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Le Suore della Beata Vergine festeggiano i 410 anni del loro Istituto

Il 6 maggio 2020 ricorre un anniversario particolare per le suore della Beata Vergine che celebra i 410 anni dalla sua fondazione. Condividiamo il pensiero della Comunità dell’Istituto religioso fondato da Madre Lucia Perotti in vista di questa data importante che giunge in questo periodo così difficile e faticoso, in modo particolare per chi ha nell’impegno educativo e formativo dei giovani il cuore del proprio carisma.

Festeggiare la data del 6 maggio è per noi motivo di grande gioia, vivere l’anniversario dei 410 anni di fondazione è insieme letizia e ringraziamento. La data, di vera importanza, porta con sé ricordi di avvenimenti, di fatti e soprattutto di persone che hanno segnato i giorni di questa lunga storia.

Oggi tocca a noi scriverla nella quotidianità degli eventi che stiamo oggi vivendo. Eventi che ci hanno colto di sorpresa, e lasciato nell’incredulità, cui è seguita la presa di coscienza del limite personale di fronte a quanto stava accadendo. Abbiamo così riscoperto la nostra dimensione umana. Siamo creature fragili, esposte al pericolo, all’incertezza, alla paura, bisognose di altri per esistere, per sentirci vive, per tessere relazioni e continuare la missione che Dio ci ha affidato. Abbiamo bisogno di Dio e Lucia Perotti ci ha insegnato ad amarlo con gioia.
La condivisione della stessa storia, nutrita dalla Parola e dalla Eucarestia, ci costituisce corpo e ci proietta nel futuro. La tradizione genera futuro in quanto ne custodisce i semi. Il nostro domani è in Dio e nelle nostre mani, ma si rende necessario progettare insieme, comunicarci le nostre paure ma anche i nostri tentativi di andare oltre l’orizzonte chiuso del presente per esplorare strade aperte dalla vita, oltre questi ultimi tempi segnati da tanta sofferenza.
Gli ostacoli sono numerosi: occorre procedere insieme mettendo in campo ognuno il proprio carisma.

Insieme per rispondere ai nuovi tempi che ci interpellano e per i quali predisporre un’intuizione educativa che ci veda tutte coinvolte.

Secondo la pedagogia della Fondatrice, Madre Lucia Perotti, il carisma delle Suore della Beata Vergine si identifica nell’amore preferenziale ai giovani, per formarli nella coscienza e nella mente, per prepararli con impegno sereno alla vita e accompagnarli in una maturazione umana corretta e adeguata al contesto socio-culturale in cui vivono. Queste finalità sono dinamiche e complesse e chiamano ad interagire le famiglie e tutte le persone coinvolte nella vita e nell’educazione dei ragazzi.

Chiediamo allo Spirito di illuminarci in questa fase di ripresa superando le difficoltà così come ha guidato M. Lucia Perotti alla quale ci affidiamo.

Questo anniversario perciò ci invita a proseguire il cammino mai interrotto in questi quattro secoli, con la guida di un’educatrice d’eccezione: la Beata Vergine Maria.

Lucia Perotti, donna di grande carità e di spiccato intuito educativo, continui ad assicurarci la sua protezione per essere significative presenze nella società di oggi.




Alle soglie dei 100 anni si è spenta suor Alfredina Zambelli (Adoratrici)

Avrebbe compiuto 100 anni il prossimo 11 giugno suor Alfredina Zambelli, religiosa dell’Istituto delle Suore Adoratrici del SS. Sacramento di Rivolta d’Adda, deceduta nella serata di sabato 9 maggio presso Casa Santa Maria, la casa di riposo delle Adoratrici a Rivolta d’Adda. Nelle settimane precedenti era risultata positiva al Covid, ma proprio il giorno prima della morte il tampone aveva dato esito negativo. Tutti la ricordiamo gioiosa presenza dell’Istituto fondato da san Spinelli in tutte le comunità dove ha vissuto. Sempre sorridente e con una parola affettuosa per ciascuno.

Classe 1920, aveva lasciato Pandino nel 1940 per entrare nella Casa madre delle Adoratrici di Rivolta d’Adda. Nel 1942 avevo emesso i voti.

È morta attorniata dalle consorelle, emettendo l’ultimo respiro, silenziosa, senza far rumore. Lei che di rumore ne aveva fatto tanto nella sua lunga vita vissuta per 78 anni da consacrata. Una persona di una carica vitale straordinaria, allegra sempre, vivace oltremodo, creativa e capace di costruire relazioni con tutti.

Non c’era categoria di persone che non entrasse nel suo cuore: vicinissima ai bambini con quel suo modo gioioso di affrontare e vedere le cose; aperta e sincera con gli adulti, capace sempre di far vedere il lato bello della realtà; attenta fino alla fine ai malati, agli anziani, ai sofferenti. Ne sanno qualcosa gli anziani della casa di riposo Brunenghi di Castelleone, dove ha vissuto gli ultimi 14 anni della sua missione. Non li “lasciava in pace”, e se qualcuno stava male, lo andava a visitare più volte al giorno. Lei che di anni a volte ne aveva più di loro.

