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Chiesa di casa, focus sui cattolici d’origine straniera

Nel nuovo appuntamento di Chiesa di Casa si è parlato di migranti. Hanno dialogato con Riccardo Mancabelli due ospiti: don Maurizio Ghilardi, incaricato diocesano per la Pastorale dei migranti, e Guillaume Yao, della comunità cattolica francofona di origine africana.

In particolare, don Maurizio si è soffermato sulla presenza straniera dei cattolici nella nostra diocesi: «Quella romena è la rappresentanza più datata, ma nel corso del tempo anche quella africana ha assunto numeri importanti e, per altro, si sono suddivise le comunità: quella di lingua francese e quella anglofona». Inoltre, in piccola parte, vi è la presenza di fedeli ucraini di rito greco-cattolico.

«Per diverso tempo – spiega ancora don Ghilardi – sì è cercato di accompagnare le comunità con risorse locali; finalmente siamo arrivati a presenza di due cappellani etnici dedicati a questo servizio: uno per la comunità francofona e uno per l’anglofona». Due comunità, quindi, in continuo dialogo con la realtà locale, che tuttavia dispongono di momenti dedicati, ad esempio la Messa in lingua nella chiesa del Migliaro, a Cremona.

Un’opportunità come questa non è una novità, come aggiunge l’incaricato diocesano: «Se pensiamo agli italiani all’estero, tutt’oggi c’è un cappellano cattolico che li accompagna. Ciò ha il valore di far sentire meno il distacco affettivo dalle proprie radici». Dunque, un evidente desiderio di integrarsi si fonde al bisogno di non prescindere dalla propria origine.

Origine fatta di una vivacità di spirito che queste comunità portano anche sul territorio cremonese: «Per noi la Messa è una festa, una grazia, siamo felici di andare in Chiesa», afferma Guillaume Yao.

Inevitabile domandarsi se effettivamente i migranti riescano ad inserirsi nel tessuto diocesano delle parrocchie: «Nel nostro caso è molto integrata la comunità francofona. Ma comunque, in linea di massima, queste persone frequentano la Messa della propria comunità locale» spiega don Maurizio. A tal proposito, Guillaume si è espresso sull’accoglienza delle parrocchie: «Prima abbiamo avuto difficoltà, perché non trovavamo un modo di vivere la nostra fede. Abbiamo parlato con il vescovo e adesso abbiamo iniziato a ritrovarci anche tra di noi. Per quanto riguarda l’inserimento nelle parrocchie, non abbiamo difficoltà. Io, per esempio, frequento la parrocchia di Longardore». Guillaume è anche ministro straordinario dell’Eucaristia e le sue figlie frequentano il cammino di catechesi in parrocchia.

La trasmissione si è conclusa con l’augurio che la complessità del tema non esaurisca il dialogo anche all’interno alla diocesi, affinché la Giornata del migrante e altre iniziative analoghe non siano solo brevi parentesi di ascolto e presa di coscienza.




Esperienze vocazionali, uno sguardo al futuro per giovani in ricerca

 

Nella nuova puntata di Chiesa di Casa si parla di vocazioni. A dialogare sul tema sono don Davide Schiavon, incaricato diocesano per la pastorale vocazionale e, in collegamento collegato, Matteo Villa, giovane di Cremona dell’unità pastorale di Sant’Omobono, che ha preso parte al “Gruppo Samuele”, l’iniziativa proposta dal centro vocazionale per venti-trentenni: «Una domenica al mese, un gruppo di una decina di giovani si  trovano per dedicare un pomeriggio alla loro fede, meditando sulla Parola di Dio» ha spiega don Davide «vengono guidati da un biblista e da un altro sacerdote che offre indicazioni su come attualizzare quanto ascoltato. Ci sono poi occasioni e tempo per pregare, ma anche per confrontarsi».

«Ho aderito a questa iniziativa – ha raccontato Matteo – perché considero importante l’aspetto spirituale: è bello porsi domande. Casualmente mi è stata fatta questa proposta e io non ho potuto rifiutare, perché sono sempre in ricerca. Siamo al quarto incontro: è bello essere seguiti e condividere questa cosa con persone della stessa età».

Un continuo dialogo, dunque, in cui vengono messe a tema le problematiche dell’oggi e argomenti profondi: «Ogni mese ha un tema specifico. Prendendo spunto da un brano biblico, lo si attualizza. Con aiuto dei giovani si riesce a costruire clima di ascolto e condivisione, ma ultimamente anche di amicizia» dichiara don Davide.

Rispetto alla vocazione secondo l’ottica cristiana, intasa in senso più ampio come il riconoscimento del progetto di Dio sulla vita di ciascuno, qualunque sia la strada a cui si viene chiamati, don Davide specifica: «Vanno di moda pessimismo e statistiche. Ma noi dobbiamo seminare: abbiamo il Vangelo e la Parola di Dio. Da ciò dobbiamo partire e agire. Dobbiamo partire da ciò che di buono c’è, anche nel piccolo». Una simile esperienza è  specifica, ma in generale, dice Matteo «i giovani d’oggi pensano al futuro. Anche perché senza futuro non c’è speranza. Certo, bisogna chiedersi a che tipo di futuro pensiamo. Ad oggi si è abbandonata la fede, che è essenziale. C’è una grossa difficoltà ad interagire con la propria spiritualità. La vocazione è una strada: sono passi di Gesù che ci precede e noi lo seguiamo». Secondo don Davide, «Il desiderio di verità è tratto comune a chi fa il cammino per la vocazione. Una verità per sé e per tutti».

