1

Il Sinodo in parrocchia. In una Chiesa che sia come casa

Un po’ rincuora, un po’ sollecita la sintesi (SCARICA QUI) pubblicata dalla CEI e riguardante gli ascolti diocesani a chiusura del primo anno sinodale delle chiese in Italia. Sì, perché l’articolazione del testo, di non immediata lettura e non così sintetico, colpisce per alcune pennellate di realismo che disinnescano lo scetticismo con cui ormai si approcciano testi “ufficiali”. Colpisce un approccio aderente alla realtà, capace di non trasformare immediatamente i vissuti raccolti in moralismo. Non mancano alcune sottolineature “fuori onda”, come quella di alcuni stili episcopali non in linea con le istanze sinodali o come quella che riguarda il peso – anche giuridico – delle strutture pastorali, come pure quella che fotografa il carattere ondivago dei processi sinodali, segnati anche da una buona dose di scetticismo.

A leggere il testo, soprattutto nello scorrere le dieci parole-chiave che fungono da coagulo dei materiali prodotti dalle singole diocesi, si riconosce un pezzo importante della condizione ecclesiale oggi: non di una chiesa teorizzata a tavolino, ma di un corpo reale che a volte intuisce ma non sa mettersi in gioco, a volte abita la prossimità ma non sa trasformare questa vocazione in cultura… insomma sembra di essere a casa. E si sa, ciascuno conosce di casa sua la bellezza e la familiarità, ma anche i guai che non si cancellano a suon di documenti o certificati.

C’è molta verità della Chiesa e sulla Chiesa e a fare la differenza sembra proprio il nesso esistenziale tra biografie (personali e comunitarie) e mistero di Gesù. Perché ricorre spessissimo, come chiave di lettura, il binomio che unisce relazioni ed esperienza vitale della fede.
La massa di riletture è ricondotta a dieci snodi di fondo, da leggere come i segnavia di un percorso non sempre facile, come accade a chi parte per la montagna e ogni tanto deve consultare la mappa, verificare la propria posizione, sostare per riposare, prendere fiato e bere qualcosa: ascoltare, accogliere, relazioni, celebrare, comunicazione, condividere, dialogo, casa, passaggi di vita e metodo. Ce ne sarebbe per innumerevoli consigli pastorali, ma soprattutto ce ne sarebbe per sfatare certi miti: quelli numerici, quello dell’innervatura certa delle comunità nei territori, quello della chiesa-istituzione ancora modellata e percepita su un’idea piramidale e discendente dell’autorità… ma, si sa, i miti persistono e spesso abitano la ruggine più insistente delle simboliche mentali.
A porre in filigrana il testo di sintesi con l’esperienza quotidiana di una comunità, sembrano evidenziarsi almeno quattro questioni, problemi e sfide ad un tempo:

  1. lo stile delle relazioni: ormai la questione “affettiva” dentro la Chiesa non è più rinviabile. Essa non si limita al delicato e pure urgente tema delle minoranze né al solo recupero della presenza femminile, ma ha il sapore più ampio, e spesso più amaro, della temperatura emotiva dell’appartenenza comunitaria. Si fa spesso fatica a percepire nell’esperienza psicologica quello che per teologia si è nella Chiesa: fratelli e sorelle, commensali alla medesima Eucaristia. Mettere a tema la qualità delle relazioni significa ridisegnare costantemente il modo di essere nella Chiesa, non dare per scontata la leadership, smettere di mettere tra parentesi la questione del potere e delle responsabilità, come se esistesse un cortile dove si è fratelli e una stanza dei bottoni in cui solo la solitudine magari del clero può espletare alcune funzioni.
  2. la connessione tra parola di Dio e vita: perché l’annuncio del Vangelo narri un senso, è necessario l’incontro con la vita e quella saldatura di realtà che oggi è la grande sfida culturale della Chiesa. Si può continuare a riproporre un ritmo, anche liturgico, separato ed autonomo oppure si può dar fiducia alla vita, soprattutto delle famiglie e delle esperienze laicali: queste interpellare ed ascoltare, a queste chiedere di innervare la parola di Dio nella storia. Le conseguenze soprattutto di natura psicologica sull’idea anche della parrocchia come un centro di servizi o un luogo in cui “fare rapporto” sono evidenti.
  3. la geografia della cura e della prossimità: non va mai perso di vista il dispositivo centrale della fede cristiana, la norma dell’incarnazione che giudica ogni stile e lo richiama alla sua prima vocazione. Che il destino bello ed avvincente delle comunità ecclesiali stia proprio anche nel farsi carico delle periferie, anzi essere loro stesse periferie? Domanda scomoda, che però risuona anche oltre la retorica su papa Francesco. Chiese, parrocchie e oratori sono già periferia, e da un pezzo. La sfida è sempre con quale stile questi luoghi vengono abitati e chi sceglie di accettare questa vocazione, dentro la complessità della vita.
  4. l’idea di una Chiesa-casa: le metafore per descrivere la Chiesa sono davvero moltissime, ma forse in questa stagione ecclesiale l’idea di una Chiesa che assomigli anche ad una casa, accogliente ed inclusiva, pare efficace ed urgente. Una casa in cui la familiarità delle relazioni non sia una chimera e in cui l’arredamento, i ritmi e l’atmosfera facciano percepire che si è autorizzati a vivere. Una casa in cui si abbia il coraggio non solo di fare cose o pretendere servizi, ma anche raccontarsi e respirare. Forse non è un caso che il prossimo anno sinodale sia scandito dall’episodio di Gesù che frequenta la casa di Marta e Maria.

