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Suore Carmelitane del Divin Cuore di Gesù: festa per i 120 anni di presenza a Cremona

Giorni di festa, a Cremona, per le suore Carmelitane del Divin Cuore di Gesù, presenti in città da 120 anni. Questo speciale anniversario, che ricorre il 1° novembre, sarà festeggiato dalla comunità religiosa lunedì 30 ottobre: nel pomeriggio, infatti, alle 17, il vescovo Antonio Napolioni presiederà l’Eucaristia nella chiesa parrocchiale di Sant’Imerio. Dopo la celebrazione, lo spostamento verso la Casa S. Giuseppe e S. Lorenzo, in via Altobello Melone 33, per un momento conviviale conclusivo.

Le suore Carmelitane del Divin Cuore di Gesù, fondate da madre Teresa di san Giuseppe, al secolo Anna Maria Teresa Tauscher van de Bosch, giunsero in Italia nel 1903, su richiesta dell’allora vescovo di Cremona, mons. Geremia Bonomelli. Una presenza inizialmente quelle delle “Serve del Divin Cuore di Gesù” (primo nome dell’attuale istituto delle Carmelitane del Divin Cuor Gesù) rivolta all’assistenza di bambini e ragazzi con la casa di via Belvedere 9 (oggi via Ettore Sacchi 15), fondata ufficialmente il 1° novembre 1903. Per il numero sempre crescente di bambini e la ristretta capacità ricettiva della Casa, dal 1927 iniziarono le trattative per l’acquisto dell’ampio stabile disponibile nella parrocchia Sant’Imerio, in via Altobello Melone 33, che si conclusero nel 1930.

Co il passare del tempo sorse la necessità di portare cure e assistenza agli anziani. Così il 10 agosto 1981 la superiora di Cremona, suor Cecilia Cesinaro, chiese di poter trasformazione dell’edificio di via Altobello Melone in ambiente di accoglienza di anziane signore autosufficienti. L’assistenza alle signore anziane iniziò il 7 novembre 1983 in concomitanza con la continuazione dell’assistenza ai bambini e ragazzi, che cessò definitivamente nel giugno 1989. Dal 1° gennaio 2017, la Casa “San Giuseppe e San Lorenzo” è gestita dalla “Casa di Procura della Congregazione delle Suore Carmelitane del Divin Cuore di Gesù”, che si occupa di tutte le attività apostoliche della “Congregazione delle Suore Carmelitane del Divin Cuore di Gesù”.

120 anni di dedizione al prossimo, soprattutto ai più fragili, che hanno sempre trovato nella casa cremonese, e nello spirito della Congregazione, un sostegno sicuro e amorevole.

«Nel fondare il Carmelo del Divin Cuore di Gesù, Madre Maria Teresa di San Giuseppe si propose di servire la Chiesa e di beneficare il mondo – spiega suor Fatima Maradiaga –. La fondatrice voleva che le Carmelitane del Divin Cuore di Gesù fossero nel mondo messaggere e strumenti dell’amore di Gesù. ”Angeli di consolazione e di pace per gli uomini sofferenti, disperati e senza fede”». E conclude: «Dopo 120 anni i tempi sono cambiati, ma lo spirito, l’amore e lo zelo di lavorare per la salvezza delle anime rimangono sempre gli stessi. Ogni giorno chiediamo l’intercessione della nostra beata madre Teresa di San Giuseppe per aiutarci a portare avanti questa opera che Dio le ha affidato».

Ancora oggi le attività della Casa di via Altobello Melone, rivolte agli anziani autosufficienti di ambo i sessi, cercano ispirazione e portano avanti gli insegnamenti e il carisma della Fondatrice. A ogni anziano, residente e non residente, sono offerti accoglienza, assistenza e cura mediante adeguate prestazioni socio-assistenziali, finalizzate a mantenere e recuperare autonomia fisica, psichica e sociale; a prevenire e a rimuovere situazioni di disagio psico-fisico e di esclusione sociale; a soddisfare i bisogni primari e a realizzare per ognuno la migliore qualità di vita possibile.

Più di un secolo di servizio alla comunità cremonese, guardando anche al futuro di una Chiesa che è di tutti e per tutti.

 

Le suore Carmelitane del Divin Cuore di Gesù

L’ideale Carmelitano affascinò il cuore di una giovane protestante convertita al cattolicesimo, Anna Maria Teresa Tauscher van de Bosch. Nata il 19 Giugno 1985 a Sandow (attualmente in Polonia) da genitori luterani profondamente credenti, primogenita di 8 figli. Maria crebbe e venne educata nella fede dei suoi antenati, ma non aderì mai volentieri al protestantesimo, per cui il 30 ottobre 1888 nella chiesa dei Santi Apostoli (Colonia) entrò a far parte della Chiesa cattolica; questa decisione nella sua vita le procurò tante sofferenze: venne espulsa dalla casa paterna e licenziata dal suo lavoro. Così senza casa e abbandonata da tutti andò in cerca di alloggio e di occupazione. Dopo tante ricerche, con l’aiuto di Dio, trovò una famiglia che la accolse come dama di compagnia. Il suo cammino di fede intanto proseguiva intrepido e generoso sulle vie di Dio, verso un ideale di totale consacrazione al Signore; desiderava infatti farsi religiosa nel Carmelo Teresiano, ma il Signore aveva altri disegni per lei: lei stessa avrebbe fondato una nuova congregazione. Cosi avvenne che a Berlino nel 1891 aprì la prima casa per bambini, denominata “Casa per i senza casa”. Nel 1902 Mons. Geremia Bonomelli vescovo di Cremona giunse a Berlino e in quella occasione chiese alla madre di fondare anche a Cremona una “casa per i senza casa”.




