. E allora chi assume questa responsabilità nel lungo periodo diventa lettore istituito. Non si deve mettere su un piedistallo, non conta più degli altri nella comunità, ma certamente testimonia che il Signore dà una grazia speciale a chi più lo segue e più si coinvolge nella missione».

Dalle parole, ora, all’azione, perché per cambiamenti come questi «non basta un convegno, non basta un documento, ora occorre la vita. E dentro questa vita parlarne, pregarne, farne oggetto di riflessione e di rettifica, perché non sia una sovrastruttura, ma carne viva, voglia di vivere e di camminare insieme».