don Paolo Arienti
Docente Teologia ISSR S. Agostino e Seminario di Cremona

Sinodo: pubblicata dalla CEI la sintesi finale della fase diocesana

Sinodo. Per una Chiesa che non divide il mondo, ma lo ascolta alla luce della Parola. Intervista a don Maccagni




L’«eccomi» di don William Dalé, ordinato sacerdote in Cattedrale

Sfoglia la fotogallery della celebrazione

Don William ha fatto il suo ingresso nella grande navata della Cattedrale di Cremona accompagnato dalle note di un inno allo Spirito Santo. È entrato nella celebrazione della sua ordinazione presbiterale in veste di diacono, lo sguardo fisso in direzione dell’altare, un cero acceso tra le mani. Ad accompagnarlo, come una solenne corrente bianca in preghiera, il Vescovo Napolioni con il clero diocesano, i sacerdoti che lo hanno accompagnato nel suo percorso di formazione nelle parrocchie dove è cresciuto e ha prestato servizio da seminarista, don Giuseppe Nevi, parroco di Soncino, il team di formazione del Seminario vescovile, i giovani preti che con lui hanno condiviso un tratto di percorso. Nei primi banchi i famigliari e i sindaci di Soncino e Casalbuttano, dove don William è nato e dove ha svolto il suo ministero diaconale nell’ultimo anno.

Con un raccoglimento profondo il giovane diacono ha seguito la liturgia della Parola, prima del momento dell’ordinazione, introdotto dal momento della presentazione ed elezione, in cui don William, presentato dal rettore del Seminario, don Marco D’Agostino, ha pronunciato il suo «eccomi», prima di disporsi all’ascolto dell’omelia del vescovo che in più di un passaggio si è rivolto direttamente a lui, in un significativo richiamo tra la figura di san Barnaba, descritta nel brano degli Atti degli Apostoli, e la missione del sacerdote, che – ha sottolineato monsignor Napolioni – rappresenta una sorta di «identikit» del presbitero che si lascia «coinvolgere dal Vangelo». «Sei in cammino – si è rivolto il vescovo, direttamente all’ordinando –, tutti noi siamo faticosamente alle prese con i nostri limiti ma anche grati a chi ci ha formato, affinché le virtù diventassero attraenti, ma soprattutto si facesse spazio in noi allo Spirito Santo e diventassimo uomini e donne credenti. Questa è la prima caratteristica, il più grande complimento per un prete: “quello è un prete che ci crede!”».

Riprendendo poi i passaggi della Scrittura, il Vescovo ha sottolineato altri aspetti centrali della vocazione sacerdotale: «La missione di un prete comincia da qui: nel vedere e riconoscere la grazia di Dio che ci precede. Ovunque andrai non sarai il primo a portare il Signore: c’è già! Noi siamo lì a rallegrarci e a far sì che tutti si rallegrino. Questo dilata la Chiesa e il regno di Dio, nel dialogo, con le esperienze, i cammini e le diversità che il Signore non ha paura di toccare con il suo amore».

