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Chiesa di Casa, l’abbraccio alle famiglie nell’ultima puntata della stagione

ƒ. Ci credono con forza i coniugi Maria Grazia e Roberto Dainesi, incaricati diocesani per la Pastorale familiare. Una famiglia che ha bisogno di altre famiglie. In altre parole del respiro di una comunità, che a sua volta ha la responsabilità di «intravedere nelle famiglie i segni della presenza del Signore». Ne è convinto don Enrico Trevisi, coordinatore dell’area pastorale «Famiglia di famiglie», che insieme ai coniugi Dainesi è stato ospite questa settimana di Chiesa di casa, il talk di approfondimento pastorale della Diocesi di Cremona, che nell’ultima puntata della stagione non poteva che cogliere spunto dall’incontro mondiale delle famiglie.

Un evento con il quale la Chiesa intende in qualche modo aiutare ad accogliere il «progetto di Dio», e quindi la propria «vocazione», come ha sottolineato il sacerdote. Riguardo le modalità di questo aiuto, poi, la comunità cristiana deve rimanere disponibile a quanto la realtà oggi suggerisce: esigenze, generazioni e tempi del tutto nuovi.

Proprio a questo riguardo, secondo Maria Grazia «si fa ancora un po’ fatica a pensare a proposte che tengano conto davvero dei vissuti familiari». Ma c’è un’altra necessità: una comunità che vuole includere le famiglie, secondo Maria Grazia, deve lasciarsi stupire: «l’invito che ci facciamo è di guardare a ogni famiglia con ammirazione e stima». Certo, lo stupore non basta: l’attenzione della Chiesa e, nello specifico, della Diocesi di Cremona, vuole farsi abbraccio tangibile. Un rapporto, dunque, prima ancora che una formula o uno schema da rispettare.

Don Trevisi, traendo spunto da Amoris laetitia, sottolinea inoltre che «la pastorale familiare non può essere fatta soltanto di conferenze e incontri». Il compito di una comunità cristiana consiste piuttosto nel «relazionarsi alle famiglie per quello che sono». Cioè, come spiega Dainesi, nella partecipazione alla «normalità di relazioni». Basta così anche una semplice cena, un incontro del tutto informale, per entrare in rapporto con le famiglie, coglierne le esigenze e condividerne la vita.

È per questo che stilando un bilancio dell’anno pastorale trascorso, secondo l’incaricato diocesano anche questo «è frutto delle relazioni». Come dire, guardando alle prospettive dell’ufficio famiglia, che il punto su cui mettersi al lavoro non sono tanto le iniziative, le attività o gli incontri. Ecco allora che «se ognuno è attento alla singolarità delle famiglie, tutte le occasioni si possono cogliere». Ne è convinto don Trevisi che pensa a un «annuncio, la proposta di un cammino di fede» che non richiede esagerati sforzi organizzativi, ma una compagnia nel quotidiano, nell’ascolto del Vangelo. Sarà poi la realtà a mostrare se questi tentativi di aiuto vadano realmente nella direzione di un sostegno effettivo alla vocazione delle persone.

Se è vero che una famiglia ha bisogno di una comunità, è anche vero che la comunità trae beneficio dalla presenza di famiglie al suo interno. Queste, infatti, sono la testimonianza che «anche nella fragilità – sostiene don Enrico Trevisi – rimane una buona notizia, il Vangelo» e che esiste una Chiesa dove «ci si sente a casa».

Perché la famiglia – conclude Maria Grazia Antonioli Dainesi – «è qualcosa di molto più complesso e ricco di un calendario di iniziative» e, dunque, a noi cristiani è affidata la sfida di coglierne il bisogno essenziale, guardando al Vangelo e seguendo la Chiesa.




Sport in oratorio, momenti per fare comunità. I valori del Csi “ospiti” a Chiesa di Casa

Questa settimana Chiesa di Casa, il talk di approfondimento pastorale della diocesi di Cremona, affronta il tema dello sport. Ospiti in studio sono stati Claudio Ardigò, presidente del Csi di Cremona, e Francesco Monterosso, dirigente della Polisportiva Sant’Ilario di Cremona. In collegamento, invece, don Fabrizio Ghisoni, parroco di Paderno Ponchielli, nonché giocatore della selezione Sacerdoti Italia Calcio.

La promozione della Cremonese in Serie A e gli atleti di casa nostra alle Olimpiadi di Tokyo: in questo ultimo anno non sono pochi i successi che sul territorio «hanno dato grande impulso all’attività sportiva», come dice Claudio Ardigò. Davvero questi successi hanno sollecitato iniziative e riflessioni. Ne è un esempio l’atletica leggera: «Il Csi nazionale ha organizzato un corso per allenatori di atletica leggera e solo in Lombardia eravamo più di quaranta, questo per dire quanta richiesta di poter fare attività».

Una carica nuova che arriva anche alle porte degli oratori, dove da sempre lo sport – grazie in particolare proprio alla presenza capillare del Csi – è momento e occasione privilegiata di incontro educativo. Ne parla Francesco Monterosso. È lui a sottolineare le caratteristiche fondamentali, in ambiente oratoriano, dell’attività sportiva: «Deve essere orientata da tre principi: sicuramente c’è un aspetto fisico-atletico, perché c’è in ballo la salute dei nostri ragazzi; c’è poi una dimensione tecnica, perché lo sport in oratorio non è mai da considerare “di secondo livello”, cioè noi cerchiamo di fare le cose bene, con allenatori preparati; infine, c’è la dimensione relazionale: lo sport, soprattutto di squadra, mette le persone in relazione». E l’equilibrio di questi tre aspetti viene sostenuto da una quarta dimensione, quella pastorale che, secondo Monterosso «non va dimenticata – aggiunge –: gli allenatori stanno sul campo con i ragazzi 5 o 6 ore alla settimana, una quantità di tempo importante». Perciò, «dovremmo riflettere sulla qualità di queste figure e quanto possa essere trasmesso ai ragazzi, in queste ore».