MyMentor, l’Università Cattolica a fianco dei suoi studenti

Un supporto continuativo nel percorso di crescita personale e professionale degli studenti. Questa la sostanza del progetto MyMentor, sviluppato dall’Università Cattolica del Sacro Cuore e presentato, nel suo nuovo corso, a Cremona nel kick-off meeting tenutosi giovedì 26 ottobre nell’aula magna del Campus Santa Monica.

Nato nove anni fa nell’ambito del corso di laurea magistrale in Gestione d’Azienda – profilo General Management, il percorso di orientamento professionale, di avvicinamento al mondo del lavoro e di crescita personale dell’Università Cattolica si è esteso a numerosi corsi di laurea magistrale della facoltà di Economia e Giurisprudenza e della facoltà di Scienze agrarie, alimentari e ambientali. Il progetto MyMentor prevede l’abbinamento tra mentor, professionisti affermati spesso laureati dell’Università Cattolica, e mentee, studenti degli ultimi anni di corso interessati a ricevere consigli per il proprio orientamento professionale, sulla base di specifiche aree di interesse.

L’appuntamento di Cremona, dove sono già state individuate 28 coppie, è stato caratterizzato dai saluti istituzionali dell’Università e dalle testimonianze di professionisti disponibili ad affiancare gli studenti per un supporto prezioso per la loro crescita personale.

«La Facoltà di Economia e Giurisprudenza ha creduto fin dal primo giorno in questo progetto» dice Fabio Antoldi, docente di Strategia aziendale e di Imprenditorialità, direttore del Centro di ricerca per lo Sviluppo imprenditoriale (Cersi) e coordinatore del corso di laurea magistrale in Innovazione e imprenditorialità digitale. «Nel portare i saluti della preside, Anna Maria Fellegara, esprimo gratitudine e soddisfazione per i giovani che hanno scelto di mettersi in gioco. La scelta di essere qui connota già il loro stare dentro l’università. Avere la possibilità di stare fianco a fianco a un mentor darà la possibilità di acquisire la capacità di essere critici e di leggere il contesto, una qualità che di solito richiede anni per essere sviluppata».

Parole alle quali si sono aggiunte quelle di un altro docente della sede cremonese, Paolo Sckokai, direttore del Dipartimento di Economia agro-alimentare della Facoltà di Scienze agrarie, alimentari e ambientali e presidente dell’Associazione degli economisti agrari europei (Eaae): «Accanto al tema dell’accompagnamento, c’è quello della reciprocità. Tornare in università è un valore anche per i mentor. Cerchiamo di rendere le persone curiose e interessate a un mondo che sta cambiando velocemente». Nel portare i saluti del preside, Marco Trevisan, il professor Sckokai ricorda che «la Facoltà di Scienze agrarie è rappresentata in questo progetto da ben due corsi di laurea, entrambi in inglese. Anche questo è un segnale dell’università che cambia, così come lo è la ricca presenza di studenti internazionali in aula: segnale di novità e di vivacità».

Non è mancato, poi, il saluto del vice direttore delle sedi di Piacenza e Cremona, Matteo Burgazzoli, che ha sottolineato che «l’auspicio è che il percorso venga seguito in maniera seria e intelligente, perché può davvero portare un valore aggiunto».

«“Bridging the gap” non è semplicemente uno slogan, ma è una missione, una promessa per questi ragazzi: colmare questo divario tra il mondo teoria e quello della pratica», ha spiegato Fabrizio Capocasale, supervisore del progetto MyMentor, partendo proprio dal titolo del suo intervento. Un percorso dunque prezioso durante il quale sarà anche possibile interfacciarsi con gli eventi negativi del mondo del lavoro, come il fallimento. Un’occasione di crescita, umana e professionale, in tutto e per tutto.

A seguire, gli interventi di due storici mentor, che hanno portato le loro testimonianze, con alcuni aneddoti della loro storia in questo percorso. Consigli e avvertimenti agli studenti, prossimi a intraprendere una strada, una relazione, costruita sul rispetto e sulla fiducia.

Al termine dell’evento ha avuto luogo la cerimonia ufficiale di abbinamento mentor-mentee, seguita dalla cena a buffet per i presenti.




Padre Gabriele Guarnieri, saveriano in Brasile: «La missione ti cambia, fa scaturire una conversione»

Sarà padre Gabriele Guarnieri, saveriano originario della parrocchia di San Bernardo, a Cremona, da circa venticinque anni in missione in Brasile, di cui gli ultimi cinque a San Paolo, a presiedere la veglia missionaria diocesana in programma sabato 21 ottobre alle 21 in Seminario. Per alcune settimane in Italia, dopo che per sei anni non vi aveva fatto ritorno, sta incontrando amici e comunità sensibilizzando sul tema missionario tra Cremona e Parma, dove attualmente risiede presso la Casa madre dei Saveriani. Abbiamo avuto l’occasione per incontrarlo e porgli alcune domande.

Padre Gabriele, come è nata la sua vocazione?

«Da giovane sono sempre stato coinvolto nella attività della parrocchia. Sono sempre stato un giovane di Chiesa, che amava anche leggere il Vangelo e ascoltare le parole del Papa. Studiavo alle Magistrali e avevo come professore don Giosuè Regonesi, che ha un po’ incentivato il mio discernimento. Poi un ritiro vocazionale a Folgaria, nel 1981, in cui c’era come conferenziere don Maurizio Galli, allora rettore del Seminario, che mi ha fatto capire che prima della professione ci deve essere la vocazione. Da una parte don Giosuè, dall’altra don Maurizio, mi hanno fatto capire che potevo fare un discernimento più serio sulla mia vocazione. Durante l’ultimo anno delle superiori ho poi conosciuto padre Bruno, un missionario savariano. E ho fatto con lui un cammino di un anno. Sono andato e sono rimasto dentro. E sono ancora qua».

