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Il Vescovo in Cattedrale per il Corpus Domini: «Nell’Eucaristia non solo una memoria ma una presenza e una promessa» (FOTO e VIDEO)

«Non sei lontano dal regno di Dio: questo avremmo detto con la processione, in mezzo alla gente, alle case, alla vita della nostra città e del nostro mondo» ha evidenziato il vescovo Antonio Napolioni, che nella serata di giovedì 3 giugno a Cremona ha presieduto la solenne celebrazione eucaristica del Corpus Domini.

La Messa è stata concelebrata da diversi parroci della città, il vescovo emerito Dante Lafranconi e il vicario generale don Massimo Calvi. Sono state invitate in modo particolare a partecipare le comunità delle parrocchie della Zona pastorale terza ma tutta la diocesi ha potuto unirsi in preghiera anche grazie alla trasmissione in diretta  streaming sul sito web e sui canali social ufficiali della diocesi.

La fotogallery della celebrazione

Nell’omelia il vescovo Antonio è partito dalla richiesta “ricordati di me” che San Paolo rivolge al suo amico e collaboratore Timoteo: «Ma Gesù – si è interrogato – aveva proprio bisogno di farsi ricordare come quei potenti della terra che per evitare ogni dubbio scolpiscono per tempo nel marmo il loro nome, i loro simboli ed erigono statue? Gesù ha scelto di farsi ricordare nascondendosi in ciò che è più umile e semplice, coinvolgendoci nel suo stesso gesto d’amore: fate questo in memoria di me. Il gesto eucaristico diventa la sfida alla Chiesa e a tutti i suoi membri perché la Salvezza che il Signore ci ha dato con la sua morte in croce si diffonda, si rinnovi e si avvicini così il suo Regno».

Quindi la riflessione del vescovo si è incentrata sul dialogo che Gesù svolge con lo scriba riguardo la ricerca dell’essenziale; un dialogo che mantiene anche per questo nostro tempo un valore di forte attualità: «Anche noi – ha infatti riflettuto monsignor Napolioni – viviamo un tempo nel quale rischiamo di essere disorientati e ci chiediamo che cosa è essenziale? “Ama il prossimo tuo come te stesso per quanto il tuo cuore è stato rinnovato dall’amore di Dio, tra la consegna di te stesso a un amore più grande, lasciati amare e imparerai ad amare”». Un amore che non è un obbligo o uno scrupolo di coscienza, ma «un dinamismo, una pedagogia, un’esperienza» che unisce gli uomini al Cielo.

«Questo dice Gesù stesso attraverso la Chiesa al mondo – ha dunque proseguito il vescovo -: non sei lontano dal Regno di Dio, perché il Regno di Dio ti viene incontro, non è opera delle nostre volontà e dei nostri sforzi ma è il frutto di un incontro, di un appuntamento con il Signore, un po’ ce lo portiamo nel desiderio ma molto di più egli ci stupisce con la sua creatività e fantasia».

A conclusione della sua riflessione il vescovo Antonio ha voluto sottolineare l’importanza della presenza del Signore attraverso la Sua vera presenza nell’Eucarestia: «Questo è il tempo in cui questo passaggio è potente, è nascosto, è capillare e fedele: per questo abbiamo detto e cantato nel Salmo “fammi conoscere Signore le tue vie”, dammi Tu le coordinate dell’appuntamento quotidiano con Te nei fratelli e nella realtà e sarà una memoria continua di Te la nostra vita. Non solo una memoria ma una presenza e una promessa che si compie ogni giorno di più fino all’eternità beata».

Una presenza che si è fatta sensibile nel profondo e denso silenzio che ha avvolto la Cattedrale nel silenzio della adorazione eucaristica. Anche quest’anno, infatti, al termine della Messa, non si è svolta la tradizionale processione con il Santissimo Sacramento portato solennemente da Vescovo, accompagnato dal clero e dai fedeli, per le strade del centro cittadino, ma dopo le comunioni c’è stato un momento di preghiera silenziosa alternata a momenti guidati con testi e canti.

A conclusione, dopo le litanie eucaristiche e il solenne canto del “Tantum ergo”, il Vescovo ha concluso la serata impartendo la benedizione con il Santissimo Sacramento.




Il Vescovo per la Dedicazione della Cattedrale: «Una bellezza che rispecchia l’amore»

Nella mattina di mercoledì 2 giugno, il vescovo di Antonio Napolioni ha presieduto in Duomo la Messa in occasione della Dedicazione della Cattedrale. Infatti, l’attuale chiesa è l’ampliamento della costruzione iniziata nel 1107 ed edificata sull’area di un edificio più antico. Il vescovo Cesare Speciano il 2 giugno 1592 la dedicò sotto il titolo di santa Maria Assunta e di Sant’Omobono.


All’inizio della celebrazione eucaristica mons. Ruggero Zucchelli, presidente del Capitolo della Cattedrale, ha voluto ringraziare il vescovo per la partecipazione e ricordare la speciale occasione ai fedeli presenti.
«È bello venire in chiesa ma ci viene ricordato che la nostra vita, il nostro povero corpo sono il tempio del Signore – ha riflettuto il vescovo Napolioni aprendo la sua omelia – a Cremona questa espressione brilla particolarmente perché la bellezza della nostra Cattedrale è davvero motivo di grande gioia per tutti: credenti e non credenti, commercianti e turisti, pellegrini e canonici, vescovo e popolo santo di Dio, perché davvero custodisce un segreto che è quello della bellezza, che è certamente frutto di mani sapienti ed esperte, di coraggio architettonico, di perizia pittorica ma è una bellezza che rispecchia un amore, che racconta un’esperienza, che mette in contatto con la fonte della vita. Questa festa dell’umano è in realtà il frutto di Dio».

