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Messa dell’arcivescovo Perego al Caimi di Vailate

Messa solenne mercoledì 31 maggio all’ospedale Caimi di Vailate con un celebrante d’eccezione: monsignor Giancarlo Perego, arcivescovo di Ferrara-Comacchio ed abate di Pomposa. Proprio al Caimi il prelato di origini agnadellesi è nato il 25 novembre del 1960, «potendo beneficiare – come ha detto nel suo saluto introduttivo Mario Berticelli, presidente della Fondazione Ospedale Caimi Onlus – delle attenzioni dispensate in un luogo come questo, dove si operava nel rispetto della dignità umana e dello spirito cristiano, valori che la struttura, pur avendo saputo evolversi, non ha mai perduto».

Diversi i sacerdoti che hanno affiancato mons. Perego sull’altare allestito in cortile. Presenti alla Messa (uno dei tanti eventi ricompresi nella diciannovesima edizione della rassegna “Anziani insieme per le età”, targata Ospedale Caimi ed iniziata domenica 28 maggio) le autorità civili, i carabinieri della stazione di Vailate, il presidente dell’ARSAC (l’associazione delle Rsa della provincia di Cremona) Walter Montini, numerosi ospiti del Caimi ed altrettanti cittadini, vailatesi ma non solo.

La corale della Fondazione ha allietato la messa con i suoi canti mentre i figuranti della rievocazione storica del pellegrinaggio parrocchiale al santuario di Caravaggio, in costumi d’epoca, hanno animato l’offertorio.

Anche il sindaco Paolo Palladini ha rivolto un saluto pubblico all’Arcivescovo, parlando a nome della comunità vailatese: «Rinnoviamo il nostro augurio – ha affermato – affinché il suo ministero sia foriero di valori di solidarietà e sia un punto di riferimento per tutti».

Nell’omelia, facendo riferimento all’anniversario della visitazione di Maria Vergine ad Elisabetta, monsignor Perego ha paragonato i gesti che compì la Madonna nei confronti della cugina (premura, saluto, preghiera e tempo da dedicare) a quelli che quotidianamente avvengono in luoghi come quello in cui lui stava celebrando l’Eucarestia. «Avere un ospedale come questo – ha sottolineato – significa, per una comunità, avere un luogo che stimola la responsabilità sociale, avere un tesoro che educa alla solidarietà. Prego perché il Caimi resti sempre un luogo di accoglienza, di cura e di tutela della vita e che Maria ci renda capaci di essere visitatori di questo stesso luogo con le qualità che lei ci ha insegnato».

A fine celebrazione il saluto di Paolo Regonesi, direttore generale della Fondazione Ospedale Caimi Onlus: «Ricordando il discorso di mons. Giancarlo nella Messa di ordinazione episcopale, quando parlò di due valigie che idealmente avrebbe portato con sé a Ferrara, ecco che noi gliene doniamo altrettante chiedendogli di portare, in una, quella dei ricordi, il ricordo nostro e di tutte le persone che abbiamo nel cuore e, nell’altra, quella dei sogni, una somma raccolta fra gli ospiti e i collaboratori del Caimi che l’Arcivescovo stesso deciderà in quale opera di carità impiegare».

f.c.

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Il Caimi di Vailate

La storia della Fondazione Caimi affonda le proprie radici nel XVII secolo, quando la popolazione della zona, già povera, viene duramente colpita e decimata dalle epidemie e dalle carestie. In quel periodo sono numerose le iniziative spontanee, in special modo da parte di religiosi, avviate per venire incontro ai bisogni della gente. Così nella nella seconda metà del XVII secolo nasce l’idea di creare in Vailate una vera e propria struttura ospedaliera idonea a portare assistenza e cure sanitarie alla popolazione. Tale progetto accomuna le volontà testamentarie di tre sacerdoti di origine vailatese: don Pietro Garioli, don Giuseppe Nazarri e don Giovanbattista Caimi. L’idea si concretizza nel 1792 quando l’Ospedale degli infermi di Vailate avvia la propria attività, rendendo disponibili 8 posti letto. La sede era ubicata sulla via principale di Vailate, nello stesso luogo dove ci troviamo oggi.

La realtà della Fondazione Caimi, nome ereditato da uno dei cofondatori, ha radici profonde nella storia della comunità vailatese ed è ispirata ai principi dell’accoglienza e della. La capacità ricettiva si è sempre mantenuta modesta, anche se per buona parte del secolo scorso si può vantare addirittura la presenza di una sala operatoria e di un reparto “maternità.

Nel corso del 1968 avviene la svolta che porterà allo sviluppo della struttura così come la si vede oggi. Negli anni dal 1968 al 1985 il fabbricato storico viene demolito e ricostruito arrivando gradualmente ad una capienza di 120 posti letto.

L’evoluzione degli standard imposti dalla sanità pubblica impone la riduzione del numero dei posti letto e la netta divisione fra reparti di degenza cronica e riabilitativa.