In che cosa consiste la tua attività a San Paolo?

«Io sono un padre saveriano missionario. Non sono parroco, sono animatore. Sono padre spirituale e vocazionale, quindi accompagno ragazzi e ragazze nel loro discernimento. Sono anche un padre missionario “onlife“: faccio interviste via social, videocast a tema vocazioni e missioni, in italiano e in portoghese».

Com’è lì la situazione sociale? 

«Qui in Brasile c’è un abisso tra i ricchissimi e i poverissimi: si spera che un po’ diminuisca. Ci sono 50mila omicidi e 40mila morti a causa di incidenti stradali all’anno, problemi gravissimi di droga e femminicidi. Si vivono le stesse cose ormai da anni, con la speranza che questo Governo aiuti maggiormente i più poveri e i più deboli. L’istruzione è pessima, con professori sottopagati che, per mantenersi, si trovano a dover coprire tre turni lavorativi. E sappiamo benissimo che così facendo viene poi a mancare la qualità. Solo una minoranza dei giovani brasiliani riesce a concludere le scuole superiori, anche se negli ultimi anni stanno aumentando gli iscritti alle università. Sono comunque ancora tantissimi quelli che, dopo la scuola media, vanno a lavorare o, alla peggio, finiscono nel giro della droga e della violenza».

Lei è un animatore vocazionale, come è la situazione da questo punto di vista?

«Vocazionalmente parlando, il Brasile sta andando bene nei Seminari diocesani. Stanno aumentando i sacerdoti, ma diminuiscono i religiosi, soprattutto i missionari, che fanno molta fatica e che, secondo me, in futuro si troveranno ancor più in difficoltà. Stanno anche aumentando le “nuove comunità” guidate da fondatori carismatici».

Che situazione sta vivendo attualmente l’ideale missionario?

«La Chiesa è missionaria, quindi siamo tutti missionari. Prima si parlava di missionari che vivevano totalmente per la missione: c’era molto l’idea di distacco dalla patria, con i missionari che partivano e non tornavano più a casa. Adesso, con le nuove vie di comunicazione e i trasporti veloci, è cambiato tutto: il missionario viene richiamato in patria, magari anche a parlare della sua missione. Diciamo che negli ultimi tempi si è persa questa radicalità della missione. Ma esiste un’altra differenza con il passato: nel mondo stanno crescendo moltissimo le Chiese locali. Prima il missionario era “l’eroe” che andava a rappresentare il Vangelo vivente laddove non c’erano comunità cristiane. Prima eravamo noi missionari a costruire le Chiese locali, ora ci inseriamo nelle Chiese locali, che esistono già».

Una missione, dunque, in continuo cambiamento, ma che resta una fiamma da tenere sempre viva. Ha un messaggio da lanciare alle giovani generazioni?

«Sì. Voglio dire loro che la missione ti cambia, fa scaturire una conversione. Se volete fare missione, ricordate che se è vero che è il missionario a fare la missione, allo stesso tempo è altrettanto vero che la missione fa il missionario».




A Cremona una tavola rotonda per guardare al futuro della chiesa di S. Marcellino

Prospettive per un patrimonio “in attesa”. Questo il titolo del convegno di domenica 22 ottobre, a Cremona, in cui è stato presentato alla comunità lo studio effettuato negli ultimi tre anni da studenti e docenti del Politecnico di Milano per la rivalutazione e la rimessa in uso della chiesa cittadina di Ss. Marcellino e Pietro, legata alla parrocchia di Sant’Agostino e facente parte dell’unità pastorale Cittanova che unisce anche Sant’Agata e Sant’Ilario. Una tavola rotonda alla quale hanno partecipato don Gianluca Gaiardi, incaricato diocesano per i Beni culturali ecclesiastici, il Soprintendente per le province di Cremona, Mantova e Lodi, Gabriele Barucca, Angelo Landi, professore associato al Politecnico di Milano e rappresentante del team di analisi e ricerca, l’architetto Giorgio Della Longa, don Umberto Bordoni, direttore della scuola “Beato Angelico” di Milano, e il sindaco di Cremona, Gianluca Galimberti.

«Una giornata che è frutto maturo di uno studio, un progetto, condiviso – ha spiegato don Gianluca Gaiardi a margine dell’evento –. Un’esigenza della Diocesi di affrontare quella che può essere una riflessione per tanti luoghi che sono stati luoghi di culto, ma che sono patrimonio culturale e artistico della nostra Diocesi e della nostra città». Un’occasione – ha proseguito – per valorizzare «quella che è stata la storia, che non va dimenticata, il passato, ma anche il presente, con tutte le rughe, con tutte le fatiche e le difficoltà di questo edificio, che ha bisogno di un intervento di recupero per una futura destinazione».

Quale futuro, dunque, per la chiesa di San Marcellino?  «Le nostre ricerche hanno riguardato dalla ricerca storica sino allo studio del microclima e degli stati di conservazione della chiesa, in particolar modo dei suoi dissesti e dei suoi degradi materici – ha spiegato Angelo Landi –. È una ricerca prodromica, che ha un futuro: è auspicabile un intervento per il riuso e per il restauro della chiesa. Auspichiamo quindi un riuso pubblico, come sala da concerti e per le atri performative». E ha aggiunto: «L’obiettivo non è solo un restauro materico di questa meravigliosa chiesa, ma anche quello di stimolare a Cremona l’inserimento di attività culturali. L’auspicio è che questo riuso avvenga il prima possibile e con il sostegno di tutta la città».

Una risposta a cui si aggiunge anche quella dell’architetto Giorgio Della Longa: «Quello del riuso è naturalmente uno dei temi di questo intervento. Nel senso che in edifici come questo si tratta di operare per una convivenza tra usi: un uso religioso e un uso civico, perché credo che questa sia una della possibili soluzioni al problema delle chiese chiuse».

