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Università Cattolica, il sapere a servizio dell’umano

Per amore di conoscenza. Questo il titolo della novantanovesima Giornata per l’Università Cattolica del Sacro Cuore che si celebra domenica 23 aprile. Racconta di un’identità ben precisa, di una passione e di un desiderio. Tutto questo, per la città di Cremona, si concretizza nel Campus Santa Monica, una struttura capace di accogliere fino a 1.200 studenti provenienti da tutto il mondo, per fornire percorsi formativi ed educativi di assoluto livello.

Per amore di conoscenza. Ovvero ciò che sta alla base della crescita e dello sviluppo umani. Ciò che sta alla base del futuro.

I corsi proposti nel polo cremonese della Cattolica a tutti gli effetti strizzano l’occhio al domani. Ponendo il focus sulle due macroaree di Economia e Scienze agrarie, si concretizzano con percorsi che affiancano la didattica più tradizionale a esperienze di contatto con il territorio, con il mondo del lavoro e con quello dell’imprenditorialità digitale.

Per amore di conoscenza. Che non è semplicemente didattica. L’università non ha come unico obiettivo quello di trasmettere contenuti, ma è, per sua stessa natura, «universitas». Proprio in questo modo l’ha definita don Maurizio Compiani, assistente pastorale e docente della Cattolica, durante l’ultima puntata di Chiesa di Casa, il talk di approfondimento pastorale della Diocesi proposto ogni giovedì sul web. «Il termine cattolico – ha spiegatp il sacerdote – significa proprio universale, ed è interessante accostarlo al nome di un ateneo, che per sua stessa natura richiama una dimensione del sapere estremamente ampia, che poi si declina nelle varie facoltà». Per Compiani, dunque, la dimensione centrale è quella umana. In questo senso «nel sapere universale ci sta una dimensione ancor più alta, che si apre a ciò che non si conosce pienamente. La vocazione della Cattolica si basa proprio su quella Sapienza che nella Bibbia viene definita come apertura al mistero di Dio».

Nel concreto, un’attenzione particolare che l’Università ha è certamente quella per la dimensione spirituale. «Non è scontato che in un ateneo ci sia una cappella universitaria – ha evidenziato Matilde Passamonti, dottoranda in Scienze agrarie al campus Santa Monica – in cui si vive una certa dimensione comunitaria, o che ci siano dei corsi di Teologia. Questo è certamente un aspetto che fa la differenza, innanzitutto a livello umano».

L’aggettivo «cattolica», però, non ha una rilevanza solo a livello pastorale, «perché qualunque passo venga fatto nella direzione del bene per l’uomo – ha spiegato don Compiani, riprendendo le parole del fondatore, padre Agostino Gemelli – non può che essere un passo nel cammino verso Dio, a qualunque fede appartenga».

L’amore della conoscenza diventa allora un vero cammino verso la piena umanità che si attua nel percorso universitario, ma non solo. Questo si traduce in uno sguardo particolare che si sperimenta in Cattolica, secondo Matilde Passamonti: «Da studenti, siamo consapevoli che una soluzione migliorativa non arriva da una sola voce. E questo perché siamo stati allenati, nel nostro percorso di studi, a lavorare insieme, ad ascoltare le idee degli altri, a confrontarci sempre con il massimo rispetto. La consapevolezza verso cui siamo stati accompagnati è proprio questa: siamo tutti fratelli e insieme possiamo arrivare a un obiettivo».

E se il confronto tra studenti è un elemento ritenuto fondamentale per la loro crescita, non può che esserlo anche quello con il territorio. «L’università vive grazie al rapporto con il territorio – ha concluso don Compiani – perché da esso trae linfa vitale per migliorare e offrire strumenti adeguati agli studenti. Di contro, anche il territorio si arricchisce con la presenza di un ateneo, perché ha modo di rinnovarsi ed è continuamente stimolato a guardare verso il futuro».

Cremona sta vivendo, quarant’anni dopo l’arrivo dell’Università Cattolica del Sacro Cuore in città, un nuovo momento di crescita e sviluppo del mondo universitario. Tanti giovani scelgono di affrontare il proprio percorso accademico nel campus cremonese, aiutando così il territorio a rinnovarsi continuamente, con gli occhi rivolti verso il domani.




“Giovani IN cammino”, l’oratorio di Pandino protagonista su Radio Marconi

Sono 150 i progetti complessivamente portati avanti quest’anno negli oratori lombardi grazie al bando “Giovani IN cammino”, proposto anche sul territorio diocesano da Odielle (Oratori Diocesi Lombarde) grazie agli stanziamenti di Regione Lombardia (Assessorato allo Sviluppo Città metropolitana, Giovani e Comunicazione), con l’obiettivo di stimolare l’aggregazione giovanile attraverso la tradizionale presenza educativa degli oratori. L’obiettivo di “Giovani IN cammino” è di ripensare il sistema educativo delle parrocchie con discernimento pastorale e creatività, ponendosi in ascolto dei giovani e valorizzando le loro risorse. In questo contesto gli oratori rappresentano più che mai un ponte fra la strada e la Chiesa, uno strumento pastorale rivolto a tutti i giovani chiamato a conoscere ed approfondire vecchie e nuove forme di disagio.

