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Don Primo, «un profeta che parla ai cristiani di ogni tempo»

Nel sessantaquattresimo anniversario della sua scomparsa si torna a parlare di don Primo Mazzolari, il sacerdote cremonese che, tra il primo e il secondo dopoguerra, ha fatto parlare di sé e del suo modo di vivere il Vangelo. Nella nuova puntata di “Chiesa di casa”, il talk di approfondimento pastorale della Diocesi di Cremona, è infatti intervenuta la presidente della fondazione Don Primo Mazzolari di Bozzolo, Paola Bignardi, che ha approfondito alcune tematiche care al Parroco d’Italia.

«Uno dei temi fondamentali nella sua esperienza di vita è certamente la cultura, sia perché lui stesso era uomo di cultura, sia perché ha sempre cercato di impastarla con la vita quotidiana della sua gente». E non è un caso che il convegno promosso dalla Fondazione Mazzolari sabato 15 aprile a Bozzolo abbia come focus proprio la questione educativa.

«Quella di don Mazzolari – ha precisato Matteo Lodigiani, collaboratore dell’ufficio comunicazioni diocesano e legato alla figura del parroco di Bozzolo – è una testimonianza che ha valore ancora oggi: il suo modo di vivere il Vangelo era fortemente compromesso con la storia degli uomini. Ha vissuto in prima linea l’esperienza della guerra e non si è mai tirato fuori dalle questioni politiche e sociali del secolo scorso. Questo aiuta anche noi a comprendere come essere cristiani nel mondo, indipendentemente dal fatto che siamo sacerdoti, religiosi o laici».

In questo senso, il sacerdote cremonese è stato precursore dei tempi. Più volte, in questi anni, Papa Francesco ha invitato i sacerdoti a essere pastori con l’odore delle pecore, e Mazzolari non è stato certo un parroco che si è tenuto a distanza dal suo popolo. Ecco perché, secondo la Bignardi, «don Primo può essere considerato un profeta. Ha avuto a cuore alcune questioni su cui solo negli ultimi anni è stato posto l’accento a livello di Chiesa universale. Penso semplicemente all’attenzione per i lontani, o al tema della misericordia, che, nella sua interpretazione, è l’unico modo per vivere concretamente il Vangelo».

Come tutti i profeti, anche Mazzolari ha avuto dei momenti di difficoltà, di scontro con la Chiesa del suo tempo. «Ci basta ripercorrere la storia di Gesù – ha chiosato Lodigiani – per capire cosa può accadere a chi si fa portatore autentico della parola di Dio».

Nonostante questo, però, procede da diversi anni la fase diocesana del processo di beatificazione del Parroco di Bozzolo, che, per Paola Bignardi, «è un segno bello e evidente di come il modello proposto da don Primo sia significativo per i cristiani di ogni tempo e testimonia, con ancora più efficacia, la sua autenticità nel vivere il Vangelo».




Il catecumenato e la “famiglia” che accompagna

«La parrocchia è testimone nella storia del Vangelo di Gesù». Con queste semplici parole don Antonio Bandirali, parroco dell’unità pastorale S. Omobono di Cremona, ha spiegato il rapporto tra comunità cristiana e annuncio durante la nuova puntata di “Chiesa di casa”. Dedicata interamente alla celebrazione dei sacramenti nella notte di Pasqua, la trasmissione ha avuto come centro di riflessione proprio la dinamica dell’annuncio, «che è un aspetto determinante – secondo Bandirali, che ha accompagnato un catecumeno alla celebrazione dei sacramenti nella notte di Pasqua – e passa certamente da iniziative istituzionali, ma anche dalla testimonianza di vita cristiana che una comunità può dare, insieme alla sensibilità che ogni parrocchiano può mettere in gioco nella quotidianità».

Parole che sembrano in linea con l’esperienza di Ibnou Abass Diaye, della parrocchia di San Francesco d’Assisi, a Cremona, e originario del Senegal. «Io nasco da una famiglia musulmana – ha raccontato il giovane – ma ho sempre avuto davanti l’esempio di mia nonna, che era cristiana. Quando sono arrivato in Italia, poi, è stato l’incontro con molte persone che hanno saputo accogliermi e guidarmi a farmi desiderare di ricevere i sacramenti. Per cui, se sono qui, lo devo a loro e alla testimonianza di vita e di fede che mi hanno trasmesso».

