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“Coperte per senza fissa dimora”, anche a Cremona l’iniziativa solidale con Comune, Caritas e San Vincenzo

 

Aiuto e supporto alle persone più fragili. Un’esigenza sempre attuale a cui prova a dare una risposta concreta l’iniziativa “Coperte per senza fissa dimora”, proposta anche a Cremona con la conferenza stampa di presentazione avvenuta nella mattinata di martedì 10 ottobre, a Cremona, presso la Sala eventi di Spazio Comune. Il progetto è promosso da Sheep Italia, che realizza ogni anno coperte da donare alle persone che d’inverno sono costrette a vivere e a dormire all’aperto.

All’insegna della collaborazione in modo strutturato con la Caritas Cremonese per il servizio del Centro di prima accoglienza e asilo notturno, nonché con le Cucine benefiche della società San Vincenzo de Paoli di Cremona, che, oltre all’accoglienza, donano coperte, vestiti e beni di necessità a senza fissa dimora e a persone che vivono in situazione di grave marginalità, il Comune di Cremona ha deciso di proporre tale iniziativa anche in città.

A fare gli onori di casa è stata Rosita Viola, assessore comunale alle Politiche sociali e Fragilità, affiancata da Massimo Fertonani, presidente della San Vincenzo de’ Paoli, e Alessio Antonioli, membro della commissione di Caritas Cremonese. «Ci sembrava una bella iniziativa per distribuite coperte a chi ne ha bisogno, non solo a Cremona, ma anche su tutto il territorio nazionale», ha spiegato l’assessore, specificando che l’avvio delle spedizioni, e quindi la concretizzazione del progetto, è prevista per il prossimo 15 novembre. «Chiediamo quindi a tutti un aiuto per realizzare queste coperte». L’assessore Viola ha inoltre lanciato un appello di sensibilizzazione ai presenti, sollecitando i mezzi di comunicazione locale «a diffondere questa iniziativa per arrivare quanto più possibile ai nostri cittadini».

L’adesione a questa proposta è stata resa possibile dal sostegno dei due enti benefici diocesani, che contribuiscono, sul territorio cremonese, nella quotidiana “lotta alla povertà”. «Caritas mette a disposizione il rifugio notturno, aperto 365 giorni all’anno, non più solo per l’emergenza freddo – ha sottolineato Alessio Antonioli –. Abbiamo dieci posti, più uno in caso di emergenza, dedicati a persone senza fissa dimora. Accogliamo con storie diverse, sia cittadini italiani che stranieri, con vissuti complessi e che si trovano di fronte a situazioni di difficoltà dovute appunto alla mancanza di una casa». Il rifugio ospita dunque chiunque ne abbia bisogno, chi per pochi giorni e chi, come in alcuni casi, ne necessiti per un periodo più lungo.

Un impegno solidale che attraverso una rete consolidata di volontari nelle parrocchie sul territorio diocesano è rappresentato anche dalla San Vincenzo de’ Paoli, società caritativa che a Cremona si occupa delle mense per i poveri attraverso le Cucine benefiche, che offrono pasti gratuiti a chiunque li richiedano. «Li richiedono uomini, donne, italiani, stranieri, anziani, a volte anche persone giovani e, ultimamente, anche persone sole che gradiscono consumare il loro pasto insieme ad altre persone – ha voluto specificare il presidente Fertonani –. Un’occasione di conoscenza che può magari trasformarsi in opportunità per prestare vicinanza e aiuto». Un’opera di vicinanza alle persone fragili che non si concretizza solamente attraverso le mense. La San Vincenzo, infatti, dona settimanalmente pacchi alimentari alle famiglie in difficoltà, che sono, negli ultimi mesi, aumentate. I pacchi spediti ogni settimana sono infatti passati da 70 a 80/85: un incremento che si è verificato di pari passo con l’aumento delle presenze presso le Cucine benefiche, che hanno registrato nelle ultime settimane, fino a 45 pasti donati al giorno, in media dieci in più rispetto ai mesi scorsi.

«Abbiamo accolto in maniera molto positiva questa iniziativa – ha aggiunto Fertonani –. Queste coperte sono belle, fatte bene, pensate, di buona qualità. Hanno una valore ovviamente materiale, ma anche un valore simbolico. È un gesto buono e fatto bene – ha concluso –. E quando il bene è fatto bene, è più bello sia per chi lo fa sia per chi lo riceve».




Per i seminaristi cremonesi il nuovo anno accademico è iniziato presso lo Studio teologico Paolo VI di Brescia

 

L’anno pastorale è iniziato con una significativa novità per la comunità del Seminario di Cremona: il percorso di formazione teologica, infatti, si trasferisce a Brescia, presso lo Studio teologico Paolo VI di via Bollani, affiliato alla Facoltà teologica dell’Italia settentrionale. Il nuovo percorso è stato inaugurato ufficialmente lunedì 9 ottobre con la cerimonia di avvio dell’anno accademico caratterizzata dalla prolusione proprio del preside della Facoltà teologica dell’Italia settentrionale, don Massimo Epis.

«Dobbiamo leggere questo sodalizio come un segno di comunione», ha detto il vescovo di Brescia Pierantonio Tremolada, presente insieme al vescovo di Cremona Antonio Napolioni. In sala i seminaristi di Cremona insieme ai nuovi compagni di studi bresciani, con i rettori dei due Seminari, don Marco D’Agostino e don Sergio Passeri. E naturalmente gli insegnanti (carmelitani e laici, e ora anche cinque preti cremonesi) con don Mario Zani, direttore dello Studio teologico Paolo VI, che ha ricordato come «la recente normativa canonica ha richiesto un processo di adeguamento dei vari enti accademici: dai maggiori, come le Università e le Facoltà ecclesiastiche, ai minori, come lo Studio teologico di Brescia, che è un Istituto teologico affiliato (Ita) alla Facoltà teologica dell’Italia settentrionale (Ftis)».

«Sembrerebbe banale e scontato dire che siamo arrivati a questo punto solo per ridurre i centri di studio e riproporzionarli rispetto ai numeri attuali – ha spiegato a margine dell’evento il vescovo di Cremona Antonio Napolioni –. Credo invece che debba e possa significare una progettualità più adeguata ai cammini delle nostre Chiese, aprendoci non solo tra Diocesi vicine, ma a tutta la realtà».

La novità non è, infatti, solo cremonese: dall’anno accademico 2023/24, lo Studio teologico Paolo VI del Seminario di Brescia, finora riservato solo alla formazione dei futuri presbiteri, apre le porte, oltre che ai seminaristi cremonesi, ai laici che intendono maturare una conoscenza completa e organica della Teologia.

 

 

«Il Signore dona le vocazioni nel profondo del cuore di giovani e adulti, di persone in ricerca, che condividono quella sana inquietudine per i valori della vita, per l’incontro con Dio e con i fratelli. Ciò che il Papa vorrebbe come caratteristica della Chiesa stessa – ha sottolineato ancora il vescovo Napolioni –. Quindi una Chiesa non che si intristisce semplicemente perché non ha più i numeri del passato. Tolta questa patologia dal nostro cuore, dobbiamo vedere ogni persona come soggetto protagonista di un’avventura umana e cristiana in cui ogni vocazione ha senso, tutte le vocazioni hanno uguale dignità: ogni vocazione ha bisogno l’una delle altre».