Un percorso, dunque, che continua nel confronto con la storia e con le relazioni che costituiscono la Chiesa: «Barnaba – è proseguita la riflessione di monsignor Napolioni – ha portato il Vangelo insieme ad altri apostoli. Nessuno diventa prete da solo: l’imposizione delle mani che tra poco vivremo è segno che supera le nostre simpatie e rende possibile la misericordia degli uni verso gli altri, perché solo così possiamo essere credibili. Non possiamo pretendere umiltà e fedeltà se noi non le pratichiamo».

Altri due passaggi degli Atti  sono stati poi ripresi dal vescovo che ha voluto andare al cuore della fede cristiana ricordando come proprio ad Antiochia «i discepoli furono chiamati per la prima volta cristiani. Noi – ha quindi riflettuto – ci abbiamo fatto l’abitudine e c’è il rischio che oggi occorra far sì che noi cristiani scopriamo di essere anche discepoli. Ti chiedo di aiutare i cristiani a vivere da discepoli. Il Cristianesimo non può essere un certificato, una cerimonia, ma deve essere un’esperienza quotidiana, di ascolto del Vangelo, condivisione della vita, di avventura della missione».

Sfoglia la fotogallery della celebrazione

«E il fondamento di ogni missione – ha quindi concluso il vescovo – è in quell’inciso che torna: “Strada facendo…”. La strada sarà il vero luogo di realizzazione della tua missione. Non chiuderti solamente in parrocchia e in oratorio, ma fai che parrocchia e oratorio siano una strada, aperti sulla strada. Non avere paura».

Dopo l’omelia la celebrazione è proseguita con la liturgia dell’ordinazione di don William Dalé che dopo la manifestazione della volontà e l’assunzione dell’impegno al ministero sacerdotale con i cinque «lo voglio», ha posto le sue mani in quelle del vescovo per la promessa di rispetto e obbedienza.

Quindi il canto delle litanie dei santi ha intonato la preghiera mentre don William si è prostrato con il volto a terra, prima del momento dell’imposizione delle mani sul capo da parte del vescovo e di tutti gli altri presbiteri concelebranti in segno di fraterna accoglienza nel presbiterato. Poi il vescovo ha recitato la preghiera di ordinazione introducendo ai riti esplicativi: la vestizione degli abiti sacerdotali, l’unzione con il sacro crisma, la consegna del pane e del vino, l’abbraccio di pace con il vescovo e la professione di fede, che ha concluso il rito dell’ordinazione.

La Messa è quindi proseguita con la liturgia eucaristica, durante la quale per la prima volta il sacerdote novello ha consacrato il pane e il vino.

La festa com i confratelli, i parenti e gli amici, al termine della celebrazione, continuerà domenica 12 giugno a Soncino dove il sacerdote novello celebrerà la sua prima Messa alle 10.30 nella chiesa parrocchiale Santa Maria Assunta e San Giacomo apostolo.

 

Il video integrale della celebrazione

 

Biografia di don William Dalé

Don William Dalé, classe 1994, è originario della parrocchia di Santa Maria Assunta e San Giacomo apostolo di Soncino. Dopo gli studi teologici presso il Seminario vescovile di Cremona, il 18 settembre 2021 è stato ordinato diaconi.

Da tre anni presta servizio presso l’unità pastorale Nostra Signora della Graffignana, in particolare dedicandosi alla catechesi dei giovani nella parrocchia di Casalbuttano, coadiuvando il parroco in oratorio e prestando assistenza spirituale alla casa di riposo.

Nel 2020 ha conseguito il baccalaureato in Teologia e nel 2021 ha insegnato religione al liceo “Sofonisba Anguissola” di Cremona; mentre nell’ultimo anno è stato docente di religione presso la scuola media di Castelverde.