Quello di accompagnare i catecumeni alla celebrazione di Battesimo, Confermazione ed Eucaristia non è un compito che spetta solamente ai sacerdoti. Secondo il parroco cremonese, infatti, anche «la famiglia, gli amici, i colleghi possono dare una testimonianza molto forte di vita cristiana».

Vita cristiana il cui centro è rappresentato proprio dall’evento pasquale. «Ricevere i sacramenti nella notte di Pasqua – ha affermato Abass – è molto speciale. Aspettavo da tempo questo momento, ma nonostante non fossi ancora battezzato, mi sono già sentito parte della comunità a tutti gli effetti».

Quella delle parrocchie è allora una presenza assolutamente rilevante nel cammino del catecumenato, ma non solo. La vera sfida, per Bandirali, «è quella di riconoscere un catecumeno come un reale appartenente alla comunità».

Dall’altro lato, la comunità stessa può lasciarsi provocare dalla presenza di chi ha deciso di intraprendere un cammino di Iniziazione Cristiana per avvicinarsi e scoprire la fede. «La scelta e la richiesta dei sacramenti ci provocano molto – ha concluso don Antonio Bandirali – perché spesso siamo abituati a procedere per inerzia. In questi ragazzi, invece, ho colto una grande generosità nel desiderio di intraprendere questo cammino, insieme alla serietà nel rendersi disponibili ad entrare sempre di più a far parte della Chiesa».




Dalla croce alle strade: la Sacra Spina in processione con il vescovo Trevisi

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«Per cambiare il mondo dobbiamo contemplare il Crocifisso e guardarci con i suoi occhi». Con questo augurio il vescovo Enrico Trevisi ha concluso la propria riflessione dopo aver presieduto la tradizionale processione con la Sacra Spina per le vie di Cremona. Ancora una volta la città si è animata, con rispettoso silenzio e devozione, per accogliere ed accompagnare con la preghiera il cammino del Signore attraverso le tenebre della sofferenza e della morte.

Da sempre il Venerdì Santo è il giorno dedicato alla contemplazione della croce, che, secondo Trevisi, è il luogo ideale per «guardare tutto dalla prospettiva del Crocifisso, che nel morire per noi ha ha compiuto il disegno di salvezza che il Padre gli ha affidato».

La celebrazione della Via Crucis lungo le strade della città ha sempre avuto un sapore speciale per i cremonesi, perché segno evidente della presenza della Chiesa nel mondo. «Ma come essere nel mondo ‒ ha commentato il vescovo ‒ e guardare le nostre responsabilità verso la pace, la giustizia e i poveri?».

L’omelia del Vescovo Trevisi

 

Secondo Trevisi, la risposta arriva, ancora una volta, dalla croce. «L’unico punto prospettico che consente uno sguardo capace di comprendere la complessità della vita e della storia è quello di Gesù in Croce».

E proprio al Cristo, al Vivente che ha vinto la morte, mons. Trevisi ha affidato tutti i fedeli, prima di benedire l’assemblea, e l’intera città, con la reliquia della Sacra Spina, segno visibile dell’amore del Signore per il suo popolo.

Un popolo spesso ferito, provato e sofferente, ma che ha nuovamente trovato la forza per vivere con rinnovato slancio i momenti cruciali del Triduo. Perché la contemplazione del mistero pasquale, ha concluso Trevisi, «dà sapore e gusto nuovo ad ogni sfida della vita, dà colore e intensità ad ogni nostro giorno, profuma le nostre relazioni di una fraternità che è anticipo e prefigurazione del Paradiso. E allora avremo l’ardire di fare le scelte della nostra vita».

 

Il video completo della celebrazione




Prima tu! Già tempo di tuffarsi nell’estate oratoriana

Prima tu! La maglia che gli animatori del prossimo Grest indosseranno, porterà proprio questa scritta. «È un invito a buttarsi, a mettersi in gioco – ha spiegato Emanuele Bergami, educatore, volontario della Federazione Oratori Cremonesi e membri della commissione regionale CreGrest, durante la nuova puntata di “Chiesa di Casa” – rivolto a tutti i ragazzi e giovani che sentono il desiderio di vivere un’esperienza di gioia, condivisione e cura». E sarà proprio la cura il tema centrale del Grest 2023, intitolato “Tuxtutti – E chi è mio prossimo?”.