Per i più giovani, cioè gli adolescenti, è nata l’iniziativa del “Pozzo di Giacobbe”, piccole settimane residenziali: «Esperienze in cui i ragazzi vanno a scuola al mattino e poi cenano, vivono proprio a gomito a gomito, anche pregando insieme» come spiega l’incaricato diocesano. Queste iniziative, per cui lavorano due equipe, sono complementari al ruolo della comunità, infatti: «Il Signore può far nascere ovunque delle vocazioni, ma la comunità ha un ruolo fondamentale» secondo don Davide. La trasmissione si è infine conclusa con l’invito a conoscere e far conoscere questa esperienza.




Case e ospedali come locande del buon samaritano

In occasione della Giornata mondiale del malato, la rubrica Chiesa di Casa ha visto la partecipazione di don Maurizio Lucioni, l’incaricato diocesano per la Pastorale della salute, oltre che coordinatore dell’Area pastorale “Con lo stile del Servizio”, che svolge anche l’incarico di assistente spirituale all’Ospedale di Cremona. Il dialogo in studio, guidato da Riccardo Mancabelli e che ha coinvolto anche la presidente dell’Amci (Associazione medici cattolici italiani) di Cremona, ha voluto individuare il senso di questa Giornata, dal titolo “Siate misericordiosi come il Padre Vostro è misericordioso”.

Giornata di cui quest’anno ricorrono i trent’anni dall’istituzione, voluta da Papa Giovanni Paolo II «per sensibilizzare il popolo di Dio e le molteplici istituzioni sanitarie cattoliche, e la stessa società civile, alla necessità di assicurare la migliore assistenza agli infermi». «Credo che oggi più che mai ci sia bisogno di questa attenzione – ha affermato don Lucini – per andare incontro a tutti i nostri fratelli sofferenti: non solo quelli presenti negli istituti, nelle rsa o nelle cliniche, ma anche quelli che sono nelle case».

Giornata del malato che arriva a pochi giorni di distanza dalla Giornata per la vita (sul tema “Custodire ogni vita”): «una coincidenza voluta e provvidenziale nello stesso tempo», ha detto il sacerdote, sottolineando la linea che unisce l’inizio della vita e la sua fragilità. «Solo pochi giorni fa – ha quindi ricordato – il Papa ha ribadito che ogni vita va custodita, sempre! È la risposta alla logica dello scarto». E ancora: «È proprio nelle situazioni di estrema fragilità che il nostro ascolto si fa accompagnamento e aiuto, necessari a ritrovare ragioni di vita. Riprendo ancora le parole del Papa: dobbiamo accogliere la morte, non darla!».

La dottoresa Rosalia Dellanoce, geriatra che lavora presso l’istituto Vismara De Petri di San Bassano, ha quindi portato la propria testimonianza di professionista, ma anche medico cristiano. Un tema, quello della misericordia, che ogni giorno si declina nel suo lavoro: «Il nostro lavoro – ha spiegato – è proprio quello di custodire vite fragili: quando ci viene affidato un nuovo ospite, noi cerchiamo subito di stabilire una relazione attraverso la sua famiglia». Secondo la presidentessa dell’Amci di Cremona, è dalla relazione che nasce la cura: «C’è una frase che ricorre spesso e che sempre mi colpisce; i familiari ci dicono: “Adesso è nelle vostre mani”. È una frase che emoziona tantissimo perché da una parte si vede tutto l’amore che c’è dietro e dall’altra la responsabilità che ci è affidata e che accogliamo con un certo timore di non essere all’altezza». Una responsabilità che riguarda anche la famiglia del malato: «La famiglia non delega tutto a noi: c’è una parte che rimane fondamentale nella presenza delle persone care con cui un anziano o un malato ha condiviso le tappe della sua vita». Sottolineando il verbo «custodire», la dottoressa Dellanoce ha spiegato che questo tipo di approccio «implica la capacità di riconoscere la preziosità di quanto ci viene affidato».

Una posizione che si allinea a quanto detto dal Papa: «Anche quando non è possibile guarire, sempre è possibile curare, sempre è possibile consolare, sempre è possibile far sentire una vicinanza che mostra interesse alla persona prima che alla sua patologia».

Durante la trasmissione, con il ricordo andato a quanti vivono momenti di sofferenza nelle case o nei luoghi di cura, si è parlato anche delle “locande del buon samaritano” (come le definisce il Papa nel messaggio per questa Giornata) in cui malati di ogni genere possono essere accolti e curati. «In ogni casa in cui ci si prende cura di un ammalato o di un anziano si opera questa compassione, questa misericordia. Si potrebbe dire: è ovvio che sia così! Ma non è affatto così scontato. Però è anche vero che nelle nostre comunità c’è tanto Vangelo! Magari ancora nascosto e non così visibile, perché non finisce sui giornali. Davvero ci sono tante locande della misericordia di Dio: ad esempio le rsa o le cliniche in cui ci sono operatori che svolgono il proprio servizio non semplicemente per portare a casa lo stipendio, ma come vocazione. Anche se magari non sono cristiani praticanti. L’ho sperimentato tante volte».