Il progetto è raccontato nell’omonima rubrica radiofonica di Radio Marconi, emittente radiofonica della Diocesi di Milano, che nella quinta puntata ha dato spazio anche a una delle esperienze in atto in Diocesi di Cremona. In particolare protagonista è stato l’oratorio di Pandino, dove il progetto “Giovani IN cammino” si ramifica in altre due proposte: “Giovani IN campo” e “Giovani IN formazione”, come ha spiegato il vicario don Andrea Lamperti Tornaghi. 

«L’obiettivo del progetto “Giovani IN campo” è quello di favorire, attraverso il linguaggio dello sport, al dinamica dell’inclusione, per un settore e una fascia di età sempre più portati alla dispersione», ha spiegato il sacerdote durante l’intervista. E ha aggiunto: «L’altro progetto, invece, vede il coinvolgimento di un giovane, nato e cresciuto in parrocchia, che negli anni ha sviluppato competenze a livello informatico. Attraverso il suo coinvolgimento e un’azione di coordinamento a lui affidata vengono svolte alcune attività di educazione e formazione giovanile riguardante il mondo digitale». Laboratori di coding, videomaking, video-editing e non solo; progetti di informatica e comunicazione, finalizzati anche all’organizzazione delle attività della parrocchia e dell’oratorio.

Collaborazione e inclusione sono dunque i cardini di questi progetti, ai quali, nei prossimi mesi, se ne aggiungerà un altro: «Un progetto che prevede il coinvolgimento, in un rapporto intergenerazionale, dei giovani adolescenti, che saranno tutor di quelle persone che anagraficamente potrebbero corrispondere ai loro nonni, in un percorso di alfabetizzazione digitale».

Ascolta il podcast della puntata




La testimonianza di padre Maccalli a Casirate: «Oggi più di ieri la risoluzione dei conflitti passi attraverso una mano tesa».

Un passaggio, una Pasqua che ha cambiato il suo sguardo sulla vita, sulle missioni e su Dio. Padre Gigi Maccalli, missionario della Società delle Missioni Africane, vittima in Niger di un rapimento da parte di estremisti islamici durato per lui due anni e qualche settimana, ha raccontato la sua storia nella serata di mercoledì 19 aprile a Casirate d’Adda, su invito di don Matteo Pini, parroco dell’unità pastorale di Arzago e Casirate.

Pieno di gente, per l’occasione, il salone dell’oratorio San Marco dove padre Maccalli ha parlato per più di un’ora. «Sono stato portato via in moto – ha esordito – il 17 settembre 2018 e in moto, nelle prime due settimane di prigionia, con i miei rapitori ho attraversato posti impervi, fino ad arrivare in un covo nel deserto, pieno di gente armata. Il 5 ottobre uno dei miei carcerieri mi si è avvicinato con una catena in ferro e me l’ha messa a una caviglia. Per ventidue giorni sono rimasto incatenato a un albero ed è stato un momento molto duro nel quale mi sono sentito vittima innocente, abbandonata da Dio e da tutti».

Per la verità in catene il missionario cremasco è rimasto per buona parte dei due anni di durata del suo sequestro. A un certo punto gli erano state tolte, ma gliele hanno rimesse a seguito del  tentativo di fuga (vano) di uno dei suoi compagni di prigionia. Però qualcosa in padre Gigi in quel momento è scattato.

«Una sera – ha proseguito – mi sono detto che i miei piedi erano incatenati, ma il mio cuore no e la vera icona delle missioni è il cuore. Ho pensato alle parole di Santa Teresa di Lisieux e quelle catene sono diventate per me catene di libertà. Ci ho messo del tempo ma alla fine ho detto: Padre perdona queste persone. Questa preghiera mi ha dato pace, mi ha fatto sentire libero».

Solo in mezzo al deserto, nei giorni che sembravano infiniti, padre Maccalli si è convinto di una cosa: «Ciò che rende più bella la vita – ha sottolineato – è la relazione. Noi siamo relazione. Una vita piena lo è perché è una vita di relazione. Mi mancava poter comunicare».

Il missionario ha concluso il suo intervento spiegando che cosa sia cambiato in lui a seguito di questa drammatica esperienza: «Sono tornato con uno sguardo diverso sulla vita, sulle missioni e su Dio stesso. Questo Dio onnipotente dell’Antico Testamento non è venuto a liberarmi, ma è rimasto con me il Dio della croce, il Dio del silenzio. Come missionario in Africa ho annunciato il Dio della Parola, ma ora sono più orientato a vederlo come il Dio del silenzio. E oggi è guardando il crocifisso che vedo l’immagine di Dio. Lui ha trasformato questa storia, che pensavo fosse una sventura, in una benedizione. Ho perdonato i miei rapitori, verso i quali non ho mai provato odio, e sono convinto che oggi più di ieri la risoluzione dei conflitti passi attraverso una mano tesa».

Diverse le domande poste dal pubblico a padre Maccalli, che rispondendo ha avuto modo anche di descrivere l’incontro con papa Francesco subito dopo la sua liberazione: «L’ho sentito vicino e attento – ha detto –, mi sono sentito sostenuto e abbracciato. Dico un grazie a lui, ma anche ai tanti che, ho saputo all’indomani della mia liberazione, hanno costantemente pregato per me in quei due anni».