Per Paolo Mazzini, grafico di TeleRadio Cremona Cittanova e anch’egli della commissione regionale CreGrest, quella di avere un versetto biblico come sottotitolo «è una scelta forte, a cui teniamo molto. È il segno evidente che, alla base della nostra proposta, c’è la Parola, l’incontro con il Signore».

Una caratteristica, questa, che rende l’esperienza del Grest diversa da tutte le altre. «In estate i nostri cortili si aprono per accogliere qualcosa di magico – ha proseguito Bergami – ovvero la presenza di centinaia di bambini e ragazzi che hanno il desiderio bello di stare insieme, di condividere le proprie giornate in un luogo speciale: l’oratorio».

E se l’estate è il periodo in cui ogni comunità parrocchiale vede concretizzarsi la proposta estiva, la progettazione del CreGrest, invece, avviene molto tempo prima. «il nostro lavoro in commissione – ha commentato Mazzini – precede di parecchi mesi l’attività di educatori e animatori. La logica che ci guida è quella di progettare strumenti, come il manuale o i materiali vari, che siano in grado di mettere le singole parrocchie nelle condizioni migliori per portare avanti il Grest». Alle sue parole hanno fatto eco quelle di Bergami: «La presenza di dodici diocesi differenti e di giovani provenienti da tutto il territorio regionale rende l’esperienza di progettazione molto diversificata, ma, allo stesso tempo, estremamente arricchente».

Con la fase di strutturazione della proposta ormai alle spalle e con la presentazione del Grest ai responsabili appena conclusa, ora si procede verso la data del 7 maggio, giorno in cui “Tuxtutti” verrà ufficialmente svelato agli animatori.

«Le canzoni, le grafiche e le attività proposte – ha concluso Mazzini – saranno presto sotto gli occhi di tutti. Come commissione, quello che ci auguriamo è che possano davvero diventare occasione di crescita, e di stimolo alla cura, per tutte le persone che li utilizzeranno».

 

TuxTutti, il Grest 2023 sull’esempio del Buon Samaritano




Il vescovo Napolioni a mons. Trevisi: «La disponibilità di Maria ad accogliere la Parola è diventata modello da seguire per il ministero del vescovo eletto di Trieste»

Commozione e gratitudine. Queste le emozioni che sono comparse sul volto di monsignor Enrico Trevisi nel momento dell’ingresso nella Cattedrale di Cremona per la sua ordinazione episcopale. Commozione e gratitudine per il gran numero di persone che hanno accompagnato la celebrazione di questo sacramento, nel pomeriggio di sabato 25 marzo.

Fedeli provenienti da Cremona, dalle parrocchie di Cristo Re e Pieve San Giacomo, e da Trieste, diocesi in cui il nuovo vescovo eserciterà il suo ministero, hanno accolto monsignor Trevisi con calore e con un lungo applauso, tanto da spingere il vescovo di Cremona, Antonio Napolioni, ad aprire la celebrazione ringraziando perché «fa venire i brividi entrare in questa grande esperienza di comunione».

Una comunione rappresentata dalla presenza dell’arcivescovo Giampaolo Crepaldi, amministratore apostolico della diocesi di Trieste, del vescovo emerito di Cremona, Dante Lafranconi, come conconsacranti, e da molti presbiteri e diaconi di entrambe le diocesi. Una ventina i vescovi concelebranti (l’elenco completo dei vescovi presenti).

A fare da guida alla celebrazione la liturgia del giorno, solennità dell’Annunciazione. La disponibilità di Maria ad accogliere la Parola è diventata modello da seguire per il ministero del vescovo eletto di Trieste.