Don Lucini ha ricordato anche l’importanza del “ministero della consolazione”, che «esiste già da anni e timidamente nasce qua e là, anche se non è ancora entrato a pieno nell’azione pastorale della Chiesa. Questo però non vuol dire che i tanti cristiani che sono nelle nostre comunità non operino e non compiano questo servizio. Il ministro della consolazione, però, non è tanto uno che fa, o che pronuncia parole consolatorie, piuttosto dice una presenza. È una persona che si pone in ascolto delle tante fragilità che possono essere presenti nel suo territorio, ma nello stesso tempo è anche il promotore, all’interno delle comunità, di questo tipo di servizio. Il ministero della consolazione non è da delegare a qualche esperto: lo fa a nome della comunità e, contemporaneamente, ricorda a tutti gli altri cristiani il loro il loro impegno».

La dottoressa Dellanoce ha infine ricordato come quello che diversifica i medici credenti, i medici cattolici, è lo stile del servizio, in nome di una scelta di vita e di una scelta religiosa: si tratta di incarnare nella professione quelli che sono i valori del Vangelo, che sono valori talmente belli e talmente universali che li ritroviamo anche in persone e in colleghi completamente laici». In mezzo a «situazioni che ogni giorno ti interrogano», come ha aggiunto la dottoressa, si va incontro a una «bellezza molto particolare» che sostiene nel contatto quotidiano con il dolore e con la malattia; una circostanza che –assicura la dottoressa Dellanoce – facilita «l’ascolto del Vangelo, perché le persone, con i loro comportamenti, ti parlano, incarnando valori grandissimi». Un lavoro, quindi, impegnativo, ma sostenuto da una vocazione all’incontro e all’ascolto dell’altro che arricchisce «in una maniera che non avresti pensato».




«Anche nella vita più fragile c’è una promessa di bene»

 

Chiesa di Casa questa settimana ha come tema di confronto la difesa, la cura e l’accoglienza della vita. L’occasione è quella della 44ª Giornata nazionale della Vita, che quest’anno cade il 6 febbraio. A riflettere sul tema della Giornata, «Custodire ogni vita», negli studi e in collegamento con la Casa della Comunicazione, sono don Enrico Trevisi, teologo, parroco di Cristo Re, a Cremona e coordinatore dell’area pastorale «Comunità educante famiglia di famiglie», e Rosetta Besostri, vicepresidente del CAV (Centro di aiuto alla vita) di Cremona.

A partire dalla situazione attuale, segnata dalla pandemia,  in cui ciascuno ha sentito il bisogno di qualcuno che si prendesse cura, don Trevisi ha fatto notare come l’impressione di bastare a se stessi sia stata scalfita: «In ogni epoca l’uomo sperimenta la propria fragilità; certamente, la pandemia ha messo in evidenza la precarietà che ci connota. I vescovi, nel loro messaggio per la Giornata per la vita, parlano di “illusione di onnipotenza e autosufficienza”. Il Papa stesso da piazza San Pietro durante il primo lockdown ci ricordava come siamo tutti sulla stessa barca. C’è come una rinnovata consapevolezza – ha proseguito il sacerdote –: oggi, anche se qualcuno pensava di archiviarli, alcuni studi mostrano come un adolescente su quattro soffra, dal punto di vista psicologico, il perdurare della pandemia».

Dunque, si portano all’evidenza delle fragilità prima sopite o nascoste. Fra queste c’è il dato del significativo calo dei numeri dei matrimoni e delle nascite. Non solo, questa pandemia ha inasprito la povertà. «Si fa fatica a fare famiglia se non c’è sguardo positivo sul futuro – continua don Trevisi – ma “speranza” è il nome che noi cristiani diamo al futuro. Se si guarda il futuro come a qualcosa che incombe, si fa fatica. È responsabilità della politica, ma anche di ciascuna famiglia e di ogni cristiano, mostrare che abbiamo le risorse per affrontare questa crisi».

Ridare un segno positivo al futuro è proprio la sfida raccolta dal Centro di aiuto alla vita. Le motivazioni  che spingono alla scelta dolorosa di abortire sono di natura molteplice, spiega Rossella Besostri: «Problemi economici, psicologici, relazionali… spesso sono mamma e papà che invitano le figlie ad abortire o le lasciano sole nelle scelte». Dunque, il CAV non solo tenta di far fronte ad un problema economico, ma si propone nell’ascolto e nell’accompagnamento di queste situazioni complesse. «Prima avevamo sportello CAV, ma con la pandemia abbiamo dovuto abbandonarlo. Comunque, presso la nostra sede, in via Milano numero 5, a Cremona, abbiamo tutta una serie di risorse e lì si può venire per offrire un sostegno anche materiale».

Come specifica don Trevisi, in questi anni abbiamo goduto della «testimonianza di molte persone che hanno dato la vita per la cura dell’altro». D’altro canto è di stretta attualità nel dibattito politico e culturale il tema del suicidio assistito: «Il referendum – commenta il sacerdote – ci fa capire il nostro dovere di accompagnare, migliorare alcune situazioni. È vero che la vita talvolta è drammatica. Ma la migliore risposta è quella di vicinanza: anche nella vita più fragile c’è una promessa di bene».