 

A Soncino la Prima Messa del prete novello don William Dalè




A Caravaggio la Messa nell’anniversario della apparizione: «Una Madre di misericordia ci invita alla conversione»

Guarda la photogallery completa della mattinata

È una giornata di festa oggi, giovedì 26 maggio, a Caravaggio per le celebrazioni in occasione del 590° anniversario dell’Apparizione della Vergine al Santuario di Santa Maria del Fonte. In mattinata una solenne processione, guidata da monsignor Dante Lafranconi, è partita dal centro di spiritualità verso la basilica. Qui si è fermata al Sacro Fonte dove, dopo aver recitato l’atto penitenziale, il vescovo emerito di Cremona ha deposto un mazzo di fiori. In maniera del tutto eccezionale, per la prima volta, è stato aperto e visibile anche il piccolo pezzetto di terreno dal quale sgorgò l’acqua benedetta. «La Vergine Maria implori misericordia per noi al Suo Figlio Gesù», ha detto monsignor Lafranconi di fronte all’immagine della Madonna.

Uscendo dal fonte, i sacerdoti e il vescovo si sono segnati con l’acqua in ricordo del Battesimo e subito dopo è iniziata la santa messa all’aperto, animata dal coro “Don Domenico Vecchi”. Una Messa importante, perché benedetta dal Papa e durante la quale i fedeli presenti hanno potuto ottenere l’indulgenza plenaria.

L’omelia del vescovo emerito ha proposto una riflessione sulle figure di Elisabetta e Maria e sul ruolo centrale della grazia divina nel sacramento della penitenza. «Il brano di Vangelo ascoltato – ha detto – ci presenta la figura di Elisabetta e Maria. Elisabetta è la madre di Giovanni Battista, il precursore, colui che ha preparato gli animi delle persone a riconoscere e accogliere Gesù. Una preparazione che richiamava al dovere di cambiare il cuore, alla penitenza, alla conversione per accogliere quella novità fuori dagli schemi. Maria, l’altra donna, è la madre del Figlio di Dio. Una madre che ha accolto in sé, ed è diventata nel disegno di Dio, colei che ha reso tangibile fino a che punto l’amore di Dio per gli uomini può arrivare: fino all’Incarnazione. Allora, in un certo senso, queste due donne attraverso i loro figli, sono un richiamo alla conversione e alla misericordia di Dio, che è straordinaria e impensabile per le categorie umane».

Guarda la photogallery completa della mattinata

La riflessione ha poi proseguito con un riferimento diretto all’apparizione di Caravaggio: «Se ci pensiamo bene, è lo stesso messaggio che Maria ha affidato a Giannetta. Lei dice che da tanto tempo intercede presso il Figlio perché usi misericordia verso gli uomini, ma allo stesso tempo chiede a noi di cambiare vita. Allora tra la pagina del Vangelo letta e l’apparizione a Giannetta, c’è una continuità perché il messaggio è identico. Un richiamo alla conversione che è possibile solo con la misericordia di Dio e con l’intercessione di Maria. Credo sia indispensabile per noi che viviamo questa celebrazione, raccogliere il messaggio che questo Santuario diffonde: la misericordia di Dio è inseparabile dal percorso della conversione degli uomini. Guai a separare questi due aspetti. Se si dimentica la misericordia non si ha il coraggio di chiedere perdono e convertirsi, perché soli non ci riusciamo. Ma se guardiamo solo alla misericordia rischiamo di pensare a un Dio buonista che lascia correre e permette tutto. No. Questi aspetti sono uniti. Misericordia e disponibilità alla conversione: ecco cosa dobbiamo raccogliere dal messaggio lasciato dalla Madonna a Giannetta».

Guarda la photogallery completa della mattinata

Monsignor Lafranconi ha messo poi in guardia dal «rischio di esasperare il nostro impegno e sentirci falliti perché non riusciamo a realizzarci oppure corriamo il rischio di fare della misericordia di Dio il lasciapassare per l’inferno, come diceva S. Agostino. Non andiamo via dal Santuario senza approfittare della misericordia di Dio che sostiene il nostro cammino quotidiano di conversione. I santuari mariani sono luoghi dove emerge ed è richiesto il sacramento della confessione ed è bello perché così si celebrano insieme misericordia (nel sacramento c’è l’azione di Dio), grazia e perdono. Così anche le nostre relazioni si conformeranno al disegno di Dio».