Ad esso il vescovo di Cremona ha dedicato la propria omelia, che si è articolata intorno a tre elementi fondamentali: un angelo, una vergine, un figlio. Per ciascuno di essi ha voluto rivolgere un particolare e significativo invito al nuovo confratello. «Un angelo porta la Parola a Maria, così come è accaduto a te. Hai ricevuto un annuncio, sei stato chiamato. E tu stesso sarai angelo, annunciatore, per la Chiesa di Trieste. Per questo avrai il Vangelo sul capo, nelle tue mani, nel cuore e sulle tue labbra». Chiaro il riferimento al rito di ordinazione, durante il quale viene posto sopra il capo del vescovo eletto il libro dei Vangeli.

25/03/2023 – Ordinazione episcopale mons. Enrico Trevisi (Cattedrale di Cremona)

L’ordinando, poi, riceve l’unzione e l’anello episcopale, segno della fedeltà alla Chiesa. E proprio nella comunità cristiana Napolioni ha individuato l’immagine di Maria. «In lei, giovane serva del Signore, riconosciamo la Chiesa di Cremona, che ti vuol bene e ti dona, come una madre». Segno evidente della maternità della Chiesa cremonese nei confronti di monsignor Trevisi è stata la presenza di Maria Grazia e Roberto Dainesi alla consegna dei doni nella processione offertoriale. Con la guida di Trevisi, infatti, i due coniugi cremonesi hanno diretto l’ufficio di pastorale familiare della diocesi. «In Maria — ha proseguito Napolioni — vediamo anche la Chiesa di Trieste che ti attende, ti guarda, ti riceve come una sposa tutta da conoscere e onorare. Bacia allora tu quell’anello, per custodire nella comunione la sposa di Cristo».

La disponibilità di Maria a essere madre e sposa, però, come il ministero del vescovo, non è fine a se stessa, ma porta un frutto. «Gesù è l’unico vero protagonista di tutto — ha ricordato il vescovo Napolioni — che ha orientato la sua vita al servizio del Padre. Il bastone del pastore sorregga la missione, tua, del tuo presbiterio e di un popolo di discepoli missionari sulla medesima via della croce».

Annuncio, fedeltà e guida. Sono questi i punti focali del ministero episcopale che Trevisi sarà chiamato a esercitare, sostenuto dallo Spirito Santo ricevuto tramite l’imposizione delle mani e la preghiera di ordinazione. Non nella solitudine, ma nella pienezza della condivisione, simboleggiata dall’abbraccio di pace scambiato con gli oltre venti vescovi, provenienti da Lombardia e Triveneto, che hanno concelebrato insieme a Napolioni. Tra gli altri, particolarmente significativa la presenza dell’arcivescovo Carlo Roberto Maria Redaelli, metropolita di Gorizia, e di monsignor Giancarlo Perego, arcivescovo di Ferrara-Comacchio e abate di Pomposa, e dom Carmelo Scampa, vescovo emerito di São Luìs de Montes Belos, entrambi originari di Cremona.

Quella che ha accompagnato Trevisi, dunque, è stata un’assemblea entusiasta e festante, guidata nel canto da una compagine formata da circa un’ottantina di cantori tra il coro della Cattedrale, la schola cantorum di Castelverde, il coro «Il Discanto» e il coro San Pio V di Soncino, sotto la direzione di don Graziano Ghisolfi e l’accompagnamento del maestro Fausto Caporali all’organo, insieme a un quartetto di ottoni.

Molte sono state anche le autorità presenti, tra cui i sindaci di Cremona e Trieste, Gianluca Galimberti e Roberto Dipiazza. A loro e ai moltissimi fedeli, si sono inoltre uniti tutti coloro che hanno seguito la celebrazione in diretta: l’ordinazione episcopale di Trevisi è stata trasmessa, grazie alla collaborazione tra le diocesi, sui canali televisivi e social di Cremona e Trieste.

Il saluto del vescovo Trevisi: «Moja duša poveličuje Gospoda. L’anima mia magnifica il Signore»

E proprio alla sua nuova diocesi, che lo accoglierà domenica 23 aprile, il vescovo Trevisi ha rivolto un saluto al termine della celebrazione — azzardando qualche parola in sloveno — ringraziando per la fiducia accordatagli da Papa Francesco e invocando nuovamente l’aiuto del Signore e di Maria.