Grazie alle convenzioni con l’allora ASL della Provincia di Cremona, ora ATS Val Padana, alla possibilità di sfruttare a pieno la capacità della struttura e di usufruire contemporaneamente del contributo forfettario per le RSA, si gettano le basi per la realizzazione di altre importanti opere. A partire dalla nuova struttura ambulatoriale a favore degli utenti esterni e dei ricoverati e la nuova struttura ospedaliera in grado di accogliere la nuova RSA, il Centro Diurno Integrato, i 6 minialloggi protetti.

La nuova struttura ambulatoriale viene aperta nel marzo 2001 e da allora fornisce prestazione in regime di convenzione con il SSN ed in regime privatistico.  Essa costituisce un punto di riferimento per Vailate e per il territorio perché è “vicina” ai fruitori del servizio, in modo speciale a quelli di categorie più deboli, che vedono così ridotto il disagio degli spostamenti, operando peraltro con tempi di attesa notevolmente inferiori rispetto alla media riscontrata a livello provinciale e regionale.

Negli anni che vanno dal 2001 ed il 2006 viene realizzato il nuovo complesso ospedaliero destinato ad ospitare la nuova RSA, il Centro Diurno Integrato, i 6 minialloggi protetti, la nuova cucina, la palestra per la fisiokinesiterapia. L’attivazione a regime è avvenuta nel corso dell’anno 2007.

Queste nuove opere portano ad una capienza della struttura di 67 posti letto nella parte destinata a terapie geriatico-riabilitative, a 37 posti letto nella RSA. Presso quest’ultima nel 2010 sono terminati i lavori di predisposizione di un nuovo reparto che ha permesso l’aggiunta di ulteriori 25 posti letto.

La disponibilità totale in RSA è ora di 62 posti letto a beneficio delle persone iscritte nelle liste di attesa; l’attuale dimensione della Residenza permette l’offerta di un servizio eccellente, con costi di gestione contenuti.




Il 1° giugno in Seminario l’Accolitato di Arrigo Duranti

Giovedì 1° giugno, alle 20.30 nella chiesa del Seminario, il vescovo Antonio Napolioni presiederà l’Eucaristia nella quale conferirà il ministero dell’Accolitato al seminarista di quarta Teologia Arrigo Duranti, originario di Soncino.

Concelebreranno con il Vescovo i superiori del Seminario – il rettore don Marco D’Agostino, il vice don Francesco Cortellini e il direttore spirituale don Maurizio Lucini – e, naturalmente, il parroco di Soncino, don Mario Marinoni. La celebrazione sarà impreziosita dai canti del coro San Pio V di Soncino diretto dal maestro Roberto Grazioli.

Dopo la liturgia della Parola, il candidato sarà chiamato a pronunciare nuovamente, in forma pubblica, il proprio “Eccomi”, segno della disponibilità ad accogliere la chiamata del Signore al servizio della sua Chiesa.

Quindi, dopo la preghiera di benedizione del Vescovo, avverrà il rito della consegna della patena con il pane per la celebrazione eucaristica, segno visibile del nuovo servizio ecclesiale che il candidato sarà chiamato a svolgere.

Il 1° giugno la chiesa celebra la memoria di san Giustino Martire: i sacerdoti che vorranno concelebrare la Messa portino la stola di colore rosso.

 

Biografia di Arrigo Duranti

Classe 1990, Arrigo Duranti è originario della parrocchia S. Maria Assunta e S. Giacomo Apostolo in Soncino. Duranti ha vissuto l’esperienza del Seminario Minore dal 2004 al 2010 frequentando un anno il liceo Vida e successivamente l’istituto tecnico Einaudi a indirizzo sociale. Rientrato nel 2012 nella classe propedeutica, ha svolto il suo servizio pastorale presso la Beata Vergine del Roggione (Pizzighettone). In prima e seconda Teologia ha servito la comunità di Spinadesco, ha animato anche le attività del Centro Diocesano Vocazioni. L’anno scorso ha prestato servizio presso la parrocchia Casalbuttano e quest’anno presso comunità della Beata Vergine di Caravaggio in Cremona. Duranti fa parte dell’Unitalsi e come barelliere ha prestato il suo aiuto agli ammalati in diversi pellegrinaggi a Lourdes.

 

Il ministero dell’Accolitato

Il conferimento del ministero dell’Accolitato costituisce una tappa significativa nel cammino di formazione del seminarista che, attraverso l’istituzione come accolito, avrà modo di vivere e sperimentare i diversi aspetti del ministero ordinato, al quale si stanno preparando.

All’accolito viene affidato il servizio all’altare e, quindi, simbolicamente una vicinanza maggiore al sacramento dell’Eucaristia, perché dalla sua celebrazione e adorazione impari a vivere secondo la logica del dono di sé, della gratuità e della comunione.

I ministeri conferiti in vista del presbiterato hanno come funzione primaria l’interiorizzazione del loro significato di servizio alla Chiesa e ai fratelli nella fede, sul modello di Cristo servo, di cui appunto l’esercizio concreto durante le celebrazioni liturgiche altro non è che l’espressione concreta e simbolica più evidente. Inoltre, queste tappe nel cammino di formazione sono volte ad accrescere il senso di appartenenza alla Chiesa, dalla quale si riceve il ministero come dono e come compito, da realizzarsi anche attraverso la coerenza di vita, la maturità umana e cristiana e la continua conversione.