 

Profilo di padre Maccalli

Pier Luigi Maccalli, nato a Madignano (Cremona) nel 1961, frequenta il seminario vescovile di Crema, dove è ordinato prete nel 1985. Diventa poi membro della Società delle Missioni Africane (Sma), fondata nel 1856 dal vescovo francese mons. Melchior de Marion Brésillac. È per dieci anni missionario in Costa d’Avorio e per un altro decennio animatore missionario e formatore in Italia. Nel 2007 viene inviato nel sud-ovest del Niger, nella parrocchia di Bomoanga. Il 17 settembre 2018 è stato sequestrato dai jihadisti del Gruppo di sostegno all’islam e ai musulmani (Gsim) e tenuto ostaggio fino alla liberazione, avvenuta l’8 ottobre 2020.




Santa Maria del Fonte è il nuovo Santuario regionale della Lombardia

Qui la photogallery completa della celebrazione del mattino

 

A conferma dell’importanza – sia spirituale che geografica – che riveste per il territorio lombardo, il Santuario di Santa Maria del Fonte a Caravaggio è stato ufficialmente riconosciuto come “Santuario regionale della Lombardia”, proprio nel giorno della Memoria dell’Apparizione, venerdì 26 maggio, in occasione della Messa presieduta dall’arcivescovo di Milano, mons. Mario Delpini, alla presenza di tutti i vescovi della regione.

La processione d’ingresso, con i vescovi delle dieci Diocesi lombarde e i tanti sacerdoti presenti, ha avuto inizio alle 10.30 dal Centro di spiritualità del Santuario. Da lì la discesa al Sacro Fonte per l’atto penitenziale e l’omaggio alla Vergine nel luogo dell’Apparizione alla giovane Giannetta. Poi la basilica è diventato lo scenario principale; una chiesa gremita di fedeli ad attendere l’ingresso dei concelebranti.

«Questa invocazione di popolo racchiude il riconoscerci fratelli, membra vive del popolo dei credenti di questa terra», ha detto il vescovo di Cremona, monsignor Antonio Napolioni, nel saluto iniziale. E, dando il benvenuto all’arcivescovo di Milano a agli altri vescovi e alle autorità presenti, ha proseguito: «Grazie a tutti per essere noi quel popolo, fatto di Diocesi, di Province, di comunità, che in Maria ritrova unità e fiducia»

Il Santuario di Santa Maria del Fonte è da sempre un luogo significativo di ritrovo e preghiera per i fedeli della Lombardia, e non solo, testimoni di una forte devozione che vive nei secoli. Quella devozione che è stata, nella mattinata, il punto focale dell’omelia del vescovo Delpini, che ha così detto: «Sì, è una forma di devozione opportuna quella che chiede di fare penitenza per la conversione dei peccatori; sì, è una forma di devozione che edifica quella che raggiunge il santuario per un lungo faticoso cammino, sulla cima del monte; sì, è una forma di devozione che illumina il cammino della fede quella che insegna lunghe preghiere, sì, è una bella devozione quella che incoraggia generose offerte per la carità, sì, è una devozione che commuove quella che invita a contemplare il dolore, il cuore trafitto della Madre, le lacrime e il sangue che Maria ha versato per partecipare alle lacrime e al sangue dei suoi figli». Poi, ha invitato tutta la comunità, radunata per onorare Santa Maria del Fonte, a imparare una devozione «facile», alla quale proprio il santuario regionale educa. Ha dunque sottolineato: «Vogliamo compiere un atto di devozione facile, quella che possono praticare tutti: quello che possono correre e saltare e quelli che camminano adagio adagio e quelli che non camminano per niente e non possono fare gradini. Veniamo a compiere un atto di devozione facile, quella che si può praticare quando c’è il sole e quando piove. Veniamo a incontrare Maria, la donna semplice di Nazaret che ci ospiti senza dirci qualche cosa da fare, ma inviti piuttosto a non fare niente, a fermarsi, tranquilli, per un momento: perché la gente ha già troppe cose da fare». Un invito a incontrare la Vergine che consola, la Vergine che perdona e non castiga, che ascolta e dona sollievo. E, secondo l’arcivescovo Delpini, la gente che visita il Santuario di Caravaggio ha bisogno di questa devozione facile, ha bisogno di trovare un prete per la confessione, di trovare una immagine che inviti a pregare, di trovare un po’ di silenzio per uscire dal rumore e dalla confusione di un tempo troppo chiassoso e dispersivo.«Noi siamo gente che quando viene a Caravaggio pratica la devozione facile – prosegue mons. Delpini –: invochiamo la grazia di compiere il bene facile, perché Maria ci insegna che è più facile perdonare che conservare il rancore, è più facile dare gioia invece che dare tristezza, è più facile servire che farsi servire». Ha quindi concluso: «Veniamo a Caravaggio, il nostro santuario regionale, in una terra che onora Maria con cento e cento santuari ricchi di storia e di grazie. E qui pratichiamo la devozione facile, e vi troviamo sollievo per una vita che spesso è troppo difficile».

Leggi la versione integrale dell’omelia

Dopo le comunioni, il saluto del rettore del santuario, monsignor Amedeo Ferrari, che ha voluto esprimere così la propria gratitudine: «Grazie a tutti, perché questa giornata possa essere veramente fonte di acqua viva, fonte di coraggio per coltivare ancora nei secoli la devozione alla Madre del Cielo».

A concludere la celebrazione, la preghiera di affidamento alla Vergine e la benedizione finale, di fronte alla statua di Maria, presso la quale l’arcivescovo Delpini ha annunciato le nomina del milanese don Michele Di Tolve, rettore del Seminario arcivescovile di Milano, a vescovo ausiliare di Roma.