A sancire l’ordinazione di monsignor Enrico Trevisi come vescovo sono stati i consueti riti: l’assunzione degli impegni, il canto delle litanie, l’imposizione delle mani e la preghiera di ordinazione.

Ciò che ha reso speciale per le Chiese di Cremona e Trieste questo momento è stato però l’affetto, la vicinanza e la condivisione mostrate da tutti i presenti, presbiteri e diaconi, vescovi e laici.

Sabato 25 marzo, nella Cattedrale di Cremona, si è vista una vera famiglia di famiglie. Questo non può che aver suscitato in ciascuno due emozioni particolari, condivise con il vescovo Trevisi: commozione e gratitudine.

 

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«Effondi ora sopra questo eletto il tuo Spirito che regge e guida», il rito di ordinazione di un vescovo

“Admirantes Iesum”, lo stemma del vescovo Trevisi

 

Tutti gli articoli sull’elezione di mons. Trevisi a vescovo di Trieste




La liturgia, un legame con l’indicibile da vivere più che spiegare

Un legame con l’indicibile. Così potrebbe essere definita la liturgia stando alle parole di don Daniele Piazzi, responsabile dell’ufficio liturgico della diocesi di Cremona. Intervenuto nella nuova puntata di “Chiesa di casa” insieme a Michele Bolzoni, cantore della Cattedrale, il sacerdote cremonese ha infatti sottolineato come «i riti che celebriamo hanno il compito di dire l’indicibile attraverso un linguaggio proprio. E non sono tipici solo della nostra tradizione religiosa, ma hanno radici molto antiche».

Nel caso della fede cristiana, poi, trovano espressione particolare nella celebrazione eucaristica che, secondo Michele Bolzoni, «è una testimonianza di fede grandiosa. Vedere un’assemblea riunita, i fedeli che, insieme, cantano e lodano il Signore, racconta di un legame particolare all’interno della comunità e con Dio».

E proprio su questa doppia dimensione di incontro che la liturgia porta con sé si è soffermato don Piazzi. «Il rito non parla di sé, non è autocentrato. Più una liturgia è ben celebrata, più saprà mettere in comunicazione le persone che la vivono con l’Altro».

Ciò che è necessario, dunque, «è una vera e propria educazione alla celebrazione – ha spiegato Bolzoni – così da rendere sempre più universale il linguaggio della liturgia. Non servono particolari semplificazioni o edulcorazioni, bensì la capacità di trasmettere ciò che si sta vivendo».

E con una particolare attenzione al vissuto ha concluso la propria riflessione anche don Daniele Piazzi, che ha ricordato come «a un bambino piccolo non si consegna una grammatica, ma lo si fa parlare. Allo stesso modo non si può pensare di insegnare la liturgia, o il linguaggio del rito, senza viverlo. È solo sperimentandolo in prima persona che si può pensare di comprenderlo».

Non è mancato poi, in chiusura di puntata, un riferimento agli eventi che hanno visto, e vedranno, la Cattedrale protagonista: la dedicazione dell’altare, diverse ordinazioni episcopali negli ultimi anni e la Settimana Santa.

«Posto che la Settimana Santa è fuori categoria – ha scherzato don Piazzi – bisogna ammettere che celebrazioni così particolari sono difficilmente sperimentabili in parrocchia. In questi casi è la Diocesi intera che si muove. Eppure, nonostante una macchina organizzativa imponente, ho sempre visto grande partecipazione, segno che c’è, tra i fedeli, il desiderio di vivere con passione ed entusiasmo questi momenti».




«Nei percorsi in preparazione al matrimonio tanti strumenti per vivere la nostra relazione»

“Come sigillo sul tuo cuore”. È questo il titolo scelto per l’incontro, che si terrà nel pomeriggio di domenica 19 marzo presso il seminario vescovile di Cremona rivolto alle coppie di fidanzati in cammino verso il matrimonio. L’appuntamento di preghiera e condivisione vedrà la presenza del vescovo, mons. Antonio Napolioni, pronto a mettersi in dialogo con tutti i presenti.

E se il dialogo è fatto di parole, la complicità dei fidanzati si coglie dagli sguardi. Come quelli di Mattia Bazzoni e Giulia Caviglia, che, ospiti della nuova puntata di “Chiesa di casa”, il talk di approfondimento pastorale settimanale, hanno raccontato il loro modo di stare insieme semplicemente fissando gli occhi l’uno sull’altra.