Il problema degli edifici di culto in disuso è stato approfondito anche dal Soprintendente Barucca, che ha sottolineato la necessità di «trovare, insieme alle autorità, una soluzione per dare una continuità di vita, di valorizzazione e di frequentazione a questi edifici. È un argomento molto complesso – ha aggiunto –, sia dal punto di vista giuridico che tecnico-pratico, per cui questi dibattiti servono per affrontare con una certa attenzione e opportunità questo tema assolutamente centrale nel contesto del nostro patrimonio artistico». Un problema che, come evidenziato da don Umberto Bordoni, riguarda anche il futuro: «Si tratta di un patrimonio immenso di edifici che nel corso dei prossimi decenni dovranno essere rimessi a disposizione delle comunità religiose e civili».

Un argomento tanto importante quanto delicato, in cui sicuramente anche la città e la comunità cristiana cremonese devono avere sempre più voce in capitolo, perché – come sottolineato dal parroco di S. Agostino, don Irvano Maglia, «la chiesa di Ss. Marcellino e Pietro è un edificio prezioso che ha perso certamente non la sua bellezza, ma il suo significato all’interno della città». Mossi i primi passi, eseguiti i primi studi, è ora di passare all’azione. Con l’onere e l’onore, per tutta la comunità cremonese, di restituire tutto il suo prezioso valore a questo patrimonio. In attesa.




Missioni, Gloria Manfredini in partenza per Salvador de Bahia

Dopo l’ultima esperienza missionaria fatta tra il 2021 e il 2022, il 29 ottobre Gloria Manfredini, cremonese dell’unità pastorale Sant’Omobono, farà ritorno in Brasile, a Salvador de Bahia, nella parrocchia di Jesus Cristo Ressuscitado, legata alla Diocesi di Cremona e di cui è parroco il sacerdote fidei donum cremonese don Davide Ferretti. A una settimana dalla sua partenza, che coinciderà con gli ultimi giorni dell’ottobre missionario, abbiamo avuto l’opportunità di intervistare l’educatrice cremonese.

Gloria, che cosa l’ha spinta a tornare a Salvador de Bahia, dopo una prima esperienza come missionaria laica?

«Mi ha spinto proprio il fatto di esserci già stata, di aver già sperimentato la vita là, sia nel servizio in parrocchia che nelle realtà educative nel quartiere. Ma, soprattutto, la sensazione di non aver finito quello che avevo messo in campo: una sensazione di incompiutezza. Da qui il desiderio di portare avanti quello che si era aperto durante la precedente permanenza. Con queste parole può sembrare che io abbia fatto chissà cosa. In realtà, i primi mesi dell’anno che ho passato a Salvador mi sono serviti per ambientarmi e per farmi conoscere e quindi, una volta che poi è cominciata la collaborazione, era già ora di tornare. Sono rimasta un po’ a metà. L’idea, comunque, non è quella di andare ad aprire e creare cose nuove, ma semplicemente di mettere in campo le mie competenze e di collaborare con le realtà che già ci sono. L’inizio servirà comunque ancora per riambientarmi, perché sono via da un anno e le cose cambiano velocemente. I primi mesi serviranno sicuramente ancora per osservare e capire se si può ricominciare da dove ho lasciato».

E a livello sociale ed educativo, che ambiente aveva lasciato?

«C’è una fetta di città, che è la periferia, dove ognuno si arrangia un po’ come può. Le condizioni sociali non sono favorevoli. Nel senso che sono più gli ostacoli, nel percorso del raggiungimento di una vita dignitosa, rispetto agli aiuti. Questo riguarda tutti i campi: da quello educativo a quello sanitario, fino al mondo del lavoro. In queste periferie le offerte della strada superano quelle che ti permettono di costruire una vita accettabile».

Crede che il mondo missionario stia cambiando?

«Personalmente penso che, come in tutti i settori, sia un mondo in trasformazione. Non so che direzione prenderà, ma se la vita del mondo cambia, in mezzo al caos bisogna cercare di capire dove stanno andando le persone. Se tante cose vent’anni fa andavano bene, ora ci sarebbe il bisogno di capire che cosa la gente ti sta chiedendo e le trasformazioni che il mondo ti sottopone».

E qui in Italia e in diocesi che cosa si può fare?

«Possiamo aiutare queste genti ad avere più strumenti possibili con i quali possano creare la loro vita. Se tu hai i pastelli senza punta, non puoi disegnare. Nei mesi in missione io mi sono sentita come il temperino: non sono io a fare il disegno o a scegliere i colori da usare, sono quella che aiuta a fare la punta».

Sa già quanto starà in Brasile?

«Soprattutto in Brasile, le cose non sono sempre prefissate. Intanto rifaccio un anno, poi vediamo se le condizioni – brasiliane, italiane e parrocchiali – permettono di andare avanti ancora un po’. L’idea è quella di fare più di un anno. A differenza della prima volta, adesso che conosco di più la realtà, paradossalmente ci sono meno aspettative. Bisogna però fare attenzione a non cadere mai nell’abitudine, che non ti permette di cogliere il dettaglio».