Dunque, il ruolo dell’allenatore, così come quello dei dirigenti e degli accompagnatori che rendono possibile l’organizzazione dell’attività, se sostenuto da una comunità parrocchiale, può diventare un ruolo di educatore nella fede. Su questo aspetto insiste don Fabrizio Ghisoni, il quale sottolinea come «la dimensione pastorale, di cui Francesco parla, diventa reale se c’è la comunità. E la comunità è fatta dalle famiglie». Don Ghisoni descrive la propria esperienza di sacerdote e anche di sportivo in parrocchia come arricchente, perché porta a riscoprire un valore fondamentale per l’uomo, che è l’aspetto comunitario; infatti, anzitutto, il primo punto in comune, anche nella rappresentativa dei Sacerdoti italiani di cui don Fabrizio è protagonista «è la nostra umanità». Aggiunge: «Io testimonio, con la maglia dei Sacerdoti Italia Calcio, quel desiderio evangelico: “Se non ritornerete come bambini, non entrerete nel Regno dei cieli”. Questo diventa un’occasione e uno stile di stare in mezzo alla gente».

Se, da un lato, l’adulto che si occupa dell’attività sportiva in oratorio è chiamato a una crescita e conversione, i valori cristiani possono essere comunicati, tramite lo sport, anche ai più giovani: «Lo sport, dal punto di vista culturale, ha un’importanza fondamentale: è un veicolo per trasmettere valori fin dai piccoli», dice Monterosso. I giovani «imparano a conoscersi, rispettarsi, far diventare le differenze una ricchezza: dal basso, possiamo costruire una comunità più solidale».

In questo momento storico, per esempio, emerge chiaramente il bisogno di educarsi al valore dell’inclusione e lo sport può essere utile in questo senso, come spiega Ardigò: «Stiamo cercando di trovare una possibilità di far gareggiare i bambini ucraini sul nostro territorio». Inoltre, per quanto riguarda il Csi, il presidente del comitato cremonese afferma: «Lo sport che noi proponiamo non è un’attività agonistica esasperata». L’entusiasmo nello sport non scaturisce, infatti, solo dalla vittoria. Ed è proprio questo l’augurio con cui Monterosso conclude: «anche dalla fantasia, dal vedere i compagni crescere, addirittura dal fermarsi insieme dopo gli allenamenti a pulire lo spogliatoio. L’esperienza sportiva è fatta di tante soddisfazioni. Non solo sul campo».




“Oltre la didattica”: puntata di “Chiesa di Casa” su scuola ed educazione

Nella settimana che ha visto la fine dell’anno scolastico, Chiesa di Casa, il talk di approfondimento pastorale della Diocesi di Cremona, si sofferma proprio sulla tematica della scuola. Ospiti in studio sono stati don Giovanni Tonani, incaricato diocesano per la pastorale scolastica e l’insegnamento della religione cattolica, il professore Alessio Gatta, presidente della cooperativa InChiostro di Soncino, e il professor Stefano Seghezzi, insegnante alla scuola Sacra Famiglia di Cremona.

Il dialogo, guidato da Riccardo Mancabelli, si avvia con uno sguardo all’anno passato: secondo don Tonani «si inizia un minimo di rivitalizzazione della scuola, nonostante tutte le fatiche che quest’anno abbiamo avuto». Dunque, un anno di ripresa, in cui «volenti o nolenti questo covid è stato acceleratore di alcuni processi – dice Seghezzi – per cui siamo riusciti a fare una scuola che, per esempio, integrasse molto l’aspetto tecnologico in aiuto all’attività didattica, una scuola che riuscisse a tenere più dentro il lavoro a casa, intervenendo con idee a cui prima non avremmo pensato». Questa pandemia, secondo l’insegnante della Sacra Famiglia «ci ha costretto a tornare all’essenziale, andare all’osso e fare un salto in avanti». Un salto in avanti che riguarda non solo i più grandi, ma anche i piccolissimi; è così a Soncino dove, come spiega Alessio Gatta, «chi ha cominciato quest’anno doveva ancora fare i conti con i meccanismi delle “bolle”. Per i piccoli c’era qualche limitazione in meno. Però quello che abbiamo capito noi è che anche i piccolini, in qualche modo, hanno già un concetto di fratellanza che li lega». Fratellanza e legame che si instaurano anche fra i ragazzi di medie e superiori: «Più volte, quando invitavamo i ragazzi all’uso corretto della mascherina e al distanziamento, la sintesi dei loro sguardi era “va be, ma è un mio amico” cioè “impossibile che un mio amico diventi improvvisamente un problema”», come ha spiegato Gatta, assecondato con un energico cenno affermativo anche da Seghezzi e Tonani. «Senza contare – aggiunge il presidente di InChiostro – che nella formazione professionale è elevatissimo il livello della richiesta che i ragazzi fanno a noi, come dire: “Aspetto che tu mi chieda un compito alto. Mettimi concretamente di fronte a quello che devo fare”. Li abbiamo trovati ancora più onesti di prima, più veri di prima».

«Questa “crisi” – continua il presidente della cooperativa soncinese – come ogni crisi, ci ha dapprima messi al palo, ci ha interrogato, ci ha dato qualche strumento, poi ha liberato molto la creatività. Questo chiama noi a una scuola nuova». Esigenza di novità che ha interpellato persino l’ambito della scuola professionale: «Fare un corso di formazione tecnico professionale di cucina online diventava molto complicato. Però, fin dai primi momenti di emergenza è stato bellissimo scoprire le famiglie che si mettevano vicino ai figli e alle figlie a imbastire qualche tentativo in cucina». E, se la creatività è emersa quasi naturalmente dalla circostanza che la richiedeva, gli insegnanti hanno dovuto prepararsi, essere aggiornati: «Noi abbiamo investito molto nella formazione degli insegnanti – dice don Tonani – anche a livello pastorale. Si tratta di un accompagnamento non tanto tematico, quanto piuttosto spirituale e pedagogico-culturale, che cerca spingere insegnanti a recuperare alcune motivazioni di fondo. Lo stesso vale per gli insegnanti di religione: cerchiamo di mostrargli che un metodo, un lavoro collegiale sono ciò che va recuperato. Bisogna imparare a lavorare insieme e con i ragazzi».