Dopo la Messa, presso il cortile interno del Centro di spiritualità, è stato presentato, alla presenza dei vescovi e delle autorità, il volume Il Santuario di Caravaggio. La cupola e i pennacchi. L’opera di restauro delle decorazioni. L’opera è una raccolta di testi e immagini che raccontano la storia del Santuario. Un volume che il vescovo Napolioni ha voluto omaggiare ai presenti.

 

Guarda il video integrale della Messa pontificale

 

Nel pomeriggio le celebrazioni si svolgeranno secondo il consueto programma del giorno anniversario dell’Apparizione. Dalle 14.30 in basilica vi sarà la recita continuata del Rosario, che accompagnerà sino alle 16.40 quando il vescovo Antonio Napolioni presiederà la Memoria dell’apparizione, segnata alle 17 dall’aspersione dei fedeli e dal canto del Vespro.

Come ormai consuetudine ogni 26 del mese alle 21 si svolge la  processione aux flambeaux con recita del Rosario lungo i portici del santuario. Venerdì 26 maggio, nel giorno dell’Apparizione, a guidare la preghiera sarà il vescovo di Cremona.

 

 

La Memoria dell’Apparizione nel segno di quella devozione che facilita il coinvolgimento del cuore

 

Dal 26 maggio disponibile il libro “Il Santuario di Caravaggio. La cupola e i pennacchi. L’opera di restauro delle decorazioni”

Caravaggio diventa “Santuario regionale della Lombardia”




In mostra al Museo Diocesano gli “unghioni” di Soncino, capolavori restaurati del Campi

Photogallery completa della presentazione

È stata inaugurata nella mattina di venerdì 24 marzo, presso il Museo Diocesano di Cremona, la mostra di restituzione degli “unghioni” di Giulio Campi, appartenenti al ciclo di affreschi della chiesa di S. Maria delle Grazie di Soncino, dopo l’intervento di restauro a cura della Scuola del Botticino. L’evento, moderato da don Gianluca Gaiardi, incaricato diocesano per Beni culturali ecclesiastici, ha visto intervenire, insieme al parroco di Soncino don Giuseppe Nevi, quanti, direttamente o indirettamente, sono stati coinvolti nell’opera di restauro e valorizzazione degli affreschi del Campi. Tra i presenti: docente della scuola di restauro di Botticino, Fabrizio Pollini, Filippo Piazza, della soprintendenza “Archeologia, Belle arti e Paesaggio” per le province di Cremona, Lodi e Mantova, l’architetto Marinella Pedrini, Mario Marubbi, conservatore dei musei di Cremona e Luca Burgazzi, assessore alla cultura del Comune di Cremona.

«I sei affreschi strappati hanno una notevole importanza e si inseriscono in un ciclo ancor più ampio, che è l'”Arco trionfale” della chiesa di S. Maria delle Grazie, eseguito da uno dei più grandi pittori del Cinquecento norditaliano». Queste le parole di Filippo Piazza, che ha poi aggiunto: «Quest’opera di restauro è sì importante da un punto di vista artistico, ma anche dal punto di vista didattico, perché ha permesso la formazione diretta dei ragazzi della scuola del Botticino che hanno operato sugli affreschi».

Un’azione di restauro che, come ha spiegato Fabrizio Pollini, ha visto la partecipazione di molti ragazzi della scuola di restauro di Botticino. Pollini ha quindi illustrato ai presenti i vari passaggi dell’opera di recupero, concentrata principalmente sull’alleggerimento dello sbiancamento provocato dall’utilizzo di resine viniliche negli interventi precedenti.

Alla presentazione sono intervenuti Marinella Pedrini, don Giuseppe Nevi e Mario Marubbi, che hanno dato risalto all’importanza dell’intervento di recupero e restituzione delle opere, resa possibile dalla raccolta firme pensata dal circolo culturale “Argo”. «Un ringraziamento ai soncinesi – ha aggiunto la Pedrini –, che hanno contribuito alla causa, anche attraverso la collaborazione con alcune associazioni del territorio».

La mostra, che sarà visitabile presso il Museo diocesano di Cremona sino al prossimo 26 maggio, va ad arricchire un’offerta culturale già ampia, come sottolineato dall’assessore Burgazzi: «Siamo una città piccola, ma i musei certamente non mancano. Il nostro primo compito è la conservazione e la preservazione del nostro patrimonio, e l’esposizione si inserisce in un percorso di programmazione museale, che coinvolge anche la Pinacoteca e il Museo del Violino, che fa del restauro un elemento di promozione».

Il futuro di questi “unghioni” è però ancora incerto. «Il problema della ricollocazione è aperto, dato che non si possono riposizionare gli affreschi nel luogo originario, dal momento in cui al di sotto ci sono pitture più antiche che restano a vista – ha spiegato Piazza –. Stiamo studiando il modo per ricollocare gli “strappi” in un contesto adeguato e vicino al luogo d’origine, senza però intaccare quella che è la visione complessiva della chiesa e del suo apparato di affreschi che è notevolissimo e non può essere “disturbato” da interventi troppo invasivi e impattanti».




Il patriarca di Antiochia dei Siri ospite del Vescovo Napolioni: «Così viviamo la fede cristiana nel Paesi del Medio Oriente»

Sabato 15 aprile il patriarca di Antiochia dei Siri, sua beatitudine Ignace Youssef III Younan, ha fatto tappa a Cremona incontrando in un’udienza privata il vescovo Antonio Napolioni.