Il vescovo ha quindi proseguito nella sua meditazione rivolta ai fedeli: «Dio è in festa per noi e rende possibile la gioia al di là e attraverso le prove più dure, non è una gioia effimera ma è una gioia profonda che si esprime nell’adorazione come dice Gesù alla donna samaritana, che è essere costituiti figli ed eredi: un rapporto filiale e impegnativo».
Il pensiero è andato quindi al Capitolo della Cattedrale, in buona parte presente a concelebrare insieme al vescovo: «Veniamo in chiesa per fare verità su noi stessi e la presenza dei canonici aiuta a farne esperienza sacramentale in cui essi non fanno da padroni della nostra fede e giudici della nostra vita, ma proprio collaboratori della nostra gioia».

Mons. Napolioni ha concluso, quindi, la sua riflessione sottolineando che «non si viene in Cattedrale per restarci ma per fare il pieno di grazia e ritornare nella piazza, nelle case, nelle scuole, nei luoghi di sofferenza e di lavoro, forti di ciò che qui il Signore dona sempre ai suoi figli».
Al termine della celebrazione, prima della benedizione finale, il vescovo Antonio ha voluto ringraziare anche i fedeli presenti provenienti dalle parrocchie fuori città: «La Cattedrale è la chiesa madre di tutta la diocesi, di tutte le parrocchie e non solo della città e la vostra presenza è importante anche per ricordarci questo importante aspetto».




Il Vescovo a Santa Rita: «Non esiste male che non possa essere superato»

Per tanti a Cremona è un appuntamento a cui non si può mancare nei giorni in cui si commemora la santa degli impossibili. Ed è naturalmente in quella che, per la gente, è la chiesa di santa Rita. Così anche quest’anno il gioiellino rinascimentale di via Trecchi, affrescato da Giulio Campi, è stato meta di numerosi fedeli e dell’immancabile benedizione delle rose. Una festa attesa che si è tornata a celebrare dopo lo stop forzato dello scorso anno e che venerdì pomeriggio ha visto presiedere l’Eucaristia della vigilia il vescovo Antonio Napolioni, affiancato dal rettore della chiesa delle Sante Margherite e Pelagia, don Claudio Anselmi.

Photogallery della celebrazione

Nell’omelia monsignor Napolioni ha voluto riflettere sulla vita della santa: «Rita – ha ricordato – ha vissuto il desiderio della pace che non era presente fra le famiglie di Cascia e persino all’interno della propria. Il male genera solo male, ma Rita è risuscitata ogni volta grazie alla capacità di amare anche chi le ha fatto del male, evitando di ricambiare il male».

«Come Rita riuscì a trasformare il male in bene rendendo possibile la convivenza umana e dando spazio alla speranza – ha quindi detto il vescovo rivolto ai presenti – anche noi dobbiamo avere la certezza che non esiste male che non possa essere superato grazie a chi vede le cose e agisce come Gesù: dobbiamo essere felici di essere creature pasquali capaci di cambiare la realtà facendo prevalere il bene sul male. Pregare santa Rita significa essere consapevoli che una vita come la sua è possibile».

Al termine della celebrazione, prima della benedizione finale, il vescovo si è portato davanti alla statua della santa per recitare la preghiera di supplica e ha invitato i fedeli presenti ad affidarle le proprie richieste.

Le celebrazioni nella chiesa di via Trecchi proseguono sabato 22 maggio, nel giorno di santa Rita, con le Messe alle ore 6, 7.30, 9 (Messa solenne), 11.30, 18 e 19.30. All’indomani, nella solennità di Pentecoste, Messa solenne alle 9 e Messa di suffragio per iscritti e benefattori della Pia Unione alle ore 18.

Sino a domenica 23 maggio nel cortile della chiesa è allestito il consueto spazio per la vendita delle rose e degli oggetti.

In occasione della festa, inoltre, è stato ideato e realizzato il primo numero de “La Rosa di S. Rita”, foglio di informazione e di collegamento, che vuole essere strumento agile che consenta di far conoscere le varie iniziative e alimentare la devozione verso questa Santa (Scarica il pdf del giornalino).

Locandina della Festa di Santa Rita 2021

 

L’Associazione “Amici di Santa Rita ONLUS”

La Festa di Santa Rita quest’anno è anche occasione per far conoscere la nuova Pia Unione, denominata Associazione “Amici di Santa Rita ONLUS”, che persegue finalità rivolte alla tutela, promozione e valorizzazione dei beni mobili ed immobili di interesse artistico e storico commissionando direttamente o finanziando interventi riguardanti la chiesa delle “Sante Margherita e Pelagia” in Cremona nonché il complesso di Santa Rita ad essa collegato.

L’Associazione “Amici di Santa Rita ONLUS” si propone di concorrere alla conservazione, salvaguardia, recupero, restauro del patrimonio del complesso religioso. Con la salvaguardia del patrimonio di interesse storico e artistico l’associazione vuole anche:

  • promuovere nella comunità cristiana e nella società civile i valori della famiglia, della pace, del perdono e della riconciliazione, che sono le singolari caratteristiche della testimonianza umana e cristiana di Santa Rita.
  • promuovere la devozione e il culto di Santa Rita nelle modalità e secondo le indicazioni della Chiesa.

All’Associazione è possibile destinare il proprio 5×1000 compilando l’apposita sezione nella dichiarazione dei redditi mettendo il Codice Fiscale 93064540193 e rendendo così la propria dichiarazione dei redditi, da scadenza fiscale a occasione di dono, per aiutare la Chiesa di Santa Rita in Cremona.