 

Guarda l’intervista a Gloria Manfredini ospite del Giorno del Signore




“Ispiera”, un raggio di sole nella missionarietà dei nostri territori

In occasione dell’assemblea plenaria del Clero, tenutasi lo scorso 19 ottobre in Diocesi, è stato presentato e distribuito a tutti i sacerdoti della diocesi Ispiera, opuscolo pubblicato a un anno di distanza dal Festival della missione. Durante il Festival, dal titolo Vivere per dono, vissuto un anno fa a Milano, si sono delineate interessanti piste di riflessione sul tema dell’evangelizzazione. Da lì, gli uffici missionari della Diocesi della Lombardia, i membri delle consulte diocesane e gli animatori missionari di diverse comunità lombarde hanno ripreso gli spunti più interessanti usciti durante l’evento e hanno redatto questo piccolo opuscolo, che non è la sintesi di tutti gli interventi, ma lo spunto per riprendere e approfondire ciò che sta maggiormente a cuore alla Chiesa: l’evangelizzazione.

«Il testo porta lo strano titolo di Ispiera – spiega don Umberto Zanaboni, incaricato diocesano per la Pastorale missionaria –. Ispiera è un sottile raggio di sole che, penetrando attraverso una fessura in un ambiente buio, lo illumina». Un termine che compare nel Codice Riccardiano 1341 come traduzione di un passo del vangelo apocrifo dello Pseudo Matteo in cui si narra un gioco d’infanzia di Gesù che cavalca l’ispiera del sole. «Un piccolo raggio di luce, insieme ai molti altri che risplendono nelle nostre comunità – prosegue il sacerdote –: un raggio di luce, in questo tempo difficile di sfide e cambiamenti, per aiutare le nostre comunità ad alzare gli occhi e vedere i campi che già biondeggiano per la mietitura (cfr. Gv 4,35). Questo contributo frutto della riflessione di altri fratelli e sorelle nella fede possa essere utile per accendere il fuoco della missione nei nostri territori».

Uno sguardo dunque attento al valore della missione, che ha preso lo slancio con il Festival dello scorso ottobre e che si appresta a vivere una stagione da protagonista nelle Chiese locali.

Anche a Cremona ha iniziato infatti a prendere forma una piccola équipe missionaria diocesana, formata sia da sacerdoti che da laici, con l’obiettivo di proporre momenti di sensibilizzazione su tematiche della missionarietà. Il gruppo attualmente è formato da don Umberto Zanaboni, don Andrea Lamperti Tornaghi, Marco Allegri, Chiara Allevi, Marta Ferrari, Gloria Manfredini e Matteo Righetti. «L’obiettivo è quello di allargare sempre di più i nostri orizzonti – conclude don Zanaboni – soprattutto ai giovani, che sono più sensibili alla mondialità».

 

Scarica la versione integrale di “Ispiera”




Cremona in preghiera per la pace nel segno della solidarietà

Una serata di preghiera e riflessione, in questi tempi in cui davvero ce n’è bisogno. Di entrambe. In un periodo in cui il mondo viene martoriato dai conflitti, dai crimini, dall’odio. Una chiesa, quella di San Giorgio in San Pietro al Po, a Cremona, gremita, nella serata di martedì 17 ottobre, per l’adorazione eucaristica per la pace in Terra Santa, organizzata dalla zona pastorale terza della Diocesi di Cremona e presieduta dal vescovo emerito Dante Lafranconi. “Su te sia pace!”, lo slogan della serata, promossa nell’ambito della Giornata nazionale di digiuno, preghiera e astinenza per la pace e la riconciliazione stabilita della Presidenza della CEI in comunione con i cristiani di Terra Santa.

«Con il cuore pieno di sgomento per gli orrori dell’odio e della violenza della guerra che feriscono la Terra Santa, eleviamo la nostra supplica a Dio, re della pace, affinché israeliani e palestinesi possano trovare la strada del dialogo. E preghiamo anche per tutti i popoli che sono in guerra, perché anche per loro è necessario ritrovare la pace». Dopo le parole del vescovo emerito Lafranconi, la preghiera è continuata nell’adorazione silenziosa, ma rumorosa più che mai di fronte alle ingiustizie di questo mondo. Un silenzio interrotto solo dalle invocazioni di preghiera. Tre Salmi, recitati a cori alterni, hanno intervallato i momenti di raccoglimento. Uno sguardo a Dio, misericordioso, annunciatore di pace. Nel mentre, il Santissimo Sacramento esposto sull’altare, non solo per essere adorato, ma perché sia chiamata, per ogni persona, affinché abbondino la pace e la giustizia.

La Veglia, che ha visto la presenza di numerosi fedeli provenienti da tutta la città e non solo, si è conclusa con la recita delle litanie e con la benedizione eucaristica, impartita dal vescovo emerito.

«Grazie, fratelli e sorelle, per esservi lasciati convocare per questa preghiera per la pace – ha detto don Pietro Samarini, vicario zonale della Zona pastorale 3, al termine della celebrazione –. Grazie per questa adorazione eucaristica, una preghiera “nuda”, che è fatta di silenzio, di contemplazione, di ascolto». Il vicario zonale ha quindi presentato i bussolotti – situati in fondo alla chiesa – per le offerte destinate alle necessità della Chiesa di Gerusalemme. Una forma di sostegno che si affianca a quella di Caritas Cremonese, che ha aperto in questi giorni la colletta straordinaria “Emergenza Terra Santa” i cui fondi confluiranno negli aiuti di Caritas Italiana per le popolazioni vittime del conflitto.

Una serata di preghiera per la pace e di solidarietà. Come in giornata si era fatto anche in Cattedrale dove è stata proposta in maniera straordinaria l’iniziativa “Pausa… digiuno”, ormai diventata abituale nei tempi forti dell’anno liturgico. Anche in questo caso l’opportunità di un tempo di adorazione eucaristica personale, unendo alla preghiera anche un gesto concreto di solidarietà: l’invito, infatti, è stato quello di devolvere il corrispettivo della spesa del pasto in beneficenza. Con le offerte anche in questo caso indirizzate in modo particolare agli interventi della Caritas in Terra Santa.