Un processo di adeguamento dei vari enti accademici ecclesiastici è stato richiesto dalla recente normativa canonica: dalla Costituzione apostolica di Papa Francesco Veritatis gaudium circa le Università e le Facoltà ecclesiastiche, pubblicata a inizio 2018, fino all’Istruzione sull’affiliazione di Istituti di studi superiori, emanata a fine 2020 dall’allora Congregazione per l’educazione cattolica. Così, dopo vari scenari esplorati, è stata delineata una nuova prospettiva anche per le diocesi lombarde, con il fulcro costituito dalla Facoltà teologica dell’Italia settentrionale, con sede centrale a Milano, alla quale i vari istituti lombardi sono legati o affiliati. Lo Studio teologico di Como è confluito nella Sezione parallela del Seminario di Venegono; gli Studi teologici riuniti con sede a Lodi (e su cui gravitano Crema, Lodi, Pavia, Vigevano) con quello di Bergamo, Mantova ha istituito un sodalizio con Verona, mentre Cremona ha iniziato la collaborazione con Brescia attraverso lo Studio teologico Paolo VI.

L’istituto teologico di Brescia conta quest’anno una sessantina di iscritti: 8 gli studenti del biennio del nuovo ordinamento, altri 35 studenti del triennio e del sesto anno del vecchio ordinamento (ora per il conseguimento del grado accademico di baccalaureato in Teologia sono previsti cinque anni, rispetto ai sei precedenti). Si aggiungono poi 16 uditori.

I seminaristi cremonesi non condividono il percorso di studio solo con i seminaristi di Brescia: al Paolo VI sono presenti anche studenti di diversi istituti religiosi, oltre ad alcuni laici che intendono approfondire le tematiche teologiche.

La comunità del Seminario di Cremona conta, oltre ai due diaconi che a giugno saranno ordinati sacerdoti, otto studenti di Teologia: uno solo è iscritto al biennio, tutti gli altri frequentano le lezioni del triennio. Completa il quadro della comunità di via Milano 5 l’équipe formativa composta del rettore don Marco D’Agostino, dal direttore spirituale don Maurizio Lucini, dai coniugi Betti e Giuseppe Ruggeri e dagli animatori don Francesco Fontana, incaricato diocesano per la pastorale giovanile e vocazionale, e don Matteo Bottesini, segretario e cerimoniere vescovile responsabile anche del Segretariato pellegrinaggi.

Il trasferimento delle lezioni da Lodi a Brescia non è, però, l’unica novità per i seminaristi cremonesi. «Si stanno studiando anche forme di rinnovamento della proposta teologica che vedono coinvolti insieme laici e futuri sacerdoti, le varie vocazioni insomma, con un’aderenza alla realtà di cui abbiamo bisogno – prosegue il vescovo –. Quindi non una Teologia chiusa nel segreto dei luoghi di formazione, ma in dialogo con tutte le voci della comunità e che rende capaci di un annuncio del Vangelo più incarnato. Questo è ciò che mi auguro da questa bella collaborazione con una Diocesi che per tanti versi assomiglia al nostro contesto pur essendo più grande». «Cremona – ha osservato il vescovo di Cremona Antonio Napolioni – non si unisce a Brescia per simpatia, ma per un cammino ecclesiale che impone delle scelte. Abbiamo cercato il bene comune per le nostre Chiese. Oggi abbiamo bisogno di una teologia che impatti in modo fecondo con la vita. Abbiamo bisogno di un cristianesimo integrale che rifugga da ogni integralismo. Abbiamo bisogno di una sinfonia, della verità e della bellezza, suonata da tutti i ministeri».

«Questa collaborazione è stata accolta positivamente dai seminaristi e dalla Diocesi – ci ha spiegato don Francesco Cortellini, incaricato diocesano per i rapporti con l’Istituto Paolo VI di Brescia, dove è entrato a far parte del gruppo docenti –. Da quest’anno ci troviamo dunque a collaborare con un istituto che vanta una lunga tradizione e che ha dato la disponibilità ad aprire le sue porte ai giovani della nostra Diocesi che compiono il loro cammino di formazione teologica e discernimento vocazionale».

Una novità che, naturalmente, comporta un necessario adattamento per chi ha già iniziato la formazione e sino alla scorsa estate ha studiato a Lodi insieme ai Seminari di Lodi, Crema, Pavia e Vigevano. «I nostri seminaristi – ha proseguito don Cortellini – erano ormai abituati da diversi anni a vivere da pendolari, spostandosi per lo studio da Cremona a Lodi. Ora è cambiato il luogo delle lezioni, ma sostanzialmente non è mutato il loro stile di vita, che continuerà a vederli pendolari per quattro giorni alla settimana. Certamente ci sono alcune variazioni, a partire dagli orari che scandiscono le giornate per agevolare ulteriormente gli spostamenti. Ma la novità più significativa è che dovranno recuperare alcuni corsi che restavano in sospeso nel curriculum di studi a Lodi. Questo comporta che, per i primi due anni, alle lezioni ordinarie si debbano aggiungere ulteriori corsi fuori orario».




Domenica pomeriggio l’ingresso di don Alfredo Valsecchi a Cavatigozzi

Domenica 8 ottobre a Cremona don Alfredo Valsecchi farà il suo ingresso come nuovo parroco della parrocchia di Santa Maria Maddalena, a Cavatigozzi. La Messa di insediamento, in programma alle 15.30, sarà presieduta dal vescovo Antonio Napolioni.

Don Valsecchi, prima della celebrazione, sarà accolto sul sagrato della chiesa da un rappresentante dell’Amministrazione comunale di Cremona che porgerà il primo saluto al nuovo parroco. La Messa si svolgerà poi secondo il tradizionale rito di insediamento, con la lettura del decreto di nomina, il saluto da parte del consiglio pastorale parrocchiale e il credo professato dal sacerdote. Dopo la celebrazione, la comunità di Cavatigozzi si ritroverà in oratorio per il rinfresco, un’occasione per cominciare a conoscere personalmente il nuovo parroco.

In preparazione all’ingresso di don Valsecchi, la comunità di Santa Maria Maddalena ha programmato una veglia di preghiera nella serata di giovedì 5 ottobre, alle 20.45, nella chiesa parrocchiale,guidata dal vicario zonale della zona pastorale 3, don Pietro Samarini.

 

Biografia del nuovo parroco

Classe 1963, originario di Vailate, don Alfredo Valsecchi è stato ordinato sacerdote il 18 giugno 1988. È stato vicario nelle parrocchie “S. Leonardo” in Casalmaggiore (1988-1995) e “S. Maria Immacolata e S. Zeno” in Cassano d’Adda (1995-2002). Successivamente è stato parroco di Casteldidone, San Giovanni in Croce, San Lorenzo Aroldo, Solarolo Rainerio e Voltido. Dal 2013 era parroco di Pieve San Giacomo. A Cavatigozzi prede il testimone da don Gianfranco Vitali, trasferito nell’unità pastorale “Mons. Angelo Frosi” formata dalle parrocchie di Cornaleto, Formigara, Gombito, San Bassano, San Latino e Santa Maria dei Sabbioni.