Nell’occasione abbiamo incontrato il patriarca, residente in Libano, per un’intervista in cui gli abbiamo chiesto di raccontarci la situazione dei luoghi in cui vive e presta il proprio ministero.

Una delle sfide più grandi è quella del rimanere. Da anni il Medio Oriente (Siria e Iraq in particolare) si stanno svuotando della presenza cristiana. Come aiutare famiglie e giovani a rimanere nonostante le difficoltà?

«È vero che in Siria e in Iraq come anche in Libano i cristiani devono affrontare una sfida molto grave, quella di rimanere radicati alla terra degli antenati, terra del vicino Oriente, terra del Vangelo, luogo d’origine di discepoli apostoli. Noi è da 2000 anni che siamo lì e cerchiamo di aiutare le famiglie da un punto di vista sociale ed economico, cerchiamo sempre di rispondere ai bisogni di coloro che sono in difficoltà economiche, specialmente adesso in Siria e in Libano. In Iraq la situazione si sta stabilizzando ma rimane la tendenza a lasciare il Paese perché molti hanno già lasciato e vogliono riunire altrove le loro famiglie. Siria e Libano in questo momento stanno vivendo una crisi tremenda sociale ed economica. Cerchiamo specialmente di incoraggiare le nostre gioventù a rimanere fedeli alla fede a Cristo malgrado non sia facile perché oggi, con i mezzi di comunicazione i giovani sono aperti a tutto ciò che avviene nel mondo vivono l’angoscia, l’inquietudine per il futuro, e spesso scelgono di andarsene.

Quest’anno ad esempio c’è la Giornata mondiale della gioventù in Portogallo, noi non possiamo mandare dei giovani perché abbiamo il timore che vadano solamente per cercare di andarsene. Questa è per noi una occasione mancata di testimonianza cristiana ma cerchiamo di promuovere dei raduni, delle riunioni locali e nazionali. Nella nostra Chiesa abbiamo un Vescovo particolarmente responsabile per la gioventù che va dove lo chiamano per fare questi incontri, ne abbiamo bisogno per la nostra chiesa Siro Cattolica Antiochena, che ha la sua sede patriarcale a Beirut da circa 115 anni.

Il resto è in mano del Signore, come sarà l’avvenire non lo conosciamo, cerchiamo di continuare a vivere nella speranza».

Nonostante cerchiate di mantenere in patria i giovani e le famiglie, sappiamo che tanti sono fuggiti all’estero, riuscite a mantenere i contatti con queste famiglie che se ne sono andate?

«Da noi non c’è una grande comunità diocesana, normalmente noi abbiamo i preti che conoscono la loro parrocchia, dove ci sono i bisogni sia sociali che spirituali di famiglie, quindi cerchiamo di seguire queste situazioni. Purtroppo, a causa degli eventi che hanno avuto luogo nei paesi, da circa più di 20 anni in Iraq, da 12 anni in Siria e anche da tanti anni in Libano, non c’è solamente il disagio ma ci sono problemi di crisi famigliari, con famiglie che non interpretano l’amore come lo interpretano qui. Come Chiesa cerchiamo di aiutare dove c’è bisogno».

Esistono forme di collaborazione tra le chiese con la comunità musulmana?

«Noi viviamo già da 14 secoli con questa situazione, confrontandoci con i musulmani che sono diventati la maggioranza. Sappiamo che non era facile vivere la fede cristiana in questo contesto. Non basta dire che non c’è sempre stata tolleranza solamente con le parole, ma anche con le azioni. Stiamo cercando di convivere in quanto cittadini di un unico Paese e stiamo quindi annunziando questa nostra missione di essere rispettosi di tutti, di amare chi ha fedi diverse e di cercare come collaborare e cooperare sul piano sociale e civile con i musulmani. Noi abbiamo specialmente questa situazione nella quale c’è una maggioranza musulmana e minoranze cristiane. A livello ufficiale noi ci incontriamo, ci scambiamo degli auguri per le feste e alle volte abbiamo incontri interreligiosi, ma solamente sul piano della convivenza di cittadinanza».

Cosa vuol dire per lei la parola pace? È possibile il perdono?

«Il perdono è un atteggiamento, una virtù che nasce dall’accettare gli altri, di accettare la volontà del Signore nella nostra vita e dato che tutti noi siamo umani possiamo essere soggetti all’errore e anche purtroppo alle tentazioni del peccato. Dobbiamo vivere lo spirito del perdono accuratamente in queste situazioni dove i cristiani del vicino Oriente sono stati oppressi, perseguitati, cacciati dalle loro terre e non è facile. Mi ricordo di una bambina di 9 anni dopo la sradicazione delle nostre comunità dalla Piana di Ninive in Iraq, da dove la sua famiglia è stata cacciata nella notte del 6- 7 agosto 2014 dalle forze dei cosiddetti Isis o Daesh. Lei Ha detto: “Io sono pronta a perdonare tutti questi uomini”. Erano nella tenda dove avevano avuto rifugio dopo la loro sradicazione e questa bambina ha espresso davvero lo spirito dei cristiani. Noi, come Gesù che ha perdonato coloro che l’hanno messo sulla Croce, siamo sempre pronti a perdonare. D’altro canto, perdonare non vuol dire tacere, non dire la verità, dobbiamo dire la verità e non usare quel linguaggio cosiddetto politicamente corretto, noi dovremmo sempre dire la verità con carità. Siamo cittadini come gli altri, abbiamo il diritto di vivere nel nostro Paese con la dignità di veri cittadini. Non accettiamo la violenza da nessuno perché questo è contro il comandamento di Gesù. Quindi viviamo cercando, come capi di chiese, di accettare ciò che succede perché è permesso dal Signore, d’altro canto dovremmo essere sempre chiari e dire che ognuno ha il diritto di vivere la sua fede, ognuno ha il diritto di convivere con gli altri cittadini nella pace ma sempre invitare gli altri che non sono della nostra fede alla carità».