Denso di significato anche il logo dell’Associazione, che ne rappresenta l’immagine e ne rispecchia i valori e gli obiettivi:

  • i due quadrati rappresentano la terra e il cielo, che non solo si sovrappongano ma si intersecano dando l’impressione di un movimento che ruota attorno alla Rosa, evocazione diretta di Santa Rita. Terra e Cielo non sono separati, ma nella gloria del Cristo Risorto, a cui i Santi già partecipano in pienezza, sono collegati: dal Cielo essi intercedono, per noi, la Grazia!
  • i colori: rosso come il sangue, rappresenta il richiamo alla vita di S. Rita, offerta e donata nella verità all’amore per la Croce; grigio scuro come l’abito monastico di S. Rita che si consacrò totalmente a Gesù nella carità e nella preghiera;
  • la rosa: ineludibile richiamo al desiderio di S. Rita morente. Una rosa in pieno inverno, segno di consolazione della Misericordia. Come la rosa, Rita ha saputo fiorire nonostante le spine che la vita le ha riservato, donando il buon profumo di Cristo e sciogliendo il gelido inverno di tanti cuori;
  • il gambo verde che porta linfa alla rosa perché non sfiorisca; ricorda il legame degli Amici dell’Associazione che in essa si riconoscono e per essa si spendono perché la devozione a S. Rita raggiunga, beneficando e consolando, ogni uomo e donna che La invoca.



Lunedì a San Camillo il ricordo del beato Rebuschini

Lunedì 10 maggio si celebra la memoria liturgica del beato Enrico Rebuschini: camilliano, vero apostolo della carità, elevato agli onori degli altari da Giovanni Paolo II il 4 maggio 1997. Il suo nome e la sua opera sono indissolubilmente legati alla città di Cremona dove visse per quasi quarant’anni alleviando sofferenze materiali e spirituali di centinaia di persone che hanno varcato la soglia della clinica San Camillo di via Mantova. Quest’anno a causa della situazione pandemica non si celebrerà in modo solenne la memoria liturgica nella piccola chiesetta della clinica dove sono conservate le spoglie mortali del beato, per il quale però non mancherà l’attenzione e la preghiera.

In particolare se ne farà memoria lunedì 10 maggio nella Messa delle ore 8 celebrata presso la cappella della casa di cura da padre Virginio Bebber, superiore della comunità camilliana e amministratore delegato della Fondazione Opera San Camillo. In questa Eucarestia si ricorderà la figura del beato Enrico Rebuschini, padre camilliano dell’Ordine dei Ministri degli Infermi nato a Gravedona (CO) il 28 aprile 1860 e morto a Cremona il 10 maggio 1938. Un ministero, il suo, che ben si riassume nella missione “Andate ad annunciare il regno di Dio e curate gli infermi”, di cui diede prova fin dal suo arrivo a Cremona, il 1 maggio 1899.

Nella vita, e in particolar modo nella sua attività a Cremona, a San Camillo (undici anni come superiore della comunità e per trentaquattro anni amministratore-economo), lasciò un segno indelebile della carità ed umiltà nello spirito di servizio, declinati in una concreta solidarietà ed applicando, pienamente, la raccomandazione di san Camillo: “Servire i malati come fa una madre con il suo unico figlio infermo”.

 

Cronologia in breve del Beato

1860 – Enrico Rebuschini nasce a Gravedona, ultimo di cinque figli.

1871 – Terminato il Ginnasio, Enrico si iscrive al Liceo “Volta” di Como, poi, frequenta il primo anno alla Facoltà di Fisica e Matematica di Pavia.

1880 – Compie un anno di volontariato nel servizio militare a Milano come sottotenente.

1882 – Ottiene il diploma di ragioneria a Como. Il papà lo colloca all’Ospedale di Sant’Anna della città; spesso lascia gli uffici per incontrare ed interessarsi personalmente dei malati aiutandoli anche con denaro e abiti propri.

1884 – Nonostante l’opposizione paterna, è accolto dal Vescovo di Como in Seminario, poi inviato a Roma per studiare alla Gregoriana.

1886 – Costretto da un grave esaurimento, Enrico rientra in famiglia, ma il desiderio di seguire il Signore non lo abbandona. Nella Chiesa di Sant’Eusebio, di fronte ad un dipinto che rappresenta San Camillo incoraggiato dal Crocifisso, si fa strada la vocazione camilliana.

1887 – Entra nella Comunità camilliana di Verona. Dopo due anni inizia il noviziato, durante il quale, per dispensa speciale chiesta dagli stessi superiori, è ordinato sacerdote dal futuro S. Pio X

1899 – P. Enrico è destinato a Verona, poi a Cremona dove rimarrà per il resto della vita, svolgendo numerosi incarichi: Economo e Superiore della nuova Clinica da lui apprestata, coordinatore con le Suore Camilliane nell’assistenza ai malati di vaiolo, collaboratore della Croce Rossa Italiana nella cura dei soldati feriti in guerra, confessore del Vescovo e di numerosi penitenti della città, sollecito nell’assistenza spirituale ai malati a domicilio. In città tutti lo conoscono, lo stimano, lo cercano.

1938 – Muore a Cremona, il 10 maggio.

Nella sua vita spirituale spiccano: l’amore al Crocifisso e all’Eucaristia, l’affetto filiale alla Madonna della Salute e a S. Camillo, le devozioni alla Vergine di Pompei e a San Giuseppe.

 




A Tornata celebrato il V centenario dell’Apparizione

Nel V centenario dell’apparizione della Madonna a Tornata, il vescovo Antonio Napolioni, nel pomeriggio di venerdì 7 maggio, ha presieduto l’Eucaristia presso la chiesa parrocchiale dei santi Ambrogio e Antonio.

Photogallery della celebrazione

All’inizio della Messa ha preso la parola don Massimo Sanni, parroco dell’Unità Pastorale “San Bernardino da Siena” di Calvatone, Tornata e Romprezzagno, per dare il benvenuto al vescovo e per ricordare come «la Madre di Gesù non ha mai abbandonato il suo posto tra gli uomini e le donne che conoscono e sentono il peso della croce, come avviene oggi in questi tempi quando i nostri occhi persi nel buio cercano la luce».

