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Con un piede in Paradiso, a Cremona la testimonianza di don Luca Montini

Nell’aula magna dell’Ospedale Maggiore di Cremona cala il silenzio. I posti a sedere sono tutti occupati. Qualcuno è in piedi, sul fondo e ai lati della sala. Sono le 18 di venerdì 15 settembre e don Luca Montini, giovane sacerdote bresciano della Fraternità San Carlo Borromeo, inizia a raccontare la sua storia. Figlio di due genitori eccezionali, primo di cinque fratelli (alcuni adottati), da ragazzo è spericolato: ama correre, e correre forte, in bici, in moto, a piedi. E fa anche pugilato. Poi gli studi di filosofia alla Cattolica di Milano, gli anni trascorsi nel CLU (l’esperienza per universitari di Comunione e Liberazione) e la scelta di entrare in seminario a Roma. Diventato sacerdote, viene inviato in missione prima in Cile e poi in Africa, in Kenya, dove segue un ospedale. È qui che, nel maggio del 2021, gli accade un brutto incidente. Mentre è in moto con una donna del posto – si stanno recando a prendere un’ambulanza donata da alcuni amici italiani – un pickup balza fuori dal nulla e travolge la sua moto. La donna che è con lui è illesa. Don Luca, invece, capisce subito che le cose non vanno per il verso giusto. Trasportato in un ospedale da campo, curato alla bell’e meglio, contrae un’infezione gravissima alla gamba maciullata nell’impatto. Trasferito dopo molto tempo in Italia, si trova costretto a scegliere di amputare l’arto. Ha 35 anni.

«Ho avuto un incidente. Ho passato tre mesi in ospedale, subìto nove interventi e infine l’amputazione della gamba sinistra. Per rimettermi in sesto ci vorrà tempo. Di certo non tornerò quello di prima, ma io non desidero la vita di prima. Desidero vivere il presente, anche se forse non tornerò mai più in quell’Africa che amo tanto. All’ospedale, quando ne ho sentito il bisogno, ho scritto. Mi sono lasciato provocare da un versetto dei Salmi o da un passo della Scrittura che mi balzava all’occhio. La realtà appare meno confusa guardata alla luce della Parola. Verso la metà di ottobre ho conosciuto Giuliano. Aveva un tumore, si stava spegnendo. Abbiamo parlato, pregato, e qualche volta pianto assieme. Ora Giuliano è in cielo. In Kenya si usa ripetere quasi come un ritornello: “life is a journey”.  La vita è un viaggio, un viaggio di ritorno a Colui che ci ha creati. Solo in Cristo la vita, perlomeno la mia, vale la pena di essere vissuta. Siamo creati per il Paradiso. Io, un piede in paradiso, già l’ho messo». Afferma, con un richiamo esplicito al suo libro “Con un piede in Paradiso”.

In un’ora di incontro, promosso dal Centro culturale Sant’Omobono di Cremona, dalla Cappellania dell’Ospedale e dalla Pastorale della salute diocesana, don Montini ha raccontato della fatica, dei dialoghi con Dio nel dolore, degli incontri che gli hanno permesso di non perdere la testa quando il male si faceva sentire forte e insopportabile.

«Per natura noi uomini ci ribelliamo al dolore. Ci suscita tristezza, rabbia, angoscia. Così ho iniziato a offrire a Dio le mie sofferenze. Offrirle è un atto di abbandono alla Sua volontà che in quel momento, nella prova, è infinitamente concreta, tangibile e viscerale: che lo si voglia o no, Dio sta permettendo il dolore che soffriamo. L’offerta è la preghiera più bella: nell’immedesimazione con Cristo siamo investiti di speranza, pace e misericordia. Il senso della vita non è soffrire il meno possibile, ma lasciarsi abbracciare da Colui che ci ha amati di un amore eterno».




Presentata a Santa Monica la nuova edizione de “Il senso religioso” di don Luigi Giussani

È stato presentato ieri sera – nella bellissima cornice del campus Santa Monica dell’Università Cattolica di Cremona – l’ultima edizione de “Il senso religioso” di don Luigi Giussani. Anche il vescovo Napolioni ha partecipato alla serata, in una sala gremita per ascoltare gli interventi di don Javier Prades, rettore dell’Università Ecclesiastica “San Dámaso” di Madrid e professore ordinario di Teologia dogmatica e Davide Prosperi, presidente Fraternità di Comunione e Liberazione.

Ritornare a interrogarsi sulla vita, sul senso della realtà, sull’esperienza umana: questo per don Luigi Giussani è alla base del percorso dell’uomo per trovare un significato all’esistenza e arrivare all’incontro con Dio. Le riflessioni del fondatore di Comunione e Liberazione – è stato ricordato – sono il cuore del volume, forse il più conosciuto e certamente il più tradotto del sacerdote brianzolo, scritto nel 1966 e oggi ripubblicato da Rizzoli con prefazione di Jorge Mario Bergoglio (il Papa la scrisse nel 1998 quando era vescovo di Buenos Aires).

«Questo testo – ha commentato Prosperi – è fondamentale non solo per i cristiani, ma per tutti gli uomini credenti e non credenti. E pur avendo tanti anni rimane attualissimo. Affronta il tema cruciale del rapporto dell’uomo con il significato delle cose. E lo fa da un punto di vista della ragione».

«Il libro parte dalle domande dell’uomo – incalza Prades – e per don Giussani le domande profonde sono già un inizio di risposta. Se si trascura questa dimensione profonda del cuore, si rischia di vivere senza scopo. A don Giussani, invece, premeva che ciascuno vivesse nell’intera sua statura umana, in pienezza. Non voleva che la domanda su Dio rimanesse astratta o qualcosa di lontano».