 

Il saluto del sacerdote alla nuova parrocchia

“Siete già la mia famiglia”

Carissimi parrocchiani di Cavatigozzi, quando il vescovo Antonio mi ha comunicato la mia nomina a vostro parroco, sono stati molti e confusi i sentimenti che ho provato. Su tutti, però, è prevalso quello della più sentita gioia di poter iniziare il mio nuovo ministero sacerdotale con voi. Vi assicuro che ho sentito subito voi come miei fratelli e sorelle, come famiglia in cui vivere tutto il tempo che il Signore mi vorrà concedere qui ed ora. Vorrei conoscervi già ad uno ad uno, piccoli e grandi, vicini e lontani, con le vostre storie umane e spirituali, per condividere con
ciascuno le gioie e le fatiche di questo cammino comune. So che mi occorrerà un pò di tempo e tanto impegno per diventare parte di questa famiglia: vi chiedo tanta pazienza.

Saluto con grande simpatia e stima i collaboratori parrocchiali, le famiglie, gli anziani, gli ammalati. Un caro saluto ai ragazzi e ai giovani della Parrocchia e dell’Oratorio nell’attesa di cominciare a lavorare insieme. L’oratorio deve diventare il centro di educazione alla vita e alla fede delle nuove generazioni.

Un affettuoso saluto anche al mio predecessore, don Franco, con tanta stima e tanta riconoscenza per il paziente lavoro svolto in questi venti anni con voi. Affido a Cristo Buon Pastore il mio nuovo ministero nella certezza che “se il Signore non costruisce la casa, invano faticano i costruttori”.

Invoco dal Signore la benedizione su ciascuno e sul cammino che insieme percorreremo. Un caro ricordo nella preghiera di tutti i giorni.

Arrivederci a presto.

Don Alfredo

 

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Il valore dell’accoglienza tra carità e “buonismo”. Dialogo a Chiesa di Casa

 

“Accoglienza. Tra carità e buonismo”. È questo il titolo dell’ultima puntata di Chiesa di Casa, il talk di approfondimento diocesano a cui hanno preso parte don Maurizio Ghilardi, incaricato diocesano Migrantes e Giusi Biaggi, presidente del consorzio nazionale CGM e della cooperativa “Nazareth”, ente cremonese che si occupa dei minori stranieri non accompagnati. Uno sguardo dunque ai «più piccoli», non solo anagraficamente, costretti a fuggire e a cercare, oltremare e oltre i confini, qualche segno di pace, di fratellanza, di vita dignitosa, che nei loro Paesi non riescono più a trovare.

«I piccoli sono coloro che non hanno voce in capitolo; i piccoli sono coloro che devono pagare i prezzi elevatissimi di scente fatti grandi; i piccoli sono coloro che partono dai loro paesi necessariamente perché creiamo condizioni tali per cui non si può più aiutarli a casa loro, visto che non lo facciamo» sottolinea don Maurizio Ghilardi. «I piccoli sono coloro che nella Chiesa ovviamente devono avere il massimo dell’attenzione. E non sono sempre soltanto i minori, cioè i piccoli – nel senso anagrafico del termine – che partono, sono anche i rappresentanti di famiglie intere che, economicamente parlando, non possono permettersi di partire e, dunque, cercano di spingere almeno un rappresentante, perché almeno lui o lei si salvi da situazioni ormai al limite della sopravvivenza».

Ma se per parlare di piccoli l’attenzione volge inevitabilmente sui minori, ecco che anche le associazioni, gli enti, le cooperative dedicate entrano in gioco. Ed è questo, ad esempio, il caso della cooperativa “Nazareth”, che opera in questo campo da più di vent’anni. «I ragazzi che arrivano sono ragazzi carichi di responsabilità, mandati con la missione di poter avere un percorso di successo in Europa che consenta un sostegno alla famiglia d’origine», spiega Giusi Biaggi. E prosegue: «Il legame tra questi ragazzi e la comunità di origine è dunque fortissimo, tanto da essere un elemento che crea addirittura un appesantimento nel percorso».

 

 

Sarebbe alquanto scontato e ridondante sottolineare ancora una volta quanto questo cammino migratorio sia difficoltoso per coloro che partono in cerca di rinascita. Una difficoltà che però – e forse passa inosservata – viene aggravata anche da una sorta di confusione comunicativa. «Un conto sono le narrazioni che abbiamo noi e che produciamo noi sul nostro territorio, e un conto sono le informazioni che ricevono questi ragazzi dai loro mezzi di comunicazione e conoscenza – evidenzia don Ghilardi –. Questo genera il pensiero di poter entrare in Europa in maniera piuttosto libera e tranquilla, e invece c’è una Comunità europea che si trova, al suo interno, totalmente divisa, ancora una volta su delle tematiche fondamentali, dimenticando che c’è un continente europeo con delle grosse responsabilità nei confronti di altri continenti».

Un appello che si trasforma in testimonianza. Testimonianza di un’attività di accoglienza che richiede però notevoli sforzi, tra la carenza di posti, che magari genera a sua volta carenza di personale, e mille altre difficoltà. «Un legame con qualsiasi persona è una responsabilità, un dovere, un problema e una risorsa – ci tiene a sottolineare Giusi Biaggi –. Quello che penso sia doveroso da parte della nostra società civile è quello di tenere dentro tutte queste parole, con oggettività, nel tema della migrazione, che è doveroso ma non è facile, e far sì che sia un tema di comunità, non delegato solo ad alcuni». Un messaggio a cui si associa anche il pensiero di don Ghilardi, che, riferendosi alla presenza delle comunità etniche nel territorio diocesano, chiede di «non sovraccaricare le piccole comunità cristiane parrocchiali, ma di vivere tutto in relazione con gli organismi che hanno strumenti per accompagnare le persone in una formazione di questo genere».




Beata Vergine delle Grazie, don Maffezzoni: «Cercheremo di tenere accesa la scintilla di gioia dell’incontro con il Signore»

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Tre parrocchie: Cicognara, Cogozzo e Roncadello. Una comunità – quella dell’unità pastorale “Beata Vergine delle Grazie” – riunita in una gremita chiesa di Roncedello per l’ingresso del nuovo parroco, don Alessandro Maffezzoni, nel pomeriggio di domenica 1° ottobre. A presiedere l’Eƒucaristia il vescovo Antonio Napolioni, affiancato dal nuovo parroco, dal vicario zonale della zona pastorale 5 don Davide Barili e da alcuni altri sacerdoti diocesani.

La celebrazione è iniziata con l’arrivo dei celebranti in processione sul sagrato della chiesa, accolti dai sindaci Filippo Bongiovanni di Casalmaggiore (di cui è frazione Roncadello), Nicola Cavatorta di Viadana (di cui sono frazioni Cicognara e Cogozzo) e Marco Pasquali di Sabbioneta (dove don Maffezzoni era vicario dal 2015). Proprio il primo cittadino di Casalmaggiore ha espresso il saluto dell’Amministrazione comunale al nuovo parroco. «Un nuovo capitolo – ha detto – si apre per l’unità pastorale della “Beata Vergine delle Grazie”, che ha la particolarità di essere su due province, e sulle frazioni di due Comuni: Casalmaggiore e Viadana. E che con l’arrivo di don Alessandro cercherà di proseguire nel suo percorso di crescita spirituale». E ancora: «Abbiamo da offrire volontà, collaborazione, disponibilità a percorrere insieme il cammino che lei vorrà indicarci, accogliendoci reciprocamente come dono della Divina Provvidenza».