Nell’omelia il Vescovo ha voluto ricordare come «sono passati 500 anni da quella gioia natalizia»: «Si chiamava Natale il bambino al quale apparve Maria e mi piace pensare – ha detto monsignor Napolioni – che sia la stessa gioia che viene offerta a ogni bambino quando è Natale, a ogni credente quando sente rifiorire la fede, alle nostre comunità e a noi che siamo qui non solo per onorare una tradizione ma perché abbiamo bisogno di luce».

Monsignor Napolioni ha poi evidenziando che «se la Chiesa non riesce a trasmettere il messaggio evangelico dipende da tutti noi: riceviamo il Vangelo per viverlo e se lo viviamo Maria appare». «Si sperimenta – ha detto ancora – la maternità di Maria nell’affetto dei cristiani, nell’unione di una comunità, nella generosità di chiunque di noi: è una vita nuova che rifiorisce».

Al termine della Messa, prima della benedizione finale, la recita guidata dal vescovo della preghiera di affidamento a Maria.

 

L’apparizione del 7 maggio 1521

L’Apparizione ricordata risale alla mattina del 7 maggio 1521 quando il piccolo Natale, come ogni giorno, portò a pascolare le due mucche sul sagrato della chiesa di San Ambrogio. Per ingannare la noia di una lunga attesa, pensò di entrare in chiesa e recitare le decine del Rosario davanti all’altare della Beata Vergine delle Grazie. Al termine del rosario uscì e poiché le mucche non erano ancora sazie, decise di salire sino a una finestra, dalla quale si poteva vedere tutto l’interno della chiesa. Inizialmente tutto era in penombra, poi una luce intensa lo abbagliò.

Una Signora, a lato dell’altare della Beata Vergine delle Grazie, in mano un cero acceso, si mosse verso la porta che guardava a mezzogiorno. Era tanto bella e tutta vestita di bianco. Un ampio manto le scendeva sulle spalle. Natale riconobbe in lei la Madonna e la invocò nell’espressione: “O Nostra Signora Benedetta”. La bianca Signora lo pregò di allontanare quelle bestie dal sagrato per tornare poi da lei.

Natale, preso da grande spavento, fuggì per raggiungere il paese. Circa a metà strada, si fermò, si volse indietro e vide la bianca figura sulla soglia della porta che con un cenno lo invitava a tornare da lei. Il ragazzo, sempre più impaurito, riprese a correre invocando aiuto. Lungo la strada incontrò un uomo che ascoltò incredulo le sue parole e corse in chiesa per verificare l’accaduto. L’altare della Madonna era spoglio, le tovaglie erano ordinatamente piegate così come il velo serico che copriva l’intera immagine.

Arrivato in paese, Natale raccontò alla gente quello che era avvenuto, tutti quanti accorsero al luogo sacro e portarono grandi mazzi di fiori campestri sull’altare della Madonna. La notizia si diffuse in tutto il circondario e ben presto pellegrini giunsero da ogni parte con regali e offerte alla Madonna.

Nella copia autentica del processo canonico, che l’archivio parrocchiale custodisce gelosamente da 500 anni, sono attestati due miracoli e numerose grazie ricevute.

 

La preghiera alla Beata Vergine Maria:

Santa Maria, capolavoro del Figlio di Dio,
la Tua mano accompagna ogni creatura
alla bellezza del Padre.

Inorridiamo all’umano sfregiato dal limite,
ma con te innanzi agli occhi ci rassicuriamo:
confidiamo nella Tua carezza colma di compassione.

In te fanno pace Dio e l’uomo, la misericordia e la miseria:
l’una incrociata nell’altra producono
la speranza che rende abitabile il nostro mondo.

Solo la Donna toccata dalla Luce di Dio
poteva diventare sorgente che bagna e ristora
il desiderio di autenticità dei suoi figli.

Siamo consapevoli dei nostri slanci nel nulla,
del bisogno di gioia ferito ove approda
lontano dalla tua feconda e materna presenza.

Tu che l’hai provato conosci lo smarrimento
che avvertiamo nella prova.
La tua compassione è attratta dalla nostra miseria.

Tutto l’umano che c’è nel mondo,
fatto di polvere di terra e di luce del Regno dei Cieli,
in te non va in conflitto, ma si ricompone.

Tu vedi, o Madre, quanto manca alla terra,
alla vita e alla speranza per essere in pace.
Sia ambizione e desiderio di ogni pellegrino:

fissare nei tuoi occhi il proprio futuro,
sollevare lo sguardo nella Luce
e orientare alla Verità il proprio cammino.

Nelle tue mani tutto diventa preghiera:
tutto si fa spirituale.

Ciò che in noi porta il segno della pochezza
con Te è disponibile alla Provvidenza.

Il tuo amore, o Madre, dissolva i nodi del male
che ci vincolano all’uomo vecchio,
affinché, come te, possiamo risorgere nel Figlio.

O Regina, o Madre, raccogliamo il tuo invito:
accogliere la Parola del tuo Figlio
che rese grande il tuo cuore.

E sospinti dal tuo materno invito possiamo
comprenderci come Comunità orante,
che al Cristo e ai fratelli protende le mani.




Il Vescovo ai cresimandi: «Navigando, anche online, qual è la nostra rotta?» (VIDEO)

Nel pomeriggio di sabato 8 maggio si è svolto “Open your eyes”, l’incontro diocesano per cresimandi e cresimati edizione 2021. Vista l’attuale situazione sanitaria l’evento è stato organizzato in versione digitale. Strutturato come una trasmissione web, è stato seguito dai vari gruppi di cresimandi online dai rispettivi oratori, in alcuni casi suddivisi in ulteriori sottogruppi in modo da garantire lo svolgersi delle attività nel pieno rispetto delle normative, con la garanzia del distanziamento.