Tutto, ha detto, richiede però un atto di fede. «Come facevano Elisabetta e Zaccaria a credere che avrebbero avuto un figlio anziani? E Maria? Non c’erano intuizioni che potevano giustificare quello che sarebbe loro accaduto: bisognava solo credere che ciò che all’uomo sembra impossibile, Dio lo può compiere. E questo accade ogni volta che ci confessiamo: Dio prende in mano la vita che gli consegniamo perché possa trasformarsi secondo quella verità evangelica che la rende feconda. Per vivere con purezza i nostri sentimenti. Chiediamo questa grazia nel sacramento della penitenza perché ci accompagni ogni giorno. Non ci aspettiamo miracoli, apparizioni: si tratta ancora una volta di credere, di fidarsi di quello che Gesù ci ha detto e di incamminarci con umiltà anche quando la strada sembra impervia. Ma non desistiamo dal percorrerla, perché siamo sostenuti dalla misericordia di Dio, nella certezza che quello che Lui ha promesso lo compie. Che la Madonna risusciti in noi questa certezza».

Durante la Mmessa monsignor Lafranconi ha chiesto anche una preghiera speciale per monsignor Napolioni e per tutti i vescovi italiani riuniti in assemblea a Roma, e per la Chiesa italiana.

Guarda la photogallery completa della mattinata

Al termine della celebrazione, dopo il saluto del rettore del santuario monsignor Amedeo Ferrari, il vescovo Lafranconi ha impartito la benedizione con l’indulgenza plenaria dopo aver rivolto la Supplica alla Vergine, alla quale ha consegnato timori e speranze di tutte le famiglie e tutte le persone riunite in preghiera.

La giornata proseguirà con la recita del rosario e, alle 16.40, la memoria dell’apparizione.

 

Il video integrale della celebrazione

 

Caravaggio fa memoria dell’apparizione: «Le parole di Maria e il coraggio di Giannetta ci riuniscono oggi al Fonte»




La disumanità della guerra secondo don Primo. A 70 anni da “Tu non uccidere”

Sono passati 70 anni dalla stesura di “Tu non uccidere”, il volume con cui nel 1952 , dopo aver vissuto le due guerre mondiali, don Primo Mazzolari raccoglieva il suo pensiero pacifista per trasmetterlo ai giovani del suo tempo.

Il contenuto di quel libro – che fu poi pubblicato anonimo nel 1955 – è ripreso oggi da don Bruno Bignami in un articolo apparso sull’edizione del 9 marzo dell’Osservatore Romano, che ne evidenzia la “luminosa, persino profetica” attualità alla luce dei drammatici fatti di questi giorni.

Nel suo editoriale intitolato “La pace come ostinazione” il sacerdote cremonese, direttore dell’Ufficio nazionale della Cei per i problemi sociali e il lavoro, già presidente della Fondazione Mazzolari e curatore di numerose pubblicazioni degli scritti parroco di Bozzolo, riprende in particolare tre temi del pensiero pacifista di don Primo: l’assurdità della corsa agli armamenti, la certezza che “ogni guerra è fratricidio” e il ribadire che la guerra va sempre a scapito dei poveri.

«E nel frattempo, — scriveva Mazzolari in un passaggio ripreso da don Bignami — sempre nuovi ordigni e sempre più micidiali vengono inventati, esperimentati e conservati per la giusta guerra di domani». «Chi pretende di difendere, con la guerra, la libertà – si legge ancora in “Tu non uccidere” si troverà in un mondo senza nessuna libertà. Chi pensa di difendere, con la guerra, la giustizia, si troverà con un mondo che avrà perduto perfino l’idea e la passione della giustizia». L’unica arma di difesa, per Mazzolari, «è la giustizia sociale più che l’atomica»

Profonda poi la sottolineatura sulla “negazione della fraternità” rappresentata dalla guerra: “Se la guerra è negazione della fraternità – riflette don Bignami riprendendo passaggi dal testo di don Primo che toccano da vicino i comportamenti sociali, la scelta di stili morali di ciascuno oggi come 70 anni fa -, essa comincia con stili accondiscendenti verso la violenza, verso gli investimenti in armi, verso le forme di ingiustizia e di povertà: «il tacere, il non muoversi, o il muoversi lentamente, è nostro; ed è uno dei segni della nostra decadenza, che poi ci fa chiusi, lamentosi e sterili oppositori delle iniziative altrui». La guerra non è solo quella degli esplosivi, ma nasce col trattare «il fratello come utensile, materialisticamente».