In un nuovo libro le “Conversazioni eucaristiche” del beato Spinelli

Le Suore Adoratrici di Rivolta hanno pubblicato un nuovo libro, edito dalla NEC-Nuova Editrice Cremonese. Si tratta della seconda edizione di un volume la cui prima stampa risale al 1886. Il beato Francesco Spinelli in quell’anno fece stampare 2mila copie di questo testo, per «insegnare alle sue suore come stare davanti al Santissimo».

Conversazioni Eucaristiche è la riscrittura in lingua corrente delle Conversazioni del beato Spinelli, arricchite da un’ampia introduzione esplicativa di don Ezio Bolis, affermato teologo di Bergamo, e accompagnate da un preciso apparato di note e rimandi che spiegano, collegano, aprono il testo al confronto con la Parola e con gli autori spirituali.

La prefazione del vescovo Antonio Napolioni ne dà uno spaccato di attualità e di efficacia, come efficace è ogni incontro vero con il Mistero.

Si tratta di Conversazioni che possono aiutare la preghiera silenziosa, che a volte fatica a sollevare pensieri e sentimenti fino a lasciarsi incontrare dai pensieri e sentimenti propri del Signore. Conversazioni che possono insegnare la preghiera degli occhi, fissi un po’ al testo e un po’ al Sacramento, snodate tra Presenza e Parola, lì dove chi prega sente nascere in sé un dialogo sempre più profondo con Cristo e, in Lui, con il Padre nello Spirito. Allenati all’attenzione alla Parola e alla Presenza, gli occhi poi sapranno tornare – limpidi e generosi – a guardare la vita, se stessi e gli altri, con speranza e rinnovata carità (cfr. Prefazione del vescovo Antonio Napolioni).

 

CHE COSA È Il dialogo vivo, la conversazione impregnata di Parola di Dio, di spiritualità e di teologia, di tradizione della Chiesa e di vita vissuta, che può schiudere brecce nel nostro cuore e nella nostra mente per una preghiera di adorazione aperta all’amore per Cristo e per i fratelli.

CHE COSA NON È Un nuovo libro con degli schemi di adorazione da fotocopiare…

DI CHI È Il beato Francesco Spinelli (1853-1913), fondatore delle Suore Adoratrici del SS. Sacramento. Prete di Bergamo, trapiantato a Cremona, ha dedicato tutta la sua vita a evangelizzare, ad adorare, a servire i più poveri tra i fratelli, a perdonare, ad accogliere chi si era allontanato. A vivere da santo.

A CHE COSA SERVE A stare in adorazione davanti a Cristo, in Cristo, nel suo corpo che è la Chiesa, imparando a lasciare che il protagonista della preghiera sia Lui. È Lui che “vuole stare in nostra compagnia” e suscita in noi pensieri e sentimenti che partono da Lui e dalla sua Parola. Per questo è anche un ottimo strumento formativo, per chi – all’inizio del cammino – vuole imparare una preghiera che sia conversazione viva e trasformante per Cristo, con Cristo, in Cristo.

PER CHI È Per tutti coloro che vogliono vivere la preghiera come una conversazione eucaristica, senza rischi di intimismo e di monologhi in cui Cristo è solo… testimone passivo e ignorato. Adatto per sacerdoti, religiosi, laici; adatto per la formazione; adatto per uomini e donne; adatto per esperti e principianti; adatto per giovani e adulto; adatto per chi ha tanta fede e per chi ne ha poca. Adatto. Semplicemente.

DOVE È È disponibile nelle librerie cattoliche, presso la NEC-Nuova Editrice Cremonese o le Suore Adoratrici (indirizzo e-mail a conversazioni@suoreadoratrici.it).

 

La prefazione del vescovo Napolioni

 

Vita del beato Francesco Spinelli

Il beato Francesco Spinelli nasce a Milano, il 14 aprile 1853, da genitori di origine bergamasca. È ordinato sacerdote il 17 ottobre 1875 e nell’autunno è a Roma per il Giubileo.

Nella basilica di Santa Maria Maggiore si prostra ai piedi della culla di Gesù Bambino: “Mi sono inginocchiato, piansi, pregai, e sognai uno stuolo di vergini che avrebbero adorato Gesù in Sacramento”. Sogno, visione, intuizione? Per don Francesco l’incarnazione storica di Gesù continua con l’incarnazione quotidiana del Pane Eucaristico, quale presenza d’amore per tutti, da adorare e servire nei poveri.

Il 15 dicembre 1882, fonda, insieme a Caterina Comensoli, l’Istituto delle Suore Adoratrici, a Bergamo. Preso infatti dalla passione per Dio e per gli uomini, egli dà vita ad un Istituto, il cui scopo è “attingere l’amore più ardente dall’Eucaristia celebrata e adorata per riversarlo sui più poveri fra i fratelli”. Egli per primo spende la sua vita in ginocchio davanti all’Eucaristia e davanti ai fratelli, in cui vede la presenza di Gesù da amare e da servire con amore e compassione incondizionata.