Don Trevisi ha poi concluso richiamando l’importanza di un tema, quello della custodia della vita e della vita più fragile, che non si esaurisce con l’appuntamento annuale della Giornata per la vita, ma che riguarda le scelte e gli incontri quotidiani: «Per 365 giorni all’anno siamo chiamati ad accorgerci dei nostri vicini, dei compagni di classe, delle fatiche dell’altro».




“Beato chi ascolta la Parola di Dio”, con don Compiani a “Chiesa di Casa” i temi e il senso della Domenica della Parola

In occasione della Domenica della Parola, che la Chiesa celebra il 23 gennaio questa settimana, Chiesa di Casa ha incontrato don Maurizio Compiani, biblista cremonese e incaricato diocesano per l’apostolato biblico. Nel dialogo con Riccardo Mancabelli, don Maurizio ha introdotto il significato della «iniziativa voluta da papa Francesco nel 2019, perché tutta la comunità cristiana si concentri sul valore della Parola di Dio. Non solo catechisti, sacerdoti e coloro che direttamente hanno a che fare con il ministero della Parola – ha spiegato – ma tutti i fedeli si devono nutrire del continuo rapporto con la Parola di Dio».

“Beato chi ascolta la Parola di Dio”: questo il tema scelto per la giornata nel 2022: «Richiamando questo passaggio evangelico, il Papa ci indica che il mettere in opera la Parola di Dio è fondamentale, però

occorre stare attenti a cosa si mette in opera: ciò presuppone ascolto attento e fedele della parola, altrimenti metto in pratica le mie strategie e non mi lascio realmente nutrire dalla Parola» spiega don Compiani.

Tuttavia, si potrebbe pensare che le nostre comunità non siano sempre educate ad un ascolto sincero della Parola. Don Compiani, invece, fa notare come «il fatto che la Domenica della Parola cada in questo periodo non è casuale: stiamo vivendo la Settimana dell’unità dei cristiani ma siamo anche molto vicini alla Giornata di preghiera per il dialogo fra cattolici ed ebrei, che è stata il 17 gennaio: è come dire che stiamo facendo un cammino proprio della comunità cattolica, che pone attenzione alla Parola di Dio».

Se dal Concilio di Trento si è verificata una sorta di «disaffezione alla Parola di Dio» – ripercorre il biblista cremonese – il Concilio Vaticano II va a sottolineare il fatto che «la Parola di Dio, per la comunità cristiana, è anche nutrimento diretto». Questa familiarità con la Parola, secondo l’incaricato diocesano, è ultimamente accresciuta: «Sicuramente ci sono state una serie di iniziative per aiutare a conoscere la Parola, come gruppi biblici, gruppi di ascolto della Parola, incontri di preghiera, scuole della Parola». È anche vero, però, come specifica don Compiani, che «la familiarità non nasce in poco tempo. Fa fatica a prendere piede quando nasce da iniziative sporadiche. Ha bisogno di forme più stabili.

Lo scoglio maggiore è forse questo: riuscire a sanare la frattura fra la vita pastorale della Chiesa e la Parola di Dio».

Capita, infatti, che «la Parola sia un riferimento, ma fintanto che non siamo tenuti a fare delle scelte; quando dobbiamo scegliere, spesso ci muoviamo a partire da logiche che poco hanno a che fare con la Parola di Dio». Come l’ospite in studio specifica, «la Parola di Dio deve essere il principio vitale che va ad animare ogni aspetto della vita del credente, sia personale che comunitario. Bisogna tornarci continuamente». 

Familiarità non significa, però, cercare nella Parola le soluzioni che preferiamo, oppure, di fronte ad un brano “scomodo”, scegliere di ignorarlo. Il rischio è quello di adottare «un approccio a volte utilitaristico: vado a cercare ciò che ho già in mente. In tal caso, però, sono io che costringo la parola di Dio entro i miei pregiudizi. Oppure cerco solo la pagina che conferma le mie idee, eliminando le altre». Don Compiani ha dunque rimarcato che tale problematica è sintomo della «necessità di un rapporto continuativo».

Alla Parola bisogna accostarsi «con domande, ma in modo libero: non solo devo scrutare la Parola di Dio, ma devo permettere alla parola di scrutare me, così che mi parli in modo più ampio rispetto alle mie certezze».

Dunque, una Parola che va oltre i nostri pensieri e le nostre immagini. «La riforma liturgica va proprio in questo senso. Secondo quanto ci insegnano i Padri della Chiesa, la Parola di Dio è come una sposa per il suo sposo: cerca il suo coniuge!». Per questo è sempre più auspicabile un ascolto leale e disponibile, nella certezza che la persuasività della Parola non sia frutto di una nostra abilità o delle nostre idee, ma nel contenuto della Parola stessa.




Settimana ecumenica, don Celini a “Chiesa di Casa”: «Come i magi, insieme verso Cristo»

In occasione della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, la rubrica settimanale Chiesa di Casa ha incontrato don Federico Celini, incaricato diocesano per la Pastorale ecumenica e il dialogo interreligioso. Anzitutto, don Celini, intervistato da Riccardo Mancabelli, ha descritto questa iniziativa internazionale come otto giorni in cui gli uomini e le donne di tutto il mondo, appartenenti a diverse tradizioni e confessioni cristiane, si riuniscono spiritualmente per pregare per una sola Chiesa». Questo dunque, lo spirito dell’iniziativa di preghiera ecumenica cristiana che si celebra ogni anno tra il 18 e il 25 gennaio ed è «preceduta significativamente dalla Giornata per il Dialogo tra Cattolici ed Ebrei, il 17 di Gennaio», dice don Celini.