Memoria storica dell’Istituto, fino al giorno prima della sua morte la sua testa portava impressi nomi, volti, ricordi, particolari di tante sorelle e di tanti eventi della storia delle Adoratrici che solo lei ricordava… Come quando raccontava che nel 1932 era venuta a Rivolta con le sue suore di Pandino in bicicletta. C’era la solenne inaugurazione della statua di padre Spinelli che si trova nel chiostro di Casa Madre per del cinquantesimo di fondazione dell’Istituto. Lei c’era! E in quell’occasione si tenne una processione dalla chiesa parrocchiale. Lei e le sue amiche, per vedere meglio, si erano arrampicate sulle inferriate dell’osteria che si trovava nei pressi di Casa Madre!

 

Ha affrontato la sua malattia con una forza invidiabile. Era risultata positiva al Covid-19, ma proprio il giorno prima della sua morte il tampone aveva dato esito negativo. Lo aveva vinto! Ma ormai le forze mancavano e il respiro che man mano veniva meno era solo il pretesto per ripetere: “Per le vocazioni, per i sacerdoti” e “Va bene così”. Solo sottovoce, quasi per non voler farlo pesare, a volte le scappava un “È dura la strada del Calvario” e poi un suo sorrisetto, come a voler prendersi gioco della sofferenza e della morte. E alla domanda: “Suor Alfredina, hai paura di morire?”, la sua riposta è stata: “Paura?!?! Ma si vive per questo, per morire, per andare dallo Sposo, per vivere per sempre”. “Sei contenta?”. “Molto! Grazie di tutto a tutti!”.




Intorno all’opera/7 – Il Risorto

Ricollocati solo per una settimana alla fine di febbraio del 2020, periodo peggiore non poteva esserci: è stato come tornare indietro di 500 anni, alla notte di Santo Stefano del 1519, quando, a Raffaello ancora vivo – ma sarebbe morto pochi mesi dopo a soli 37 anni – vennero appesi alle pareti della Cappella Sistina i primi sette arazzi realizzati a Bruxelles dalla bottega del tessitore Pieter van Aelst su cartoni del pittore urbinate.

Il colpo d’occhio è davvero magnifico, ed è pienamente riuscito l’intento della ricostruzione storica voluta dalla direzione dei Musei Vaticani per celebrare il quinto centenario della morte di Raffaello Sanzio, nato ad Urbino nel 1483 e morto a Roma il 6 aprile 1520, nel giorno del Venerdì santo, per una febbre improvvisa.

Entrare in Sistina è godere di questa bellezza, perché, come disse Paris de Grassis (il cerimoniere di Leone X all’epoca in cui furono appesi per la prima volta gli arazzi): “A universale giudizio non esiste niente di più bello al mondo che la Cappella Sistina ornata anche degli arazzi, oltre che di tutto il resto”.

Un allestimento che Raffaello non ammirò al completo, ma nemmeno noi a causa del contesto drammatico che stiamo vivendo.

Tra i diversi arazzi scegliamo quello di Pietro invitato dal Risorto a pascere il suo gregge. Perché? Perché c’è il Risorto.

don Gianluca Gaiardi
incaricato diocesano per i Beni culturali




Deceduto a Parma padre Sandro Parmiggiani, saveriano originario del Viadanese

Si è spento nella serata di domenica 5 aprile, in conseguenza di una trombosi, padre Sandro Parmiggiani, missionario saveriano originario del Viadanese e figura nota in diocesi e a Cremona, dove a lungo ha risieduto presso la struttura di via Bonomelli. Aveva 84 anni ed era da tempo malato. Il decesso nella casa madre dei Saveriani di Parma, dove risiedeva dal novembre 2014.

Era nativo di Casaletto di Viadana, anche se la “sua” parrocchia era Salina, località dove risiedono i parenti, dove ancora ogni tanto tornava per celebrar Messa e dove sarà tumulato mercoledì 8 aprile. Aveva collaborato assiduamente anche con il compianto don Dante Leonardi e le comunità parrocchiali di San Matteo e Sabbioni.

Dopo un periodo di formazione presso il Seminario vescovile di Cremona, Parmiggiani aveva sentito la chiamata delle missioni e aveva proseguito gli studi teologici negli istituti della congregazione fondata da monsignor Conforti. Nel 1961, a Parma, i voti perpetui e l’ordinazione sacerdotale; quindi la partenza per il Pakistan Orientale (l’attuale Bangladesh).

Gravi motivi di salute ne imposero il rientro in Italia già nel 1965. Il cruccio di non poter restare in prima linea tra i più poveri è stato per padre Sandro una continua fonte di sofferenza; ciò nonostante, il religioso mantovano non ha mai smesso di fare la sua parte per le missioni: vice maestro dei novizi e direttore spirituale nel Regno Unito, insegnante a Piacenza, prefetto del Collegio internazionale a Roma.

Dal 1983 al 2013 padre Parmiggiani ha risieduto presso la casa dei Saveriani di Cremona, in via Bonomelli, impegnandosi come formatore, economo, animatore missionario, sostituto rettore, ministro. Significativa anche la sua presenza in Cattedrale come confessore.

Con la chiusura della casa di Cremona, il religioso si era trasferito dapprima a Brescia e quindi definitivamente nella casa madre, dove da ultimo era in cura.

Don Floriano Danini, collaboratore parrocchiale a Viadana, ha vissuto con padre Sandro gli anni del Seminario: «Lo ricordo come un amico: sincero, simpatico, burlone. Aveva una grande voglia di vivere il seguito di Cristo come un’avventura piena di rischio e di sorprese. La missione è stata il contenitore di ogni suo sogno. Ha fatto tanto bene».