La fotogallery dell’incontro

Nella prima parte, dalle 15, negli oratori – con oltre un migliaio di ragazzi iscritti – i vari gruppi catechistici sono stati coinvolti in una attività che, animata dai volontari della Federazione Oratori Cremonesi, ha seguito le vicende immaginarie di un gruppo di esperti della NASA alle prese con la preparazione di una fantascientifica missione su Nettuno con l’obiettivo di recuperare un prezioso gas per salvare l’atmosfera del nostro pianeta. Un gioco che, quindi, ha avuto anche uno scopo didattico-educativo per insegnare ai ragazzi l’importanza di preservare un ambiente sano per tutta l’umanità: il messaggio di un’ecologia integrale espresso da papa Francesco nella Laudato si’, infatti, è sempre attuale e parla alla coscienza di ogni uomo di buona volontà chiamato a un impegno verso il prossimo anche tramite l’impegno per un mondo più sano e meno inquinato anche tramite delle scelte concrete.

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I video proposti e le attività svolte grazie al “kit” predisposto per l’attività e fatto pervenire in ogni oratorio, alle 16 hanno lasciato spazio al momento di ascolto della Parola e testimonianza guidato dal vescovo Antonio Napolioni in diretta dalla sede della FOCr, trasformata per l’occasione in una navicella spaziale.

Nel suo intervento monsignor Napolioni, dopo aver salutato calorosamente i gruppi collegati, ha voluto sottolineare come: «Purtroppo quest’anno ci dobbiamo incontrare così, ma è comunque un passo avanti e io vi immagino nei vostri oratori e nelle vostre case». Prendendo spunto dal brano del Vangelo dei discepoli di Emmaus proclamato ha quindi chiesto ai ragazzi: «Navigando, anche online, qual è la nostra rotta? In questo momento il mondo sta provando a rialzarsi da una batosta non solo per la salute delle persone ma anche per la perdita della speranza. Come nel racconto evangelico uno sconosciuto ci salverà: Gesù è uno sconosciuto che non ha interesse a curiosare o controllare, ma che ascolta per rendere disponibile un dono di speranza enorme». «Il viaggio non è perdersi, ma tornare a casa, la casa della comunione, della pace; la comunione con Dio dalla quale veniamo e nella quale torniamo».

   

Al termine dell’evento l’incaricato diocesano per la Pastorale giovanile don Paolo Arienti ha donato al vescovo il cero usato durante la preghiera, invitandolo ad accenderlo durante i propri momenti di preghiera personali ricordando così tutti i cresimandi. Lo stesso cero fatto avere ai gruppi collegati, invitati a usarlo domenica in chiesa proprio per ricordare il percorso dei gruppi di catechismo che hanno partecipato a questo incontro.

Il vescovo è stato affiancato durante la preghiera dai due diaconi prossimi all’ordinazione presbiterale, don Alberto Bigatti e don Francesco Tassi. Presente anche un gruppo delle suore dell’Istituto Beata Vergine di Cremona che ha garantito l’animazione con canti in swahili, una delle lingue più parlate in Africa.




San Giuseppe, a sant’Ambrogio il vescovo emerito benedice la statua restaurata

Quest’anno la solennità di san Giuseppe lavoratore è stata festeggiata con particolare solennità nella parrocchia di Sant’Ambrogio, a Cremona. L’occasione è stata la benedizione della statua del santo appena restaurata nella Messa del pomeriggio di sabato 1° maggio presieduta dal vescovo emerito mons. Dante Lafranconi.

Durante l’omelia il vescovo Dante ha voluto ricordare come «nel 150° anniversario in cui san Giuseppe è stato proclamato patrono della Chiesa, Papa Francesco ha voluto indire un “Anno speciale”: siamo tutti consapevoli che la Chiesa sta vivendo un momento di fatica e di rinnovamento».

Il vescovo emerito ha voluto, quindi, affidarsi al santo per chiedere la sua intercessione: «San Giuseppe si è fidato di fronte a Dio e di fronte agli uomini, davanti a Dio e di fronte a Maria: ecco noi allora invochiamo san Giuseppe perché aiuti ciascuno di noi a rinnovarci nella nostra fede, con una fiducia indiscutibile verso Dio e ci doni una capacità per confrontarci con la Chiesa anche nei suoi aspetti umani e nelle relazioni reciproche tra di noi».

Al termine della celebrazione eucaristica mons. Lafranconi si è recato davanti alla statua restaurata di san Giuseppe, benedicendola e pregando il santo con la preghiera che papa Francesco ha inserito nella lettera apostolica di indizione dell’Anno speciale di San Giuseppe.

 

Salve, custode del Redentore,
e sposo della Vergine Maria.
A te Dio affidò il suo Figlio;
in te Maria ripose la sua fiducia;
con te Cristo diventò uomo.

O Beato Giuseppe, mostrati padre anche per noi,
e guidaci nel cammino della vita.
Ottienici grazia, misericordia e coraggio,
e difendici da ogni male. Amen.

 

Photogallery della celebrazione




Il Trattato Onu di proibizione delle armi nucleari rafforza l’impegno per la pace (VIDEO)

Nella serata di lunedì 12 aprile si è tenuto l’incontro online “Stop alle armi nucleari” promosso dall’Ufficio diocesano per la Pastorale sociale e del lavoro in collaborazione e Federazione Oratori Cremonesi con Pax Christi, Rete Italiana Pace e Disarmo, Tavola della Pace di Cremona, Banca Etica e Marciatori della pace. L’incontro web ha voluto accogliere l’invito del Papa a liberare il mondo dalle armi nucleari per preservare la pace e come azione di giustizia verso i poveri e lo sviluppo sostenibile, da promuovere con le risorse destinate alle armi nucleari.

Il 22 gennaio 2021, infatti, è entrato in vigore il Trattato Onu di proibizione delle armi nucleari (Tpnw) che vieta la fabbricazione, il possesso e il dispiegamento di armi nucleari da parte degli Stati firmatari e impone loro l’obbligo di assistere le vittime che provocano. Un trattato che però, i Paesi nucleari e i loro alleati, tra cui l’Italia, non hanno ratificato.