Cresime, le indicazioni del Vescovo per la celebrazione dei Sacramenti

«Quali sono le cose che rendono la celebrazione della Cresima una bella celebrazione?». È iniziata con questa domanda, posta dal vescovo Napolioni dopo la preghiera iniziale, l’incontro con sacerdoti, catechisti e animatori liturgici tenutosi la sera di giovedì 13 aprile presso il Centro pastorale diocesano di Cremona (e fruibile anche online) per riflettere insieme sulla preparazione delle celebrazioni dei Sacramenti. Una occasione per offrire alle parrocchie alcune indicazioni concrete, ma anche per interrogarsi su criticità e punti dolenti e insieme condividere riflessioni e buone prassi per una fruttuosa esperienza liturgica ed educativa, a partire da quanto espresso nella guida diocesana Diventa quello che sei dello scorso settembre (Scarica la Guida diocesana “Diventa quello che sei”).

«L’obiettivo è un’assemblea che celebri con armonia». Ha spiegato mons. Napolioni nel suo intervento. «Non dobbiamo terrorizzare o imbalsamare i ragazzi perché siano composti. Una celebrazione è bella se è ordinata, ma ordine non significa disciplina. I ragazzi, prima di tutto, devono essere curiosi e contenti, poi saranno attenti. Dobbiamo entusiasmarli, stimolarli, stimarli».

L’attenzione del vescovo si è poi spostata sull’organizzazione delle celebrazioni, ponendo l’accento sul vero protagonista della liturgia: «Il protagonista è sempre Gesù Cristo, presente all’interno della comunità. E la liturgia è un evento di incontro tra Cristo e la Chiesa, tra Dio e il suo popolo».

L’organizzazione non deve quindi distogliere l’attenzione dal protagonista. E per rendere dignitose queste celebrazioni, il vescovo Napolioni ha voluto fornire ai presenti alcune indicazioni precise. Un invito all’animazione musicale: «Il canto è bello, va curato, tocca il cuore – ha detto –. Chi deve cantare? Ben vengano le risorse migliori della parrocchia, ben vengano le corali, ma che prestino il loro servizio alle assemblee; un servizio finalizzato alla partecipazione di tutti, non all’esibizione». Poi l’esortazione a curare i gesti e i momenti della liturgia, a partire dalla crismazione, fino all’invito a non intralciare la celebrazione con cartelloni, decorazioni floreali eccessive, dispositivi multimediali non necessari e canti fuori luogo. Inoltre, l’invito a una migliore gestione degli spazi della chiesa, «Dobbiamo evidenziare il posto dedicato ai cresimandi – ha infatti spiegato Napolioni –. È bello vedere i bambini con le famiglie accanto, ma avere un bambino a trenta metri dal celebrante non lo è. Raccomando fermamente che i bambini siano tenuti tutti davanti».

Per quanto riguarda le famiglie, il vescovo ha voluto mettere in guardia i presenti: «Sono diversissime, con storie culturali e religiose che non conosciamo. Il sacramento è una grande occasione di ri-evangelizzazione e riscoperta della propria fede, purché si faccia sentire ciascuno a proprio agio». E ancora: «Spesso la cresima è una celebrazione con un quoziente di persone lontane della vita sacramentale. È un intralcio o un dono? Sta a noi saperli coinvolgere con il nostro linguaggio dei segni».

Confermazione ed Eucaristia sono sacramenti che, come suggerito dal vescovo, saranno sempre più spesso ricevuti in quinta elementare. Il primo possibilmente durante una veglia e il secondo durante la messa del giorno successivo. E se oggi sono sempre di più i ragazzi che con questi sacramenti devono anche ricevere il Battesimo, il suggerimento del vescovo è stato a vivere in modo unitario la celebrazione dei sacramenti dell’iniziazione cristiana. «Trovo bello e utile per i cresimandi – ha detto – avere di fianco alcuni loro coetanei che ricevono il sacramento del Battesimo».

Non è mancato un invito rivolto dal vescovo ai rappresentanti delle parrocchie più piccole: «Vi esorto al dialogo con le parrocchie vicine. Magari organizzando la veglia insieme, perché voglio cresimare più ragazzi possibile».

Consigli che il vescovo si è sentito di condividere dopo anni di esperienza e di osservazione. Spunti di riflessione ulteriormente arricchiti dagli interventi dell’assemblea che, con domande e provocazioni, hanno aiutato a sviluppare ulteriormente il discorso.

«Gli spunti sembrano semplice maquillage liturgico – ha concluso il vescovo –, ma toccano la vera questione: come poter sfruttare al meglio questa opportunità che la gente ci concede e che ancora non abbiamo scelto di abbandonare? Dobbiamo fare di tutto perché questa celebrazione sia evangelizzatrice. Noi abbiamo il dovere di seminare».

Chiudendo la serata il vescovo ha voluto dare la propria risposta personale alla domanda con la quale aveva aperto l’incontro: «Per me le cresime più belle sono quelle in cui mi commuovo e quelle in cui percepisco che la comunità stima i ragazzi, in cui percepisco che i catechisti accompagnano ragazzi contenti».