«Anche se siamo già sposati da alcuni mesi – ha scherzato Mattia Bazzoni – ci ricordiamo bene del percorso di preparazione al matrimonio. Per noi è stato molto prezioso: ci ha aiutati a nutrire l’attesa di una vita insieme». Il focus del cammino, infatti, non è stato solo spirituale. «Ci sono stati dati molti strumenti per vivere la nostra relazione, in particolare per imparare a confrontarci», ha ricordato Giulia Caviglia.

E proprio perché quello in vista del matrimonio è un cammino, la consapevolezza di chi lo affronta è quella di vivere un percorso rivolto verso il futuro. «La paura di sbagliare c’è sempre, soprattutto per una scelta grande come il matrimonio – secondo la giovane – ma si ha anche la consapevolezza di avere sempre accanto una spalla, un compagno pronto a sostenerci ed aiutarci».

A spaventare poi, molte volte, è il senso di definitività che il sacramento porta con sé. «Il “per sempre” però – ha spiegato Bazzoni – è l’unica forma di impegno che conta davvero, perché è il riflesso dell’amore di Dio. E questo ci conforta: ci sentiamo accompagnati dal Signore, che veglia su di noi. In fondo, stiamo solo percorrendo la strada che Qualcun altro ha già preparato per noi».

Una strada lunga una vita che, per Giulia Caviglia, addirittura «supera le aspettative che avevamo prima di sposarci. Riusciamo sempre a percepire un fondo di gioia in ogni nostra giornata, dato dal sentire che abbiamo raggiunto ciò che desideravamo perché stiamo affrontando il domani insieme. Per questo alle coppie di fidanzati direi di lanciarsi verso il futuro senza paura, perché ciò che li aspetta è bellissimo».

Alle sue parole hanno fatto eco quelle del marito. «Per noi il matrimonio è stato il punto di partenza per una nuova vita. A chi si sta preparando auguro di saper sfruttare ogni occasione, come l’incontro di domenica 19 marzo con il vescovo, per fermarsi a riflettere su ciò che si sta vivendo».




Associazioni e movimenti, presenza educativa negli oratori

Lo sguardo rivolto verso il futuro e al centro dell’attenzione il tema educativo. La presenza stessa di associazioni attive in questo ambito è un interrogativo forte per la Chiesa intera. E proprio sul senso di questa presenza si è sviluppato il confronto nell’ultima puntata di Chiesa di Casa, il talk di approfondimento settimanale sulla vita della Diocesi di Cremona. Ospiti del programma sono stati Emanuele Bellani, presidente diocesano di Azione Cattolica, e don Matteo Alberti, vicario parrocchiale e assistente ecclesiastico degli scout Agesci per la zona Cremona-Lodi. Sollecitazioni e stimoli utili a interrogarsi, a mettere in discussione ciò che è tradizionale e precostituito, in vista di un domani migliore.

Secondo Bellani «essere presenti significa esserci con lo stile del servizio, che non è accoglienza indiscriminata di tutto ciò che viene richiesto, ma disponibilità capace di cogliere le necessità della comunità con spirito critico. Far notare ciò che non va, con i giusti modi, è un esempio positivo di presenza».

Sulla stessa lunghezza d’onda si è articolato anche l’intervento di don Alberti, che ha sottolineato come «incontrare, condividere un pezzo di strada con le persone di una comunità è un bellissimo segno di presenza, che sta ancora a monte rispetto all’inizio del percorso scout. Lo stare con gli altri dice già molto dello stile che si vuole incarnare».

Il mettersi a fianco, in chiave educativa, è stato dunque individuato da entrambi come elemento chiave. Questa dinamica, però, come evidenziato dalla domanda provocatoria di una giovane, chiede un’attenzione particolare, insieme alla capacità di fare la differenza, rispetto a una società in cui, spesso, la parola chiave sembra essere «indifferenza».