Questo inizio 2020 è stato particolarmente tragico per i Saveriani della Casa madre: nelle settimane scorse erano deceduti ben quindici religiosi (su una cinquantina di residenti) a causa verosimilmente dell’epidemia di Covid-19. A Parma risiedono i missionari anziani, definitivamente rientrati dopo una vita donata nei Paesi del mondo: «A un certo punto – ha raccontato nei giorni scorsi il superiore regionale, padre Rosario Giannattasio, contattato telefonicamente dai giornali – abbiamo dovuto chiuderci dentro, senza contatti con l’esterno, nemmeno con il personale. Siamo rimasti soli, con il cibo che arriva da un carrello-ascensore, assistiti da un solo medico, un ex missionario in Bangladesh che ha ricevuto istruzioni dall’Azienda sanitaria. Non ci è stato fatto il tampone; ma a chi sta male manca l’ossigeno: cosa volete che sia? Mangiamo a due metri l’uno dall’altro. Preghiamo. Ci ammaliamo e moriamo». Una situazione dolorosa che anche padre Sandro ha vissuto sino all’ultimo.




La casa di cura San Camillo piange fratel Antonio Pintabona

La comunità religiosa camilliana della casa di cura S. Camillo di Cremona, in via Mantova, piange per la scomparsa di fratel Antonio Pintabona, volto noto a tutti coloro che frequentano la clinica e soprattutto la sua cappella, essendo stato per trent’anni “attento e diligente servitore all’altare del Signore e fedele custode della  sua casa”, come ricordano i confratelli nell’annuncio funebre, ringraziandolo anche per “il tuo servizio quale missionario in Africa e nella tua affettuosa vicinanza  ai malati”.

Classe 1947, originario di Randazzo (CT), paese ai piedi dell’Etna in diocesi di Acireale, dove sono presenti e operano i Ministri degli Infermi.

Frequenta la scuole fino alle Medie Inferiori. Solo in età giovanile prende contatto con i figli di san Camillo e fa il suo ingresso nella formazione in Provincia Siculo Napoletana. La sua base scolastica gli permette di ottenere il solo titolo di infermiere generico, ma è quanto basta perché egli possa esercitare il servizio che più sente consono, quello della cura corporale dei malati.

Dopo il noviziato, è fra i primi camilliani – insieme a padre Cisternino – ad aprire la missione africana del Benin, dove trascorre il periodo della professione temporanea dei voti, rinnovati per diversi anni. L’intervento di un consultore, che lo vede all’opera mentre a Casoria assiste un confratello malato e ne rimane ammirato, fa sì che trasmigri alla Provincia Lombardo Veneta, però con la ripresa ex novo di tutto il percorso formativo, che lui accetta umilmente e con impegno.

Il 20 settembre 1981 inizia come postulante nella comunità della casa di cura S. Camillo di Cremona. Il 3 settembre 1983  entra in noviziato a Capriate S. Gervasio (BG) e il 2 settembre 1984 fa la professione religiosa dei voti temporanei (da rinnovarsi anno per anno) e viene inserito nella comunità di Predappio (FO) dove sono assistiti ex degenti degli Istituti psichiatrici. Alla scadenza dei tre anni, per scrupolo personale, preferisce chiedere un ulteriore anno di voti temporanei “a scopo di perfezionare la propria scelta”.

In quegli anni nell’istituto si sta portando avanti la priorità di dare anche ai candidati “fratelli” una buona infarinatura teologica. Per questo Antonino viene iscritto al triennio del corso diocesano come uditore.

Finalmente, il 18 dicembre 1988 con la professione perpetua, entra definitivamente nell’Ordine come fratello laico.

Nell’estate 1989 viene trasferito alla clinica S. Camillo di Cremona, il suo primo luogo di esperienza nella realtà nord-italiana. Nella comunità di via Mantova gli è affidato l’incarico che forse più di ogni altro lo gratifica, quello di accudire la cappella della casa di cura e di seguirne le funzioni, nel luogo che custodisce le spoglie del beato Enrico Rebuschini, molto amato dalla cittadinanza. Con il suo approccio simpatico, spontaneo, fratel Antonino (più conosciuto come fratel Antonio) ha modo di farsi conoscere e amare da molte persone.

Nelle scorse settimane la pandemia del Coronavirus che si propaga nel Cremonese investe anche la casa di cura: fratel Antonino non ne è stato risparmiato e dagli inizi di marzo è ricoverato in reparto; il peggioramento non previsto lo porta alla morte la mattina del 7 aprile, assistito dai confratelli.

Scherzoso, brioso, anima dei momenti conviviali in comunità, fratel Antonio non faceva nulla per mascherare le proprie origini siciliane, di cui andava fiero, mostrando nel carattere alcune esternazioni che gli avevano procurato qualche fraterna osservazione al tempo della formazione, dove peraltro sempre si sottolineava la sua generosità e concretezza nell’assistenza agli anziani o ai malati. Con poche basi scolastiche, il suo tallone d’Achille era lo studio, che gli rendeva ostico l’approfondimento della Teologia – prevaleva la forma devozionale e la passione delle immaginette – e la preghiera personale (mentre era ligio a quella comunitaria). In lui prevaleva un certa chiacchiera casareccia, ma simpatica. Comunque sempre risoluto nelle sue decisioni.

Ora i santi e i beati, compreso il beato Enrico Rebuschini, non ha più bisogno di vederli nelle sue innumerevoli raccolte di immaginette.