#NoiTestimoni: tra i monumenti di Roma, sulle sulle orme dei santi martiri di ieri e di oggi

La fotogallery completa della seconda mattinata di attività

 

La seconda giornata di pellegrinaggio dei ragazzi di fine mistagogia a Roma è iniziata con un momento di preghiera nella splendida cornice della Domus Aurea. Qui il gruppo ha riflettuto sulle figure dei martiri, attraverso parte di un discorso pronunciato da Papa Francesco in occasione della sua visita alla Basilica di San Bartolomeo all’Isola il 22 aprile 2017.

Prima tappa del pellegrinaggio il Colosseo, uno dei monumenti più rappresentativi della città di Roma che spesso si dimentica essere luogo in cui molti uomini e donne hanno perso la vita per divertimento altrui. Sono stati qui ricordati tutti coloro che sono stati perseguitati, perché cristiani, durante i primi tre secoli della nostra epoca.

 

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Seconda tappa della mattinata l’arco di Costantino, per ricordare che l’imperatore Costantino, dal quale prende il nome l’arco, ha posto fine alle persecuzioni dei cristiani da parte dell’Impero Romano, concedendo libertà di culto ai discepoli di Gesù. Un momento in cui tuttavia non è mancato un pensiero rivolto alle tante vittime delle persecuzioni dei cristiani che continuano e accompagnano la storia, anche oggi in molte parti del mondo.

È proprio con la terza tappa che i ragazzi, attraverso un momento di gioco sono venuti a conoscenza dei martiri del nostro tempo, leggendo delle “carte d’identità” di martiri provenienti da tutto il mondo e riflettendo sulle caratteristiche che accomunano uomini e donne che hanno testimoniato la loro fede fino al dono totale della loro vita.

Il gruppo si è poi diretto alla chiesa di San Bartolomeo dove è stata celebrata la messa concelebrata da tutti i sacerdoti presenti. Don Andrea Piana nell’omelia ha sottolineato: «Che bello vedere il signore nella nostra famiglia, nei nostri amici nei nostri oratori». E ha proseguito: «Ci sono persone che hanno donato la loro vita, non perché pagati, non perché obbligati, non perché erano dei pazzi, ma perché hanno capito che seguire Gesù ne vale davvero la gioia, che è bello essere suoi testimoni».

Dopo la celebrazione è stato possibile nella cripta all’interno della Chiesa di San Bartolomeo il memoriale dei nuovi martiri dal XX al XXI secolo.

Nel pomeriggio la visita a San Paolo Fuori le mura, una delle quattro basiliche papali a Roma, la più grande dopo quella di San Pietro in Vaticano.

 

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Dopo un momento di preghiera e il rinnovo della professione di fede, i diversi gruppi di oratori si sono riuniti nel parco presente a lato della basilica, sfruttando la bella giornata di sole, per cantare gli inni rap degli oratori realizzate dai singoli gruppi il primo giorno durante il viaggio in treno. Questo momento ha permesso ai ragazzi di conoscersi tra loro e stringere nuove amicizie anche tra gruppi di oratori diversi.

Domani, ultimo giorno di pellegrinaggio, l’udienza papale in piazza san Pietro e la visita della Basilica con un momento di preghiera all’altare della Cattedra prima della partenza per il viaggio di ritorno.




#NoiTestimoni, iniziato ufficialmente il pellegrinaggio con l’affidamento dei ragazzi a san Luigi Gonzaga e delle ragazze a sant’Agnese

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Si è aperto con l’affidamento dei ragazzi a san Luigi e delle ragazze a sant’Agnese il pellegrinaggio diocesano a Roma degli adolescenti promosso dalla Federazione Oratori Cremonesi e sul tema “Noi testimoni”. Raggiunta la Capitale, nel pomeriggio di lunedì 10 aprile il gruppo dei circa 140 preadolescenti, dopo la sistemazione dei bagagli nelle due strutture d’accoglienza, si è spostato nel centro della città. Prima presso la chiesa di S. Ignazio dove, dopo un inquadramento storico, ha avuto luogo l’affidamento dei ragazzi a san Luigi Gonzaga, sepolto proprio in questa chiesa e patrono dei ragazzi. Successiva tappa in piazza Navona, presso la chiesa di S. Agnese in Agone, dove secondo la tradizione sarebbe avvenuto, durante le persecuzioni di Diocleziano, il martirio della 12enne romana, cui sono state affidate le ragazze con un momento di preghiera.

«Abbiamo pensato di iniziare questo pellegrinaggio partendo dai ragazzi – ha sottolineato don Francesco Fontana, presidente della Federazione oratori cremonese –. Abbiamo pensato di scegliere due figure che potessero essere significative, come modelli da seguire».

Sono circa 140 i preadolescenti che hanno aderito alla proposta della Federazione Oratori Cremonesi, in rappresentanza di un po’ tutte le zone della diocesi: Brignano e Caravaggio nella Bergamasca, Soncino, Malagnino, San Giovanni in Croce e Casalmaggiore tra Cremonese e Casalasco, fino a raggiungere il Mantovano con Bozzolo e Viadana.

Alle 18.30 la celebrazione la Messa presso il Santuario Nostra Signora del Sacro Cuore, celebrata da don Fontana insieme agli altri sacerdoti presenti: don Gabriele Barbieri, don Arrigo Duranti, don Paolo Fusar Imperatore, don Enrico Ghisolfi, don Andrea Piana, don Nicola Premoli, don Umberto Zanaboni.