Del resto, lo ha confermato lo stesso Papa Francesco nella prefazione al testo: Il dramma del mondo d’oggi è il risultato non solamente dell’assenza di Dio, ma anche, e soprattutto, dell’assenza dell’uomo, della perdita della sua fisionomia, del suo destino, della sua identità, della capacità di spiegare le esigenze fondamentali che si annidano nel suo cuore. La mentalità comune, e purtroppo anche quella di molti cristiani, suppone che tra ragione e fede esista una contrapposizione insanabile. Invece – e qui sta un altro paradosso – “Il senso religioso” sottolinea il fatto che parlare seriamente di Dio significa esaltare e difendere la ragione e scoprirne il valore e il metodo corretto per usarla. Non una ragione intesa come misura prestabilita della realtà, ma una ragione aperta alla realtà nella totalità dei suoi fattori e che parte dall’esperienza, che parte da questo fondamento ontologico che suscita l’inquietudine del cuore.

Il volume presentato ieri sera sarà anche oggetto di lavoro della “scuola di comunità”, lo strumento educativo di chi partecipa al cammino di CL. Consiste nella meditazione personale di un testo, cui seguono incontri comunitari. Il lavoro è concepito proprio come una scuola: ha per metodo il paragone tra la proposta cristiana e la vita, per verificare come la fede risponde alle esigenze dell’uomo in ogni aspetto della realtà. La partecipazione è libera e proposta negli ambienti di vita, di studio e di lavoro.

Il libro

“Il senso religioso” (edizione Bur-Rizzoli, Milano, 2023) è il primo volume del PerCorso, nel quale Giussani riassume il suo itinerario di pensiero e di esperienza. Per il sacerdote brianzolo, il senso religioso è l’essenza stessa della razionalità e la radice della coscienza umana. Si colloca, infatti, a livello dell’esperienza elementare di ciascun uomo, là dove l’io si pone domande sul significato della vita, della realtà, di tutto ciò che accade. È la realtà, infatti, che mette in moto gli interrogativi ultimi sul significato dell’esistenza di ciascuno. Il contenuto del senso religioso coincide con queste domande e con qualunque risposta a queste stesse domande. Nell’ultimo capitolo del libro, monsignor Giussani introduce l’ipotesi della rivelazione, che cioè il Mistero ignoto prenda l’iniziativa e si faccia conoscere incontrando l’uomo. Il cristianesimo ha a che fare con il senso religioso proprio perché si propone come risposta imprevedibile, ma totalmente e pienamente ragionevole, al desiderio dell’uomo di vivere scoprendo e amando il proprio destino.




A Caravaggio la Messa nell’anniversario della apparizione: «Una Madre di misericordia ci invita alla conversione»

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È una giornata di festa oggi, giovedì 26 maggio, a Caravaggio per le celebrazioni in occasione del 590° anniversario dell’Apparizione della Vergine al Santuario di Santa Maria del Fonte. In mattinata una solenne processione, guidata da monsignor Dante Lafranconi, è partita dal centro di spiritualità verso la basilica. Qui si è fermata al Sacro Fonte dove, dopo aver recitato l’atto penitenziale, il vescovo emerito di Cremona ha deposto un mazzo di fiori. In maniera del tutto eccezionale, per la prima volta, è stato aperto e visibile anche il piccolo pezzetto di terreno dal quale sgorgò l’acqua benedetta. «La Vergine Maria implori misericordia per noi al Suo Figlio Gesù», ha detto monsignor Lafranconi di fronte all’immagine della Madonna.

Uscendo dal fonte, i sacerdoti e il vescovo si sono segnati con l’acqua in ricordo del Battesimo e subito dopo è iniziata la santa messa all’aperto, animata dal coro “Don Domenico Vecchi”. Una Messa importante, perché benedetta dal Papa e durante la quale i fedeli presenti hanno potuto ottenere l’indulgenza plenaria.

L’omelia del vescovo emerito ha proposto una riflessione sulle figure di Elisabetta e Maria e sul ruolo centrale della grazia divina nel sacramento della penitenza. «Il brano di Vangelo ascoltato – ha detto – ci presenta la figura di Elisabetta e Maria. Elisabetta è la madre di Giovanni Battista, il precursore, colui che ha preparato gli animi delle persone a riconoscere e accogliere Gesù. Una preparazione che richiamava al dovere di cambiare il cuore, alla penitenza, alla conversione per accogliere quella novità fuori dagli schemi. Maria, l’altra donna, è la madre del Figlio di Dio. Una madre che ha accolto in sé, ed è diventata nel disegno di Dio, colei che ha reso tangibile fino a che punto l’amore di Dio per gli uomini può arrivare: fino all’Incarnazione. Allora, in un certo senso, queste due donne attraverso i loro figli, sono un richiamo alla conversione e alla misericordia di Dio, che è straordinaria e impensabile per le categorie umane».

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La riflessione ha poi proseguito con un riferimento diretto all’apparizione di Caravaggio: «Se ci pensiamo bene, è lo stesso messaggio che Maria ha affidato a Giannetta. Lei dice che da tanto tempo intercede presso il Figlio perché usi misericordia verso gli uomini, ma allo stesso tempo chiede a noi di cambiare vita. Allora tra la pagina del Vangelo letta e l’apparizione a Giannetta, c’è una continuità perché il messaggio è identico. Un richiamo alla conversione che è possibile solo con la misericordia di Dio e con l’intercessione di Maria. Credo sia indispensabile per noi che viviamo questa celebrazione, raccogliere il messaggio che questo Santuario diffonde: la misericordia di Dio è inseparabile dal percorso della conversione degli uomini. Guai a separare questi due aspetti. Se si dimentica la misericordia non si ha il coraggio di chiedere perdono e convertirsi, perché soli non ci riusciamo. Ma se guardiamo solo alla misericordia rischiamo di pensare a un Dio buonista che lascia correre e permette tutto. No. Questi aspetti sono uniti. Misericordia e disponibilità alla conversione: ecco cosa dobbiamo raccogliere dal messaggio lasciato dalla Madonna a Giannetta».