San Francesco Spinelli, il 6 febbraio festa a Rivolta d’Adda con il Vescovo

Il 2 febbraio, nella Giornata mondiale della vita consacrata, ha preso ufficialmente il via il programma celebrativo che accompagnerà le Suore Adoratrici del Santissimo Sacramento di Rivolta d’Adda alla festa del proprio fondatore, il sacerdote san Francesco Spinelli, canonizzato da papa Francesco il 14 ottobre 2018.

Da lunedì 3 a mercoledì 5 febbraio il Triduo di preghiera che si aprirà ogni mattina con la Messa delle 7 nella chiesa della Casa madre di Rivolta d’Adda. Inoltre lunedì alle 17.45 rosario meditato e vespro; martedì mattina celebrazione penitenziale. Mercoledì sera, alla vigilia della festa per il fondatore, adorazione eucaristica.

La giornata del 6 febbraio si aprirà con la Messa delle 7 presso la Casa madre, seguita alle 8.30 dall’Eucaristia nella chiesa parrocchiale di Rivolta d’Adda.

Alle 17.30, nella chiesa della Casa madre delle Adoratrici, la celebrazione solenne presieduta dal vescovo di Cremona, Antonio Napolioni, che in precedenza visiterà le suore anziane nella vicina Casa Santa Maria, presiedendo la preghiera del Vespro.

Tutti gli appuntamenti sono aperti a tutti.

6 FEBBRAIO
San Francesco Spinelli, sacerdote (memoria)
Messale    Lezionario    Liturgia Ore
Melodie per la Liturgia delle Ore

 

Biografia del beato Spinelli

Nato a Milano il 14 aprile 1853 da genitori bergamaschi a servizio dei Marchesi Stanga, Francesco cresce bravo e vivace e, come S. Giovanni Bosco, è pieno di gioia quando attira gli altri bambini organizzando spettacolini di marionette.  Quando è libero, la mamma lo conduce a visitare poveri e ammalati e lui è felice di amare e aiutare il prossimo, come insegnato da Gesù.

Nasce la vocazione, e Francesco studia a Bergamo, e viene ordinato sacerdote nel 1875.  In quello stesso anno si reca a Roma per il Giubileo, e in S. Maria Maggiore ha una visione: uno stuolo di vergini che adorano Gesù Sacramentato. Don Francesco capisce il progetto della sua vita, ma aspetta il momento giusto per realizzarlo.

Tornato da Roma, svolge attività educative e una scuola serale presso l’ oratorio di don Palazzolo, un’apostolato fra i poveri nella parrocchia dello zio don Pietro, l’insegnamento in Seminario e la guida di alcune comunità religiose femminili, fino a quando nel 1882 recatosi a S.Gervasio d’Adda (CR) incontra una giovane ragazza, Caterina Comensoli, che desidera diventare religiosa in una congregazione che abbia come scopo l’Adorazione Eucaristica.

Don Francesco può così realizzare quel sogno visto in S. Maria Maggiore. Il 15 dicembre 1882 le prime aspiranti suore entrano in una casa che sarà il primo convento, in via S. Antonino a Bergamo. Quel giorno l’Istituto delle Suore Adoratrici ha inizio.  Intanto si aprono nuove case e le religiose accolgono handicappati, poveri e ammalati.

Tutto va bene fino a quando, per una serie di spiacevoli equivoci, don Francesco è costretto ad abbandonare la diocesi di Bergamo, e il 4 aprile 1889 si trasferisce in diocesi di Cremona, a Rivolta d’Adda, dove le sue figlie hanno aperto una casa. Il sacerdote non può più governare l’Istituto, e così la fondazione si divide: madre Comensoli fonda la congregazione delle Suore Sacramentine, don Francesco quella delle Suore Adoratrici del SS. Sacramento.

Ottenuta la giusta approvazione, le Adoratrici prendono vita. Esse hanno il compito di adorare giorno e notte Gesù nell’Eucarestia e di servire i fratelli poveri e sofferenti, nei quali “Ravvisare il Volto di Cristo”.  Gesù è la fonte e il modello della vita sacerdotale di don Francesco, dal quale prendeva forza e vigore per servire gli altri.

A Rivolta si piega a cercare Cristo fra gli infelici, gli emarginati, i respinti, e dove c’è un bisogno di qualsiasi tipo: scuole, oratori, assistenza agli infermi, agli anziani soli.

I suoi prediletti sono i portatori di handicap, per i quali nutre un affetto di padre. Per loro, oltre all’assistenza, si prodiga per farli organizzare in semplici lavori per sollecitare la loro capacità e promuovere una maggiore autonomia personale. Crede in loro e non li tratta come dei “minorati”.

Accoglie i giovani del grosso borgo cremonese, nella casa madre, ed è felice di trovarsi con loro e farli divertire.  Circondato da vastissima fama di santità, raggiunge l’amato Dio, il 6 febbraio 1913.

Viene dichiarato beato da Giovanni Paolo II il 21 giugno 1992, nel Santuario Mariano di Caravaggio, e proclamato santo in piazza San Pietro da Papa Francesco il 14 ottobre 2018.

 

Le parole e le immagini della Canonizzazione 




Il Vescovo a Rivolta d’Adda nella festa di San Francesco Spinelli (FOTO E AUDIO)

Prima la visita alla casa Santa Maria, che ospita le suore anziane ed ammalate, poi la messa solenne in Casa madre. Questi i due momenti che nel pomeriggio di giovedì 6 febbraio hanno caratterizzato la presenza del vescovo Antonio Napolioni presso le suore Adoratrici del Santissimo Sacramento di Rivolta d’Adda nel giorno della festa del loro fondatore, San Francesco Spinelli.