 

Il saluto del sindaco Bongiovanni

 

Dopo il saluto sul sagrato, ha avuto inizio la Messa, che si è aperta con la lettura del decreto di nomina da parte del vicario zonale, e con il saluto di una rappresentante del Consiglio pastorale: «Caro don Alessandro, la accogliamo come un padre misericordioso, come un fratello maggiore che sa educare e come un amico con cui collaborare». «Il fulgido esempio di don Primo Mazzolari di cui lei diviene successore alla guida della parrocchia di Cicognara le sia di ispirazione nella cura dei poveri, nell’accoglienza dello straniero nella ricerca dei lontani che cercano Cristo senza ancora saperlo. Che la Beata Vergine delle Grazie la guidi e la accompagni nel suo ministero».

 

Il saluto della comunità

 

L’omelia del vescovo Napolioni si è aperta commentando il Vangelo del giorno, la parabola dei due figli e della vigna. «Una parabola che sentiamo spesso, anche nella nostra vita quotidiana». «I due figli vengono qui un po’ estremizzati», ha spiegato il vescovo, facendo quindi un parallelismo con le nomine dei nuovi parroci: «Nessuno mi ha mai detto “no”, “non ne ho voglia”, nemmeno “sissignore”. Certo è che qualcuno lascia malvolentieri una comunità quando si trova bene. Altri non vedono l’ora di prendersi responsabilità. Ci sono i nostri sentimenti, la nostra testa e il nostro cuore, la nostra umanità». Ma il Signore suggerisce di «non fidarsi dell’istinto, che magari fa dire “non ne ho voglia” o “mi butto” – ha aggiunto –. Calma, aspettiamo il giorno dopo. Vediamo che cosa accade davvero». Un invito a riflettere, a rendersi conto. Ma chi può aiutare l’uomo a rendersi conto, a convertirsi, a prendere lo slancio nella propria vita? «Ce lo dice con chiarezza san Paolo con due indicazioni», ha evidenziato mons. Napolioni. «La prima sul valore della comunità, che posso applicare volentieri a questa unità pastorale». «Anch’io posso dire, con san Paolo, qui c’è qualche consolazione in Cristo, qualche conforto, qualche consolazione di Spirito». «La seconda indicazione è ancor più potente e decisiva»: «san Paolo ci dice “Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù”». «Davvero il primo compito del sacerdote è la comunione con Gesù – ha evidenziato il vescovo –, stare talmente tanto con Lui che riusciamo a far stare un po’ più con Lui anche gli altri». Ha quindi concluso: «Grazie Signore, perché ci dai tanti fratelli e sorelle con cui camminare. Li affido gli uni agli altri, con tanta fiducia e con un pizzico di curiosità».

 

L’omelia del vescovo Napolioni

 

La celebrazione è proseguita con la professione di fede recitata dal nuovo parroco, che al termine della Messa ha salutato le sue nuove comunità, ringraziando commosso il vescovo, i concelebranti, i presenti e tutte le parrocchie che ha accompagnato e che lo hanno accompagnato. Uno sguardo poi al “nuovo”: «Mi rivolgo a voi, cari parrocchiani. Da oggi inizia il mio ministero di parroco tra voi. Voglio proseguire il cammino dell’unità pastorale già avviato da don Andrea (Spreafico, ndr) e i sacerdoti che lo hanno aiutato». Nelle sue parole anche un riferimento ai giovani, fonte viva delle comunità: «Non facciamo mancare loro il sostegno e la fiducia – ha sottolineato don Maffezzoni –. Facciamo che possano trovare nell’oratorio, oltre che un luogo accogliente e aggregativo, un luogo educativo ai valori cristiani, in cui vivere il confronto e l’accoglienza». Ha dunque concluso: «Cercheremo di tenere accesa questa scintilla di gioia dell’incontro con il Signore, perché in Gesù ci è stato detto e dato tutto. In Lui tutto si eleva».

 

Il saluto di don Maffezzoni

 

Dopo la Messa si è tenuto un momento conviviale presso l’oratorio di Cicognara, un’occasione per le tre parrocchie per iniziare a conoscere il nuovo parroco. A seguire, alle 18.30 nella chiesa di Cicognara, la società musicale “Estudiantina” di Casalmaggiore presenterà “Banda in concerto”, un’esibizione musicale di benvenuto a don Maffezzoni.

 

 

Biografia del nuovo parroco

Classe 1978, originario della parrocchia “S. Ambrogio” in Cremona, don Alessandro Maffezzoni è stato ordinato sacerdote il 12 giugno 2004. È stato vicario della parrocchia “Ss. Clemente e Imerio” in Cremona (2004-2008) e di quelle di Casalbuttano e San Vito (2008-2015). Dal 2015 era vicario delle parrocchie di Breda Cisoni, Ponteterra, Sabbioneta e Villa Pasquali. Nell’unità pastorale “Beata Vergine delle Grazie” prede il testimone da don Andrea Sprefico, trasferito a Cremona come nuovo parroco della Beata Vergine di Caravaggio.

 

 

Il saluto di don Alessandro Maffezzoni sul giornalino parrocchiale

Carissimi parrocchiani dell’Unità Pastorale Beata Vergine delle Grazie di Cogozzo, Cicognara e Roncadello. È la prima volta che mi rivolgo a voi e lo faccio con un po’ di emozione, come vostro nuovo parroco. Anch’io come voi mi trovo ad affrontare un cambiamento importante per la mia vita. Per voi l’arrivo del nuovo pastore, a servizio dell’Unità Pastorale, racchiude certamente qualche incognita. Vi domanderete “cosa accadrà?”, potrete affidarvi al “sentito dire” o “alla fama” che a volte ci precede. Anche per me è tutto nuovo nei tempi e nelle situazioni. Dalla mia ordinazione il 12 giugno del 2004, così tutte le volte che ho affrontato dei cambi nelle diverse parrocchie dove sono stato chiamato a svolgere il mio ministero, S. Imerio a Cremona, Casalbuttano, Sabbioneta e le parrocchie che compongono la comunità, mi sono sempre trovato davanti situazioni nuove, non soltanto per la geografia dei luoghi, ma anche per la storia delle comunità e delle persone che ho avuto la gioia di incontrare.

Ogni volta che ho trovato disponibilità, ma anche quando ho trovato qualche resistenza, tutto mi ha aiutato a crescere come uomo, come cristiano ed anche come sacerdote al servizio della Chiesa. Sono certo sarà così anche con voi. Già da questi primi giorni tra voi, mi avete dato una dimostrazione di bella accoglienza e disponibilità. Sono certo potremo fare un tratto di strada insieme, nel quale ci sosterremo reciprocamente e cresceremo insieme umanamente ma anche nella fede in Gesù Cristo. Se da parte mia saprò sempre indicarvi l’unico vero Maestro e Pastore da seguire e a cui affidarvi darò sempre valore al mio ministero tra voi e potrò esservi di aiuto.