La proposta affonda le radici già nel Settecento-Ottocento, quando nacquero «momenti di preghiera specifici per questo». Impulso particolare questi momenti di preghiera ecumenica l’hanno avuto nel XXI secolo, «quando si è passati dalla preghiera perché si fosse ricondotti nell’alveo della chiesa di Roma, alla preghiera perché tutti i cristiani si riconoscessero nell’ultima fede in Cristo». L’incaricato diocesano ha poi citato un intervento dell’abate Couturier per il dialogo ecumenico: “Dio vorrà, con i mezzi che egli vorrà, che non si preghi per la conversione ad una chiesa, ma per la conversione a Cristo”.

Come ogni anno nell’ambito della Settimana ecumenica, la diocesi cremonese propone da tempo la Veglia per l’unità dei cristiani, quest’anno nella chiesa di Borgo Loreto: sarà giovedì 20 gennaio, alle 21,00 nella chiesa parrocchiale della Beata Vergine Lauretana e San Genesio a Cremona, alla presenza del Vescovo Mons. Antonio Napolioni, del Pastore Nicola Tedoldi della Chiesa Evangelica Metodista di Piacenza e Cremona, di Padre Doru Fuciu della Chiesa Ortodossa Rumena di Cremona. La celebrazione sarà caratterizzata, nel suo svolgimento, da momenti di chiara impronta sinodale, come ha specificato don Celini, definendola un «momento di vera fraternità».  Quest’anno, il tema della Settimana è tratto dal Vangelo di Matteo: “In oriente abbiamo visto apparire la sua stella e siamo venuti per onorarlo”. Tanti significati in una frase sintetica: «I Magi che sono il simbolo della diversità dei popoli; l’universalità della chiamata che è pure simboleggiata dalla stella; la ricerca inquieta del neonato Re da parte dei Magi, con la sete di verità, di bellezza, di bontà. Come i magi, tutti i cristiani condividono una comune ricerca di Cristo e un comune desiderio di adorarlo. In fondo è proprio questa la missione dei cristiani: chiamati ad illuminare la vita di tutto il mondo, in modo particolare in questo momento in cui tutti sono bisognosi» ha riflettuto don Celini.

Come rimarca l’enciclica “Fratelli tutti”, il dialogo ecumenico è una priorità, che si coniuga all’interno di un cammino iniziato da decenni. Così accade fra i componenti delle chiese non cattoliche e la Chiesa cattolica di Cremona, dove è in atto  «uno scambio fraterno di occasioni» che valica il limite della Settimana di preghiera. Oltre la veglia, infatti, sono già in atto altre iniziative, fra cui spicca la «lectio ecumenica con la condivisione della Parola di Dio, che si tiene una volta al mese fra protestanti, cattolici e ortodossi e condivisa da alcuni fratelli di Cremona, Crema e Piacenza. Altra iniziativa, spiega ancora l’incaricato diocesano, è «45 minuti per conoscersi»: otto Chiese ciascuna delle quali, una per mese, si presenta in modo sintetico. Il conoscere altre realtà aiuta a riscoprire se stessi: come i magi hanno offerto i loro doni; ognuno di noi «offre il dono della propria identità, che è per tutti» dichiara don Celini. Così, i pregiudizi cadono, poiché «il dono della comune fede arricchisce chiunque e fa rinvigorire il proprio cammino e le proprie speranze».

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Paritarie e ora di religione, la presenza cristiana nella scuola mette al centro «il cuore dello studente»

 

Nell’incontro settimanale di Chiesa di Casa, che racconta la pastorale della Chiesa cremonese, il tema è stato la scuola. Riccardo Mancabelli ha dialogato in studio con tre protagonisti della realtà scolastica: don Giovanni Tonani, incaricato diocesano per la pastorale scolastica e l’insegnamento della religione cattolica; Roberta Balzarini, preside della Società cooperativa Cittanova che gestisce scuole paritarie di ispirazione cattolica di diverso grado, dall’infanzia alle superiori; Filippo Biaggi, professore di Religione presso l’ITIS di Cremona e il Liceo Manin.
Il fulcro del dialogo ha riguardato lo stile di insegnamento comune alle scuole paritarie di ispirazione cattolica e agli insegnanti di religione. Il punto di partenza imprescindibile, come spiega don Tonani, «è l’attenzione ai protagonisti della scuola che sono i ragazzi» e non solo «all’aspetto burocratico o le metodologie». Proprio questa la specificità delle scuole della Cooperativa Cittanova, dall’infanzia alle superiori, la cui identità si declina in «obiettivi comuni, nonostante le varie sedi» come dichiara la preside Balzarini, che aggiunge: «Questo significa avere quell’attenzione agli studenti, ai bambini, alle famiglie, che si calibra con modalità differenti per camminare insieme a partire dall’affidamento a Cristo».
La proposta, ispirata così ad un cammino di fede condiviso, guarda soprattutto alla crescita e all’unicità dello studente «ma con la collaborazione e un grande dialogo fra genitori e docenti». Tale sinergia si concretizza, ad esempio, nella presenza di insegnanti di sostegno, sfida determinante per le scuole paritarie in genere. Tuttavia, non solo alunni con fragilità certificata, ma ciascuno studente viene condotto attraverso i propri limiti e fatiche, alla scoperta dei propri talenti, ma anche delle criticità dell’oggi. Perciò, come prosegue la preside: «La scuola dev’essere nel territorio e nel qui e ora del tempo. Non esistono roccaforti, non esistono elementi immuni da quello che è il tempo di oggi. La sfida è dare i ragazzi gli strumenti per vivere la realtà in cui sono inseriti». In questo modo gli studenti sono educati anche a partire dalle sfide della società, non ultima «la complessità del sistema famigliare odierno», rispondendo con una progettualità e con senso critico.
Rispetto all’inserimento e al ruolo specifico della scuola paritaria all’interno del sistema scolastico nazionale, don Tonani spiega che si tratta sì di una parità effettiva «ma c’è bisogno di fare ancora dei passi a livello politico».