Nell’omelia il vicario di Casalmaggiore, don Arrigo Duranti, ha voluto sottolineare come «nelle chiese che abbiamo visitato poco fa è stato bello pregare gli uni per gli altri». Ha poi invitato a un momento di silenzio «per stare a tu per tu con il Signore presente nell’Eucarestia. Sicuramente possiamo digli grazie perché siamo qui e perché la nostra fede non è mai solo qualcosa per noi, ma che sentiamo di condividere. Riconoscenti anche per quello che vivremo in questi giorni e, soprattutto, per quello che porteremo a casa»

La conclusione del primo giorno di pellegrinaggio, contrassegnato dal bel tempo e la presenza di numerosi turisti, dopo la cena con un momento di gioco e divertimento tra piazza di Spagna e piazza del Popolo, alla scoperta della città che ospita i giovani in questi giorni.

La giornata di martedì 11 aprile avrà invece come filo conduttore il tema della testimonianza: i ragazzi, infatti, avranno modo di confrontarsi con la storia dei primi martiri, sino ad arrivare a chi dona la vita per il Vangelo oggi. Per questo partendo dal Colosseo, attraverso un percorso per la Capitale che porterà all’arco di Costantino sino ad arrivare al Circo Massimo, la mattinata si concluderà con la celebrazione eucaristica in San Bartolomeo all’Isola Tiberina e la visita al Memoriale dei nuovi martiri. Un percorso di fede e riflessione che nel pomeriggio porterà i preadolescenti cremonesi a San Paolo Fuori le Mura, lasciando poi spazio in serata per visitare alcuni dei luoghi più suggestivi di Roma.

 

 

#NoiTestimoni, 140 preadolescenti partiti per il pellegrinaggio a Roma




#NoiTestimoni, 140 preadolescenti partiti per il pellegrinaggio a Roma

Sono circa 140 i ragazzi che nella mattinata del 10 aprile, Lunedì dell’Angelo, sono partiti in treno alla volta di Roma. Chi da Milano centrale, chi da Fidenza o Parma, ma pure da Reggio Emilia: ogni oratorio ha scelto la stazione più comoda, per unirsi al resto del gruppo diocesano guidato dalla Federazione oratori cremonesi. Brignano, Bozzolo, Caravaggio, Casalmaggiore, Malagnino, Soncino, Viadana e l’unità pastorale “Mons. Antonio Barosi” sino a mercoledì 12 aprile vivranno nella Capitale tre giorni all’insegna della preghiera, della riflessione, ma anche del gioco e di momenti culturali. Un percorso focalizzato sul tema della testimonianza, a partire dall’esempio dei primi cristiani, che hanno testimoniato la fede anche sino al martirio. Il tema scelto, infatti, è “Noi testimoni”, su cui saranno costruiti, nelle tappe e nelle attività, i giorni romani.

«Questo pellegrinaggio – spiega don Francesco Fontana, incaricato diocesano per la Pastorale giovanile – chiude il percorso della Mistagogia, che inizia dopo il conferimento dei sacramenti e che è per tradizione segnato dall’incontro diocesano dei cresimandi e cresimati, che quest’anno si terrà a Cremona il 21 maggio. Per questo abbiamo pensato di dedicare questo pellegrinaggio esclusivamente ai ragazzi di terza media».

Giunto a Roma, il gruppo, dopo la sistemazione dei bagagli in due strutture della città (il Seraphicum e l’Oasi San Francesco) raggiungerà piazza Sant’Ignazio e successivamente la chiesa di Sant’Agnese in Agone dove vi sarà rispettivamente l’affidamento dei ragazzi a san Luigi Gonzaga e delle ragazze a Sant’Agnese. La serata proseguirà quindi, dopo la Messa al Santuario Nostra Signora del Sacro Cuore, con un grande gioco tra piazza di Spagna e Piazza del popolo.

«Il primo giorno sarà focalizzato sul “noi” – spiega don Fontana – con l’obiettivo di riconoscerci come comunità cristiana: non solo come singoli o come singoli gruppi, ma come una Chiesa fatta di ragazzi che camminano insieme».

Il secondo giorno avrà invece come filo conduttore il tema della testimonianza. I ragazzi, infatti, avranno modo di confrontarsi con la storia dei primi martiri, sino ad arrivare a chi dono la vita per il Vangelo oggi. Per questo partendo dal Colosseo, attraverso un percorso per la Capitale si passerà dall’arco di Costantino per arrivare sino al Circo Massimo. Chiuderà la mattinata la celebrazione eucaristica in San Bartolomeo all’Isola Tiberina e la visita al Memoriale dei nuovi martiri. Un percorso di fede e riflessione che si concluderà a San Paolo Fuori le Mura lasciando poi la serata occasione per visitare alcuni luoghi suggestivi di Roma.

Il terzo giorno sarà caratterizzato al mattino dall’incontro con Papa Francesco in occasione dell’udienza generale del mercoledì in Piazza San Pietro, cui seguirà in basilica, presso l’altare della Cattedra, la professione di fede.

«Questo pellegrinaggio non è altro che un passaggio nella vita dei ragazzi – conclude don Fontana –. La conclusione della Mistagogia apre in realtà il cammino di fede dei ragazzi, che proseguirà nelle loro vite pastorali, negli oratori e nelle parrocchie».