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Monsignor Lafranconi ha messo poi in guardia dal «rischio di esasperare il nostro impegno e sentirci falliti perché non riusciamo a realizzarci oppure corriamo il rischio di fare della misericordia di Dio il lasciapassare per l’inferno, come diceva S. Agostino. Non andiamo via dal Santuario senza approfittare della misericordia di Dio che sostiene il nostro cammino quotidiano di conversione. I santuari mariani sono luoghi dove emerge ed è richiesto il sacramento della confessione ed è bello perché così si celebrano insieme misericordia (nel sacramento c’è l’azione di Dio), grazia e perdono. Così anche le nostre relazioni si conformeranno al disegno di Dio».

Tutto, ha detto, richiede però un atto di fede. «Come facevano Elisabetta e Zaccaria a credere che avrebbero avuto un figlio anziani? E Maria? Non c’erano intuizioni che potevano giustificare quello che sarebbe loro accaduto: bisognava solo credere che ciò che all’uomo sembra impossibile, Dio lo può compiere. E questo accade ogni volta che ci confessiamo: Dio prende in mano la vita che gli consegniamo perché possa trasformarsi secondo quella verità evangelica che la rende feconda. Per vivere con purezza i nostri sentimenti. Chiediamo questa grazia nel sacramento della penitenza perché ci accompagni ogni giorno. Non ci aspettiamo miracoli, apparizioni: si tratta ancora una volta di credere, di fidarsi di quello che Gesù ci ha detto e di incamminarci con umiltà anche quando la strada sembra impervia. Ma non desistiamo dal percorrerla, perché siamo sostenuti dalla misericordia di Dio, nella certezza che quello che Lui ha promesso lo compie. Che la Madonna risusciti in noi questa certezza».

Durante la Mmessa monsignor Lafranconi ha chiesto anche una preghiera speciale per monsignor Napolioni e per tutti i vescovi italiani riuniti in assemblea a Roma, e per la Chiesa italiana.

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Al termine della celebrazione, dopo il saluto del rettore del santuario monsignor Amedeo Ferrari, il vescovo Lafranconi ha impartito la benedizione con l’indulgenza plenaria dopo aver rivolto la Supplica alla Vergine, alla quale ha consegnato timori e speranze di tutte le famiglie e tutte le persone riunite in preghiera.

La giornata proseguirà con la recita del rosario e, alle 16.40, la memoria dell’apparizione.

 

Il video integrale della celebrazione

 

Caravaggio fa memoria dell’apparizione: «Le parole di Maria e il coraggio di Giannetta ci riuniscono oggi al Fonte»




Sinodo, Comunione e Liberazione a confronto con il Vescovo

«È un tempo di grande fantasia spirituale quello che siamo chiamati a vivere». Con queste parole il vescovo Antonio Napolioni ha concluso l’assemblea con gli aderenti al Movimento di Comunione e Liberazione di Cremona che, nell’ambito del cammino sinodale che la Chiesa diocesana sta vivendo, si è svolta nel pomeriggio di domenica 9 gennaio presso la chiesa di San Pietro al Po. A tema c’era il Sinodo e tutto è ruotato attorno a due domande che il vescovo ha rivolto ai presenti: «Come siamo in cammino con la Chiesa cremonese? E verso chi è in debito di ascolto la nostra Chiesa particolare?».

A introdurre questo intenso momento di dialogo è stato Paolo Mirri, responsabile diocesano di Cl: «Oggi siamo qui proprio per camminare insieme. La strada è bella, anche se i problemi non mancano. Lo vediamo nel lavoro, in famiglia, con le persone che incontriamo. Ma la strada è bella perché abbiamo incontrato, attraverso don Giussani e nella Chiesa, un luogo dove vivere tutto con speranza. Il Sinodo è per me possibilità di prendere sempre più coscienza di che cosa sia la Chiesa. Per questo ringrazio il vescovo della sua paternità nei nostri confronti».

Monsignor Napolioni ha preso poi brevemente la parola, prima di lasciare spazio a un momento di silenzio, alla preghiera e ai lavori di gruppo. «Questo tempo che ci è dato è difficile eppure fecondo. È un tempo da vivere con delicatezza e onestà intellettuale: non sappiamo dove ci porterà il futuro. Conosciamo la meta ma non il percorso, gli ostacoli e le difficoltà che incontreremo. Ma è un buon motivo per non uscire? Se non si esce si crepa. Ecco perché il Papa insiste per una Chiesa in uscita”.

Per aiutare a entrare nel merito dei lavori sinodali, il vescovo ha letto alcuni estratti del diario di Sandra Sabattini, giovane ragazza di Rimini morta in un incidente stradale nel 1984. Figlia spirituale di don Oreste Benzi, Sandra scriveva infatti che “la Chiesa non dobbiamo inventarla. Bisogna entrare dentro e capirla” perché essa è il regno di Cristo. Per questo, proseguiva la beata, “tutti gli uomini sono chiamati all’unione con Cristo. Lo Spirito Santo guida e illumina il popolo. Siamo tutti fratelli posseduti dal corpo di Cristo. (…) Chi si disgiunge dall’autorità si spegne e muore. Non riduciamo la chiesa a brandello ma facciamone una comunione di vita”.