Altri momenti di preghiera sono stati vissuti il 17 ottobre nelle diverse parrocchie della diocesi, dopo il Rosario aux flambeaux del14 ottobre al Santuario di Santa Maria del Fonte, a Caravaggio, presieduto dal vescovo Antonio Napolioni.

 

La colletta “Emergenza Terra Santa”

Caritas Cremonese ha aperto la colletta straordinaria “Emergenza Terra Santa”, i cui fondi confluiranno negli aiuti di Caritas Italiana per le popolazioni vittime del conflitto. «Caritas Italiana – assicura il direttore don Marco Pagniello – continuerà a dare il suo contributo in attività di carattere umanitario, in progetti volti allo sviluppo integrale della persona, nella promozione di giustizia, pace e riconciliazione». Caritas Gerusalemme, che vede tra gli sfollati a Gaza anche membri del suo personale, si sta preparando a intervenire a sostegno della popolazione colpita non appena sarà possibile.

La Caritas in Terra Santa nasce in risposta a emergenze umanitarie, come quella di questi giorni, dovute a un conflitto che dura da più di settant’anni. Caritas Gerusalemme, sostenuta da Caritas italiana e da altre Caritas, nel tempo ha portato avanti programmi di assistenza umanitaria, fornendo generi di prima necessità e assistenza medica mediante delle cliniche, sia nei territori palestinesi che a Gaza. L’attività negli ultimi quindici anni, si è evoluta anche attraverso attività concentrate sullo sviluppo, sul miglioramento delle condizioni economiche di famiglie, comunità e villaggi attraverso specifici progetti di sviluppo economico, in particolare sotto il profilo agricolo, artigianale e del commercio cercando di valorizzare al meglio le risorse locali.

È possibile contribuire agli interventi di Caritas facendo un versamento intestato a Fondazione San Facio, specificando nella causale “Emergenza Terra Santa”, attraverso:

  • Conto Corrente Bancario
    IBAN: IT 57 H 05156 11400 CC0540005161
  • Conto Corrente Postale
    n. 68 411 503

oppure direttamente alla Caritas Cremonese attraverso un bonifico sul relativo Conto corrente:

  • Conto Corrente Bancario
    IBAN: IT 74 E 03069 11400 100000061305

 

 

Rosario per la pace al Santuario di Caravaggio. Il Vescovo: «Non esistono parole per dire il bisogno di pace e di dialogo fraterno tra i popoli che vivono in Terra Santa»




In Cattedrale l’ultimo saluto a mons. Angelo Staffieri. Il vescovo: «è stato una bella cornice del quadro del Signore»

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«Ci mancherai. Mancherai al presbiterio, mancherai ai tuoi fratelli, alla tua famiglia, mancherai alle comunità in cui sei cresciuto e in cui hai prestato servizio, ma non mancherai in Cielo. E allora lì fai festa e intercedi perché nel mondo non cessino la speranza, la gioia, i motivi di fiducia e i motivi di festa».«Intercedi insieme a noi in questa Messa per la pace nel mondo». Si sono aperte con queste parole, pronunciate dal vescovo Antonio Napolioni, le esequie di mons. Angelo Staffieri, 77 anni il prossimo 29 ottobre, canonico del Capitolo della Cattedrale deceduto lo scorso 13 ottobre. Le esequie, celebrate nella mattinata di lunedì 16 ottobre nella Cattedrale di Cremona, sono state presiedute dal vescovo Napolioni e concelebrate dal vescovo emerito Dante Lafranconi, dai canonici del Capitolo e diversi altri sacerdoti diocesani.

Una vita, quella di mons. Staffieri, descritta dal Vescovo attraverso un parallelismo con le letture della celebrazione. Così come l’identità di san Paolo, anche «la chiamata, la vita sacerdotale di don Angelo, è una cornice: il quadro è un altro. E direi che don Angelo è stato una bella cornice. Ci teneva a far fare bella figura al Signore». «E in questo senso – ha aggiunto Napolioni nell’omelia – ha saputo usare al meglio questo pizzico di sano narcisismo, che deve far parte della vita di tutti noi. In un tempo di narcisismo patologico e ossessivo, è delicato parlare di un narcisismo sano. Ma siccome viviamo anche un tempo di depressione, di pessimismo, di nichilismo, è belo vedere dei preti sorridenti e non con una maschera, ma con una trasparenza umile della gioia di essere cristiani».

Nel Vangelo del giorno, Gesù giudica malvagia la generazione che lo circonda, che cerca segni straordinari. «Attenzione a non cadere nella trappola di giudicare male la gente – ha messo in guardia il Vescovo –. A volte la pretesa di noi sacerdoti è vedere le proprie comunità sempre vivaci, attive, generose, unite. Ma qual è il segno che rende possibile il coinvolgimento di generazioni umane nella fede e nella carità? Gesù dice il segno di Giona, il segno di Salomone. “Qui c’è più di Giona… più di Salomone”. Noi invece dovremmo dire “in noi c’è meno di Giona, meno di Salomone”: solo Gesù è il segno per eccellenza. E infatti Paolo punta tutto affinché si possa suscitare l’obbedienza della fede in tutte le genti, per la gloria del nome del Signore». «Ecco la povertà di questo momento – ha proseguito il Vescovo – nel quale i bilanci umani lasciano il posto alla consegna finale, definitiva, di una vita sacerdotale condivisa gioiosamente e umilmente con tutti».

L’omelia si è conclusa nel ricordo del costante desiderio, da parte di mons. Staffieri, di tornare a cantare le Lodi e i Vespri: «Il Signore lo ha preso troppo sul serio. Lo ha trasferito in un altro coro. E da lì ci aiuti davvero a essere popolo che canta e cammina, pellegrino nella storia, senza lasciarsi intimorire dalle vicende del mondo, ma facendosi invece illuminare dal santo timor di Dio, per poter proclamare la Parola eterna, e servire instancabilmente il bisogno dell’amore di Dio che c’è anche in questo mondo».