Un lavoro collegiale è attuabile, secondo quanto racconta Seghezzi, anche e soprattutto all’interno di una scuola paritaria di ispirazione cattolica come la Sacra Famiglia: «Più che l’etichetta, si tratta di una scuola che nasce dall’entusiasmo della fede di insegnanti e genitori. Da un lato, è una scuola che, anche per le dimensioni, facilita il lavoro insieme ai colleghi, nel senso che siamo in due o in tre in classe, creiamo insieme le attività; e questo star bene insieme cambia le cose. Dall’altro lato, lavorare qui, anche per una esperienza di fede vissuta, significa avere uno sguardo che non è di lamento, ma positivo, cioè uno sguardo sul ragazzo che parte dalla certezza di un destino buono, destino che non hai in mano tu e però c’è».

Gli stessi presupposti riguardano anche una realtà apparentemente diversa, come quella di Soncino: «da noi si fa formazione professionale dal 2007. Si fa per scelta dell’Istituto religioso delle suore della Sacra Famiglia, di cui noi eravamo dipendenti. Siamo figli della storia di queste suore, cioè di una vita nel quotidiano e nella dignità del lavoro. Partendo da questo concetto del lavoro come strumento imprescindibile per la formazione della persona umana, abbiamo scelto una formazione di assetto lavorativo. Ciò significa che i nostri ragazzi, quando fanno laboratorio di cucina, gestiscono attività commerciali di ristorazione aperte al pubblico. Quindi, i nostri studenti, si confrontano con clienti veri e scambiano storie vere. Abbiamo pensato, allo stesso modo, che questo sia un grande strumento di inclusione, per esempio c’è un percorso personalizzato per i ragazzi disabili».

In conclusione, ciò che è emerso da questo incontro a Chiesa di Casa, è che, come ha spiegato Seghezzi «Il ragazzo ha bisogno di essere guardato a 360 gradi, oltre la didattica. La certezza di un destino buono ti permette di accogliere questo bisogno non come un fastidio, ma come una proposta anche per te».




“Un’estate per gli altri”: a Chiesa di Casa si parla di giovani e missione

Nell’approfondimento pastorale di questa settimana Chiesa di Casa torna a parlare di missioni. Tre gli ospiti in studio, intervistati da Riccardo Mancabelli: don Maurizio Ghilardi, incaricato diocesano per la pastorale missionaria; Tommaso Grasselli, volontario del progetto Bahia; e infine Nicola Graziani, vicepresidente dell’associazione Drum Bun, associazione che da oltre vent’anni spende le proprie estati all’estero, per momenti di servizio.

L’occasione per affrontare questo argomento è la consegna del mandato missionario ai sei giovani in partenza per un’esperienza missionaria a Salvador de Bahia durante la prossima estate. Mandato che sarà consegnato dal Vescovo nella chiesa di Sant’Ambrogio a Cremona questa domenica, 5 giugno, alle 19 a Marta Ferrari, Tommaso Grasselli, Sara Di Lauro, Anna Capitano, Alessandra Misani e Davide Chiari.

Il tema del viaggio è proprio il fulcro dell’associazione Drum Bun: «Drum Bun significa “buon viaggio” in lingua rumena – spiega Nicola Graziani – viaggio inteso come riscoperta di noi stessi, del gruppo, di realtà, persone e luoghi differenti». Drum Bun ha operato ed opera, oltre che tramite alcune realtà in Romania ed Albania, anche attraverso nuovi progetti in Italia: «Quest’estate siamo in una fase di “ristrutturazione” sia per la pandemia, sia per uno scambio generazionale che stiamo vivendo all’interno. Stiamo cercando di acquisire nuove idee, energie e risorse. Il primo progetto a cui abbiamo pensato è denominato “Zaino in spalla”: andremo a visitare realtà associative del centro e nord Italia, per un confronto con altre realtà che possono essere al nostro fianco nella ripartenza». I progetti sono tra i più vari: dai progetti con i minori stranieri non accompagnati insieme alla cooperativa Nazareth, a quelli di agricoltura solidale, fino a una partnership con l’Università Cattolica: «Siamo una associazione viva! E siamo in attesa di progetti più ambiziosi» afferma Graziani. La vitalità di questa associazione risiede, secondo lui, in «Un gruppo saldo che intendeva portare e allo stesso tempo far proprie delle esperienze, non con l’ottica del “supereroe” ma sempre con l’ottica dello scambio e servizio reciproci». Tra i principi fondativi, infatti, a partire dalla fede cristiana, c’è l’obiettivo di una «condivisione». Condivisione, cioè non solo disponibilità a svolgere determinate attività, ma anche e soprattutto curiosità nel mettere in comune la vita e la quotidianità.