Il 4 marzo 1889, causa un dissesto finanziario, in cui involontariamente è coinvolto, viene licenziato dalla diocesi di Bergamo e accolto nel clero di Cremona dal grande cuore di Mons. Geremia Bonomelli. A Rivolta d’Adda continua l’Istituto delle Suore Adoratrici. Lungo la sua vita, costellata di grandi prove, vive e insegna l’arte del perdono più smisurato, perché di fronte al nemico si può applicare solo “la vendetta di un infinito amore”.

Muore il 6 febbraio 1913 a Rivolta d’Adda (CR). È beatificato da S. Giovanni Paolo II il 21 giugno 1992 presso il Santuario Beata Vergine Maria del Fonte in Caravaggio.




Stasera in Cattedrale Gianna Jessen e la sua storia di sopravvissuta all’aborto

Martedì 30 maggio, alle 21 in Cattedrale, offrirà la propria testimonianza Gianna Jessen, riuscita a scampare viva all’aborto salino cui si era sottoposta la madre. L’incontro – dal titolo “Aborto – Io sono sopravvissuta” – è promosso dall’associazione Pro Vita Onlus, in collaborazione con il Movimento per la Vita, il Centro d’Aiuto alla Vita e il Comitato “Difendiamo i nostri figli” di Cremona.

La storia di Gianna Jessen è veramente commovente: la sua mamma biologica decide di abortire nel 1977, a soli diciassette anni, quando è ormai entrata nel terzo trimestre di gravidanza, sottoponendosi, consigliata, alla procedura del cosiddetto aborto salino tardivo. Dopo sette mesi e mezzo di gestazione, in una delle maggiori cliniche americane per aborti, Gianna viene partorita viva nonostante la somministrazione 24 ore prima della soluzione salina il cui terribile effetto è quello di procurare ustioni esterne ed interne al feto e di soffocarlo.

Gianna viene adottata in una famiglia quando ha 17 mesi e, nonostante i medici continuavano a ripetere che non ce l’avrebbe fatta, la bambina migliora grazie alle tante ore di fisioterapia fatte insieme alla mamma Penny che dedica la sua vita a lei.

Racconta Gianna di sé: «Sono affetta da “Post traumatic stress disorder”, la patologia che colpisce le vittime di grandi catastrofi o guerre. È tipica delle persone che si sono trovate all’improvviso davanti alla morte dovendosi difendere. Ma tutto questo e la paralisi cerebrale e muscolare diagnosticata da piccola mi hanno resa anche una donna appassionata e libera, con la certezza che nulla è impossibile, perché Dio può tutto e sta sempre dalla nostra parte.
Voglio dire a tutti, però: se l’aborto è una questione dei diritti delle donne, dove erano i miei diritti quel giorno? E’ terribile arrogarsi il permesso di decidere della vita di una persona, anche e soprattutto quando ha qualche problema. Siccome il bambino è disabile, per intendersi, meglio interrompere la gravidanza, come se la qualità della vita e l’anima dipendessero dalla forma del corpo. Sono i deboli, sempre messi in disparte, a possedere la luce di Dio».

Disse di lei santa Madre Teresa di Calcutta: «Dio sta usando Gianna per ricordare al mondo che ogni essere umano è prezioso per Lui. E’ bello vedere la forza dell’amore di Gesù che Egli ha riversato nel suo cuore. La mia preghiera per Gianna, e per tutti quelli che la ascoltano, è che il messaggio dell’amore di Dio ponga fine all’aborto con il potere dell’amore».

Nel 1999 è uscita una sua biografia, curata dall’autrice statunitense Jessica Shaver.
Infine dalla sua vicenda è stato tratto nel 2011 un film, October Baby, diretto dai fratelli Erwin; il film ha avuto un successo inaspettato negli USA, ma, dato il tema politicamente scorretto, non ha ancora trovato in Italia il favore della grande distribuzione e circola unicamente come dvd.

Gianna Jessen, attiva nei movimenti che si oppongono all’aborto, ha raccontato la sua storia al Congresso degli Stati Uniti d’America e alla Camera dei Comuni del Regno Unito ed ora instancabilmente va raccontando la sua esperienza in tutti i paesi del mondo.

La locandina




Il 30 maggio processione ai Correggioli con mons. Perego

Sarà l’arcivescovo Gian Carlo Perego a presiedere quest’anno nel mantovano la processione dalla Madonna dei Correggioli, nella suggestiva cornice della golena di S. Matteo delle Chiaviche, sino alla chiesa parrocchiale dei paese: una antica tradizione ripresa da un paio d’anni su iniziativa del parroco don Angelo Maffioletti. L’appuntamento è la sera di martedì 30 maggio.

Tutto avrà inizio alle 20.45 presso la cappella costruita nel secolo scorso, lì dove nel ‘600 c’era un luogo particolarmente caro alla devozione popolare: un pilastro sul quale era dipinta la Madonna (posta tra san Francesco e san Carlo Borromeo).

L’immagine sacra, collocata in prossimità di un piccolo altare, è sempre stata oggetto di una notevole devozione da parte dei viandanti e degli abitanti della zona, che le attribuirono numerose grazie. Tanto che presto vi si costruì una cappella vera e propria. La sua storia, però, non durò molto: l’Imperatrice Maria Teresa decretò la rimozione di tutti gli altarini e le piccole chiese. Malgrado le resistenze anche questa chiesetta venne abbattuta: era il 1770.