«Il percorso scout – ha spiegato don Alberti – prevede la sua naturale conclusione con la “partenza”, ossia il momento in cui ciascun giovane, accolto quando era piccolo, è chiamato a fare una scelta profondamente politica: deve decidere come impegnare se stesso nella comunità, come, concretamente, essere un buon cittadino, e magari anche un buon cristiano. Questo è un modo per fare la differenza».

L’impegno politico e sociale ha un forte legame anche con la storia di Azione Cattolica. E infatti per Bellani «fare la differenza significa coltivare la capacità di pensare, di riflettere. In questo senso AC ha una tradizione educativa che parte dal vissuto di ciascuno, e questo aiuta a non pensarsi fuori dal quotidiano, ma ad abitarlo in modo positivo».

Il percorso educativo, però, non è mai esente da rischi e difficoltà. Le sfide del presente sono diverse da quelle del passato, «ma credo che il problema – secondo don Alberti – sia quello di sempre. Baden Powell invitava a cercare il 5% di bene che c’è in ognuno per farlo crescere a dismisura. Qui si gioca la partita».

Per Bellani il discorso non è legato agli strumenti con cui si tenta di educare. «L’educazione è una questione di cuore. Nel nostro caso è la fede a fare la differenza, ad offrire la motivazione necessaria. Se la base viene a mancare, qualsiasi contenitore educativo rimarrà vuoto».

A partire dal legame con la fede che molti cammini associativi propongono, in diocesi si stanno strutturando percorsi di iniziazione cristiana rinnovati. «Trovo molto interessante – ha concluso il presidente dell’Azione Cattolica cremonese – che anche nella nostra diocesi il percorso formativo di AC si inserisca all’interno del cammino di iniziazione cristiana. È una dimostrazione bella di come la Chiesa sia davvero rivolta a tutti, tenendo presente la storia personale e vocazionale di ciascuno».

La vera sfida secondo don Matteo Alberti è quindi quella di «provare a mettere da parte rivalità associative e personali, con l’idea di attuare un dialogo aperto, capace di generare confronto, così da poter essere utile alla crescita di tutti e della comunità stessa».

Questo è l’invito che Azione Cattolica e Agesci hanno rivolto alla Chiesa cremonese. Un invito fatto di provocazioni e spunti utili per guardare al futuro con rinnovata speranza.




Quando la preghiera mette in rete

«La preghiera nasce dal rapporto personale con la Trinità». Con queste parole mons. Antonio Trabucchi, direttore della Fondazione Vaticana dell’Apostolato della Preghiera di Cremona e membro del Capitolo della Cattedrale, ha sintetizzato l’esperienza di dialogo con Dio. «Come uomini, cristiani, possiamo riconoscerci in una profonda relazione con il Padre, ed è proprio alla luce del nostro metterci di fronte a Lui che possiamo vivere l’esperienza della preghiera».

A ribadirne l’importanza, durante la nuova puntata di “Chiesa di Casa”, il talk di approfondimento settimanale sulla vita della Diocesi di Cremona, anche Palmira Scolari, presidente della Fondazione Vaticana dell’Apostolato della Preghiera. «La preghiera è molto preziosa – ha raccontato la signora Scolari – anche se, quando si comincia ad approcciarsi ad essa, spesso si fatica a coglierne il valore». Superata la barriera iniziale, dunque, quel che si può vivere «è il contatto vero con il Signore, quella luce che è in grado di illuminare e dare senso alla nostra vita, alla normale quotidianità».

Sempre più di frequente, però, è proprio la quotidianità ad assorbire tempo ed energie, privando così le persone dello spazio e del tempo necessari per la preghiera. «In questo senso – ha commentato mons. Trabucchi – mi piace ricordare il senso profondo del termine ‘apostolato’: esso richiama immediatamente l’esperienza di vita dell’apostolo, che porta avanti la sua missione, non per dovere, ma perché la sente propria». La preghiera  si pone dunque come dinamica fondamentale all’interno del cammino di fede di ciascun cristiano, soprattutto nel tempo di Quaresima, «ma non ha solamente valore individuale: il rimando comunitario è decisamente rilevante».