È questo il filo che unisce le esperienze dei tre ospiti in studio. In particolare, la curiosità emerge dalle parole di Tommaso Grasselli, giovane in partenza per l’estate missionaria in Brasile: «Voglio cambiare approccio verso la vita e verso il mio futuro». Si tratta, quindi, dell’approfondimento di un cammino personale che si inserisce nella vita della comunità di Salvador de Bahia. Un percorso composto di tasselli concreti: «Mi sono preparato facendo degli incontri con i volontari che sono in Brasile e ci hanno introdotto a questa esperienza e ora sto seguendo un corso di portoghese» dice Tommaso. Ad aspettare lui e i suoi compagni di viaggio, a Salvador de Bahia, è presente don Davide Ferretti, sacerdote cremonese fidei domum, affiancato da due laici cremonesi, Gloria Manfredini e Marco Allegri. «I contatti con loro sono frequenti» spiega don Ghilardi, mettendo in luce, anche sulla base di quanto riferito dai missionari, come la pandemia abbia acuito povertà e violenza. Tuttavia, questa non è una obiezione ad una presenza attiva nella favela: «Sia Gloria che Marco sono ormai inseriti nelle realtà educative, ma il loro principale servizio avviene in parrocchia. Il servizio prosegue dal punto di vista della vita comune: condividere il mangiare, la Messa, ma anche il percorso di fede di quella comunità».

Il gruppo che partirà con Tommaso, come spiega don Maurizio, «è costituito da giovani della nostra diocesi provenienti anche da parrocchie molto diverse. Marco, Davide e Gloria li aspettano, mentre il legame consolidato tra Salvador de Bahia e Cremona continua a consolidarsi».

 

 




“Chiesa di casa”: per una comunicazione “in uscita” ​​​​​​​oltre il metro dei “like”

«Noi abbiamo l’idea che il giornalista sia colui che ci racconta al telegiornale cosa è successo nella giornata» spiega Gamba. Si tratta, invece, di «ricostruire attraverso l’ascolto degli altri quella che i giornalisti solitamente chiamano la “sostanziale verità dei fatti”». Questo uno degli spunti proposti da Maria Chiara Gamba, corrispondente da Cremona per Avvenire, ospite della puntata di questa settimana di «Chiesa di casa». Con lei, in dialogo con l’incaricato diocesano per le comunicazioni sociali Riccardo Mancabelli, il collega Filippo Gilardi, giornalista coordinatore redazionale di Tele radio Cremona Cittanova, editrice che gestisce e cura i media diocesani che richiama la «capacità di incontrare gli altri e di non essere autoreferenziali – e aggiunge – Credo che questo sia un rischio da scongiurare. Viviamo un tempo, l’epoca della comunicazione, in cui è essenziale mettersi nei panni di chi riceve il messaggio, capire il linguaggio di chi ascolta per potersi proporre in modo efficace e significativo».

Dunque, occorre un adeguamento, anche perché, come spiega la corrispondente di Avvenire: «Siamo immersi in un fiume di comunicazione». I ragazzi, oggi, intendono la comunicazione «come un mettere in comune senza filtri le loro esperienze all’istante». In questo senso, continua il collega: «Un rischio della comunicazione “adulta” è quello di voler costringere dentro sistemi o linguaggi che ci sembra siano tipici del mondo giovanile i nostri soliti contenuti. È molto importante, per questa velocità di adattamento, che i giovani abbiano spazio creativo per imprimere il loro stile alla comunicazione». Ed è forse proprio perché il nostro tempo esige notizie sempre meno superficiali e accumulate, che bisogna ricordare, come dice Maria Chiara, che «fare il giornalista vuol dire cercare più fonti, più punti di vista per completare il fatto».

A tal proposito, risultano evidenti dei punti di lavoro, due in particolare, secondo Filippo Gilardi: «Il primo è quello di uscire dalla logica dello “scoop”: non conta più tanto arrivare prima, ma arrivare bene sulla notizia; l’altro aspetto è quello di uscire dalla logica del consenso, che è la logica tipica della nostra società, quella del “like”, che ci imprigiona in questa necessità di avere approvazione». Piuttosto, riflette Maria Chiara Gamba riprendendo alcuni passaggi del Messaggio del papa per la Giornata, si tratta di «partire dall’idea di considerare l’altro come portatore di bellezza e mistero». Per accorgersi di ciò, «bisogna predisporsi in quell’atteggiamento di ricerca di novità, bellezza, mistero che tutte le persone che incontriamo, ci possono offrire».

La posizione del giornalista, ma anche dell’educatore, quindi, è quella di chi si mette in discussione, per capire che l’altro è «un mondo da scoprire». Quindi, la comunicazione, in particolar modo quella cristiana, deve ambire a un percorso di conoscenza, conoscenza di quel Mistero che sta alla radice dei fatti, delle persone incontrate.

Chiesa di Casa si è infine conclusa con le parole di Filippo Gilardi, che rimarcano la grande sfida di «misurarsi con la società, con la cultura, con le persone». La proposta, però, interpella non solo i giornalisti, ma anzitutto la Chiesa e i cristiani di oggi.




Giornata dell’8xmille, perché firmare? Puntata dedicata a “Chiesa di Casa”

Questa settimana Chiesa di Casa, in vista della Giornata nazionale dell’8xmille per la Chiesa Cattolica che si celebra il 15 maggio, affronta proprio questa tematica. Ospite in studio è stato don Andrea Spreafico, incaricato diocesano per il sostegno economico alla Chiesa, il Sovvenire. In collegamento dal centro d’ascolto della Caritas diocesana, invece, Alessio Antonioli. Il dialogo, guidato da Riccardo Mancabelli, ha anzitutto chiarito la natura dell’8xmille. «È un fondo pubblico che viene dallo Stato, uno dei tre pilastri che sostengono economicamente la Chiesa italiana. La prima fonte di sostegno consiste nelle offerte dei fedeli, ordinarie o straordinarie. Poi ci sono le attività commerciali fornite dalla Chiesa, per esempio un bar parrocchiale o una casa di vacanze. Il terzo è quello derivante dall’8xmille», ha spiegato don Spreafico.

Il fondo coincide con l’0,8% delle tasse raccolte dallo Stato, che chiede un “consiglio” ai cittadini riguardo a come indirizzare questa piccola percentuale. «Non è obbligatorio andare a firmare» precisa l’incaricato diocesano del Sovvenire, spiegando che «la firma indirizza i fondi destinati dallo Stato alle “opere di religione”, senza aggravio per i contribuenti. La preferenza – aggiunge – non indica come destinare una parte delle proprie tasse, ma indica allo Stato come dividere la complessiva somma delle tasse raccolte nel Paese».