«E quelli che ci lasciano la vita – scriveva don Primo – coloro che cadono, a migliaia, sono sempre gli umili, gli anonimi, il popolo che non ha mai voluto le guerre, che non le ha mai capite; mentre desiderava unicamente vivere libero e in pace». “La gente comune – commenta Bignami – è costretta a fuggire, le città diventano inferno, i civili subiscono massacri. E quando i poveri vengono lasciati nella tentazione di spargere sangue in difesa del pane e della dignità, la pace non godrà mai di buona salute”.

Da questi passaggi che così tremendamente riportano indietro le lancette della storia, la conclusione che non c’è niente di tanto disumano quanto la guerra: “La guerra – conclude l’articolo dell’Osservatore Romano – è ritorno allo stadio animale. Invocarla a soluzione dei conflitti appare inutile, aggiunge sofferenze a sofferenze e non risponde più alle esigenze del bene comune. Crimine contro l’umanità. Don Primo ricorda che «l’animalità fa il male per star bene», ma finisce per svuotare la fiducia in Dio e nell’uomo. La pace, invece, è l’unica ostinazione da perseguire. Tuttavia, diventare costruttori di pace significa non essere mai in pace. Parole che non passano”




Il vescovo Dante copie 82 anni, gli auguri della Chiesa cremonese

Giovedì 10 marzo il vescovo emerito Dante Lafranconi compie 82 anni. La comunità diocesana con il vescovo Napolioni rivolgono al vescovo emerito il loro augurio di buon compleanno, accompagnato dalla preghiera e dall’affetto filiale e fraterno, con riconoscenza per la sua presenza e il suo ministero che quotidianamente accompagna e sostiene la vita della Chiesa di Cremona, con la vicinanza umana e spirituale alla comunità tutta.

Monsignor Lafranconi è nato il 10 marzo 1940 a Mandello Lario, in diocesi di Como. Ordinato sacerdote il 28 giugno 1964, è stato eletto vescovo di Savona-Noli il 7 dicembre 1991 e ordinato vescovo nella Cattedrale di Como il 25 gennaio 1992. Eletto vescovo della Chiesa cremonese l’8 settembre 2001, ha iniziato il ministero in Diocesi di Cremona il 4 novembre 2001.

Il 16 novembre 2015 il Santo Padre ha accettato la sua rinuncia, presentata per raggiunti limiti d’età, al governo pastorale della Diocesi, nominandolo, con decreto della Congregazione per i Vescovi, amministratore apostolico della Chiesa cremonese fino alla presa di possesso canonica del suo successore, mons. Antonio Napolioni, il 30 gennaio 2016.

Auguri di buon compleanno e “ad multos annos” vescovo Dante.

 

Biografia completa del vescovo emerito




Ucraina, famiglia Telò in salvo. I missionari cremonesi raccontano la fuga da Kiev: «Padri separati dalle famiglie per restare a combattere»