Accompagnato dal vescovo emerito di Cremona Dante Lafranconi e dal cerimoniere don Flavio Meano, in Casa Santa Maria il vescovo ha prima celebrato il vespro e poi incontrato le religiose per un saluto. «La stagione che vivete ora in questa casa – ha detto monsignor Napolioni alla suore presenti nella chiesetta della struttura di via Piave nella breve riflessione tenuta durante il vespro – non vi deve far sentire arrivate. Il Signore dà l’appuntamento a tutti noi nei nostri cuori, non si stanca mai di visitarci e di parlarci. Allora grazie e avanti. Grazie perché ogni giorno rinnovate il vostro sì, non meno difficile di quello in certi momenti entusiasmanti e di altri fragilissimi. Avanti dietro di Lui, con i fratelli, le sorelle e con tutta la Chiesa».

Omelia del Vescovo nei vespri a Santa Maria

Alle 17.30 il Vescovo ha presieduto la messa nella chiesa della casa madre delle Adoratrici, concelebrata da monsignor Dante Lafranconi, dal parroco di Rivolta monsignor Dennis Feudatari e da altri sacerdoti dicoesani e allietata dalla preghiera cantata dalle corali di Cella Dati, Derovere e Pugnolo. A rappresentare l’Amministrazione comunale c’erano gli assessori Andrea Vergani e Fiorella Boschetti con accanto il presidente della Pro Loco Giuseppe Strepparola, il presidente della Bcc di Caravaggio e Cremasco Giorgio Merigo ed il sindaco di Offanengo Gianni Rossoni.

A madre Isabella Vecchio, superiora generale delle Adoratrici, il compito di salutare il vescovo Antonio. «Dal cielo, San Francesco Spinelli – ha detto – oggi guarda e benedice anche lei, Eccellenza. Grazie al vescovo Dante che continua a portarci nel cuore, ai preti, alle suore e a tutti coloro che oggi sono qui in questa chiesa».

Saluto della superiora generale, madre Isabella Vecchio

«Il Signore è con noi e ci propone, mediante la figura di San Francesco Spinelli, la possibilità di una vita più bella di quella che finora abbiamo assaporato» ha esordito il vescovo Napolioni nella sua omelia, soffermandosi poi sulle letture e sul vangelo. «Chi mangia questo pane – ha proseguito – vivrà in eterno. Su questa frase del vangelo San Francesco Spinelli non ha detto “speriamo” ma ha insistito, costruendoci sopra una vita. Affido alle suore questa esortazione, questo “vivrà in eterno”, da interpretare non solo in chiave individuale ma anche in chiave comunitaria. Tutte le storie vissute sulla terra – ha concluso – nella misura in cui sono state docili alla provvidenza del Padre, sono eterne».

La celebrazione si è conclusa con la preghiera e la benedizione solenne impartita dal vescovo davanti all’urna di padre Spinelli.

Omelia del Vescovo nella Messa in Casa madre

 

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Biografia di san Francesco Spinelli

Nato a Milano il 14 aprile 1853 da genitori bergamaschi a servizio dei Marchesi Stanga, Francesco cresce bravo e vivace e, come S. Giovanni Bosco, è pieno di gioia quando attira gli altri bambini organizzando spettacolini di marionette.  Quando è libero, la mamma lo conduce a visitare poveri e ammalati e lui è felice di amare e aiutare il prossimo, come insegnato da Gesù.

Nasce la vocazione, e Francesco studia a Bergamo, e viene ordinato sacerdote nel 1875.  In quello stesso anno si reca a Roma per il Giubileo, e in S. Maria Maggiore ha una visione: uno stuolo di vergini che adorano Gesù Sacramentato. Don Francesco capisce il progetto della sua vita, ma aspetta il momento giusto per realizzarlo.

Tornato da Roma, svolge attività educative e una scuola serale presso l’ oratorio di don Palazzolo, un’apostolato fra i poveri nella parrocchia dello zio don Pietro, l’insegnamento in Seminario e la guida di alcune comunità religiose femminili, fino a quando nel 1882 recatosi a S.Gervasio d’Adda (CR) incontra una giovane ragazza, Caterina Comensoli, che desidera diventare religiosa in una congregazione che abbia come scopo l’Adorazione Eucaristica.

Don Francesco può così realizzare quel sogno visto in S. Maria Maggiore. Il 15 dicembre 1882 le prime aspiranti suore entrano in una casa che sarà il primo convento, in via S. Antonino a Bergamo. Quel giorno l’Istituto delle Suore Adoratrici ha inizio.  Intanto si aprono nuove case e le religiose accolgono handicappati, poveri e ammalati.

Tutto va bene fino a quando, per una serie di spiacevoli equivoci, don Francesco è costretto ad abbandonare la diocesi di Bergamo, e il 4 aprile 1889 si trasferisce in diocesi di Cremona, a Rivolta d’Adda, dove le sue figlie hanno aperto una casa. Il sacerdote non può più governare l’Istituto, e così la fondazione si divide: madre Comensoli fonda la congregazione delle Suore Sacramentine, don Francesco quella delle Suore Adoratrici del SS. Sacramento.