A livello diocesano, una certa quantità del fondo è destinata a culto e pastorale, parte di cui beneficiano «tantissime istituzioni diocesane come la Curia diocesana, la Federazione oratori, la Casa della comunicazione, comunità parrocchiali e altro». La restante parte, invece, è destinata a interventi caritativi, area di cui è testimone diretto Alessio Antonioli che, in collegamento, ha precisato che i fondi che arrivano al settore Caritas sono utilizzati in diversi ambiti. Riferendosi quindi al proprio lavoro presso il Centro d’ascolto, ha sottolineato come gli aiuti derivanti dall’8xmille permettono di garantire un «sostegno per le bollette, ma anche per l’inserimento lavorativo, secondo molteplici forme». Oltre agli aiuti forniti dalla Casa dell’accoglienza di Cremona e quella di Casalmaggiore, che ospitano persone a titolo gratuito, esiste una importante rete sul territorio: «La rete delle Caritas parrocchiali – ha ricordato Antonioli – è fondamentale per aiutare le persone là dove esse vivono. I fondi permettono di implementare questa rete». Ultimamente, poi, l’aiuto si sta sempre di più concretizzando anche attraverso la formazione degli operatori.

Nonostante firmare per sostenere tutte queste iniziative non costi nulla, risulta ancora importante che questo sia conosciuto. Da qui il senso della Giornata dell’8xmille: «Il numero di coloro che firmano è basso – afferma ancora il sacerdote – e la giornata annuale serve, prima ancora che per invitare alla firma nel “rettangolino” della Chiesa Cattolica, per sensibilizzare alla firma. Per noi, Chiesa, questo è strumento di partecipazione democratica. Il fatto che, come cittadini italiani, lo Stato ci interpelli per chiederci come destinare una parte dei fondi, al di là della preferenza poi espressa, è forte segno di partecipazione della cittadinanza. Ma molti non sanno che possono firmare».

Anzitutto, quindi, è auspicabile che la proposta arrivi a tutti, che tutti siano quantomeno interpellati, anche coloro che non ricevono direttamente il foglio per la firma da un commercialista o dal Caf. Per questo, come ricorda l’incaricato diocesano, «c’è tempo fino al 30 di novembre» e, a tal proposito, sono sorte diverse proposte, come “Una firma per unire” «che coinvolge 29 unità pastorali della nostra diocesi e nelle quali, da maggio a luglio, alcuni volontari si impegneranno nel sensibilizzare e assistere le persone nella raccolta di delle firme dell’8xmille».

 

“Non è mai solo una firma. È di più, molto di più”: al via la nuova campagna 8xmille della CEI

Il borsello di sant’Omobono diventa digitale: anche in Cattedrale il bussolotto elettronico per le offerte




Caravaggio si prepara alla festa dell’apparizione: ecco perché ci mettiamo in cammino

Questa settimana, in vista dell’anniversario dell’Apparizione di Maria a Caravaggio, l’appuntamento di Chiesa di Casa, rubrica diocesana di approfondimento pastorale, approfondisce proprio la realtà del Santuario di Santa Maria del Fonte con due ospiti che la vivono quotidianità.

«Lamentiamo, in questi tempi, una Chiesa che si sta svuotando, che sembra essere abbandonata o, perlomeno, “poco interessante”, però ci si ritrova, poi, in un luogo come questo, dove la gente arriva e questo colpisce». Don Ottorino Baronio è uno dei sacerdoti che presta il suo servizio al Santuario di Caravaggio. È questo il luogo verso cui «la gente si mette in movimento – aggiunge – viene, non solo dai territori più vicini, ma anche da molto lontano».

E il mese di maggio è certamente il periodo più vivo per la devozione mariana che a Santa Maria del Fonte chiama alla preghiera migliaia di pellegrini ogni settimana da ogni parte del nord Italia. È però anche il mese in cui la Chiesa cremonese torna alla casa della sua co-patrona con l’affetto e la solennità del 26 maggio, il giorno in cui la diocesi fa memoria del l’apparizione della Vergine a Giannetta.

Dallo stupore di questo continuo ritorno e di questo incessante cammino di popolo verso il Caravaggio, però, sorge spontanea una domanda: come mai? Cosa attrae i pellegrini a questa meta? Secondo suor Paola Rizzi, delle Adoratrici del Ss. Sacramento di Rivolta d’Adda, che insieme ad alcune sorelle opera proprio al Santuario dove contribuisce alla animazione dell’accoglienza presso Casa di Maria, le motivazioni di un tale movimento possono essere di due tipi: «Il bisogno che la gente oggi avverte di muoversi, di andare fuori, e poi il desiderio di rimettersi in cammino per ritrovare un senso nella vita». Da un lato, quindi, un «bisogno quasi fisico» di uscire, non solo di casa, ma anche da sé e dalle proprie abitudini e «dalle proprie chiusure»; dall’altro lato, l’esigenza di «ridarsi risposte profonde, motivazioni radicali». A questo bisogno risponde con il Santuario, che è luogo di preghiera e spiritualità e anche occasione d’incontro, quindi di pace. Qui – aggiunge don Baronio – «quando tu incontri delle persone, nasce qualcosa che non è programmato»; a prevalere non è uno schema, ma un incontro da cui, poi «nasce tutto il resto». Tutto il resto è la conseguenza di quell’incontro.