Da qui un impegno di tanti soggetti civili ed ecclesiali nella Campagna “Italia ripensaci” affinché il governo italiano riveda la sua posizione e possa aderire al Trattato. A tal scopo, la necessità di tenere vivo sul territorio un dibattito serio sulla questione delle armi nucleari, considerando pure che nelle basi di Aviano e Ghedi sono depositate circa 40 bombe atomiche di ultima generazione (B61-12) con un potenziale distruttivo molto superiore a quelle del passato.

 

L’interessante e stimolante incontro è stato moderato da Eugenio Bignardi, incaricato diocesano per la Pastorale sociale e il lavoro, ed è stato aperto dal saluto del vescovo di Cremona, mons. Antonio Napolioni, che ha riflettuto domandandosi: «Come mai una cosa così ovvia come la messa al bando delle armi nucleari non entra nelle politiche, né nell’educazione? Forse i nostri giovani dovrebbero ricevere un’educazione anche in questo senso, per costruire il loro futuro in un mondo migliore».

Quindi è intervenuto l’arcivescovo di Altamura-Gravina-Acquaviva delle Fonti, mons. Giovanni Ricchiuti, presidente di Pax Christi, che ha ribadito come «tanti possono dire che continuare a parlare non serve a niente, ma se anche gli altri non ascoltano, noi saremmo corresponsabili nel nostro silenzio: saremo giudicati non solo sull’amore, ma anche sul coraggio di aver annunciato il Vangelo della pace». Il vescovo Ricchiuti ha quindi proseguito sottolineando che: «questi argomenti paiono essere marginali, ma a poco a poco qualche segnale di speranza lo stiamo vedendo e l’entrata in vigore di questo trattato internazionale è un piccolo segnale di speranza, perché ci sono 54 Stati che hanno dichiarato illegale l’utilizzo e il possesso delle armi nucleari». Quindi mons. Ricchiuti ha voluto ricordare come «in questa battaglia abbiamo la compagnia di Papa Francesco e queste tematiche devono entrare anche nelle nostre parrocchie: in questo momento in cui stiamo rimettendo in discussione tante cose, perché la Chiesa deve rinchiudersi e non trattare questi temi? Come oggi nell’ambiente ecclesiale ci stiamo interessando degli argomenti ambientali e degli argomenti sociali con le caritas parrocchiali, sarebbe un tradimento del Vangelo se come Chiesa non annunciassimo la pace di Gesù».

Francesco Vignarca, coordinatore nazionale della Rete Pace e Disarmo, ha quindi spiegato come questa minaccia sia davvero molto seria, perché «anche piccoli e circoscritti conflitti nucleari sono capaci di provocare milioni di morti, malformazioni e carestie per decine di anni: il disarmo nucleare è nato partire dalle vittime delle bombe nucleari come è un disarmo umanitario».

Ha preso poi la parola Lisa Clark, della Campagna internazionale per l’abolizione delle armi nucleari (I-CAN), campagna insignita dal premio Nobel per la pace 2017. Clark, che da lunghi anni è sensibile come attivista per la pace a questo problema, ha raccontato come il 22 gennaio 2021, giorno di entrata in vigore del TPNW, si trovava a Padova dove «per accogliere simbolicamente l’entrata in vigore del trattato le campane del municipio sono suonate, insieme a quelle di tante altre chiese della città e in sette diocesi del Triveneto come storicamente è sempre accaduto per comunicare importanti annunci». Clark ha spiegato come «la campagna “Italia ripensaci” chiede al Governo italiano di prendere una decisione nel rispetto della volontà dei cittadini: «In questi anni abbiamo fatto molta informazione fra la cittadinanza, anche nelle scuole, e i sondaggi sono in costante aumento indicando oltre l’80% di approvazione riguardo l’adesione al Trattato, con centinaia di associazioni che si continuano a mobilitare».

Questa campagna internazionale, ha illustrato ancora Clark, «è composta da tantissimi organismi di società civile che si sono portati dietro i loro governi: un processo che ha ridato democrazia all’interno dell’Onu, partendo anche dai Paesi più piccoli e poveri ma purtroppo l’Italia, pur avendo una storia di adesione ai trattati sul disarmo (a volte anche ruolo guida come per le mine antiuomo o per le munizioni a grappolo) in questo caso si è astenuta, non avendo voluto averci niente a che fare». «Moltissimi Comuni italiani hanno aderito alla campagna, specialmente perché queste sono armi progettate per distruggere le città e le città italiane hanno il diritto di far ascoltare la loro voce che deve essere ascoltata dal governo poiché loro sono le principali vittime» ha proseguito Clark, che ha voluto dare anche un’indicazione sul proseguimento di questa iniziativa: «questa campagna non dev’essere promossa incutendo paura ma con l’entusiasmo che ci mettiamo nel fare qualcosa per il bene dell’umanità, senza rassegnarci perché siamo piccoli e non potenti perché insieme qualcosa di grande abbiamo già fatto».

L’adesione del Vaticano al TPNW è segno di un cambio nella dottrina della Chiesa Cattolica promosso da papa Francesco: infatti se prima era esplicitamente proibito l’utilizzo dell’arma atomica ora è stato chiarito come anche il solo possesso sia immorale. Le motivazioni alla base di questa indicazione non sono solo di tipo umanitario, ma anche politico: il papa ha infatti spiegato come il possesso dell’arma nucleare distorca le relazioni tra i popoli e gli Stati, non permettendo così di costruire una relazione di giustizia tra le nazioni.

L’incontro si è concluso con la consapevolezza che la campagna “Italia ripensaci” dovrà proseguire, indirizzando nuove e ulteriori iniziative verso il governo da poco insediatosi grazie al lavoro appassionato di tante realtà associative ecclesiali e laiche.