Il dipinto realizzato sul pilastro venne asportato e trasportato nella chiesa parrocchiale di S. Matteo. Il trasporto avvenne su un carro trainato da buoi: un evento che fu seguito da tutta la popolazione. Proprio per ricordare questo transito successivamente fu organizzata una processione a fine maggio: tradizione ripresa di recente dal parroco don Maffioletti.

Così avverrà appunta la sera del 30 maggio alla presenza dell’arcivescovo Perego.

Ad accompagnare il pellegrinaggio verso la chiesa di S. Matteo, scandito dalla preghiera del Rosario, oltre alla copia dell’immagine sacra, anche alcuni figuranti che interpreteranno la S. Famiglia di Nazareth durante la fuga in Egitto. Un modo per porre all’attenzione il tema delle migrazioni oggi, così caro a mons. Perego, che sino all’ordinazione episcopale ha ricoperto il ruolo di direttore generale di Fondazione Migrantes.

 




Il Vescovo nel ricordo di Moreni: fede generatrice di vita e di esempi

Con la Messa presieduta dal vescovo di Cremona, mons. Antonio Napolioni, la sera di lunedì 29 maggio, presso Cascina Moreni, a Cremona, è stata ricordata la morte, avvenuta esattamente 24 anni prima, del volontario cremonese Fabio Moreni, ucciso il 29 maggio 1993 insieme a Sergio Lana e Guido Puletti mentre portavano aiuti umanitari nell’ex-Jugoslavia dilaniata dalla guerra civile. La celebrazione è stata preceduta dalla cerimonia conclusiva del secondo Premio letterario intitolato a Moreni.

«Il nostro contributo più importante è stato quello dato alla pace e al perdono»: così, 24 anni dopo, Giancarlo Rovati, presidente di Fondazione Moreni, ha ricordato cosa spingesse lui ed altri amici a recarsi nella ex-Jugoslavia dilaniata dalla guerra, per portare aiuti umanitari alle popolazioni, stremate dal conflitto. Sono parole particolarmente significative e toccanti, anche perché pronunciate lo stesso giorno ed alla stessa ora, in cui, nel 1993, i miliziani di Paraga uccisero il volontario cremonese Fabio Moreni, assieme a Sergio Lana ed a Guido Puletti.

Ha avuto inizio così, lunedì 29 maggio, nell’ampia corte di Cascina Moreni, a Cremona, la cerimonia conclusiva del secondo Premio letterario intitolato a Fabio Moreni, alla presenza dei giovani partecipanti, delle loro famiglie, dei docenti, dei presidi, dei vertici di Fondazione Moreni e del Comune.

Il prof. Gianpaolo Pedrini, referente dell’Ufficio Scolastico Territoriale, ha definito i ragazzi «un esempio positivo», come hanno dimostrato i brani dei temi premiati, letti dalle prof. Simona Modesti e Damiana Vecchia, docenti di Lettere presso il liceo Aselli e l’Istituto Ghisleri-Beltrami di Cremona (le scuole dove insegnò la professoressa Valeria Arata, madre di Fabio Moreni).

Gli elaborati sono stati sviluppati a partire dalle tre tracce fornite dalla giuria, incentrate sul perdono, sull’altruismo e sull’Europa, come ricordato dal vicepresidente della Fondazione, Gianluca Arata.

Questi i nomi degli autori dei dieci temi prescelti: Sara Cavalca dell’Istituto Romani; Elisa Ferrari dell’Istituto Ghisleri; Maria Forte e Alberto Contini del liceo scientifico Aselli; Umberto Tedeschi del liceo scientifico paritario Vida; Cecilia Porro Bellini dell’Istituto Ghisleri; al primo ed al terzo posto, due alunni del liceo scientifico Aselli di Cremona, rispettivamente Lucia Maninetti e Lodovica Gatti; al secondo posto, per il secondo anno consecutivo, Elisabetta Pagliarini del liceo Racchetti-Da Vinci di Crema; premio giuria – una novità istituita quest’anno – per Elisa Iris Marieni del liceo classico Manin. A loro, oltre alla soddisfazione del diploma, sono stati assegnati riconoscimenti rispettivamente di 250, 150 e 100 euro più un buono spesa in materiale didattico dell’importo di 100 euro per le loro scuole.

Al termine delle premiazioni, il Sindaco, Gianluca Galimberti, ha evidenziato, sulla scorta dell’esempio di Fabio Moreni, l’importanza di «assumere l’altro e la relazione con l’altro come criterio fondante della propria esistenza. La debolezza di cui ognuno di noi è portatore rappresenta, in realtà, il coraggio del vivere come esperienza di continua ricerca». A loro volta, «le parole sono importanti, poiché generano vita, comunità, speranza». Poi, rivolto direttamente ai ragazzi partecipanti, ha affermato: «Voi avete scritto parole, che vi inchiodano alla responsabilità» di quanto in esse contenuto, poiché «pesano, hanno un senso» ed annunciano «un mondo nuovo».