Nello spiegare il perché del Sinodo voluto da papa Francesco, il pastore della Chiesa cremonese è stato chiaro: «Sono solo gli scandali a spingere per questo Sinodo o invece è lo Spirito Santo che soffia e che domanda un di più di verità e di carità? Anche voi – ha detto all’indirizzo degli aderenti a Comunione e Liberazione – siete costretti a una riorganizzazione, ma non è giudizio o una condanna al pregiudizio quanto piuttosto un discernimento necessario che ha bisogno di ognuno di noi, anche del più piccolo tra noi. Il Papa in questo progredire della coscienza ecclesiale di cui ha da essere portavoce, ci invita così al percorso sinodale: una chiamata a diventare Chiesa sempre più in comunione. Comunione che si incarna nelle parrocchie, nelle associazioni, nei movimenti… il tutto per la missione, per il mondo, perché l’amore di Dio sia accessibile a tutti».

Dopo un’ora di dialogo e confronto in gruppi, i presenti hanno presentato al vescovo alcune prime tracce di lavoro, ben lontano dal voler proporre soluzioni facili. La prima cosa che è emersa è che per tutti vivere il movimento di CL significa vivere la Chiesa, ciascuno nel luogo in cui è chiamato: in famiglia, al lavoro, con i vicini di casa, con le tante realtà nelle quali ci si imbatte quotidianamente. «Più vivo è il carisma, più forte è il desiderio di vivere in unità con la Chiesa. Chiesa che ci sta facendo riscoprire una responsabilità nel vivere la nostra fede in ogni circostanza». Gli esempi portati sono stati tanti: c’è chi è impegnato nel catechismo nelle parrocchie, chi nell’accoglienza degli stranieri, chi ha vissuto l’esperienza del carcere, chi lavora con gli ammalati, chi insegna. In molti hanno però sottolineato in particolare le difficoltà delle famiglie e dei ragazzi che oggi vivono una solitudine senza pari, senza trovare un luogo dove essere ascoltati e dove poter porre le domande grandi della vita. «La Chiesa in ascolto è l’io in ascolto. Ci rendiamo conto di essere chiamati a intercettare e ascoltare i bisogni di chiunque incontriamo sul nostro cammino. Da chi è in casa con noi a chi ci sembrerebbe a prima vista estraneo. Siamo in debito di ascolto anche verso Dio, che attraverso i più bisognosi ci parla».

Dopo aver ringraziato e ascoltato tutti, monsignor Napolioni ha chiuso l’assemblea ricordando che non ci sono conclusioni facili, programmi da stilare o azioni da difendere. Ha ricordato il ruolo importante delle donne nella Chiesa, ruolo che va riscoperto e rafforzato e soprattutto che c’è una terza via possibile oltre all’inazione o all’attivismo frenetico: quella di «un cammino che è la pedagogia di Dio, lo stile di Dio». Per questo l’ascolto è la chiave di tutto. «Non una parentesi o una tattica, ma un passo necessario per ritrovare il vero fascino del cristianesimo. Serve un esame di coscienza che possiamo fare solo insieme, insieme a tutte le diverse anime della Chiesa. Ci aspetta dunque un cammino, un lavoro rischioso perché nessuno sa come sarà: potremmo irrigidirci o invece aprirci. Ma sarà un caos benedetto se ci insegnerà a vivere in ascolto della realtà. Questo è il tempo di una grande fantasia spirituale».




Unitalsi, domenica la Giornata dell’adesione con la Messa in Cattedrale

Come ogni anno, nella prima domenica di Avvento, l’Unitalsi (Unione Nazionale Italiana Trasporto Ammalati a Lourdes e Santuari Internazionali) celebra la Giornata dell’adesione. L’occasione per tutti gli unitalsiani di rinnovare il proprio “mandato di servizio”, di abbracciare idealmente quanti sono segnati dalla sofferenza fisica e morale, realizzando in pienezza il carisma associativo, avverrà nella celebrazione eucaristica vissuta domenica 28 novembre alle 11 in Cattedrale, alla presenza del vescovo Antonio Napolioni.

La celebrazione, animata dai membri dell’Unitalsi e concelebrata dall’assistente diocesano don Maurizio Lucini, sarà trasmessa in diretta sui canali web diocesani e in tv su Cremona1. La Messa si concluderà, prima della benedizione finale, con la preghiera del volontario, quale segno di impegno nella carità.

La Giornata dell’adesione proseguirà in Seminario con il pranzo e il pomeriggio in festa con raccolta fondi per l’abbattimento delle quote dei giovani e dei malati che parteciperanno al pellegrinaggi di sottosezione a Loreto e Lourdes nel 2022.

Un appuntamento annuale irrinunciabile per gli oltre 70 soci dell’associazione presente in diocesi che si adoperano a fianco degli ammalati, dei disabili e delle persone più fragili sempre seguendo la via tracciata da Unitalsi, quella di una carità vissuta come servizio gratuito. «Accompagnare a Lourdes o a Loreto gli ammalati è il carisma fondante della nostra associazione – spiega il presidente dell’Unitalsi cremonese, Tiziano Guarneri (in foto a destra) –. Lo facciamo con il desiderio di manifestare l’amore di Dio attraverso le nostre mani come strumento di cura rivolto al prossimo».

Dopo mesi di stop forzato, quest’anno sono ripartite tante attività. «Noi di Cremona – racconta Guarneri – ad agosto siamo stati in pellegrinaggio al santuario mariano di Loreto, mentre a ottobre siamo andati in pullman a Lourdes insieme alle sottosezioni di Mantova e Bergamo. A livello diocesano noi riusciamo a organizzare due viaggi all’anno e abbiamo già messo in calendario quelli del 2022: saremo ancora a Loreto il prossimo maggio e andremo in preghiera alla grotta di Massabielle».

Ma non ci sono solo i viaggi e pellegrinaggi: anche sul territorio dame e barellieri dell’Unitalsi continuano a essere a fianco di chi ha bisogno. «Manteniamo i nostri incontri di preghiera, organizziamo momenti di incontro e riflessione, ma soprattutto rimaniamo a fianco di uomini, donne, bambini e anziani che possono avere bisogno di noi. Recentemente siamo tornati nella rsa Opera Pia di Castelverde ad animare un pomeriggio con la recita del rosario, dei canti e una tombolata. Sono gesti semplici di presenza e carità, che però sono preziosi non solo per gli anziani che andiamo a incontrare, ma innanzitutto per noi stessi, per non perdere di vista il punto centrale delle nostre attività, che è il Signore», conclude Guarneri.