Dopo l’ultimo saluto, la salma di mons. Staffieri è stata portata al cimitero di Formigara, suo paese d’origine, per la sepoltura.

 

Omelia del vescovo Napolioni

 

 

Profilo biografico di mons. Staffieri

Classe 1946, originario di Formigara, mons. Angelo Staffieri è stato ordinato sacerdote il 24 giugno 1972, iniziando il proprio ministero come vicario a Cremona nella parrocchia di S. Sebastiano. Nel 1985 è stato nominato parroco di Fengo. Nel 1997 il trasferimento, sempre come parroco, a Sesto Cremonese assumendo anche gli incarichi di amministratore parrocchiale di Luignano (dal 1998 al 2000) e Crotta d’Adda (nel 2008). L’8 settembre 2020 era stata ufficialmente all’interno del Capitolo della Cattedrale come canonico effettivo. È deceduto venerdì 13 ottobre all’Ospedale di Cremona, dove era ricoverato da alcuni giorni. Avrebbe compiuto 77 anni il 29 ottobre.




Nuovi parroci, domenica a Pieve San Giacomo l’ultimo degli insediamenti

Nel pomeriggio di domenica 15 ottobre la comunità di Pieve San Giacomo accoglierà i suoi nuovi sacerdoti: il parroco don Federico Celini, già anche parroco dell’unità pastorale “Madre Nostra” (formata dalle parrocchie di Cella Dati, Derovere, Longardore, Pugnolo, San Salvatore, Sospiro e Tidolo), e il collaboratore parrocchiale don Marco Bosio. L’ingresso avverrà in occasione della Messa delle 16 presieduta dal vescovo Antonio Napolioni. Si tratta dell’ultimo degli insediamenti dei nuovi parroci nominati nei mesi scorsi.

La celebrazione inizierà con il consueto saluto da parte dell’Amministrazione comunale, per voce del sindaco Maurizio Morandi, e proseguirà poi in chiesa con i gesti tipici del rito dell’insediamento, caratterizzato dalla lettura dell’atto del decreto di nomina, l’aspersione dei fedeli e l’incensazione dell’altare, il saluto del consiglio pastorale parrocchiale e, dopo l’omelia tenuta dal vescovo, della professione di fede recitata dal nuovo parroco, che al termine della Messa prenderà la parola per salutare la nuova comunità. Dopo la celebrazione il rinfresco in oratorio: un momento di ritrovo per la comunità e un primo approccio con il nuovo parroco.

In preparazione all’ingresso dei nuovi sacerdoti la comunità di Pieve San Giacomo è chiamata a vivere, nella serata di giovedì 12 ottobre alle 21 in chiesa parrocchiale, la celebrazione penitenziale presieduta dal vicario zonale della zona pastorale 4, don Antonio Pezzetti.

 

Biografia dei sacerdoti

Celini don Federico, classe 1957, originario della parrocchia di San Bernardo a Cremona, è stato ordinato sacerdote il 20 giugno 1987. È laureato in Lettere, con specializzazione in Comunicazioni sociali e giornalismo. Dal 1987 al 2016 è stato docente in Seminario. Giornalista professionista, dal 1993 al 1996 è stato condirettore del settimanale diocesano “La Vita Cattolica” e dal 1991 al 2013 direttore responsabile del periodico del Seminario “Chiesa in cammino”.
Amministratore parrocchiale di Villa Rocca (1993-2003), è stato successivamente parroco a Cicognolo (1997-2007) e Costa Sant’Abramo (2007-2014).
Dal 2014 è parroco di Longardore, San Salvatore, Sospiro e Tidolo e dal 2020 moderatore dell’unità pastorale “Madre nostra” formata dalle suddette parrocchie insieme a quelle di Cella Dati, Derovere e Pugnolo, delle quali è diventato parroco nel 2021. Dal 2016, inoltre, è incaricato diocesano per la Pastorale ecumenica e, dal 2017, coordinatore dell’area pastorale “Capaci di comunicazione e cultura”. Dal 2023 è direttore responsabile del “Bollettino Ufficiale per gli Atti del Vescovo e della Curia”, di “TeleRadio Cremona Cittanova”, “Il Mosaico” e “Riflessi Magazine”. Ora il Vescovo gli ha affidato la cura pastorale anche di Pieve San Giacomo come nuovo parroco, prendendo il testimone da don Alfredo Valsecchi.

Don Marco Bosio, classe 1979, originario di Cumignano sul Naviglio, è stato ordinato sacerdote l’11 giugno 2005. È stato vicario di Brignano Gera d’Adda (2005-2011) e successivamente collaboratore parrocchiale delle parrocchie di Cicognara, Cogozzo e Roncadello (2012-2013). Dal 2013 al 2016 è stato vicario delle parrocchie di Binanuova, Ca’ de’ Sefani, Gabbioneta e Vescovato e dal 2014 al 2016 anche di Pescarolo e Pieve Terzagni. Dal 2016 al 2019 è stato collaboratore parrocchiale delle parrocchie di Buzzoletto e Viadana (“S. Maria Annunciata”, “S. Maria Assunta e S. Cristoforo”, “S. Pietro apostolo” e “Ss. Martino e Nicola”). Tra il 2019 e il 2021 ha approfondito gli studi teologici a Bologna. Nel 2021 è stato nominato collaboratore parrocchiale delle parrocchie di Castelleone e Corte Madama. Ora assume l’incarico di collaboratore parrocchiale di Pieve San Giacomo.