Hanno lasciato l’Ucraina Federico Telò e Elisa Manfredini, coniugi cremonesi di Bosco ex Parmigiano, parrocchiani di Sant’Imerio, nella” Unità pastorale Sant’Omobono” in città, che con i loro nove figli (il decimo è in arrivo) si trovavano a Kiev come famiglia missionaria del Cammino Neocatecumenale. A bordo del loro pullmino sono riusciti precipitosamente a lasciare il Paese insieme ad altre migliaia di civili in fuga, per poi dirigersi verso la frontiera con la Polonia. Varcata la frontiera, sono entrati ieri in territorio europeo: dopo il passaggio dalla Repubblica Ceca si trovano ora in Austria, ospiti di una famiglia di amici
“Mercoledì sera – racconta Federico in un messaggio vocale in cui racconta ciò che la sua famiglia ha vissuto nelle ultime settimane – abbiamo avuto un incontro con la comunità, le notizie parlavano di ammassamento delle truppe  ai confini, di un aereo russo in volo nello spazio ucraino, della richiesta di aiuto delle repubbliche autoproclamate, dell’attacco informatico alla protezione anti-aerea”.
Così la decisione di partire: “Mi sono alzato alle 5.30 per andare al lavoro, una forte esplosione ha fatto tremare il palazzo. Si sono svegliate anche mia moglie e una delle nostre figlie. Da due settimane ormai stavamo vivendo con le valigie pronte. Ogni bimbo aveva pronto uno zainetto con due felpe, un cambio i jeans. Avevamo preparato soldi, documenti e il pieno della macchina. Speravamo non servissero, che si trattasse solo di allarmismi”.
Perché questa era la vita in Ucraina prima dell’escalation di tensione che ha preceduto l’invasione russa. “Abbiamo vissuto nella normalità fino a due settimane fa. Il sabato le ambasciate e in particolare quella italiana ha invitato a lasciare il Paese. Leggevamo le notizie, ma la vita in città non sembrava diversa. Solo da quel sabato qualcosa ha iniziato a cambiare. Al lunedì al lavoro i colleghi hanno iniziato a parlare della possibile invasione”.
Questo, insieme alle telefonate allarmate dai parenti dall’Italia, hanno messo in allarme la famiglia cremonese: “Il popolo ucraino vive in guerra da 8 anni – spiega Federico – ed è abituato a non fermarsi agli eventi che capitano. Sanno di non avere il potere di fermare questi avvenimenti, che fanno parte di interessi più grandi. Vanno avanti a vivere. E anche noi, come famiglia missionaria, avevamo scelto di restare sul territorio finché fosse stato possibile”.
Da quando i Telò sono in Ucraina non era la prima volta che il paese viveva la minaccia di aggressione: “Le truppe russe erano già state raccolte ai confini ucraini lo scorso aprile, lo scorso 2 dicembre avrebbe dovuto esserci un colpo di stato… Però – racconta ancora Federico – negli ultimi giorni la preoccupazione è andata aumentando e gli ultimi giorni sono stati giorni di tensione. Gli eventi non erano controllati. Si aprivano tanti scenari imprevedibili. Ogni rumore forte ti faceva pensare a qualche esplosione. Siamo rimasti finché la situazione non è precipitata”.
La famiglia cremonese ha lasciato una città sull’orlo della guerra: “La situazione non era ancora quella di che vediamo ora nei video sul web, ma abbiamo visto scene che non dimenticheremo: file di macchine, un fiume di persone con le valigie che se ne andavano a piedi, tutto il condominio in fibrillazione alle cinque del mattino. Quattro persone ci hanno chiesto di venire con noi, ma non avevamo altro spazio e ho dovuto dire di no con il cuore che mi piangeva. Abbiamo visto benzinai e bancomat presi d’assalto”.
La presenza della famiglia cremonese in Ucraina è frutto di un cammino iniziato dai neocatecumenali già nel 1984, quando padre Mario Pezzi si recò nel Paese per portare questo itinerario di iniziazione cristiana insieme a padre Janez Bokavsek. Grazie a questo annuncio evangelico durante il comunismo, il Cammino è ora una realtà che conta circa 3mila fratelli riuniti in ottanta comunità presenti in ciascuna delle diocesi cattoliche e in alcune greco-cattoliche dell’Ucraina. Federico ed Elisa erano impegnati proprio nella capitale, città “culla della cultura cristiana di tutto l’Oriente europeo”, come disse Giovanni Paolo II nel 2001. Nel loro piccolo hanno collaborato attivamente con la realtà cristiana locale insieme ad altre tre famiglie del Cammino, guidati da un sacerdote amico.
A Kiev lasciano quindi colleghi, amici e conoscenti: “C’è da pregare tanto. Ci sono tante sofferenze”. La voce di Federico da whatsapp ha una pausa. Si parlava da qualche tempo della proposta di legge per lasciare le armi ai civili… “Era da vagliare, me ne parlavano i colleghi – riprende Telò – ma con lo stato di guerra è accaduto. Gli ucraini daranno la vita per difendere le loro terra e l’indipendenza che tanto duramente hanno conquistato”.
Lo stato di guerra è scattato proprio mentre la famiglia cremonese attraversava la frontiera. L’ultima immagine che l’Ucraina ha consegnato ai missionari cremonesi è stata la più dolorosa: “All’improvviso è arrivato l’ordine di non far più uscire dal Paese gli uomini abili alle armi. Abbiamo visto macchine tornare indietro, verso la guerra. E famiglie separarsi tra le lacrime: mamme, figlie e nonne se ne andavano verso l’Europa, mentre i mariti tornavano per combattere”.