Da parte vostra se mi aiuterete non soltanto nelle cose “da fare”, ma anche nel mantenere viva la fame di vita vera e di verità, di cui l’uomo ha sempre bisogno, mi aiuterete a dare senso al ministero del prete tra Voi. In particolare, penso ai nostri ragazzi e ai nostri giovani, affinché non cadano nell’inganno di pensare che la fame materiale sia l’unica da ascoltare, da soddisfare, dimenticandosi così dello Spirito e dei valori che ne derivano.

Concludo dicendo che entro in “punta di piedi”, nel cammino che avete intrapreso con i pastori che mi hanno preceduto, nel passato e nell’immediato, nella consapevolezza di aver sperimentato anch’io, quanto dice l’apostolo Giovanni nel dialogo con i discepoli dopo l’incontro con la Samaritana al pozzo: “Chi miete riceve il salario e raccoglie frutto per la vita eterna, perché chi semina gioisca insieme a chi miete. In questo, infatti, si dimostra vero il proverbio: uno semina e l’altro miete. Io vi ho mandati a mietere ciò per cui non avete faticato; altri hanno faticato e voi siete subentrati nella loro fatica” (Gv 4,36-38).

 

 

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Con la Chiesa di Francesco, in cammino con i poveri e con il Creato

Nella giornata in cui si è aperto il Sinodo dei Vescovi e in cui è stata pubblicata l’esortazione apostolica Laudate Deum scritta da Papa Francesco e che va a integrare e a completare l’enciclica Laudato si’, il vescovo Antonio Napolioni come consuetudine del 4 ottobre ha presieduto l’Eucaristia nella festa di san Francesco d’Assisi, patrono d’Italia, nella chiesa del convento dei cappuccini di Cremona.

La Messa, alla presenza dei frati della comunità francescana con il nuovo guardiano padre Andrea Cassinelli e di alcuni membri degli istituti religiosi della città, è stata concelebrata dal vescovo emerito Dante Lafranconi.

«In questo giorno sono accadute molte cose per la Chiesa e per il mondo. Portano tutte la firma di Francesco Papa, ma nel nome di Francesco d’Assisi», ha sottolineato il vescovo all’inizio dell’omelia, sottolineando che in tutte le chiese del mondo si ricorda «un santo così affascinante, disarmante, impegnativo, sempre attuale».

«Il Sinodo serve a ricordarci che la nostra Santa Madre Chiesa ha sempre bisogno di purificazione, di essere riparata, perché noi tutti siamo un popolo di peccatori perdonati, sempre bisognosi di ritornare alla fonte che è Gesù e di rimetterci sulle strade dello Spirito per raggiungere tutti con l suo Vangelo – ha ricordato Napolioni –. Francesco d’Assisi, in un tempo di grandi lotte e divisioni, tra il potere temporale e quello religioso, tra la Chiesa istituzionale e le correnti eretiche, tra i cristiani e altri credenti, non criticò e non si scagliò contro nessuno, imbracciando solo le armi del Vangelo, cioè l’umiltà e l’unità, la preghiera e la carità. Facciamo anche noi così!».

Parole sempre attuali «che riguardano anche noi». Da qui l’appello perché «in questo giorni di Sinodo accompagniamo le riflessioni e i dialoghi di questa assemblea rappresentativa di tutta la Chiesa cattolica con la nostra preghiera, la nostra fiducia, magari con il silenzio», ha detto riprendendo l’invito di Papa Francesco. «Solo così una Chiesa che si lascia riparare dallo Spirito e dai Santi, dai piccoli e dai poveri, può compiere la sua missione nel mondo. Che è una missione di gioia, di lode, di gratitudine».

La riflessione del Vescovo è proseguita legandosi al secondo evento di giornata: la pubblicazione dell’esortazione apostolica Laudate Deum.

«Perché il Papa vuole fare sul serio! Non ci limitiamo ad aver fatto una riflessione una volta se le cose non cambiano», ha detto Napolioni. Che ha proseguito: «”Lodate Dio per tutte le sue creature”. Questo l’invito che san Francesco ha fatto con la sua vita». «Un rapporto con le creature che ha fatto sì che le creature fossero il vestito, la luce, la bellezza di quest’uomo e che lui le potesse cantare».

Un monito, dunque, che abbraccia il tema della salvaguardia della Terra, della casa comune, proprio nel giorno in cui si chiude il Tempo del Creato. «Il Papa dice che dopo otto anni dalla pubblicazione della Laudato si’, con la quale ha condiviso in maniera approfondita lo sguardo sulla situazione della nostra casa comune, con il passare del tempo dobbiamo renderci conto che non reagiamo abbastanza – ha voluto evidenziare il Vescovo –. Perché il mondo che ci accoglie si sta sgretolando, si sta avvicinando a un punto di rottura. L’impatto del cambiamento climatico danneggerà sempre di più la vita di molte persone e molte famiglie».

E allora, in tempi come questi, occorre essere ancor più come san Francesco. «La Bibbia ci ricorda che la terra è di Dio e noi ne siamo solo amministratori e che l’essere umano deve rispettare le leggi della natura e il delicato equilibrio tra tutti gli esseri viventi, contemplando la bellezza seminata dal Padre». «Occorre provare una vera tristezza davanti alla natura che è lasciata a se stessa o addirittura violentata – ha affermato il Vescovo –. C’è una crisi del nostro amore verso le cose».

«La chiamata è quella a camminare in comunione e in corresponsabilità. Guardate un po’, il Sinodo, che non si fa solo a Roma, o nelle diocesi e nelle parrocchie per parlare solo di Chiesa; si cammina insieme al creato, al mondo», ha spiegato monsignor Napolioni. C’è quindi bisogno di una svolta, di darsi una mossa. Lo dice il Papa, lo dicono i Vescovi, lo dice il buonsenso». E ancora: «Non ci sono cambiamenti duraturi senza cambiamenti culturali. Non ci sono però cambiamenti culturali senza cambiamenti in ciascuno di noi – ha concluso il Vescovo –. Il Vangelo ci dice che i piccoli capiscono la volontà di Dio. E allora non stiamo a lamentarci perché i grandi non si accorgono, ma cominciamo anche noi a fare piccoli cambiamenti, perché così i grandi capiranno dai miti, dagli umili, qual è la strada da percorrere».

 

Ascolta l’omelia del vescovo Antonio Napolioni

 

 

Papa Francesco nella Laudate Deum: “Di fronte alla crisi climatica non reagiamo abbastanza”




Il vescovo risponde a “Chiesa di Casa”: «Nelle vostre domande una strada da percorrere con tutta la comunità»

Nella sua definizione, la parola «dialogo» indica un discorso, un colloquio fra due o più persone che abbia come finalità la ricerca di un punto di intesa, di un incontro anche partendo da visioni o posizioni differenti. Così inteso, ingrediente essenziale delle relazioni, il dialogo è indicato come una componente fondamentale anche per il percorso del nuovo anno pastorale nella diocesi di Cremona.

E con questa intenzione si apre la stagione 2023/24 di «Chiesa di Casa», il talk di approfondimento della diocesi di Cremona, inaugurata proprio in questo fine settimana con una puntata speciale in cui il vescovo di Cremona, monsignor Antonio Napolioni si è posto in dialogo con tre ospiti che hanno portato in studio le domande del mondo giovanile, delle famiglie e delle comunità, del mondo del lavoro e del volontariato: Lorenzo Mascaretti, giovane di Caravaggio che ha partecipato all’ultima Giornata mondiale della Gioventù, Cristina Paternazzi, mamma e catechista della parrocchia di San Daniele Po, e Federica Zignani, operatrice di rsa presso l’Opera Pia SS. Redentore di Castelverde.