Perciò, giungendo al santuario, i pellegrini sono sostenuti dalla «certezza che lì incontreranno l’abbraccio di una Madre: “vengo a trovare la Madonnina” dicono» e di questo abbraccio i sacerdoti si fanno tramite, in particolare quando sono coinvolti nel sacramento della penitenza. Per il prete che accoglie i pellegrini, la priorità è, infatti, l’ascolto: «Ti rendi conto sempre di più – spiega il sacerdote cremonese – che la gente ha bisogno di ascolto. Io sto facendo proprio questa esperienza forte che un po’ mi fa mettere in discussione, anche nel mio servire la Chiesa, cioè nel mio ministero: da quando sono a Caravaggio ho tolto l’orologio! Perché l’ascolto, qui, è senza tempo». E senza l’incombere delle cose da fare che mettono fretta e tolgono profondità alle relazioni, la gente «apre il cuore», «si cammina insieme e si costruisce una relazione che non è programmata: questo è un volto di Chiesa che mi sta interrogando molto e credo sia oggi molto importante». Con lo stesso sguardo lieto anche suor Paola racconta la propria esperienza a Santa Maria del Fonte: «Soprattutto per noi suore Adoratrici, il primo compito qui al santuario non è fare qualcosa ma è pregare per le centinaia, migliaia di persone che passano». Questo avviene attraverso la proposta di momenti di spiritualità e adorazione. Momenti preziosi in cui, secondo suor Paola, «la gente sta riscoprendo il gusto di incontrare Dio attraverso l’ascolto della sua Parola e credo che questo aiuti molto il passaggio da una fede devozionale a una fede esistenziale».

Lo sperimentano quotidianamente sacerdoti e religiose che vivono e operano a Caravaggio: i fedeli, da soli o in gruppo, non arrivano al fonte solo per chiedere, ma anche per ringraziare. Nelle differenze di storia e di condizioni, i pellegrini sono tutti accomunati da questa sete di «fede esistenziale», tuttavia sempre connotati da un analogo atteggiamento di figli che suor Paola Rizzi descrive con un’immagine semplice e forte: «Quando un bambino va dalla mamma sa perché ci va, ma soprattutto sa per chi ci va: va da lei perché è la mamma e questo ti basta».

È questo, «l’amore per questa grande Madre», il motivo che, nel giorno della memoria delle apparizioni come in ogni momento dell’anno, spinge a mettersi in cammino.




La voce delle comunità, consegnato a Roma il documento di sintesi del Sinodo (video e download)

È stato inviato a Roma il documento di sintesi del cammino diocesano vissuto nei mesi scorsi nell’ambito del Sinodo sulla sinodalità, indetto da Papa Francesco per approfondire i lineamenti della Chiesa di oggi, in tutte le realtà, e leggerli nella cornice del cambiamento epocale in atto nella società. Un cammino di comunione, partecipazione e missione – come ricorda lo slogan del Sinodo 2021-2023 – che ha coinvolto l’intera Chiesa universale e dunque anche la diocesi di Cremona.

Il documento stilato dalla Diocesi di Cremona a fine aprile è stato inviato a Roma, dove nelle prime settimane di maggio sarà analizzato insieme alla documentazione giunta dalle altre parti d’Italia, con lo scopo di realizzare un ulteriore documento di sintesi di carattere nazionale da inviare alla Santa Sede.

Il documento di sintesi del cammino diocesano del Sinodo

 

Il documento diocesano si apre con una pagina introduttiva in cui viene sinteticamente ripercorso il cammino attuato e inaugurato ufficialmente nella veglia in Cattedrale del 16 ottobre 2021 nella quale, proprio valorizzando le parole chiave del Sinodo, è stato conferito anche il mandato missionario ai due laici in partenza per il Brasile come missionari “fidei donum”. In seguito nelle cinque zone pastorali una rappresentanza delle parrocchie il vescovo Napolioni ha introdotto il cammino sinodale prima di avviare un lavoro di confronto e analisi che successivamente ha coinvolto anche le parrocchie e altri gruppi ecclesiali.

«Le assemblee zonali che hanno avviato questa fase – spiega a tal proposito don Gianpaolo Maccagni, vicario episcopale per il clero e il coordinamento pastorale – sono servite a chiarire le finalità di questo cammino, il senso di uno stile sinodale che si vuole imprimere sempre di più alla Chiesa. Successivamente all’incontro con il vescovo, la focalizzazione si è spostata infatti sul territorio, una sorta di proiezione del primo incontro dentro ogni consiglio pastorale, gruppo e associazione. Poi la condivisione è stata di nuovo riproposta a livello zonale coinvolgendo tutti gli operatori pastorali, impegnati sul territorio a diverso titolo. Tutti questi incontri sono stati guidati da uno schema con dieci punti, dieci temi da seguire: compagni di viaggio, ascoltare, prendere la parola, celebrare, corresponsabili nella missione, con le altre confessioni cristiane, autorità e partecipazione, discernere e decidere, formarsi alla sinodalità».

Gli incontri sono serviti a raccogliere pensieri e proposte, da cui si è partiti per stilare il documento di sintesi diocesana da inviare a Roma. Un lavoro articolato e complesso che è stato affidato all’équipe diocesana per il Sinodo, composta da Diana Afman e il diacono permanente Walter Cipolleschi, con il coordinamento di don Maccagni. A loro il compito di sintesi, attuato attraverso la predisposizione di una “griglia” che, partendo dalle richieste giunte dalla CEI, ha aiutato a suddividere argomenti, tematiche e il lavoro di riflessione e condivisione svolto sul territorio. Una prima scrematura dei 65 contributi raccolti a livello diocesano è stata affidata a dieci “lettori”, due per ciascuna zona pastorale. Da qui il lavoro di catalogazione e analisi, mettendo sul piatto della bilancia elementi qualitativi da un lato e quantitativi dall’altro: il tutto confluito in un sistema di catalogazione pensato per una consultazione e una rielaborazione che sappia andare anche al di là del cammino sinodale.