Ottenuta la giusta approvazione, le Adoratrici prendono vita. Esse hanno il compito di adorare giorno e notte Gesù nell’Eucarestia e di servire i fratelli poveri e sofferenti, nei quali “Ravvisare il Volto di Cristo”.  Gesù è la fonte e il modello della vita sacerdotale di don Francesco, dal quale prendeva forza e vigore per servire gli altri.

A Rivolta si piega a cercare Cristo fra gli infelici, gli emarginati, i respinti, e dove c’è un bisogno di qualsiasi tipo: scuole, oratori, assistenza agli infermi, agli anziani soli.

I suoi prediletti sono i portatori di handicap, per i quali nutre un affetto di padre. Per loro, oltre all’assistenza, si prodiga per farli organizzare in semplici lavori per sollecitare la loro capacità e promuovere una maggiore autonomia personale. Crede in loro e non li tratta come dei “minorati”.

Accoglie i giovani del grosso borgo cremonese, nella casa madre, ed è felice di trovarsi con loro e farli divertire.  Circondato da vastissima fama di santità, raggiunge l’amato Dio, il 6 febbraio 1913.

Viene dichiarato beato da Giovanni Paolo II il 21 giugno 1992, nel Santuario Mariano di Caravaggio, e proclamato santo in piazza San Pietro da Papa Francesco il 14 ottobre 2018.

 

Le parole e le immagini della Canonizzazione 




Giornata della Vita consacrata: «Attenti al “raffreddore” del carisma, accendiamo il mondo di un amore infuocato»

Nel pomeriggio di domenica 2 febbraio a Cremona il vescovo Napolioni ha presieduto l’Eucaristia per i religiosi della diocesi in occasione della 24esima Giornata mondiale della vita consacrata, che ogni anno si celebra nella festa della Presentazione di Gesù al tempio, presso la casa madre dell’Istituto delle suore della Beata Vergine, alla presenza del delegato episcopale per la vita consacrata don Giulio Brambilla, del delegato diocesano Cism padre Virginio Bebber e di madre Giuliana Arsuffi, incaricata diocesana Usmi.

È stata proprio madre Giuliana a introdurre la celebrazione, ricordando l’occasione di festa per «la bellezza di tanto amore ricevuto e donato» e ringraziando quanti – dal vescovo Napolioni, ai tanti fratelli e sorelle che quotidianamente incontrano sulla loro strada i consacrati e le consacrate – «per la condivisione della gioia» della vocazione.

Saluto di madre Giuliana Arsuffi, delegata USMI

Riprendendo poi la liturgia della Parola, e in particolare la prima lettura tratta dal libro del profeta Malachia, il vescovo Napolioni ha proposto una sua riflessione sull’annuncio del Messia e sul suo ingresso al tempio, raccogliendo parole che «si possono applicare a tutti noi» e in particolare – ha aggiunto – ai consacrati e alle consacrate.

A loro ha rivolto il suo pensiero monsignor Napolioni durante l’omelia articolata su tre punti fondamentali così riassunti in conclusione: incarnazione, spirito ed eternità.

«Non è un tempio di pietra che può contenere la grandezza di Dio», ha sottolineato. Per questo «Dio ha scelto di abitare il tempio della vita umana». Da qui «il primo compito di un credente (e a maggior ragione di un consacrato o di una consacrata) è quello di far entrare il Signore nella nostra vita, ed entrare al modo del Signore nella vita che ci circonda» con un’attenzione particolare alle tante forme di povertà che abito i nostri luoghi. Non dunque da «spettatori», perché «il Signore – ha aggiunto ancora – ci chiede di partecipare alla sua opera» con quella fecondità «concessa anche a chi rinuncia alla famiglia secondo la carne per fare di ogni carne la sua famiglia»

«In quale tempio dobbiamo entrare noi oggi – ha chiesto dunque il vescovo – se il mondo sembra voler fare a meno di noi?». L’invito è quello alla fiducia nella «fantasia più grande di Dio» e all’ascolto del «vagito» che si nasconde dietro la secolarizzazione e la bestemmia, dei figli che «tutti cercano un Padre che non sbatte mai la porta del cielo».

Il Vescovo ha così sollecitato religiose e religiosi a cercare «l’amore infuocato di Dio che purifica e trasforma» un mondo raffreddato: «Attenti al raffreddore del carisma, della comunità, della testimonianza. Abbiamo bisogno di farci riaccendere continuamente, dall’iniziativa di Dio e dalla responsabilità personale».

L’ultimo passaggio dell’omelia è stato perciò uno sguardo alla «offerta gradita a Dio»: non un gesto rituale ma «una vita che si consuma illuminando». Anche – ha aggiunto – quando un carisma va ad esaurimento e ci attacchiamo alle nostre opere senza riconsegnarle al Signore». Una teologia della ri-consegna che dona pienezza, da riscoprire «nella nostra quotidianità e nella quotidianità delle persone che incontriamo».

 

Omelia del vescovo Napolioni

Alla celebrazione hanno preso parte i religiosi e le religiose, delle diverse congregazioni, che operano in diocesi. Folta la rappresentanza delle suore della Beata Vergine, che ha ospitato quest’anno la celebrazione, con la superiora generale madre Piera Monzani.