Il Vescovo Busca a Bozzolo: «Incrementare la fama di santità di don Primo vuol dire incrementare la devozione e la preghiera di intercessione a lui»

«Incrementare la fama di santità di don Primo vuol dire incrementare chiaramente la devozione e la preghiera di intercessione a lui. Lo possiamo pensare così, come a uno a cui ci si rivolge non soltanto per un insegnamento, ma per ottenere attraverso di lui grazie». Queste le parole del vescovo di Mantova, mons. Marco Busca, nell’omelia della Messa presieduta domenica 11 aprile nella chiesa parrocchiale di Bozzolo nel 62° anniversario della morte di don Mazzolari, di cui ha voluto ricordare che «molti hanno testimoniato fin dagli inizi che era un prete santo, sapientemente santo, autenticamente santo».

La liturgia, svoltasi nella chiesa che custodisce le spoglie del celebre parroco, oggi servo di Dio del quale è in corso la causa di beatificazione, è stata, concelebrata dal vescovo di Cremona, mons. Antonio Napolioni, dal parroco di Bozzolo, don Luigi Pisani, insieme ad alcuni altri sacerdoti.

Photogallery della celebrazione

 

Dal 1960 ad oggi è quasi sempre stato un vescovo o un cardinale a celebrare l’Eucarestia in una data a ridosso dell’anniversario della morte di Mazzolari (avvenuta il 12 aprile 1959), segno della devozione e della fama di santità che il servo di Dio gode dentro e fuori della nostra chiesa locale: la celebrazione dell’Eucaristia perché continui nella comunione della preghiera un rapporto che la morte non ha interrotto e un convegno per continuare a studiare e a far conoscere il pensiero di don Primo che si è svolto online il giorno precedente.

Anche quest’anno una celebrazione partecipata, pur nel rispetto delle norme vigenti dovute alla pandemia, iniziata con il saluto del sindaco di Bozzolo Giuseppe Torchio e il benvenuto a mons. Busca da parte del vescovo Napolioni.

Il vescovo Busca nella sua omelia ha preso spunto dal racconto degli Atti degli apostoli della liturgia del giorno, dove viene descritta la condivisione dei beni da parte dei primi cristiani: «Verrebbe spontaneo costruire una riflessione su don Primo a partire dalla sua sensibilità per i diritti della giustizia, il senso dell’uguaglianza di tutti gli uomini e della loro dignità: diversi approcci sociali, economici e politici hanno cercato di interpretare il pensiero di don Primo come profeta di un umanesimo sociale finalizzato a correggere le disuguaglianze e a promuovere la giustizia».

Una riflessione, quella del vescovo di Mantova, proseguita rileggendo il passo evangelico proposto nella seconda Domenica di Pasqua, quello di Tommaso, che «arriva a questa fede piena. E don Primo ha confessato questa stessa fede in Cristo perfettamente uomo e perfettamente Dio. Io credo che ricordare don Primo significhi innanzitutto ricordare un credente in Cristo». E ancora: «Precisare quale fama di santità avvolge la persona di don Primo. Direi cosi: la sua adesione al Vangelo in quanto totalizzante la vita è la sua santità. Il Vangelo era tutto per don primo e don Primo era tutto per Vangelo. Molti hanno testimoniato fin dagli inizi che don Primo era un prete santo, sapientemente santo, autenticamente santo e profondamente umanissimo».

«La fama di santità di un servo di Dio – ha sottolineato ancora mons. Busca – non significa soltanto ammirare le sue virtù eroiche. Noi sappiamo che con i morti che sono più vivi di noi c’è un legame vitale. È il legame della comunione dei santi. E perciò noi possiamo ricorrere all’intercessione dei morti. Chiedendo che ci aiutino nella fede e ci soccorrano nei bisogni del nostro cammino». E ha precisato: «Incrementare la fama di santità di don Primo vuol dire chiaramente incrementare la devozione, la preghiera di intercessione a lui. Lo possiamo pensare così come a uno a cui ci si rivolge non soltanto per un insegnamento ma per ottenere attraverso di lui grazie».

Proprio alla luce di queste parole ha trovato senso il consueto con un omaggio sulla tomba di don Mazzolari, che i due vescovi hanno rinnovato al termine della Messa.

 

“Ho bisogno di amicizia”, presentato il carteggio tra don Mazzolari e don Astori




“Ho bisogno di amicizia”, presentato il carteggio tra don Mazzolari e don Astori

Come ogni anno, anche il 62° anniversario della morte di don Primo Mazzolari è stato ricordato con particolare solennità a Bozzolo, sua ultima parrocchia, dove fu parroco per quasi 30 anni. Il primo degli eventi è stato il convegno svolto online sabato 10 aprile con la presentazione del libro “Ho bisogno di amicizia”, a cura di Bruno Bignami e Umberto Zanaboni, edizioni Dehoniane.

Il convegno è stato trasmesso sui canali social della Fondazione “Don Primo Mazzolari” di Bozzolo: youtube e facebook, dove è possibile rivedere l’evento.

In questo volume di recente pubblicazione sono raccolte le lettere tra don Mazzolari e don Astori, amici fin dai primi anni del Seminario. Il convegno è stata l’occasione per mettere in luce un aspetto importante dell’umanità di don Primo e per ripercorrere un piccolo tratto della storia del clero cremonese nella prima metà del ‘900. Compagni di ordinazione, i due preti cremonesi condivisero l’esperienza di cappellani militari nella prima guerra mondiale prima di occuparsi di alcune parrocchie del territorio: Mazzolari a Cicognara e Bozzolo, nel Mantovano, Astori a Bordolano, Casalbuttano e Cremona a Sant’Agata. 