«Certamente, si poteva fare di più e meglio per cogliere un’occasione di ascolto dello Spirito, ma anche dei desideri e delle aspettative della gente. Ciò nonostante le realtà che si sono messe in gioco – e tra loro anche alcuni gruppi informali – hanno mostrato l’immagine di una Chiesa che desidera essere ascoltata, fatta di volti diversi, ma con l’entusiasmo di raccontare se stessa e di individuare sentieri e possibilità nuove per un annuncio del Vangelo rinnovato – prosegue Maccagni –. E questo non significa volere un Vangelo diverso, ma un Vangelo che risponda alle sfide che il mondo di oggi ci pone».

Dagli incontri sinodali è emersa frequentemente la necessità di promuovere e curare spazi veri di ascolto tra preti religiosi e laici, anche, in particolare, tra generazioni diverse. E non sono mancate voci che hanno “rivendicato” più attenzione ed ascolto all’interno della vita ecclesiale, chiedendo di liberarci da pregiudizi e stereotipi diffusi. «Ci sono realtà – evidenzia il vicario per la Pastorale – che chiedono maggior spazio. Come le donne, il riconoscimento della presenza femminile nella vita ecclesiale deve maturare maggiormente superando il semplice ruolo di generosa collaborazione. Non solo loro, ma anche l’attenzione agli ultimi, i poveri e gli emarginati, deve diventare una scelta della comunità cristiana sostenuta da prassi concrete».

In diverse occasioni è stata forte la richiesta di proposte formative che alimentino la fede, attingendo alle sorgenti della Parola e del Magistero. È sempre più forte anche l’esigenza di lasciarsi interrogare dai “segni dei tempi”.

Tra le richieste emerse, quella di promuovere alcune figure laicali come animatori di comunità e facilitatori di relazioni per uscire da una visione di chiesa troppo clericale. Un’ulteriore sottolineatura riguarda la promozione di una ministerialità diffusa nella comunità: non finalizzata unicamente a coprire posti per servizi ecclesiali, ma volta a rendere vivo il corpo ecclesiale, è una urgenza non più procrastinabile.

Nel cammino sinodale, più volte è stata sottolineata la centralità della famiglia, sottolineandone la fragilità, ma anche il valore e la dignità. Urgente per la famiglia, e per la Chiesa, è la necessità di ripensare alla vocazione educativa; che la fede venga proposta come vera risposta alla chiamata di una vita vera.

Tra le note dolenti quella di una scarsa partecipazione dei giovani al percorso sinodale, che ha messo sotto la lente anche un ripensamento degli itinerari di Iniziazione cristiana, la rilettura della proposta oratoriana e, più in generale, della pastorale giovanile come capacità della comunità di rivolgersi alle nuove generazioni, costituiscono ambiti che andranno riletti alla luce dei cambiamenti culturali ormai avvenuti e che obbligano ad un ripensamento della pastorale tradizionale.

«Un’esigenza da cui partire potrebbe essere la formazione, sia di sacerdoti che di laici, nel coinvolgere, nel riuscire a offrire occasioni di sincero ascolto», sottolinea ancora don Maccagni.

Tutto il materiale raccolto è stato digitalizzato, riuscendo così a mettere a disposizione anche le riflessioni e gli approfondimenti che, pur risultando non necessari per i criteri con cui stilare la sintesi diocesana, saranno comunque utili per future considerazioni pastorali a livello di Chiesa locale. In questo senso l’analisi del cammino sinodale nel suo complesso, – tra ricchezze, criticità e prospettive – e considerando anche il “di più” espresso negli incontri, sarà al centro dell’incontro che il 13 e 14 maggio al Santuario di Caravaggio i membri del Consiglio pastorale diocesano e i responsabili degli Uffici pastorali della Curia vivranno insieme al Vescovo per gettare le basi del prossimo anno pastorale.

Proprio negli stessi giorni l’équipe diocesana parteciperà a Roma a un incontro con tutti i referenti diocesani: sarà l’occasione per un primo confronto sulla sintesi italiana che a fine maggio finirà sul tavolo dei vescovi italiani, riuniti in assemblea, prima che la Chiesa italiana – come quelle di tutti gli altri Paesi – invii alla Santa Sede le proprie osservazioni.

 

 

L’argomento “Sinodo” – proprio con don Gianpaolo Maccagni e Walter Cipolleschi, è stato approfondito anche nell’ultima puntata di Chiesa di Casa, il talk di approfondimento della Diocesi di Cremona.

 

 

 

Sinodo, i Consigli Pastorale e Presbiterale in seduta straordinaria congiunta per la bozza del documento di sintesi




Chiesa di casa, la cura dei lavoratori a partire dalla prevenzione

Nel contesto della Festa del Primo Maggio, la puntata di Chiesa di Casa di questa settimana, ha come tema il lavoro e i lavoratori. Gli ospiti, intervistati da Riccardo Mancabelli, sono Eugenio Bignardi, incaricato diocesano per la Pastorale sociale e del lavoro, presente in studio e, in collegamento, la responsabile della sede Inail di Cremona, Monica Livella. Da un lato le statistiche, dall’altro il messaggio dei Vescovi per la Festa dei Lavoratori: il dialogo è fra i numeri e il tentativo di interpretarli con sguardo cristiano.

Il titolo del messaggio è, infatti, “Dal dramma delle morti sul lavoro alla cultura della cura”, accompagnato dal sottotitolo “La vera ricchezza sono le persone”. Così spiega Bignardi: «L’uomo è al centro di tutto, anche del lavoro; lavoro che è fatto di relazioni e incontri. Quindi, l’uomo è la vera ricchezza. Anche quest’anno siamo chiamati a metterci in ascolto dei lavoratori, soprattutto più deboli». Alla luce di questa visione, dunque, non pare sufficiente una rinnovata attenzione alla tutela dei diritti, ma serve un cammino anche per quanto riguarda la «protezione sociale», come aggiunge Bignardi.