Durante la celebrazione sono state rinnovate le promesse religiose ed è stata anche l’occasione per ricordare i più significativi anniversari di professione. Hanno infatti festeggiato il 75° suor Carmela Bariani, suor Melania Della Valle e suor Amelia Vezzoli; il 70° suor Iside Barzaghi, suor Franceschina Raimondi e suor Desideria Sarti. Consistente il gruppo del 60°: padre Francesco Avi, suor Serena Bolzoni, suor Agostina Ferrari, suor Maria Luigia Maffeis, suor Armanda Raineri, suor Isidora Rotini, suor Marina Ruggeri, suor Luisa Sala e suor Emilia Varini. Numerose anche le religiose che festeggiano il 50°: madre Giuliana Arsuffi, madre Nancy Micallef, madre Enrica Pagnoncelli, madre Adriana Rossi e suor Nunzia Verrigni. Due le suora che hanno celebrato il 25° di professione: suor Paola Rizzi e suor Ivana Signorelli.

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Venerdì al Monastero di Soresina festa di san Francesco di Sales con l’arcivescovo Brugnaro

Sarà mons. Francesco Giovanni Brugnaro, arcivescovo emerito di Camerino-San Severino Marche, a presiedere, nel pomeriggio di venerdì 24 gennaio (ore 16) al Monastero della Visitazione di Soresina, la solenne Eucaristia nella memoria liturgica di san Francesco di Sales, il vescovo di Ginevra che il 6 giugno 1610 ad Annecy, in Francia, fondò l’ordine monastico visitandino scegliendo come prima guida Giovanna Francesca Frémyot di Chantal.

L’arcivescovo Brugnaro è particolarmente legato all’Ordine della Visitazione, essendo stato in passato confessore della comunità claustrale milanese di via Santa Sofia, le cui monache, a seguito della chiusura del monastero avvenuta nel novembre 2017, si sono trasferite in diocesi di Cremona, aggregandosi alla comunità soresinese.

Durante la Messa rinnoverà i voti suor Maria Adriana Messina, in occasione del 25esimo anniversario di professione religiosa.

Le solenni celebrazioni per il fondatore, che è anche patrono dei giornalisti, si collocano all’interno dell’anno giubilare per il centesimo anniversario della canonizzazione di santa Margherita Maria Alacoque, aperto lo scorso 16 ottobre e che si chiuderà il 17 ottobre prossimo. Proprio la ricorrenza di san Francesco di Sales, è accordata la grazia dell’indulgenza plenaria.

Locandina dell’evento

 

Biografia di San Francesco di Sales

Nato a Thorens il 21 agosto 1567, concluse a Lione i suoi giorni, consunto dalle fatiche apostoliche, il 28 dicembre del 1622, l’anno della canonizzazione di San Filippo Neri, che Francesco conosceva attraverso la Vita scritta dal Gallonio, a lui inviata dall’amico Giovanni Giovenale Ancina. Iscritto nell’albo dei Beati nel 1661, fu canonizzato nel 1665 e proclamato Dottore della Chiesa nel 1887 da Leone XIII.

Francesco di Sales si formò alla cultura classica e filosofica alla scuola dei Gesuiti, ricevendo al tempo stesso una solida base di vita spirituale. Il padre, che sognava per lui una brillante carriera giuridica, lo mandò all’università di Padova, dove Francesco si laureò, ma dove pure portò a maturazione la vocazione sacerdotale. Ordinato il 18 dicembre 1593, fu inviato nella regione del Chablais, dominata dal Calvinismo, e si dedicò soprattutto alla predicazione, scegliendo non la contrapposizione polemica, ma il metodo del dialogo.

Per incontrare i molti che non avrebbe potuto raggiungere con la sua predicazione, escogitò il sistema di pubblicare e di far affiggere nei luoghi pubblici dei “manifesti”, composti in agile stile di grande efficacia. Questa intuizione, che dette frutti notevoli tanto da determinare il crollo della “roccaforte” calvinista, meritò a S. Francesco di essere dato, nel 1923, come patrono ai giornalisti cattolici.

A Thonon fondò la locale Congregazione dell’Oratorio, eretta da Papa Clemente VIII con la Bolla “Redemptoris et Salvatoris nostri” nel 1598 “iuxta ritum et instituta Congregationis Oratorii de Urbe”. Il suo contatto con il mondo oratoriano non riguardò tanto la persona di P. Filippo, quanto quella di alcuni tra i primi discepoli del Santo, incontrati a Roma quando Francesco vi si recò nel 1598-99: P. Baronio, i PP. Giovanni Giovenale e Matteo Ancina, P. Antonio Gallonio.

L’impegno che Francesco svolse al servizio di una vastissima direzione spirituale, nella profonda convinzione che la via della santità è dono dello Spirito per tutti i fedeli, religiosi e laici, fece di lui uno dei più grandi direttori spirituali. La sua azione pastorale – in cui impegnò tutte le forze della mente e del cuore – e il dono incessante del proprio tempo e delle forze fisiche, ebbe nel dialogo e nella dolcezza, nel sereno ottimismo e nel desiderio di incontro, il proprio fondamento, con uno spirito ed una impostazione che trovano eco profondo nella proposta spirituale di San Filippo Neri, la quale risuona mirabilmente esposta, per innata sintonia di spirito, nelle principali opere del Sales – “Introduzione alla vita devota, o Filotea”, “Trattato dell’amor di Dio, o Teotimo” – come pure nelle Lettere e nei Discorsi.