Al termine, il vescovo Antonio Napolioni ha presieduto la Messa, durante la quale ha richiamato l’essenzialità di una fede, fatta non di parole, bensì generatrice di vita e di esempi, come testimoniato dal «cuore di Fabio Moreni e dei suoi amici, in cui ardeva il fuoco», che era risposta «alla chiamata». Il «sogno di Dio ha un orizzonte straordinario», ha detto, e ciò in quanto «il mondo è lo specchio di Dio».

Un sogno reso realtà dai tanti fedeli presenti alla celebrazione ed alla successiva adorazione eucaristica: i vertici della Fondazione, gli operatori, ma anche gente comune, come gli amici e gli ex-dipendenti di Fabio, che, ventiquattro anni dopo, hanno dimostrato come il tempo e i sentimenti non siano passati.




Gemellaggio terremoto/41. Il diario dei ragazzi di Picenengo

Scopoli, 16-19 aprile 2017

 

AVVICINAMENTO
Pasqua e Pasquetta sono due giorni di avvicinamento.
La prima tappa è Assisi, con vista al tramonto sulla via principale che attraversa da est a ovest la città di Francesco.
Assisi ci ha introdotto al tempo della semplicità.
Pasquetta trascorsa a Scopoli tra lavori di pulizia e di manutenzione delle casette di legno. Due di queste ci ospitano e ci fanno sentire a casa. Il mordente in faccia, sui capelli, sulle braccia o sulle gambe a mo’ di tatuaggio parla da sé. Il sole e la fugace visita a Rasiglia hanno dato calore e colore ad una Pasquetta originale.
Al cuore della giornata la S. Messa per la comunità di Scopoli alle 10.30, con gente contenta di rivedere cremonesi, anche se al momento per noi la cosa diceva poco.
In serata sosta a Foligno per un saluto al Vescovo, mons. Gualtiero Sigismondi, felice di un revival e una rinfrescata su Mazzolari.

 

PIAN DI PIECA
Le previsioni metereologiche parlavano di acqua in arrivo e non hanno tradito le attese, purtroppo.
La giornata marchigiana è stata seguita dal maltempo che non solo ci ha raffreddato, ma ci ha pure obbligato a variazioni continue di programma. A complicare ulteriormente le cose c’è stato un funerale, molto partecipato da parte della gente, ma ci ha costretto a condividere una sottile parete tra la nostra sala da pranzo e la chiesa/sala di comunità, dove c’erano parenti e amici a piangere il defunto.
Il terremoto è case distrutte. Lo abbiamo toccato con mano. Ma questo è poco o niente di fronte a quotidianità spezzate. Quello che nel quotidiano è vita con i suoi spazi e i suoi ritmi, il sisma ha fatto saltare inesorabilmente. Paesi fantasma, case senz’anima, luoghi disabitati come S. Casciano… c’è però una vita che non si rassegna e riparte. A piccole dosi. A brevi passi.
Adriano ci ha raccontato la sua esperienza del terremoto. È un’altra misura del tempo. I minuti e i secondi diventano interminabili e la paura si riaffaccia continuamente tra le pieghe della giornata. Ci ha accompagnato tra le viette di S. Ginesio, circondato da storiche mura!
Anche la signora che abbiamo incontrato all’uscita di S. Casciano, la prima famiglia che torna ad una sorta di normalità nel paesino, parlava col volto. C’è da ricominciare con il lavoro della terra, ma le incertezze sono davvero molte. Dalle sue espressioni il ritorno a casa sembrava dettato più dall’amore per le proprie radici che dalla convinzione di una rinascita.
La pioggia del pomeriggio ha portato tutto il gruppo a Sarnano per due ore animazione con i disabili dell’ANFASS.
Una parte avrebbe dovuto lavorare, cosa impossibile sotto la pioggia battente. Che bello vedere il gruppo rianimarsi e mettersi in gioco con questi ragazzi.
A volte ci sono talenti nascosti che non ti aspetti mai di vedere all’opera. Eppure basterebbe muovere un poco la cenere per riattizzare il fuoco del servizio alla vita. Ecco il nostro viaggio più lungo.

 

ESPERIENZA DI CRESCITA NELL’INSIEME
«La realtà è superiore all’idea»: così citò il Papa in una esortazione apostolica.
È una frase perfetta per questo tipo di esperienza fatta di tante emozioni.
Scopoli, il paesino che ci ha ospitato per la notte, è abbastanza tranquillo, gemellato con Cremona da circa 20 anni, non ha subito molti danni dal terremoto ma purtroppo la chiesa è inagibile.
Durante il giorno noi ragazze aiutavamo a fare le pulizie in preparazione alle sagre estive.

L’esperienza più significativa di questo viaggio è stata la testimonianza di una signora terremotata alla quale la casa è stata distrutta, mi sono commossa tanto.
Ringrazio il mio don per avermi portato in questo viaggio e Nicoletta che ci ha fatto conoscere tutto quello che c’è stato dietro l’aiuto. GRAZIE!

L’esperienza più toccante sono state le ore passate con i ragazzi disabili.
È stupefacente come ti cambia la prospettiva di vita trascorrendo anche poche ore. Ti insegnano cosa sia la sensibilità, il vero senso della parola. Ti fanno capire soprattutto che sono le piccole cose che contano e danno più felicità.
Un’esperienza che rimarrà sicuramente nitida come una fotografia.
GRAZIE!