 

Il saluto sul bollettino parrocchiale

Sarà bello camminare insieme così

“Una parrocchia ‘di tradizione’”. Così mi è stata definita da un amico la realtà di Pieve San Giacomo con Gazzo e Ognissanti, quando è stata resa nota la mia nomina a parroco. E “di tradizione” so che lo è davvero, non nel senso della replica sterile di vuote abitudini o consuetudini, ma nella consistenza feconda di quanto ci viene consegnato e rappresenta i fondamentali di una vera comunità cristiana. E come non prendere atto con gioia e commozione che Pieve San Giacomo ha saputo generare e donare alla Chiesa il carissimo Vescovo Enrico? Per questo, con gioia, con don Marco vengo fra di voi, perché sarà bello camminare insieme così.

Sarà bello camminare insieme nella corresponsabilità, nell’esercizio, nella condivisione e nell’offerta generosa e coordinata di competenze, servizi, propositività, nel reciproco rispetto e nella valorizzazione di ruoli e ambiti di azione.

Sarà bello camminare insieme nell’unità. Perché quella è la prima testimonianza, da cui scaturisce la credibilità di una comunità. Faremo volentieri a meno degli arroccamenti, delle chiusure, degli steccati, sterili se non addirittura controproducenti.

Sarà bello camminare insieme nell’apertura e nella ricezione di tutte quelle istanze che, nella Chiesa e nel mondo, ci interpellano e ci sollecitano, perché nella irrinunciabile fedeltà al nostro
Battesimo diventiamo davvero missionari là dove siamo chiamati a vivere.

Sarà bello camminare insieme nell’ascolto. Della Parola di Dio, innanzitutto, e di tutto quanto esige che non si chiudano orecchi, occhi, mente, cuore nella ricezione e nell’accoglienza umile, fedele e trasparente di ciò che la Chiesa oggi ci indica come cammino da percorrere insieme, in una storia che non possiamo illuderci di fermare o addirittura riportare indietro.

Sarà bello per questo e per altre mille ragioni, perché così la nostra comunità potrà essere veramente anche un piccolo, ma profetico laboratorio di cordiale sinodalità. Lo Spirito Santo e l’intercessione della Madre ci accompagnano e ci accompagnino sempre, nel nostro cammino insieme.

Con affetto.

Don Federico con Don Marco

 

Tutte le news relative agli ingressi 2023

 




Chiesa di Casa, per la scuola una sfida tra presente e futuro

È passato un mese dalla ripresa delle attività scolastiche, con il rientro di bambini e ragazzi nella quotidianità formativa che li terrà impegnati fino alla prossima estate. E proprio di scuola si è parlato nell’ultima puntata di Chiesa di Casa, il talk settimanale della Diocesi di Cremona, che proprio oggi celebra la Giornata diocesana della scuola. Ospiti della puntata Margherita Costa, vicepreside del liceo sportivo «Girolamo Vida», Maria Paola, direttrice della scuola primaria «Sacra Famiglia», e Simona Piperno, dirigente degli istituti di istruzione superiore «Arcangelo Ghisleri» e «Janello Torriani» di Cremona.

«Fare scuola oggi significa guardare la realtà, indirizzare lo sguardo ai bambini che abbiamo davanti e voler bene alla realtà che ci troviamo di fronte, senza rimpianti del passato», ha sottolineato Maria Paola, che ha aggiunto: «Serve però anche una grande speranza sul futuro».

Ma non c’è futuro senza prospettive. Prospettive che iniziano a maturare sin da piccoli e che magari cambiano e si concretizzano progressivamente, sino – e durante – gli anni delle superiori. «Accogliamo ragazzi che stanno diventando grandi – ha evidenziato Margherita Costa –. In terza superiore avviene poi il giro di boa, quando cominciano a capire meglio chi sono; e più avanti, in quarta e quinta, cosa vogliono diventare».

La scuola come ambiente di crescita personale, di formazione, luogo di istruzione e di educazione. Un aspetto che, però, deve essere alimentato dall’alleanza tra la scuola e le famiglie, anche se questa non è sempre facile da consolidare. «A fronte di famiglie che collaborano, ce ne sono tante altre che fatichiamo a intercettare – ha raccontato Simona Piperno –. La scuola è solo un tassello della comunità educante, la famiglia è l’elemento fondante». È importante tessere rapporti con i nuclei famigliari, ma anche con le altre realtà che gravitano attorno alla vita quotidiana dei giovani, come gli oratori e le società sportive. «Le realtà che comunicano tra di loro sono di diversa natura – ha aggiunto – ma hanno tutte un obiettivo comune: il benessere dei ragazzi».

«Spesso i genitori ci chiedono aiuto – ha voluto aggiungere Maria Paola –. Non è una rinuncia, è dovuto al fatto che a volte sono molto soli. Proprio per questo credo che sarebbe molto utile un maggiore dialogo tra scuola e famiglie».

La gente è spesso portata a pensare alla scuola come il semplice processo verso una valutazione. Non è semplicemente questo, ma è bene concentrarsi su questo termine: «processo». Perché la scuola è un cammino. Esistono, infatti, vari tipi di valutazione. E una di queste è la valutazione per competenze, che si concentra più sulla persona che sulla prova in sé. «Si può non eccellere in una disciplina, ma avere comunque competenze spendibili nel mondo del lavoro – ha spiegato la Piperno –. Questo è il tipo di valutazione che permette di capire quali sono le reali attitudini dello studente. Valutare per competenze significa quindi riconoscere i punti di forza, ma anche le criticità che devono essere implementate e rafforzate». Uno sguardo davvero attento al percorso di ciascuno.

Si può dire quindi che la scuola non è solo studio. È crescita, incontro, relazione, comunità, equilibrio. Passato e futuro sono i due piatti della bilancia, per donare significato e stabilità al presente. Dell’istruzione, degli alunni, di ognuno.