Il prossimo 19 dicembre ci sarà la convocazione per il rinnovo delle cariche della sottosezione. Ogni cinque anni, infatti, scadono tutti i Consigli a livello nazionale, regionale e locale. La scadenza naturale di questi mandati sarebbe stata nel 2020, ma a causa del covid sono stati prorogati di un anno perché era impossibile tenere le elezioni. «La cosa bella – conclude Guarneri – è che qui a Cremona viviamo l’elezione come un momento di condivisione e totale messa a disposizione. Nessuno smania per avere “la carica”, siamo solo al servizio di un Disegno più grande in totale accordo e unità».




Sabato 27 novembre torna nei supermercati la Colletta alimentare

 

Anche Papa Francesco ha deciso di salutare la 25esima edizione della Giornata nazionale della Colletta alimentare, promossa in tutta Italia nelle giornata  di sabato 27 novembre dalla Fondazione Banco Alimentare. Lo ha fatto domenica 21 novembre all’Angelus con un saluto speciale ai tanti volontari giunti in piazza San Pietro per l’Angelus ricordando che “regnare è servire”.

E proprio dalle parole pronunciate dal Papa prende le mosse ancora una volta il grande gesto di solidarietà della Colletta, che quest’anno fa suo anche il messaggio pronunciato da Francesco in occasione della V Giornata mondiale per i poveri. “La condivisione genera fratellanza […] è duratura […] rafforza la solidarietà e pone le premesse necessarie per raggiungere la giustizia […] uno stile di vita individualistico è complice nel generare povertà […] se i poveri sono messi ai margini il concetto stesso di democrazia è messo in crisi”.

 

Il gesto

La Colletta Alimentare – un appuntamento ormai conosciuto in tutta Italia, visto che coinvolge oltre 11mila supermercati su tutto il territorio nazionale – è da sempre radicato anche a Cremona e in tutto il territorio diocesano grazie a una fitta rete di volontari, associazioni, movimenti che si mettono a disposizione per invitare la gente a donare generi alimentari per le famiglie più bisognose. I pacchi che ogni anno vengono raccolti e immagazzinati vengono poi donati a 7.600 strutture caritative (mense per i poveri, comunità per minori, banchi di solidarietà, centri d’accoglienza, ecc.) che aiutano quasi due milioni di persone bisognose in Italia (moltissimi di questi sono minori).

Quest’anno diversi testimonial d’eccezione si sono alternati per sostenere la Colletta e tra questi Giorgio Chiellini. In uno spot il noto calciatore si appella alla generosità degli italiani invitandoli  a fare la spesa nei supermercati aderenti all’iniziativa dove 145.000 volontari, distanziati e muniti di green pass, inviteranno a comprare prodotti a lunga conservazione: omogeneizzati alla frutta, tonno e carne in scatola, olio, legumi, pelati.

Chi volesse partecipare come volontario nei tanti supermercati presenti sul territorio può iscriversi qui o scrivere all’indirizzo email bancoalimentare.cr@gmail.com.

La Segreteria del Banco Alimentare di Cremona, poi, invita tutti i volontari a iniziare la giornata della Colletta con la Messa alle ore 7 presso la chiesa dei Frati Cappuccini di via Brescia, a Cremona.

Scopri tutti i punti vendita che aderiscono all’iniziativa

 

Scarica il volantino della Giornta 2021

 

Anche online

Per venire incontro a tutti e visto il periodo incerto a causa della pandemia, sarà possibile effettuare la spesa solidale oltre che fisicamente nel proprio supermercato di riferimento anche acquistando le charity card disponibili nei supermercati o effettuando delle donazioni online dal 28 novembre fino a domenica 5 dicembre.

 




Il 5 novembre l’apertura della Scala di Antegnate

Quando nel 1705 i francesi assediarono l’antico borgo di Antegnate, nella bassa bergamasca, poco prima dell’assalto videro sulle mura una moltitudine di soldati. Erano guidati da un condottiero che prendeva ordini da una donna ferma sul soglio della chiesa: dentro l’edificio, impauriti, si erano rifugiati anziani, donne e bambini. L’esercito francese pensando di essere in posizione di inferiorità decide di non attaccare e solo successivamente avrebbe scoperto che non vi era alcun soldato a presidiare Antegnate e che quella donna era identica alla statua della Madonna del Rosario venerata dagli abitanti del luogo.

Questi eventi miracolosi sono ancora oggi ricordati con grande fede e devozione dai fedeli della quattrocentesca chiesa di San Michele: «Dietro l’altare maggiore, ma in posizione elevata, si trova un piccolo santuario dedicato alla Vergine al quale si accede tramite una scala santa che viene aperta eccezionalmente quattro volte l’anno», racconta il parroco don Angelo Maffioletti.

«Qui è ancora oggi conservata la preziosa statua della Madonna, rivestita di abiti preziosi e incoronata con corone del Capitolo vaticano. La scala santa viene aperta ai fedeli il 29 settembre, il 5 novembre (memoria dell’assedio), il Venerdì santo e la Domenica in albis (anniversario dell’incoronazione della statua) e in queste occasioni è possibile ricevere l’indulgenza».

Giovedì 4 novembre, alla sera, si terrà una veglia che preparerà all’apertura della Scala, prevista venerdì mattina dopo le lodi delle 9. Alla sera ci sarà poi la Messa solenne presieduta dall’arcivescovo di Ferrara, Gian Carlo Perego, alle 20.30.