Guardando poi alla presenza cattolica nella scuola statale, un professore di religione può dare la propria testimonianza, come racconta il prof. Filippo Biaggi: «Dal punto di vista del metodo, secondo me, occorre partire dal senso religioso, dalle domande di senso che costituiscono l’essere umano e il suo profondo bisogno di felicità. E questo è trasversale, ha un valore per tutti: non solo per chi ha una fede strutturata, cattolici e non, ma anche per chi si dichiara ateo. Per quanto riguarda i contenuti della fede, che sono altrettanto importanti, non sono posti in modo direttivo, ma c’è costantemente un dialogo con gli studenti. La cosa più importante è non affidarsi all’esito, cioè pensare che il nostro insegnamento porti lo studente a credere. Questo è liberante e lascia aperto il dialogo».

Come ha precisato don Tonani, è auspicabile una scelta libera e consapevole da parte di famiglia e studente, sia nel caso della scuola paritaria, sia nel caso dell’ora di religione. «Si vede ancora di più nella scelta dell’ora di religione, quanto conti il ruolo dell’insegnante e il rapporto che si crea con lo studente» dichiara il professor Biaggi, chiarendo che non sempre la scelta è totalmente consapevole «ma le famiglie apprezzano molto il racconto fatto a casa dai ragazzi» e alle udienze spesso c’è molta affluenza.
Per quanto riguarda proprio quest’ora di religione, che è facoltativa per gli studenti e «non ha peso dal punto di vista del profitto» dice don Tonani «per ora non ci sono grandi cambiamenti normativi. Però, è necessario recuperare il rapporto con gli studenti, con le famiglie, essere capaci di una certa autorevolezza dentro la scuola. L’ora di religione guarda al cuore dell’alunno e a come questo si pone nella scuola. Perciò, anche l’Ufficio diocesano cerca di formare i docenti sia dal punto di vista pedagogico, ma anche spirituale e teologico. Il problema futuro, soprattutto per le scuole statali, sarà il concorso. Tuttavia, bisogna capire qual è l’indirizzo che la conferenza episcopale darà assieme al Ministero dell’Istruzione».
Il dialogo si è concluso con l’augurio da parte degli ospiti, anzitutto agli studenti, ma anche a famiglie e professori, di concorrere insieme all’uscita da questa situazione pandemica, ma anche di fare scelte consapevoli riguardo alle proprie passioni, come per i ragazzi che si accingono alla scelta della scuola superiori; infine, anche di trovare una scuola dove stare bene e dove si mantenga vivo il desiderio di conoscere e conoscersi.




Dalle meraviglie del territorio a Lourdes. L’impegno di Ufficio Pellegrinaggi e Profilotours tra cultura e spiritualità

A pochi giorni dall’annuncio del pellegrinaggio diocesano a Lourdes che sarà guidato dal Vescovo nel prossimo mese di aprile, “Chiesa di Casa” questa settimana ha incontrato in studio don Roberto Rota, incaricato diocesano per la pastorale del tempo libero e dei pellegrinaggi, oltre che presidente dell’agenzia turistica Profilotours, insieme a Osvaldo Bonfanti, membro del consiglio di amministrazione dell’agenzia turistica diocesana. Il dialogo, condotto da Riccardo Mancabelli, ha avuto inizio con la spiegazione, da parte di don Rota, della proposta diocesana che – pur nella consapevolezza dei condizionamenti legati all’andamento della pandemia – rappresenta un segnale della volontà di ripartenza di un settore tra i più penalizzati in questa congiuntura storica: «Dall’autunno scorso si sono ripresi i pellegrinaggi a Lourdes, proponiamo anche noi per tre giorni un’esperienza di pellegrinaggio, dal 25 al 27 aprile». L’incaricato diocesano ha spiegato come il pellegrinaggio sia un «mettersi in viaggio, lasciare da parte le proprie sicurezze e abitudini, mettersi in discussione dal punto di vista della della fede». In particolare, rispetto a Lourdes «la meta è in se stessa significativa, perché richiama quel valore di relazione con Dio che Maria media e prende per mano». Inoltre, Lourdes richiama anche «la fragilità umana, nel senso del Mistero che è la vita dell’uomo in rapporto con Dio».