Domande, provocazioni, curiosità. Spunti di riflessione posti dai tre ospiti laici, in cerca di una risposta dal loro vescovo. Domande – come evidenzia monsignor Napolioni – poste «non solo per rispondere in questo momento, ma per rifletterci e “camminarci dentro” con tutta la comunità».

«Come si può essere testimoni gioiosi del Vangelo, pur nelle fatiche e nelle fragilità della vita?», chiede Cristina. «Senza le fragilità non c’è bisogno di avere il Vangelo, che è buona notizia della salvezza – ribatte il vescovo –. E solo chi è in mezzo al mare, solo chi è nella solitudine, chi non conta solo sulle sue forze ha bisogno di salvezza».

 

 

E «cosa si intende per “villaggio” nella società di oggi, così urbanizzata, che vive così tanto di città?», chiede invece Lorenzo, che nel suo percorso di studi letterari ha spesso a che fare con questo concetto. Come dice Papa Francesco, è una parola che deriva da un detto africano: «Per mettere al mondo un figlio basta una mamma, per farlo crescere ci vuole un villaggio». «E la memoria dei nostri paesi custodisce questa esperienza», aggiunge Napolioni. «È senso di appartenenza, di partecipazione, di socialità in cui non prevale il conflitto, ma la solidarietà». Si può, si deve, dunque, parlare di «villaggio globale, che è così faticoso da tenere insieme, ma che si è fatto più piccolo, perché ci costringe a salvarci insieme, come sperimentato con la pandemia».

Uno sguardo al villaggio, alla società, al territorio che naturalmente diventa uno sguardo all’altro, alla carità. Il volontariato, nei paesi, è spesso legato alle realtà laiche e non alle comunità ecclesiali, fa notare Federica: «Le comunità cristiane saranno in grado, e come, di interagire e accostarsi a questi volontari, non solo per evangelizzare, ma anche per imparare?». La risposta sembra suonare facile, ma è tutt’altro banale: «Bisogna volerlo!». In una società storicamente spaccata da ideologie, suggerisce il vescovo, «oggi dobbiamo assolutamente vedere il bene e riconoscerlo da qualunque parte venga». Ben vengano, dunque, le alleanze nei paesi e nei quartieri.

Così, nel dialogo che scaturisce dall’incontro, vive la carità. Carità che significa vicinanza. E questa vicinanza si concretizza grazie alle forze di molti, impegnati in quelli che il vescovo chiama «i ministeri della consolazione». Ma cosa sono?

«I ministri della consolazione sono quelle persone, laici o religiosi, che affiancano i sacerdoti nella visita alle persone malate e sole, non solo portando la grazia dell’Eucarestia o della Confessione, ma proprio affiancando quella persona o quella famiglia, imparando soprattutto l’atteggiamento dell’ascolto, della comprensione, lo stile dell’amicizia». «In un senso più vasto – prosegue Napolioni – questo servizio è oggi attualissimo. Alla Giornata mondiale della Gioventù correvano parecchie lacrime, non solo nei ragazzi, ma anche in noi adulti, perché l’esperienza di una fonte che disseta fa sentire le nostre aridità, permette di esprimere le nostre difficoltà esistenziali». «Questo è quello che dice Papa Francesco, definendo la Chiesa un ospedale da campo».

È questa la dimensione della comunità, capace di aprirsi e generare bene per se stessa e per il mondo in cui vive. Per farlo – conclude il Vescovo – «bisogna ​​​​​​​uscire da se stessi, andare incontro agli altri, e vincere la paura con l’apertura alla vita».

Giorno del Signore e Chiesa di Casa, al via le nuove stagioni




Il Vescovo ai funerali di don Cavedo: «Gli auguriamo il compimento della sua inesausta capacità di ricerca»

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Una città riunita. Una comunità – quella diocesana – raccolta nella chiesa di S. Agata, a Cremona, nel cordoglio per don Romeo Cavedo, deceduto lo scorso 27 settembre. Le esequie sono state presiedute, nella mattina di venerdì 29 settembre, dal vescovo Antonio Napolioni, alla presenza di numerosi sacerdoti. Tra i concelebranti don Massimo Calvi, vicario generale della Diocesi di Cremona, don Gianpaolo Maccagni, vicario episcopale per il clero e il coordinamento pastorale, e don Irvano Maglia, parroco dell’unità pastorale “Cittanova”.

«È lui!». Nell’omelia il vescovo Antonio Napolioni ha voluto riprendere ciò che spesso si diceva, riferendosi a don Cavedo. «Ma non la ripetiamo come fosse uno scrollare le spalle per non prenderlo sul serio, come fosse un etichetta che ne fa un personaggio – ha subito precesiato –. Lo diciamo oggi con infinito rispetto e gratitudine, riconoscendone l’unicità e l’originalità».

Don Cavedo come Barzillai, vicino al re Davide pur senza essere cortigiano, con grandi capacità, sapendo riconosce i propri limiti e non volendo pesare sul re. «Don Romeo, che a volte ha pesato, ma ha sempre saputo chiedere scusa – ha evidenziato il vescovo –. Ha sempre desiderato un rapporto di comunione: schietto, faticoso, ma autentico». Il brano del secondo libro di Samuele si conclude dicendo: “Allora il re baciò le mani a Barzillai e lo benedisse. Quegli tornò a casa”. «È quello che noi stiamo facendo oggi con don Romeo».

Per questo il vescovo ha voluto “vestire” la figura di don Romeo Cavedo di quell’abito fatto di storie e di personaggi biblici che tanto gli si addicono: «È lui che come Natanaele pone sempre le sue domande dirette, anche a Dio. Non credo si lasci semplicemente esaminare da san Pietro, ammesso che ci sia l’esame di san Pietro alle porte del Paradiso. Penso che anche lui ponga le sue domande». «È lui sotto l’albero di fichi, un’immagine che rappresenta coloro che vogliono gustare la sapienza delle Sacre Scritture, senza mai dar nulla per scontato o superficialmente acquisito, e introducendo tanti alla stessa passione». «È lui, con la sua vicenda di credente inquieto e trasparente, di maestro autorevole e provocante, di presbitero cremonese che ha lasciato una traccia speciale anche lontano da qui».

Alla vigilia della sua ordinazione, avvenuta nel 1961, don Romeo Cavedo scrisse così al vescovo Bolognini: “Voglia il Signore attuare efficacemente la mia volontà di essere un buon sacerdote e di dare alla Diocesi tutto quanto potrò”. «E direi che lo ha fatto. Strenuamente», ha commentato Napolioni. E, citando il messaggio scelto dal compianto sacerdote nel ricordo della sua Prima Messa (“Affinché il mondo creda che il Salvatore è venuto”), il vescovo ha voluto sottolineare: «Sul come si può discutere all’infinito, ma non sul cosa: don Romeo è stato fedele testimone del Salvatore».