Dalla Settimana sociale di Taranto un contagio di speranza

Riflessi Magazine, in attesa dell’uscita di venerdì 29 ottobre con la nuova edizione sul tema «Parole», ha proposto sul web una trasmissione di approfondimento a partire dai temi emersi nella Settimana sociale dei cattolici italiani di Taranto. Sono intervenuti – moderati dal giornalista Filippo Gilardi – don Bruno Bignami, sacerdote cremonese direttore dell’Ufficio nazionale della Cei per i problemi sociali e il lavoro, collegato da Roma), e in studio il professor Paolo Sckokai, docente all’Università Cattolica presso la facoltà di Scienze agrarie, alimentari e ambientali, con Ester Tolomini, che ha fatto parte della delegazione diocesana presente a Taranto. A presentare nel dettaglio la genesi di questo laboratorio di idee, dialoghi ed esperienze che è stata la settimana sociale, è stato don Bignami: «Tutto nasce dall’enciclica Laudato si’, un documento che ha interrogato molto la società. Ci è sembrato importante come Chiesa italiana fare un passo in più e cioè chiederci come questa enciclica possa diventare un progetto pastorale, educativo, formativo, un modello di Chiesa. Da qui è nato un percorso, purtroppo interrotto e reso difficile dalla pandemia, che ci ha portato a Taranto, dove abbiamo vissuto giorni importanti e dove si è dato il via a un cammino che ora tutti insieme dobbiamo percorrere».

I temi affrontati del resto sono stati tanti e complessi, come quelli legati all’ambiente e al lavoro sottolineati anche dal vescovo di Taranto monsignor Filippo Santoro al termine del convegno. Spiega il professor Sckokai: «Per noi che lavoriamo con i giovani la sfida è che cosa trasmettere loro: solo contenuti ed educazione? Formazione? Io credo che il tema fondamentale sia avere uno sguardo lungo su quali sono le prospettive del nostro pianeta. Quando si dice che le occupazioni green saranno il futuro del lavoro non è sbagliato: chi si approccia a queste nuove professioni sviluppa capacità, competenze e professionalità prima sconosciute, perché l’evoluzione è veramente qualcosa di molto rapido. Per questo il compito di noi educatori è quello di cogliere il prima possibile questi segnali, tradurli in percorsi formativi concreti sfuggendo alla tentazione di rimanere solo su un piano teorico. Bisogna interagire con questo mondo del lavoro che sempre più chiede competenze, ma anche persone integralmente formate».

Al centro della Settimana sociale ci sono stati soprattutto i giovani, che hanno lanciato un manifesto intra-generazionale chiedendo un’alleanza di significato con il mondo adulto in grado di generare bene. Per Ester Tolomini, studentessa di psicologia, la parola chiave emersa dalle giornate di Taranto è «corresponsabilità». Come ben spiegato dalla giovane, «abbiamo avuto spazio di discussione, siamo riusciti a dialogare in gruppi di ogni provenienza. Si è parlato dell’importanza dell’alleanza tra cittadini e cittadine per generare nuovi rapporti in grado di costruire il futuro insieme alle istituzioni. E poi si è discusso dell’importanza di scovare i talenti e di valorizzare le competenze di ogni singolo giovane presente a Taranto per collaborare insieme al comune obiettivo di un futuro alla portata di tutti». Non a caso, come sottolineato ancora da don Bignami, «se c’è una cosa che passerà alla storia di questa Settimana sociale è il numero dei delegati giovani: 300, un terzo dei presenti. Hanno lavorato alacremente. Ai giovani dobbiamo dare la parola, perché il futuro è di tutti. Serve uno sguardo nuovo, differente e io ho apprezzato la libertà di proposta e il protagonismo: tutte cose che fanno bene non solo al pianeta, ma anche alla Chiesa tutta». Non nega i problemi delle trasformazioni sociali e culturali che il mondo sta attraversando e sottolinea tutta l’urgenza di un intervento che sia da progettare qui e ora e non da rimandare. «Ma l’agire – ha detto ancora don Bignami – non riguarda solo pochi, il “tutto è connesso” ci ricorda che ognuno di noi deve fare la propria parte nella quotidianità, con scelte coscienziose. Da Taranto però usciamo con una speranza concreta. Come ha scritto don Tonino Bello “la speranza non va solo annunciata ma anche organizzata” e infatti i segni di speranza sono quei semi gettati da chi fin da ora sta scommettendo su un modello di economia diverso dove ecologia e lavoro vanno insieme, dove i giovani sono protagonisti. La speranza è data dai legami nati durante la settimana sociale, perché le idee e le intuizioni di tutti, nate dai territori, possono davvero essere un contagio di bene».




Barnabiti, un secolo di missione in Afghanistan

Il 26 agosto scorso, dopo giorni concitati e drammatici, padre Gianni Scalese è rientrato dall’Afghanistan insieme alle suore della Congregazione di Madre Teresa e ad alcuni bambini orfani. Barnabita, cappellanno della missione “sui iuris” voluta da Giovanni Paolo II nel Paese asiatico presso l’ambasciata italiana, padre Scalese è l’ultimo di una lunga serie di sacerdoti barnabiti che per cento anni hanno accompagnato la minuscola ma preziosissima presenza cristiana in terra afghana.

Insieme a padre Giovanni Villa, già superiore generale dei Barnabiti oggi di stanza a Cremona presso comunità di San Luca, padre Scalese ha raccontato la sua esperienza nella serata di giovedì 21 ottobre presso il Centro pastorale diocesano di Cremona nell’incontro promosso dal gruppo missionario della parrocchia cittadina di Sant’Abbondio e moderato da Daniela Negri.