La responsabile dell’Inail di Cremona, che ha anche ricordato che il 28 aprile è stata la Giornata mondiale della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, ha evidenziato che «I dati sono sempre drammatici: dal 2020 al 2021 c’è stato un leggero calo, ma il confronto è complesso». Infatti, le statistiche sono state segnate dal riconoscimento dei casi Covid come infortuni sul lavoro. Tra le particolarità anche «una diminuzione degli infortuni in itinere, per il forte utilizzo dello smart working». Perciò, secondo la dottoressa Livella, sarà utile indagare a fondo l’andamento di questi ultimi anni, intesi non solo come momento di crisi, ma occasione per una riflessione costruttiva, specialmente riguardo le tecnologie.

Secondo l’incaricato diocesano, però, oltre ad una riflessione sui dati, bisogna lavorare con la coscienza che «sono le persone il vero capitale umano, delle aziende, dell’economia». Questo è, secondo Bignardi, il messaggio che sul territorio sta passando anche fra intenditori e in ambito sociale. Tuttavia, è «molto più difficile ragionare in questa ottica, anche perché, come ha detto il Papa in un suo intervento, “sicurezza dei luoghi di lavoro significa custodia delle risorse umane”». La via più ardua, forse, ma anche quella che permette all’uomo la vera «Partecipazione alla costruzione del creato».

In particolare, secondo quanto riferisce la responsabile dell’Inail, l’andamento della provincia di Cremona «si sviluppa allo stesso modo più o meno dell’andamento nazionale» e anche per questo territorio la grande sfida si gioca sui due fronti di «prevenzione e rispetto della legalità». Inoltre, siccome l’origine del problema coincide spesso con un errore umano «incidere sulla formazione è fondamentale, forse unico è l’unico modo per cambiare i nostri comportamenti. Lo stesso decreto 81 non parla solo di “sicurezza” ma anche di “benessere” e “cura” della persona».

L’auspicio con il quale si è conclusa la trasmissione è quello di poter valorizzare alcune buone pratiche, anche sfruttando mezzi tecnologici, per arrivare a un «lavoro che sia luogo di cura dell’uomo».




Grest, emozioni e inclusione: don Francesco Fontana ed Emanuele Bergami ne parlano a Chiesa di Casa

Chiesa di Casa, il talk di approfondimento pastorale della Diocesi di Cremona, ritorna dopo la pausa pasquale parlando di Grest. Ospite in studio don Francesco Fontana, incaricato diocesano per la Pastorale giovanile e presidente della Federazione oratori cremonesi; in collegamento, invece, Emanuele Bergami, educatore e collaboratore della FOCr.

Il dialogo in studio, con la conduzione di Riccardo Mancabelli, ha riguardato l’organizzazione e formazione degli animatori, che il sacerdote dichiara «già partita» a tutti gli effetti. Partenza, o meglio, ripartenza, perché non si vuole dare avvio a questa iniziativa prescindendo dagli eventi storici degli ultimi anni, come la pandemia: «L’esperienza che abbiamo fatto, sicuramente drammatica – spiega il presidente della FOCr riferendosi alla pandemia – è stata utile per le comunità cristiane: non si tratta di ripartire come se questi due anni non fossero capitati nella nostra storia, si tratta piuttosto di farne tesoro». Per quanto riguarda, poi, il dramma della guerra, il desiderio è quello di non vivere il Grest come una parentesi di spensieratezza, ma piuttosto come occasione per imparare, pur sempre attraverso il gioco e l’animazione, un’accoglienza e una disponibilità verso chi ha bisogno.

Bergami ha poi messo in luce l’aspetto di sfida di questa «scommessa sui più giovani», ma anche la necessità di «riprogettazione» che proprio questi anni così particolari hanno fatto emergere.

Con lo slogan di quest’anno, “Batticuore”, si intuisce che il tema sarà quello delle emozioni. «Non ci nascondiamo il fatto che per tanto tempo sia nella formazione che anche nell’educazione alla fede il tema delle emozioni sia rimasto decisamente ai margini: si tratta ora di riabilitarlo, di riscoprire come non si possa essere autenticamente uomini se non facendo i conti, chiamando per nome ciò che si “muove nel nostro cuore”», spiega don Fontana, sottolineando anche come le emozioni siano presenti in tutte le relazioni, anche «nell’esperienza della relazione con Dio» che il Grest intende scoprire.

Questa pausa di due anni ha generato voglia di fare e «una mancanza che poi diventerà sicuramente un desiderio; infatti, quando i ragazzi hanno a fianco delle figure che li vogliono accompagnare sono capaci di stupire ed essere loro stessi delle figure educative. Diventano capaci di prossimità». La prossimità che si può sperimentare solo in una comunità, come aggiunge Fontana: «Non c’è un Grest senza la comunità cristiana che si mette in gioco per trasmettere e annunciare la vita buona del Vangelo ai più giovani, ai più piccoli. Il Grest vuole essere un’azione della comunità».

I destinatari del Grest sono quindi bambini e ragazzi, anche se «i veri destinatari sono gli adolescenti», ai quali viene offerta «un’occasione unica di essere protagonisti», a partire dalle responsabilità più o meno grandi che vengono affidate loro. Secondo il sacerdote, poi, l’esperienza del Grest è la «più inclusiva che ci sia, perché non discrimina per censo, per quota, nemmeno per appartenenza religiosa; infatti, a tutti, anche ai non cristiani, l’esempio di Gesù fa bene».

Oltre alla dimensione comunitaria, il Grest, secondo Emanuele Bergami, è significativo per le emozioni che vengono messe a tema e vissute nella relazione con gli altri e nella responsabilità. È questo, nell’esperienza dell’educatore cremonese, anche lo spazio nel quale è lecito «interrogarsi sulle questioni di senso» e in cui «tentare di ricercare delle risposte».

Il dialogo si è quindi concluso con l’augurio che la preparazione di questi mesi sia una riconferma e un approfondimento di questi spunti.