L’esistenza stessa di una fondazione vaticana dedicata all’Apostolato della Preghiera testimonia quanto l’aspetto relazionale sia importante. La presidente Scolari ha più volte sottolineato come sia «bello e significativo ritrovarsi insieme a pregare. Addirittura, spinti dalle difficoltà emerse durante il tempo di pandemia, qui a Cremona ci siamo attivati per strutturare degli incontri di preghiera anche da remoto, così da poterci riunire in rete per condividere i preziosi momenti di dialogo con il Signore e tra noi».

Un’attenzione particolare alla condivisione arriva anche dalle istituzioni ecclesiali. «Con la realizzazione dell’app “Click to pray” – ha spiegato mons. Antonio Trabucchi – ogni cristiano può idealmente unirsi alla preghiera della Chiesa universale e sentirsi in comunione con fratelli e sorelle provenienti da tutto il mondo». Nelle parole del canonico della Cattedrale di Cremona, però, non è mancato un monito a tutti i fedeli. «Come ci ricorda spesso Papa Francesco, la preghiera assume il suo vero valore se si accompagna alle opere. E’ nella relazione con Dio e con i fratelli che si concretizza, a tutti gli effetti, il senso della vita cristiana».

E proprio con questo augurio da parte della presidente e del direttore della Fondazione Vaticana dell’Apostolato della Preghiera di Cremona si è conclusa la nuova puntata di “Chiesa di Casa”: un invito a vivere la Quaresima con rinnovata fede, unita ad un forte slancio spirituale e missionario.




Con la Borsa di S. Omobono un aiuto a costruirsi un futuro

Risposta ai bisogni delle persone più fragili e progettualità. Sono questi gli obiettivi dichiarati del progetto “Borsa di S. Omobono”, il fondo di solidarietà sostenuto con la “Quaresima di carità” promossa in diocesi. A presentare l’iniziativa nella nuova puntata di “Chiesa di Casa”, il talk di approfondimento pastorale, è stato Alessio Antonioli, coordinatore dei centri di ascolto della Caritas cremonese, che ha ricordato come la “Borsa di S. Omobono” sia «uno strumento prezioso per rispondere ai bisogni delle persone che abitano il nostro territorio, qualsiasi essi siano».

Il legame con la comunità risulta dunque evidente. A sottolinearlo, la presenza di Paola Azzoni, volontaria Caritas nell’unità pastorale “Don Primo Mazzolari” di Cremona, formate dalle parrocchie di Sant’Ambrogio, Cambonino, Boschetto e Migliaro. «Le necessità che riscontriamo in parrocchia sono molte e diverse tra loro. C’è chi ha bisogno di sostegno economico per pagare l’affitto, o le utenze. Un problema, però, che sempre più spesso riscontriamo è quello della solitudine».

In questo senso la parola chiave per la quaresima di carità del 2023 sembra essere “attenzione”. «Dovrebbe essere questo lo stile del cristiano — ha sottolineato Paola Azzoni — cioè capace di cogliere i bisogni dei fratelli prima ancora che siano esplicitati».

Gli stessi centri di ascolto della Caritas sono uno strumento prezioso per sviluppare uno sguardo attento e pronto ad accogliere ed accompagnare. «Grazie al contributo prezioso dei cremonesi — ha spiegato Antonioli — dal 2020 ad oggi la “Borsa di S. Omobono” ha aiutato moltissime sorelle e fratelli in difficoltà, soddisfacendo i loro bisogni primari, ma anche aiutandoli a costruirsi un futuro». Nato in pieno periodo pandemico, infatti, il progetto ha sostenuto famiglie, ragazzi e anziani provati dalla sofferenza, dal dolore e dalla crisi, dando loro nuova vita e speranza.

Le sollecitazioni offerte da Alessio Antonioli e Paola Azzoni sono state dunque molte, tutte rivolte alla costruzione di uno stile caritativo. «La continuità è fondamentale — secondo la volontaria cremonese — perché il progetto possa proseguire. E questo compita spetta innanzitutto a ciascuno di noi, nella propria comunità di appartenenza».

Preghiera, penitenza e carità. Sono le dimensioni della vita cristiani su cui si è particolarmente invitati a riflettere durante la quaresima. «Sono attenzioni che mi sembrano molto legate tra loro — ha concluso Antonioli — perché dicono di una disponibilità a stare vicini, ad accogliere e prendersi cura del prossimo».