Fatto vescovo di Ginevra nel 1602, contemporaneamente alla nomina dell’Ancina, continuò con la medesima dedizione la sua opera pastorale. Frutto della direzione spirituale e delle iniziative di carità del Vescovo è la fondazione, in collaborazione con S. Francesca Fremiot de Chantal, dell’Ordine della Visitazione, che diffuse in tutta la Chiesa la spiritualità del S. Cuore di Gesù, soprattutto attraverso le Rivelazioni di Cristo alla visitandina S. Margherita Maria Alacocque, con il conseguente movimento spirituale che ebbe anche in molti Oratori, soprattutto dell’Italia Settentrionale, centri di convinta adesione.




Al monastero della Visitazione festa per il fondatore san Francesco di Sales insieme all’arcivescovo Brugnaro

Il 24 gennaio, a Soresina, è stato festeggiato san Francesco di Sales: una ricorrenza molto speciale per la comunità soresinese, perché il carisma del vescovo di Ginevra (che il 6 giugno 1610 ad Annecy, in Francia, fondò l’ordine monastico visitandino) ha portato a Soresina una comunità claustrale presente dal 1816. La celebrazione è avvenuta proprio presso la chiesa del Monastero di Santa Maria, alle 16, alla presenza mons. Francesco Giovanni Brugnaro, arcivescovo emerito di Camerino-San Severino Marche, che ha celebrato la Messa solenne accanto al parroco di Soresina don Angelo Piccinelli e a don Enrico Maggi, incaricato diocesano per la Pastorale delle comunicazioni sociali. Non solo, la ricorrenza di San Francesco di Sales è stata l’occasione per festeggiare il 25° di consacrazione di suor Maria Adriana Messina e assistere al rinnovo dei sui voti claustrali.

Il parroco ha introdotto la celebrazione per ringraziare il vescovo Brugnaro: «Le siamo particolarmente riconoscenti per essersi unito al “magnificat” di suor Adriana, che ha messo il suo cuore a quello di Gesù e che ha scelto di servirLo nascosta agli occhi del mondo per 25 anni. Oggi ricordiamo san Francesco di Sales, profeta del dialogo ecumenico, comunicatore e evangelizzatore: affidiamoci a lui come guida per recuperare la voglia di essere santi gratitudine e ringraziamo per il carisma che le consorelle Visitandine incarnano e ci ricordano. Da parte nostra, ricordiamo loro che la chiesa conta sulla loro preghiera».

La risposta del Vescovo è stata immediata: ha ringraziato don Angelo per le sue parole e per avergli fatto raggiungere finalmente Soresina che per lui ha un significato e un legame per il vescovo Antonio Napolioni – di cui ha portato i saluti – e per l’Ordine Visitandino.

Nella sua omelia monsignor Brugnaro ha ringraziato il Signore per la fedeltà di suor Maria Adriana che ha conosciuto al monastero milanese.  Poi il sui messaggio è stato interamente dedicato alla vita contemplativa e a san Francesco di Sales: «La vocazione contemplativa è un’esperienza non facile, ma sublime. Da stimare. Chi sceglie la vita contemplativa deve scegliere la parola con la “P” maiuscola, cioè la Parola di Dio. Questa vita offre un grande servizio: mettere le persone di fronte alla parola di Dio e confrontare così la propria vita con questa parola, perché la parola è carica di una grazia speciale che è il dono dello Spirito Santo, il discernimento. Così possiamo comprendere cosa vuole il Signore da noi e dunque a cosa siamo chiamati. Pregare per gli altri, come fanno le claustrali, è donare il discernimento, è pregare perché ciascuno comprenda a quale progetto divino è destinato. San Francesco di Sales fu un grande comunicatore; seppe dare alla sua vita spirituale una solidità tale da non perdersi mai d’animo, sempre ispirato a mitizza, dolcezza, dedizione e amore, crescendo in una devozione autentica, nella penitenza e affidandosi allo Spirito Santo. Oggi Dio si aspetta da noi che sappiamo trasmettere la fede attraverso le soluzioni più opportune, secondo le modalità richieste dal tempo in cui viviamo, ovvero che trasmettiamo quanto è bello conoscere Gesù, quanto è bello essere amati da lui e quanto è bello testimoniarlo secondo i doni che dà a ciascuno di noi».

Durante la celebrazione suor Maria Adriana ha rinnovato i propri voti e, prima della benedizione finale, don Angelo Piccinelli ha letto la speciale benedizione di papa Francesco per questo importante traguardo. Gli applausi hanno avvolto, come un abbraccio, suor Maria Adriana.

Dal 3 novembre 2017, proveniente da Milano con altre tre Consorelle (suor Maria Maddalena, suor Maria Carla, suor Maria Grazia), suor Maria Adriana è entrata a far parte non solo della comunità monastica soresinese, ma, a pieno titolo, della nostra famiglia parrocchiale. «Oggi constato, senza retorica, – ha detto il parroco al termine della Messa – che la loro presenza è, davvero, un dono impagabile e, per tutti, una ricchezza senza paragoni. Ha proprio ragione papa Francesco che, nella Costituzione apostolica sulla vita contemplativa femminile Vultum Dei quaerere (Cercare il volto di Dio) confessa alle Claustrali del mondo: “Carissime Sorelle contemplative, che ne sarebbe, senza di voi, della Chiesa?”. Oso imitare il Santo Padre per dichiarare, altrettanto sinceramente, alle nostre Salesiane: “Carissime Sorelle contemplative, che ne sarebbe, senza di voi, di Soresina?”».

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