«Non si accontentava che la Chiesa fosse un popolino di pecore, ma desiderava che fosse un popolo di cristiani adulti», ha concluso il vescovo. «Ora anche il suo genere letterario qui è finito, salvo le narrazioni che gli sopravviveranno nel tempo. Ma inizia la pienezza della realtà e della vita. E gli auguriamo il compimento della sua inesausta capacità di ricerca, non di una risposta che gli tappi la bocca, ma in uno stupore senza fine».

Al termine delle esequie la salma è stata trasferita verso il Cimitero di Cremona, dove è stata tumulata all’interno della Cappella dei Canonici.

 

Ascolta l’omelia del vescovo Napolioni

 

 

 

 

Profilo biografico di don Cavedo

Nato a Cremona il 30 settembre 1936, originario della parrocchia di S. Agata, nel 1959, ancora negli anni della formazione e prima dell’ordinazione sacerdotale (avvenuta il 24 dicembre 1961), era stato inviato a Roma per approfondire gli studi teologici, prima presso l’Università Gregoriana e poi al Pontificio Istituto Biblico, dove aveva rispettivamente conseguito la laurea in Teologia e la licenza in Sacra Scrittura.

Rientrato in Diocesi aveva da subito iniziato l’insegnamento, ricoprendo anche l’incarico di consulente ecclesiastico U.C.I.I.M. (Unione Cattolica Italiana Insegnanti Medi), ricoperto fino al 1994.

Nel Seminario di Cremona gli era stata affidata la docenza di Teologia Dogmatica e dalla fine degli anni ’90 di Sacra Scrittura, materia che ha insegnato anche allo Studentato dei Frati Cappuccini di via Brescia.

Proprio dello Studio teologico del Seminario di Cremona è stato preside dal 1994 al 2016. Una docenza proseguita ancora per diversi anni dopo lo spostamento delle lezioni a Lodi, nei primi anni del 2000. Fino al 2019 ha poi insegnato Introduzione alla Sacra Scrittura per il corso di Propedeutica del Seminario di Cremona.

Negli anni ha ricoperto anche l’incarico di assistente diocesano della F.U.C.I. (1967-1973); viceassistente dei Convegni Maria Cristina di Savoia (1967).

Nel 1980 è stato tra i fondatori della Scuola biblica del Patriarcato di Venezia aperta dal card. Marco Cé.

Molto apprezzato anche il corso biblico per laici che don Cavedo ha tenuto al Centro pastorale diocesano fino allo scorso anno, da sempre molto seguito, anche attraverso i mezzi della comunicazione.

A lungo per tanti appuntamento fisso era anche l’approfondimento delle Scritture attraverso le sue omelia, e in particolare quelle della Messa domenicale di mezzogiorno a S. Ilario.

Il suo interesse in campo ecumenico l’ha portato a ricoprire in diocesi l’incarico di responsabile del Segretariato per le attività ecumeniche dal 1996 al 2008, collaborando attivamente a livello nazionale per studi e approfondimenti.

Molti gli articoli da lui pubblicati su riviste specializzate nel settore biblico. A lungo fu l’autore del commento al Vangelo della domenica sul periodico della San Paolo Vita Pastorale e anche a livello locale sul quotidiano La Provincia di Cremona.

Tra le sue opere si ricordano:
L’apostolo Paolo e le prime comunità cristiane. Itinerario alle lettere paoline, Studium Cattolico Veneziano, 1984;
Per una lettura del Pentateuco. Tradizioni, storia e fede d’Israele, Studium Cattolico Veneziano, 1984;
Per una lettura dei Vangeli sinottici. Dalla predicazione apostolica al testo scritto, Studium Cattolico Veneziano, 1985;
Le origini. I primi tre capitoli della genesi, Studium Cattolico Veneziano, 1989;
1-2 Cronache, Esdra e Neemia, Queriniana, 1991;
Profeti. Storia e teologia del profetismo nell’Antico Testamento, San Paolo, Milano 1995.

Apprezzato teologo e scritturista, don Cavedo ha dedicato tutta la sua vita all’evangelizzazione attraverso l’approfondimento delle Scritture e l’insegnamento. Sempre pronto a porre agli altri e a se stesso anche domande scomode, sempre alla ricerca della verità, sostenuta da una cultura biblica riconosciuta anche oltre i confini nazionali e da una spiritualità inquieta ma solida, capace di porre il patrimonio delle Scritture in dialogo con la vita.

Il decesso nella prima mattina di mercoledì 27 settembre all’ospedale di Cremona, dove era stato ricoverato la sera precedente a seguito di una caduta in casa.




San Michele, il Vescovo: «La festa della Polizia di Stato occasione per rifare un patto tra noi e voi»

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«La parabola del buon seme e della zizzania dà un ruolo specifico agli angeli, che hanno il compito di sistemare le cose. In realtà appaiono più come giustizieri, carcerieri, carnefici. Se è solo questo il compito di chi si ispira all’arcangelo Michele come patrono siamo messi male. E infatti voglio chiedere scusa alla Polizia di Stato e a tutte le forze dell’ordine perché questa società rischia di relegare loro in questo compito perché tutti noi nelle responsabilità non siamo altrettanto angeli custodi». E ancora: «Chiediamo alle forze dell’ordine di essere angeli, ma prima di tutto dobbiamo essere angeli noi». Si è aperta con queste parole l’omelia del vescovo Antonio Napolioni nella Messa nella ricorrenza dell’arcangelo Michele, patrono della Polizia di Stato, celebrata nella mattina del 29 settembre nell’omonima chiesa di Cremona alla presenza delle autorità civili e militari del territorio e di agenti e dirigenti della polizia.

«Che bello sentire che l’angelo del Signore non solo arriva a sistemare le cose all’ultimo minuto, ma protegge e libera. È un’azione preventiva, di accompagnamento. È un’azione ispirata dalla fiducia. Ma questo non possiamo chiederlo solo a voi», ha sottolineato il vescovo. «La festa della Polizia di Stato può essere un’occasione per rifare un patto tra noi e voi, in modo che ognuno faccia la sua parte e permetta anche all’altro di farla al meglio, in modo che la comunità sia educante, preventiva, capace di prendersi cura».

Ma san Michele, che è potente e giustiziere, non è scisso dagli altri due arcangeli che si ricordano il 29 settembre: non è separato da Gabriele, che è l’annunciatore, e da Raffaele, che è messaggero di guarigione. «Non ci possono essere repressione e ordine se non abbiamo fiducia nelle possibilità di guarigione e di recupero – ha evidenziato mons. Napolioni –. Se non siamo pronti a raccogliere e a spartire la notizia che quello che avevamo scartato il Signore lo rende pietra angolare». Ha quindi concluso: «E allora godremo di quella pace in cui nessuno farà più da scaricabarile, aspettando gli angeli. Perché gli uomini non possono delegare agli angeli ciò che il Signore ha affidato anche a noi, angeli gli uni per gli altri.

 

Ascolta l’omelia del vescovo Napolioni

 

L’Eucaristia, concelebrata dal cappellano della Polizia di Stato per le province di Cremona e Mantova, don Stefano Peretti, affiancato dal parroco di San Michele, don Aldo Manfredini, e dal cerimoniere vescovile, don Matteo Bottesini, si è conclusa con la recita della preghiera a san Michele arcangelo.