I volontari di Picenengo

 

 

Speciale terremoto con il diario dei giorni precedenti

Volontari per il gemellaggio con Camerino: ecco come fare




Venerdì in Seminario Messa nel ricordo del vescovo Maurizio Galli

Il 1° giugno ricorre il nono anniversario della morte di mons. Maurizio Galli (1936-2008), già rettore del Seminario diocesano di Cremona dal 1982 al 1998 e vescovo di Fidenza dal 1998 al 2007. Nel pomeriggio di venerdì 2 giugno, alle ore 18, la comunità del Seminario, grata al Signore per l’esempio e l’insegnamento ricevuti, celebrerà l’Eucarestia chiedendo a tutti quelli che lo vogliono ricordare di unirsi alla preghiera.

 

Mons. Maurizio Galli morì il 1° giugno 2008 nella casa di cura Ancelle della Carità di Cremona.

Nato a Soresina nel 1936, era però cresciuto nella comunità cittadina di Sant’Agata. Ordinato sacerdote nel 1961, era stato vicario a San Michele Vetere in Cremona e vice assistente di Azione Cattolica.

L’esperienza più significativa e apprezzata è legata certamente al Seminario: dal 1978 al 1982 è stato animatore e dal 1982 al 1998 rettore.

Il 2 aprile 1998 è stato eletto vescovo di Fidenza ed ha ricevuto l’ordinazione episcopale per le mani di mons. Giulio Nicolini il 2 maggio 1998 nella Cattedrale di Cremona. Il 7 giugno 1998 ha preso possesso della Chiesa di Fidenza che ha guidato fino al 30 giugno 2007.

Mons. Maurizio Galli è sepolto nella Cattedrale di San Donnino, a Fidenza.




Continua la raccolta di informazioni sul martirio di mons. Barosi e padre Zanardi

Nella foto padre Zanardi in motocicletta e, nel riquadro, mons. Barosi

Il viaggio a Hong Kong per la presentazione del libro di don Mazzolari “Tu non uccidere”, tradotto in cinese, è stata anche una speciale opportunità per poter raccogliere ulteriori notizie e particolari riguardanti i nostri fratelli missionari uccisi nella regione cinese di Honan. Mons. Antonio Barosi e padre Mario Zanardi (il primo di Solarolo Rainerio e il secondo di Soncino, entrambi del PIME – Pontificio Istituto Missioni Estere), infatti, furono trucidati in Cina nel 1941. Da anni ormai si sta cercando di ricostruire l’accaduto, di comprendere sempre più i particolari dell’eccidio.

Alcuni nostri sacerdoti, tempo fa, si sono recati sui luoghi dove si sono svolti i fatti, per avere notizie. Molte se ne sono avute, ma molto c’è ancora da scoprire. Esistono testimonianze scritte da testimoni oculari ormai non più viventi, esistono i luoghi dove sono custoditi alcuni effetti personali, esiste il carteggio tra gli stessi missionari che in quegli anni hanno vissuto momenti tragici e che vicendevolmente si sono sostenuti pur di non abbandonare la gente semplice di quei luoghi.

Erano gli anni dell’invasione della Cina da parte del Giappone e gli italiani, che ormai erano conosciuti come fascisti, a causa di Mussolini e dell’asse stabilito con i nipponici, erano visti come collaboratori degli invasori da parte delle milizie e dell’esercito cinesi. Ma ai missionari era riconosciuto un ruolo importante nella cura delle persone. Non da tutti però. Nel 1941, nel comunicato dell’Ambasciata Cinese al Delegato Apostolico di Londra, così si descriveva la lancinante notizia della morte violenta dei padri del PIME: “Il governo cinese ha ricevuto dal governo provinciale il rapporto dettagliato sull’inchiesta eseguita circa i quattro missionari italiani (oltre a mons. Barosi e padre Zanardi con loro anche i padri Zanella e Lazzaroni, ndr) del Vicariato apostolico di Kaifeng (nell’Honan, ndr), uccisi nel novembre scorso. Il risultato dell’inchiesta mostra che i quattro missionari italiani furono assassinati da una banda… Il governo cinese ha dato istruzioni al governo provinciale del Honan di prendere energiche misure per l’arresto dei colpevoli… come pure per una efficace protezione della Chiesa in futuro”.

 

Il 19 novembre 1941 accadeva tutto questo.

Il primo giorno del decimo mese dell’anno lunare, nella chiesa cattolica di Dingcun, che apparteneva al distretto di Luyi della provincia del Honan, è avvenuto un omicidio particolarmente grave. Il massacro di quattro missionari: mons. Antonio Barosi, vescovo (Amministratore Apostolico) di Kaifeng; padre Mario Zanardi, sacerdote responsabile della comunità di Luyi; e i due sacerdoti che lavoravano a Dingcun, padre Bruno Zanella e padre Giuseppe Lazzaroni. Autori dell’efferato delitto alcuni traditori cinesi in combutta con i giapponesi.

La chiesa cattolica di Dingcun si collocava nella sezione sud della strada orientale del Paese, nel distretto di Dancheng. Costruita nel 1923, era una costruzione abbastanza larga a sud della città di Luyi. Questa missione comprendeva anche le chiese di Cuitang, Zhulou, Hongshandian, Shicao, Xiaoxiezhuang, Zhangyuanji, Baimazyi and Wangdadian.