La Profilotours torna così in prima linea, non solo come supporto all’ufficio pellegrinaggi, ma anche nell’organizzazione «viaggi culturali», come chiarisce Osvaldo Bonfanti: «C’è uno zoccolo duro che elabora proposte. Prima sono state fatte proposte nell’ambito europeo, poi abbiamo allargato lo sguardo». L’obiettivo è quello di proporre mete che tengano presenti le esigenze e le curiosità di tutti, senza dividere nettamente l’idea del viaggio da uno sguardo religioso. Così afferma don Rota, sottolineando che il titolo del programma di viaggi della Profilotours è «Orizzonti di fede», proprio perché si cerca di guardare agli aspetti culturali con l’occhio della fede.

Durante questo periodo, particolarmente difficoltoso a causa della pandemia, sono stati proposti viaggio particolari, seppur a minore distanza, ad esempio: «Valencia e la Tuscia; poi abbiamo proposto altre cose in giornata, soprattutto verso il Veneto».

In attesa dunque di tornare a viaggiare sulle grandi distanze, anche l’agenzia turistica diocesana ha riscoperto il valore di un turismo di prossimità, del contatto con i territori, della ricerca del bello che ci sta accanto. E non è dunque casuale che proprio l’agenzia  sia oggi anche protagonista attiva della nuova sfida culturale e turistica del Polo culturale ed ecclesiale, che comprende Cattedrale, Battistero, Museo verticale del Torrazzo e – dallo scorso novembre – il Museo Diocesano, dove la stessa Profilotours ha la sua nuova sede. «È necessario – riflette don Roberto Rota – ribadire che per chi ha bisogno questa agenzia c’è», spiega don Rota e la Profilotours si rende disponibile per la valorizzazione del territorio, con la proposta di percorsi e pacchetti che valorizzino certamente il cuore culturale della Diocesi in città, ma anche le meraviglie sul territorio, come Sabbioneta o Soncino. L’agenzia turistica diocesana e l’Ufficio pellegrinaggi diventano così generatori di opportunità di conoscenza e di approfondimento spirituale per parrocchie, associazioni e gruppi: «I destinatari provengono da realtà territoriali anche ai margini della città, ma che sanno di poter trovare la possibilità di giocare il proprio desiderio e la propria curiosità» continua l’incaricato diocesano. Anche nei prossimi mesi, pur rimanendo limitata la programmazione organica, si propongono mete interessanti, sia per viaggiatori che per pellegrini: dalla Giordania, a Napoli, fino ad una Sardegna insolita e alla Polonia di Giovanni Paolo II.




Il Vescovo nel giorno di Natale: «Cominciamo dal Bambino a ricostruire un mondo più umano»

«A chi è stato dato molto, molto verrà chiesto. Credo che a noiitaliani, anzi, noi cremonesi verrà chiesto conto di come avremo goduto di tanta arte, nella vita. Ci abbiamo fatto l’abitudine, forse, a questo scrigno: la cattedrale, le altre chiese, le pitture, le sculture» Inizia guardando all’arte l’omelia che il vescovoAntonio Napolioni ha proposto durante la Messa nella solennità del Santo Natale, presieduta nella mattinata di sabato 25 dicembre in Cattedrale, alla presenza dei fedeli e dei Canonici del Capitolo della Cattedrale.

Rischiamo di guardarle solo dal punto di vista storico, artistico, o culturale, queste opere d’arte; il Vescovo ricorda che, invece, «non stanno davanti a noi per distrarci, ma per generare una contemplazione, uno stupore, una gioia profonda, una commozione». Riferendosi ad una sua recente visita al nuovo Museo diocesano di Cremona, insieme ad una scolaresca, mons.Napolioni spiega che la cosa che più attirava i ragazzi «Era il divano. Ci si fiondavano. Forse anche noi abbiamo la “divanite” acuta, magari giustificata dalla paura del contagio. Ma non basta. Abbiamo fame e sete di bellezza incarnata. Potremmo essere anche oggi passivi ascoltatori del discorso di Natale. Dobbiamo avere delle domande davanti a qualcosa che stride». Prendendo, poi, come spunto l’Annunciazione del Boccaccino, esposta al museo diocesano, continua: «Perché Maria non guarda l’angelo che Le sta portando l’Annuncio? È distratta? Non le interessa? Ha paura? Non se ne accorge? Oppure, è tutta presa da ciò che si sta realizzando in lei!». Il paragone con un presepio conservato in una teca del museo offre al Vescovo lo spunto per continuare la sua riflessione: «Il Verbo si è fatto carne. Carne di tutti. Carne umana. Perché non vedere in quel Bambino la sacralità della vita? – e continua – Quel bambino, quel grumo di cellule, quegli occhietti, quel bisogno di nutrimento e calore, quella solitudine è impronta della Sostanza e tutto sostiene con la Sua Parola potente. Vogliamo ricominciare da lui a ricostruire un mondo umano? Ci è dato questo giorno per avere un sussulto di verità nei nostri pensieri e nei nostri sentimenti! Concludo dicendovi che quella teca viene voglia di romperla, prendere in braccio il Bambino, di stringerlo, coprirlo, scaldarlo. Ma il problema non è quella teca di vetro: il problema sono le teche della nostra indifferenza, in cui noi costringiamo pezzi della nostra umanità, cassetti che non vogliamo riaprire, scheletri nell’armadio, conti in sospeso con parenti e amici». Infine, il vescovo Antonio ha concluso la predica rimarcando che: «Il Bambino che rinasce vuol far rinascere anche noi. La morte non ci farà paura se guarderemo il mondo, noi stessi e gli altri nella luce del Nascente».