«L’Afghanistan diventa indipendente nel 1919 e nel 1921, con un Trattato stipulato con lo Stato italiano, viene resa possibile la costruzione di un luogo di culto per cattolici stranieri. Certo, non era possibile evangelizzare, ma solo servire chi per ragioni commerciali, politiche e diplomatiche visitava il Paese. La presenza barnabita inizia così, con una cappella cattolica all’interno dell’ambasciata italiana. Dal 1933 a oggi, otto sacerdoti barnabiti si sono succeduti e padre Scalese è stato l’ultimo», ha spiegato padre Villa introducendo l’incontro. «Cremona è stata una delle città più interessate alla nostra presenza in Afghanistan – ha quindi sottolineato – perché negli anni Novanta qui a Cremona c’era uno dei sacerdoti che è stato cappellano laggiù per 25 anni, padre Angelo Panigati».

La parola è poi passata a padre Scalese che, in collegamento da Roma, ha ricordato come segni di una presenza cristiana nel Paese sono state anche le Suore di Madre Teresa di Calcutta, quelle del centro per i bambini di Kabul, i Gesuiti indiani e le Piccole Sorelle di Charles de Foucauld, arrivate negli anni Cinquanta. Tutti loro si sono dovuti confrontare con le difficoltà di vivere in una nazione dove l’islam è religione di Stato e la conversione ad altre fedi è rato: «Non è stato possibile negli ultimi tempi svolgere un servizio pastorale esteso al contatto con la gente, e così azioni di promozione sociale hanno rappresentato l’unica forma possibile di missione».

Padre Scalese ha ripreso poi il titolo del messaggio di Papa Francesco per la Giornata mondiale delle missioni: «Non è semplice annunciare in Afghanistan quello che “abbiamo visto e ascoltato”, perché lì siamo costretti a tacere. Ma dopo la presa del potere dei talebani, abbiamo sperimentato la protezione divina e della Madonna. Il 13 ottobre del 2017, al termine del centenario di Fatima, ci siamo consacrati come missione «sui iuris» al Cuore immacolato di Maria. E non abbiamo voluto consacrare solo noi stessi e la missione, ma anche l’Afghanistan. Perché consacrare un Paese al 99 per cento islamico? Perché, la storia lo insegna, questo ha risvolti anche geopolitici: pensate a quella che fece Giovanni Paolo II, cui seguì il crollo dell’Urss. Noi abbiamo sperimentato la protezione della Madonna negli ultimi giorni trascorsi a Kabul: nessuno di noi si è fatto un graffio nonostante gli attentati e le tensioni. Io penso che questa storia, iniziata cento anni fa, potrà continuare, perché ho conosciuto tanti afghani affascinati dal cristianesimo. Prego e spero che la vita della missione presto o tardi possa riprendere al servizio di un popolo che non merita di vivere nella guerra».




«Un’ umanità in movimento»: la Chiesa cremonese inizia il cammino sinodale tra comunione, partecipazione e missione

 

Si è tenuta nella serata di sabato 16 ottobre l’intensa e partecipatissima veglia diocesana per l’avvio del Sinodo. Iniziata alle 21 in tre diverse chiese di Cremona (San Pietro al Po con il vicario della zona 2 don Giambattista Piacentini, a Sant’Abbondio con il vicario don Pietro Samarini e a San Michele con don Antonio Pezzetti e don Davide Barili) con il primo momento dedicato alla comunione, è proseguita con il cammino dei tre gruppi fino alla Cattedrale. Sulla porta, aperta sulla piazza, ad attenderli per l’aspersione il vescovo Napolioni.

 

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Il secondo momento, dedicato alla partecipazione si è svolto all’interno della Cattedrale, dove il vescovo ha presieduto la preghiera alla presenza del vescovo emerito di Cremona don Dante Lafranconi e del vicario generale don Massimo Calvi. Dopo la lettura di alcuni brani tratti dal Documento preparatorio del Sinodo dei vescovi e alcuni canti significativi eseguiti dal coro Saint Michel della comunità afro-francofona e dal coro Psallentes di Soresina – don Maurizio Ghilardi, incaricato diocesano per la Pastorale Missionaria ha chiamato Gloria Manfredini e Marco Allegri (quest’ultimo assente per un’indisposizione) a rispondere prima di ricevere il mandato missionario in vista della prossima partenza per la missione di Salvador de Bahia in Brasile. Poi sono stati proclamati sette passi del Vangelo che monsignor Napolioni ha ripreso nella toccante omelia rivolta al popolo.

«C’erano i dodici con i loro nomi e soprannomi, persino il nome del traditore. E poi alcune donne, che mettevano a disposizione i loro beni. Una grande folla e in mezzo ad esso un ragazzo che avrebbe sfamato con la propria povera merenda le moltitudini; una donna straniera con il figlio posseduto dal demonio; un tale ricco desideroso di sapere se la sua osservanza avrebbe portato il frutto sperato; il centurione davanti alla croce e le donne sul Calvario: sono alcuni dei volti, dei protagonisti che attorno al Protagonista per eccellenza fanno il Vangelo. Il Vangelo è avvenuto prima di essere scritto», ha esordito il vescovo di Cremona. Ricordando che tutta la storia del cristianesimo è un’esortazione al cammino, perché Cristo stesso andava per le strade, saliva sui monti e mandava i suoi …

«Davvero la Chiesa è un popolo in cammino, è un’umanità in movimento», ha ricordato monsignor Napolioni. «Giovanni Paolo II diceva che la Chiesa è movimento, Papa Francesco la descrive invece come una marea caotica nella quale abita il Figlio di Dio risorto. È così, perché è fatta da uomini e donne, da famiglie che si accostano, che Lo cercano, che si imbattono in Lui perché Lui prende iniziativa. Sono storie di umanità rigenerate da Gesù: Gesù, l’Emmanuel, il Dio-con-noi».