Al termine anche il saluto e i ringraziamenti del questore di Cremona, Michele Sinigaglia. «Quella di oggi non è una semplice ricorrenza, ma un rinnovarsi anno dopo anno di una tradizione che ci induce a meditare sui valori fondamentali cui ispirare il nostro agire quotidiano in difesa della comunità», ha sottolineato il questore. Che ha poi aggiunto: «Un impegno che deve essere costantemente rinnovato e che è continuamente messo alla prova dalle tante difficoltà che devono essere affrontate quotidianamente. Ma noi sappiamo di avere al nostro fianco la comunità cremonese e con il nostro lavoro speriamo di continuare a meritare la fiducia dei cittadini che siamo chiamati a servire e proteggere». Parole che sono state anche l’occasione per ricordare le forze dell’ordine cadute in servizio, un sacrificio che non dovrà mai essere dimenticato.




A Robecco d’Oglio l’insediamento del nuovo parroco don Gianmarco Fodri

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Con la Messa presieduta dal vescovo Antonio Napolioni nella mattinata di domenica 17 settembre si è ufficialmente insediato a Robecco d’Oglio il nuovo parroco don Gianmarco Fodri. Celebrazione che è stata anticipata dalla processione dalla casa parrocchiale sino alla chiesa, dove, sul sagrato, il nuovo parroco è stato accolto dal saluto del sindaco Marco Romeo Pipperi. Il primo cittadino di Robecco ha presentato a don Fodri una comunità aperta e disposta all’impegno e alla collaborazione, seppur non ami il cambiamento improvviso e repentino. Un’occasione, dunque, per il nuovo parroco per prendere per mano la sua parrocchia e aiutarla a camminare.

La Messa, animata dalla corale di Robecco d’Oglio, formata da cantori adulti e voci bianche, si è aperta con la lettura del decreto di nomina da parte del vicario zonale don Giambattista Piacentini, seguita dal saluto di benvenuto di un membro del consiglio pastorale parrocchiale. «La presenza del parroco – ha ricordato – è tanto preziosa, ci aiuta a riconoscerci discepoli e a mettere insieme le nostre sensibilità e diversità. Caro don Marco, il suo essere qui viene dal Signore e dalla vocazione cha ha coinvolto tutta la sua vita. Per questo, con emozione, accogliamo oggi il dono della sua presenza insieme a noi».

 

Il saluto del rappresentante parrocchiale

 

«Una volta pensavamo alla parrocchia come una pesca, un’albicocca, fatta dal nocciolo, che contiene il seme, e poi una bella polpa omogenea, succosa – ha detto mons. Napolioni durante l’omelia –. Ma questa è la parrocchia del passato, formata da un nucleo – i preti e le suore – chi teneva aperta la chiesa e l’oratorio, tenendo viva la sorgente zampillante della fede; e poi il popolo compatto, la cristianità». «Oggi la parrocchia credo sia come una cipolla, che ha tanti strati – ha proseguito –. Lo strato esterno, la cipolla intera, è fornata dalla parrocchia fatta da tutti gli abitanti». «Perché la parrocchia per noi cristiani è la possibilità di incontro con tutti, di salvezza per tutti» e «la prima caratteristica di una parrocchia è quella di essere missionaria». Una comunità “a strati”, non più tutta omogenea. Ma allora da chi sono formati tutti gli altri strati? «Il secondo strato è formato dai battezzati», «poi il terzo cerchio, i praticanti, quelli che popolano l’assemblea eucaristica», infine il cuore della cipolla, formato «da quei quattro gatti che tirano la carretta, ma che non sono padroni della parrocchia: sacerdoti, consacrati, catechisti, i laici generosi. Quelli che chiamiamo ministeri e che quest’anno vogliamo rilanciare, non per avere “le truppe”, ma perché tutta la cipolla sia gustosa».

La cipolla è un ortaggio che talvolta fa piangere. «Ma i pianti ci vogliono», ha aggiunto il vescovo, perché «Dio non si stanca di piangere per noi, di commuoversi per noi. Cristo è sempre crocifisso, e da quella croce gloriosa continua ad amare e a salvare il mondo».

Le cipolle possono anche amareggiare, ammuffire. E così le parrocchie si possono buttare, possono finire. «Quello che non finisce – ha evidenziato Napolioni – è la provocazione del Vangelo alle nostre coscienze per coinvolgerci in questa missione: essere donatori». Ma essere donatori non basta, «occorrono perdonatori».

Il Vescovo ha concluso l’omelia con un monito al nuovo parroco: «Allora don Marco non devi fare nulla. Se riuscirai a fare qualcosa per l’oratorio, per il catechismo, per le strutture, insieme alle comunità, ben venga. Ma c’è una cosa che dipende solo da te: essere sempre disponibile a far fare a chiunque l’esperienza del perdono di Dio, della misericordia, della tenerezza, dell’accoglienza, perché essa mette in circolo le vitamine della vita, di cui abbiamo estremamente bisogno per non incattivirci ulteriormente e per trasmettere speranza alle nuove generazioni che tanto amiamo».

 

L’omelia del vescovo Napolioni

 

Diversi i sacerdoti concelebranti, e tra loro don Giuseppe Ghisolfi, già collaboratore parrocchiale, originario proprio di Robecco, che proseguirà il suo servizio al fianco del nuovo parroco.

Al termine della celebrazione ha preso la parola don Fodri, che ha espresso così il suo primo saluto alla nuova parrocchia: «Ringrazio la Chiesa che, nella figura del vescovo, mi affida ancora una porzione del popolo di Dio». Poi un ringraziamento al sindaco, alle autorità e a tutta la comunità. Un particolare sguardo lo ha rivolto alle famiglie, «in modo particolare coloro che stanno vivendo momenti di difficoltà, di fragilità, di debolezza. A questi dico che la Chiesa ha una parola di perdono, di consolazione e di salvezza».

 

Il saluto del nuovo parroco

 

Dopo la Messa, il nuovo parroco, insieme al vescovo Napolioni e ai testimoni, ha apposto la firma sugli atti ufficiali. Poi lo spostamento in oratorio per il rinfresco e un primo momento di conoscenza tra il sacerdote e la sua nuova comunità.

All’indomani dell’ingresso di don Fodri, lunedì 18 settembre alle 20.30, il nuovo parroco celebrerà la Messa nella suffragio di tutti i defunti della parrocchia.

Nella serata di giovedì 21 settembre, invece, il parco di Villa Scala ospiterà alle 21 l’esecuzione musicale della banda di Casalbuttano, quale omaggio al nuovo parroco. In caso di maltempo si svolgerà in chiesa.

 

 

Biografia del nuovo parroco

Classe 1959, originario di Cornaleto, don Fodri è stato ordinato sacerdote il 9 giugno 1990. Dopo essere stato vicario a Caravaggio (1990-2003), è stato parroco al Roggione (2003-2014) e insieme anche responsabile dell’Ufficio diocesano per la Pastorale missionaria (2006-2015). Dal 2014 era parroco di Casalbuttano e San Vito e dal 2020 anche moderatore dell’unità pastorale “Nostra Signora della Graffignana” formata dalle parrocchie di Casalbuttano, Ossaloro, Paderno Ponchielli, Polengo e S. Vito. A Robecco d’Oglio prende il testimone da don Paolo Ardemagni, trasferito a Caravaggio e Vidalengo come collaboratore parrocchiale.

 

 

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