La celebrazione, animata dal Coro della Cattedrale, dall’organo e dal suono solenne della tromba, si è conclusa con la concessione dell’indulgenza plenaria e, infine, con l’augurio di mons. Napolioni «di dar vita a ciò che abbiamo ricevuto». Un augurio speciale è stato rivolto a seminaristi e fidanzati, «per questi doni che il Signore fa alla comunità attraverso i “sì” dei nostri giovani».

 

Il vescovo nella notte di Natale: «Sono stato testimone del Nascente in una mappa di luoghi delicati ma traboccanti di speranza»




A “Chiesa di casa” l’anno della famiglia, uno stile che rinnova la comunità


In occasione della festa liturgica della Sacra Famiglia, che la Chiesa celebra il 26 dicembre, nella puntata di questa settimana della rubrica di approfondimento pastorale “Chiesa di Casa” si parla di famiglia. E una famiglia è quella degli ospiti in studio: i coniugi Dainesi,  Maria Grazia e Roberto, incaricati diocesani per la pastorale famigliare.

Il dialogo, condotto da Riccardo Mancabelli, ha rimarcato l’importanza che il Papa, così come la diocesi cremonese, attribuiscono al tema della famiglia. Infatti, dopo un anno dedicato a San Giuseppe, ci troviamo ancora immersi in quello dedicato alla famiglia Amoris Laetitia.

I due ospiti in studio hanno sottolineato come questa attenzione del Papa risulti preziosa, specialmente dopo una fase come quella del lockdown, nella quale è emerso, come ha osservato Roberto, che «La famiglia è un’opportunità, non un problema». Maria Grazia ha poi specificato che il tema la famiglia, a volte, è talmente basilare che passa inosservato, tuttavia – ha aggiunto –  «il covid ha già riacceso riflettori sull’argomento: quante cose non avremmo potuto fare se non ci fossero state le famiglie!».

I due incaricati diocesani per la pastorale famigliare hanno poi raccontato come si è declinato l’anno a livello territoriale, tra le comunità della Chiesa cremonese: «Con la commissione per la pastorale famigliare abbiamo fissato una serie di appuntamenti, fra cui la Giornata delle famiglie a gennaio», senza dimenticare quanto richiesto da papa Franceso, cioè che anche la Giornata Mondiale delle Famiglie, in programma a giungo 2022, sia vissuta nel territorio.

All’interno della nostra diocesi, inoltre, è lo stesso vescovo Napolioni a ricordare cche lo «stile famigliare» offra un modello nuovo di relazione per tutti i settori e le attività della pastorale diocesana. Ciò significa, come spiega Roberto:  «Pazienza, cura, esserci in modo costante» ma vuol dire anche, come continua Maria Grazia «dialogo, che nella famiglia siamo quasi più “forzati” a vivere». L’auspicio è quello che la diocesi guardi a questo stile, affinché esso possa plasmare il futuro della Chiesa.

A tal proposito, anche l’ultima lettera pastorale del Vescovo, “Ospitali e pellegrini. Sulle orme di San Facio”, invita sacerdoti e sposi ad una nuova alleanza e, come commenta Maria Grazia «questo si può giocare a vari livelli: può voler dire che le varie ministerialità devono collaborare, ma anche che devono riconoscere l’una il valore dell’altra».

Quindi, la famiglia come dimensione sempre più attiva e protagonista nella vita delle comunità cristiane, ma che richiede anche di essere rispettata, nei suoi tempi. Roberto e Maria Grazia mettono in evidenza la necessità di proposte che tengano conto dei bisogni della famiglia d’oggi «il lavoro e le varie attività le portano a stare poco insieme». In relazione a ciò, anche l’importanza di iniziative che siano leggere, comunitarie, così che più famiglie possano essere insieme: «I legami e la sana amicizia sono fondamentali» specifica Maria Grazia.

E questo aspetto è già stato osservato, tramite la proposta delle due esperienze a Tonfano e Folgaria: tre fine settimana dedicati alla famiglia e, in particolare, alle coppie. Il primo fine settimana, già svoltosi, con le coppie che accompagnano i corsi in preparazione al matrimonio; il secondo (dal 21 al 23 gennaio) proporrà un’esperienza spiritualità rivolto a tutte le coppie; il terzo riguarderà nello specifico coppie con bambini da zero a sei anni.

Tutte le iniziative le attenzioni dedicate a questo tema, mostrano la crescente consapevolezza che la famiglia è una risorsa. Questo è già un tassello imprescindibile di un cammino, che però deve continuare: «Poi ci “aggiustiamo” cammin facendo» ha sorriso con ottimismo Roberto.

Infine, anche il periodo di Avvento che ci conduce al Natale si rivela imprescindibile per le nostre famiglie, come chiarisce Roberto: «La Sacra Famiglia è una famiglia concreta che si collega alle bellezze e alle difficoltà delle nostre famiglie. Amoris Laetitia e quest’anno, in particolare, ci stimolano a tenere presenti questi temi». Una famiglia come le altre, ma speciale, che ricorda, come conclude Maria Grazia: «Ogni famiglia può essere luce per il mondo anche la più disastrata, per la sua capacità di amare».