Durante il periodo più fiorente, la missione di Dingcun disponeva di 30 locali con due sacerdoti in carica. Essi durante la guerra causata dall’invasione giapponese e durante le inondazioni si prodigarono per soccorrere la popolazione attirando alla Chiesa un gran numero di fedeli: di solito la frequentavano più di 200 cattolici tra uomini e donne.

Il quarto missionario in carica nella chiesa di Dingcun era padre Bruno Zanella, assistito da padre Giuseppe Lazzaroni, che erano giunti a Dingcun nel 1940.

Il primo giorno del decimo mese del 1941, questi due sacerdoti stavano pranzando nella stanza a nord della chiesa insieme al vescovo di Kaifeng, mons. Barosi, che era venuto in visita pastorale con padre Zanardi di Luyi, quando alcune persone bussarono alla porta principale. Aperta la porta, si presentarono due ufficiali cooperatori dei giapponesi e due soldati armati di fucili e bombe a mano. L’ufficiale dichiarò: “Stiamo facendo esercitazioni e siamo venuti a fare un’ispezione”. Così dicendo, ha estratto un biglietto da visita. Padre Zanella si rivolse ai quattro ospiti dicendo: “Prego, potete prendere qualcosa prima: io vado nel locale meridionale a provvedere all’ospitalità”. Così dicendo si recò nella stanza meridionale. Nel frattempo un gruppo di soldati irruppe nella residenza e chiuse la porta principale, non permettendo a nessuno di uscire. Nel frattempo alcuni soldati si recarono nella sala meridionale e legarono padre Zanella.

Mons. Barosi, nella sala settentrionale con i padri Zanardi e Lazzaroni, non sapeva ancora che cosa stesse succedendo, quando un gruppo di soldati vi irruppe e incominciò a legarli. Alcuni fedeli di Cuitang, di Kaifeng e di Luy, i due servi che avevano seguito i padri da Luyi, come anche due di Dingcun, il catechista Fan Huifang e il cuoco Su Maowei, ecc., intanto furono rinchiusi nella portineria della porta orientale.

Facendosi buio, i soldati banditi si ritirarono, portandosi via la motocicletta e le biciclette della missione e indossando i vestiti e le scarpe dei missionari. I fedeli, accortisi della scomparsa dei missionari, si misero alla loro ricerca in ogni angolo, ma non trovarono né il vescovo né i sacerdoti. Alla fine scoprirono i loro cadaveri nel pozzo a sud della missione.

Padre Lazzaroni era stato gettato nel pozzo con la testa in giù ancora vivo e vi morì per annegamento, mentre gli altri missionari erano stati uccisi prima di essere gettati nel pozzo.

Subito un cattolico è andato a Qiuqu e Shicao a denunciare l’accaduto alla stazione militare che allora vi si era spostata da Shangqiu e alla gendarmeria di Luyi, mentre gli altri hanno comprato quattro bare e hanno seppellito temporaneamente i cadaveri nella chiesa.

Dopo l’investigazione di delegati del PIME e del presidio militare dell’Esercito nazionalista del distretto di Luyi, si è accertato che l’eccidio era stato compiuto da traditori cinesi camuffati da giapponesi. In seguito i cadaveri dei quattro missionari trucidati sono stati trasportati a Nanyang, Jinjiagang.

 

Al di là delle sommarie testimonianze, che cosa accadde veramente e perché, come si svolsero i fatti, chi erano questi missionari, ma, soprattutto, quale tesoro di testimonianza di fede e di dedizione alla Chiesa la nostra Diocesi ha ricevuto e riceve da questi suoi servi e figli?

Dal 1941 ad oggi la ricerca non si é mai fermata. Molti gli ostacoli linguistici da affrontare, che a volte rendono difficile l’interpretazione delle testimonianze scritte, per non parlare di quelli politici, resisi ancor più avversi durante la rivoluzione culturale di Mao e non ancora superati, hanno reso il lavoro di ricerca molto arduo.

Alcuni confratelli del PIME, però, non si sono arresi e hanno raccolto materiale e testimonianze, prove che confermerebbero non solo la totale dedizione di mons. Barosi e padre Zanardi a Cristo, e quindi all’evangelizzazione, ma anche il loro dedicarsi ai poveri e alla Chiesa locale.

Tutto lascia facilmente intuire come il loro sia stato un vero e proprio martirio in odio alla fede. A noi il compito di tenere viva la loro memoria, magari dedicando uno spazio nella preghiera ogni 19 novembre, di far conoscere la loro storia e di pregare per chi come loro, ancor oggi, ogni giorno, in questa terra così vasta quale é la Cina (come in altre parti del mondo), al contempo complessa e vivace, vive il rischio di vedersi privato della libertà e della dignità.

Servirà ancora del tempo, ma certamente potremo fare memoria di questi nostri missionari con le modalità che la Chiesa ci suggerirà, mentre ne potremo esaltare la testimonianza giunta fino a noi.

Don Maurizio Ghilardi
Centro Missionario Diocesano

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