I relatori sono stati Giovanni Vian, direttore del Dipartimento di Studi umanistici dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, e don Cristiano Passoni, assistente generale dell’Azione cattolica di Milano, introdotti dalla presidente della Fondazione, Paola Bignardi, e dal presidente del Comitato scientifico, Giorgio Vecchio. Al termine sono intervenuti anche i curatori dell’opera, don Bruno Bignami e don Umberto Zanaboni. 

Gli interventi a presentazione del libro sono stati utili per approfondire, inquadrare e illustrare uno dei più importanti carteggi mazzolariani, cioè quello con l’amico mons. Guido Astori: oltre 300 lettere che vanno a coprire mezzo secolo.

Nella sua introduzione, Paola Bignardi ha sottolineato come: «le lettere che don Primo e don Guido si scambiarono hanno un sapore particolare perché sono espressione di un sentimento profondo di amicizia che percorre tutta la vita di questi due sacerdoti, il cui legame inizia nei primi anni di Seminario e si estende attraverso vicende che sono interpretate con uno spirito profondo e comune di condivisione che ha dato forza e forma al loro legame». La presidente della Fondazione ha anche spiegato la genesi del volume: «Il titolo del libro “Ho bisogno di amicizia” è tratto da una delle lettere di don Primo, ad indicare la sua intensa umanità, il suo desiderio di voler entrare in una relazione calda, forte e fragile come l’amicizia, che con questo tratto di umanità induce ad allargare lo sguardo anche sulle comunità cristiane di oggi e sui loro sacerdoti, comunità che siano capaci di sostenere il loro coraggio nella testimonianza».

A seguire è intervenuto il presidente del Comitato scientifico della Fondazione, che ha spiegato come «il carteggio inizia nel 1908 quando i due sacerdoti erano ancora seminaristi e arriva fino al 1959, anno della morte di don Primo, per ben cinquantun anni di corrispondenza. Attorno ai due amici sacerdoti nelle lettere si animano tanti altri protagonisti come vescovi, sacerdoti, soldati e parrocchiani». Vecchio ha anche messo in risalto come dalle lettere si può vedere come «comune è il loro interesse per una Chiesa profondamente rinnovata e il loro spessore culturale. Inoltre il carteggio può essere visto sotto molti punti di vista: nella loro relazione di amici, nella spiritualità di preti, nei giudizi politici sull’Italia che cambia nei diversi decenni del Novecento».

Sono quindi intervenuti i due relatori, a partire dal professore Giovanni Vian, ordinario di Storia del Cristianesimo e delle Chiese e direttore del Dipartimento di Studi umanistici presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia, che, leggendo diversi passi delle lettere del carteggio, ha evidenziato come «i due amici si misurano con modelli e proposte di vita sacerdotali che poco a loro risultano confacenti; la critica durante gli anni del fascismo colpisce anche la deriva materialistica e areligiosa della popolazione italiana». Una lettura che è stata solo un assaggio, per ben comprendere l’intensità e l’interesse che queste lettere possono trasmettere.

Il secondo relatore, don Cristiano Passoni, assistente generale dell’Azione cattolica di Milano, ha esordito affermando che «c’è sempre un certo brivido ad accostare un carteggio, perché le lettere, soprattutto tra due amici, hanno sempre il pregio di essere molto dirette e limpide, quando si riconosce che l’amicizia dell’altro è qualcosa di vitale per comprendere sé stessi». Un punto di vista interessante e profondo che il sacerdote ha dato alle lettere presenti nel volume: «Dando una lettura spirituale, si riconosce come sia una chiave importante per leggere un carteggio come questo e comprendere queste due figure: si può rileggere dentro queste due figure il pensiero di Gesù, non qualcosa di astratto, ma come il Vangelo ha strutturato la vita di questi uomini».

Sono quindi intervenuti a conclusione i due curatori del libro. Don Bruno Bignami, postulatore della Causa di beatificazione di don Mazzolari, ha espresso il suo pensiero ritenendo che «una lettura dal punto di vista della Teologia spirituale dei lavori di Mazzolari è opportuna e questo testo è uno di quelli che mi ha mosso la curiosità profonda della conoscenza di questo prete e dei suoi passaggi di vita». Don Bignami ha voluto inoltre aggiungere che «purtroppo, le lettere di Astori sono state difficili da recuperare perché non presenti nell’archivio della Fondazione e rimane il cruccio di non essere riusciti a recuperarle tutte». Il postulatore ha anche aggiunto come questo carteggio possa far riflettere a livello più generale anche per problematiche sempre attuali: «Da queste lettere esce uno spaccato di vita di Chiesa e di vita pastorale, una ricchezza enorme con i tentativi e le fughe in avanti fatti nella vita di parrocchia e mi meravigliano sempre i commenti che si scambiano, come ad esempio nel rapporto difficile con i giovani».

Infine ha preso la parola don Umberto Zanaboni, vicepostulatore della Causa di beatificazione di don Mazzolari, che ha riflettuto su come «lavorare su questo epistolario per me è stata un’esperienza: nel contesto attuale l’amicizia tra preti è una croce, i nostri vescovi lombardi stanno spingendo per le unità pastorali e spesso noi facciamo fatica perché lavorare insieme vuol dire lasciare un po’ da parte noi stessi per andare incontro all’altro, però dall’altra parte l’amicizia tra preti è l’unica strada per vivere in questa stagione di vita della Chiesa». Don Zanaboni ha anche voluto ricordare la sua esperienza nel lavorare a questo volume: «Io e don Bruno abbiamo lavorato a questo libro durante il primo lockdown, a marzo dell’anno scorso, incontrandoci online e ci siamo fatti compagnia in questo modo, non solo lavorando sul libro ma anche scambiandoci confidenze e le difficoltà del momento: per me è stato un grande aiuto in quelle sere, alle quali noi preti di parrocchia e oratorio, con le sere solitamente sempre impegnate, non eravamo abituati ».

 

Bozzolo ricorda don Primo con una convegno e la Messa celebrata dal vescovo di Mantova