«E il Dio sinodale, perché la parola sinodo è già in Lui, Lui che è la via e chi chiede di seguirLo. E così questi volti del Vangelo si rispecchiano nei nostri e ci chiedono di manifestare il volto stesso del Signore. Ma chi può farlo da solo? Possiamo farlo solo insieme. Chi può parlare nel nome di Dio se non nell’umiltà docile di accogliere l’altro come dono del Signore?», domanda il vescovo ai presenti.

«Viviamo un momento storico in cui tutti abbiamo bisogno di vedere per intero il volto di Dio», ha proseguito. «Sono tempi difficili, di crisi, non mancano denunce e proclami (solo oggi il Papa ha gridato l’urgenza di ascoltare davvero l’urlo dell’umanità più povera e sfruttata) ma questo tempo di crisi può essere un tempo di fede: kairos, il momento favorevole in cui il dolore si schiude perché si lascia visitare dall’amore proprio come accade nel tempo pasquale».
La fatica della pandemia, il dolore per una Chiesa chiamata a vergognarsi dei suoi peccati (del clero ma anche di tutti) sono per il vescovo di Cremona un’occasione da non sprecare, una lezione da imparare. «Per questo possiamo dire “Vieni, Gesù”, sapendo però che Lui non si sostituisce a noi trattandoci da bambini, ci coinvolge nella responsabilità di andargli incontro. Le scene evangeliche evocate cantano ed esaltano questa libertà. Lui va avanti, accostandosi: è Gesù che vive tutto questo per primo».

 

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Per monsignor Napolioni è questo il metodo da seguire nel cammino sinodale che verrà: «L’avvicinarsi agli altri senza pretendere di risolvere problemi, ma facendo sì che la carezza di Dio raggiunga tutti. Ecco il cammino sinodale da fare, da scegliere e compiere con decisione, cura, senza fretta ma senza rinvii. Lo facciamo come Chiesa di Cremona trascinata insieme a tante altre Chiese italiane del mondo dal Papa, che in particolare alla Chiesa iItaliana dice “fermati, svegliati, non ti cullare sugli allori del passato, non ti illudere che basti fare ciò che si è sempre fatto, ma ascolta la voce dello Spirito che parla nella preghiera e nella realtà, che parla attraverso la voce di tutti» .

Avverte però il Vescovo che non bisogna correre il rischio di sedersi rimanendo ancorati al già saputo, ma sempre più si renderà necessario «ascoltare la voce dello Spirito che parla nella preghiera e nella realtà, che parla attraverso la voce di tutti se abbiamo cura dell’altro». Del resto anche l’autorità, ha proseguito, «è al servizio dell’ascolto, del discernimento, per infondere coraggio nel cammino. Scegliamo di compiere questo cammino sinodale in dialogo con tutti: non solo per colmare vuoti, ma per essere più contenti di spartire il dono ricevuto anche con chi ancora non lo conosce. Il cammino sinodale è infatti chiamata missionaria – dove la missione è andare a cercare chi è smarrito, chi si è allontanato: non per fare proselitismo, ma per costruire un rapporto e tendere la mano, perché da tutti avremo qualcosa da imparare».

Soprattutto, ha insistito, «il cammino sinodale è parabola di Comunione, perché il mistero dell’Eucaristia chiede una dinamica di partecipazione: dobbiamo farne una scelta e un metodo. «È il momento di fare ma imparando anche a dirci le difficoltà o le nuove idee che arrivano sottoponendole al vaglio della preghiera e del confronto».

Per questo – ha chiosato – non è improprio il mandato missionario conferito stasera a Gloria e Marco che andranno a Salvador de Bahia ad affiancare per un anno don Davide Ferretti in quella che è di fatto l’unica missione diocesana. «Non dobbiamo smettere di andare per il mondo per paura di non avere abbastanza preti o mezzi», ha detto il vescovo, «ma continuare a essere Chiesa in uscita con missionari capaci di servizio al Vangelo e ai fratelli». Concludendo l’omelia, poi, il Vescovo ha richiamato l’atteggiamento con il quale intraprendere il viaggio sinodale che deve coinvolgere tutti. «Facciamo nostro il metodo dell’ascolto, per ascoltarlo ascoltandoci in una crescente docilità allo Spirito. Non sospendiamo certo le attività ma le facciamo insieme; avendo più cura dello sguardo degli uni verso gli altri per riconoscere in ogni istante la nostra comune storia di salvezza. Maria, l’Assunta, ci incoraggia ad osare. È lei che ha detto “sì” all’impossibile: e noi stasera ci fidiamo di Lei».

Conclusa l’omelia, il vescovo ha conferito ai due laici Gloria Manfredini e Marco Allegri il mandato missionario per il la missione di Salvador de Bahia. A loro ha consegnato i segni del crocifisso e del cero. Altri due ceri sono stati consegnati per la chiesa della parrocchia brasiliana dove già opera il sacerdote fidei donum cremonese don Davide Ferretti e per la Cattedrale, come segno di vicinanza e fraternità.

 

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Prima della benedizione finale, ecco poi la consegna ad ogni gruppo parrocchiale, associazione o famiglia religiosa un manifesto con il logo del Sinodo che sarà di accompagnamento all’intera fase diocesana.

«Questo segno, questo manifesto, ci rimanda alla Chiesa che si raccoglie insieme per celebrare, per ascoltare la Parola, ciò che il Signore ha da dirci», ha sottolineato don Gianpaolo Maccagni, vicario episcopale per il clero. I segni rimandano sempre ad altro e il cammino sinodale è un continuo rimandare a Cristo che chiama.

«Siamo aperti ai suggerimenti che Dio manda e per questo chiunque abbia idee sul Sinodo le mandi, le condivida perché è il cammino di tutti», ha concluso monsignor Napolioni, prima di salutare ancora Gloria, che partirà domani, e Marco che partirà poco dopo di lei.

 

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