Lo stile di famiglia nel “motore” della comunità cristiana: si è svolto a Soresina l’incontro sinodale per gli operatori della Zona 2

Guarda qui la gallery completa

Con gli incontri svolti nella serata di venerdì 21 gennaio nelle parrocchie della Zona pastorale 2 e i laboratori che si sono tenuti a Soresina nella mattinata di sabato 22 si è avviata la seconda fase del cammino sinodale della Chiesa cremonese, che aveva visto il suo inizio nell’ottobre dello scorso anno.

Gli incontri di formazione zonale che si svolgeranno nei mesi di gennaio e febbraio anche nelle altre zone pastorali sono articolati in due momenti, per cercare di coinvolgere nel percorso di riflessione sul Sinodo un numero sempre più ampio di persone, soprattutto quelle che vivono la parrocchia nelle sue varie articolazioni. Lo scopo è quello di verificare e di arricchire l’idea di Chiesa come comunità cristiana confrontandosi con la realtà concreta e quotidiana della famiglia.

Nella serata di venerdì, dopo un momento di preghiera, è stata proposta la proiezione di un intervento registrato del vescovo di Modena – Nonantola, mons. Erio Castellucci, di una coppia di coniugi e di una coppia di fidanzati: tre contributi che hanno cercato di individuare le caratteristiche di quale Chiesa si vorrebbe essere. È seguito un rapido e concentrato scambio di opinioni sulle provocazioni fornite dal filmato, ma il lavoro di approfondimento e di proposta è stato rimandato ai laboratori di sabato mattina.

Gli incontri laboratoriali si sono tenuti a Soresina, divisi in due gruppi: uno all’oratorio Sirino, guidato da don Federico Celini, con gli operatori delle aree pastorali giovani e comunicazione e cultura, e l’altro presso la Scuola Immacolata, dove gli operatori delle aree pastorali famiglia e giovani hanno avuto la conduzione di don Francesco Fontana.

I due laboratori, dopo un momento di preghiera con letture che hanno focalizzato la riflessione sul senso della vita familiare nelle sue difficoltà, ma soprattutto sulle sue ricchezze, hanno lavorato divisi in gruppi di una dozzina di persone, unite da affinità ministeriali. I gruppi hanno dedicato un primo spazio a verificare su come lo stile di famiglia abbia ricadute positive sulla vita pastorale parrocchiale; a questo momento è seguito uno spazio di proposte concrete capaci di innervare la realtà ecclesiale.

I gruppi che si sono confrontati presso la Scuola Immacolata hanno individuato come obiettivo primario, sia pure con sfumature diverse, l’ascolto e l’accoglienza attenta di ogni persona, rivolgendo una particolare cura alla relazione anche attraverso percorsi di formazione specifici. Così, i partecipanti all’incontro all’oratorio Sirino hanno incentrato l’attenzione su diversi e approfonditi aspetti, sempre nell’intento di individuare in che cosa e come la famiglia – nella concretezza del suo vissuto, delle sue dinamiche, delle sue prospettive, delle sue potenzialità – possa rappresentare una realtà certa e dinamica a cui la Chiesa in cammino possa ispirarsi, anche e soprattutto alla luce della “Amoris Laetitia”.

Il frutto delle riflessioni sarà consegnato sia al vicario zonale sia al Vescovo: un ulteriore e prezioso contributo, anche questo, per il cammino sinodale che attende la Chiesa diocesana.




Prima storica visita del Vescovo alla comunità ortodossa rumena

Guarda la gallery completa

«Ho scritto sulla nostra pagina Facebook che questa visita è un momento storico». Così padre Doru Fuciu, parroco della Chiesa rumena ortodossa ha presentato alla propria comunità la visita del vescovo Antonio Napolioni, primo vescovo della Chiesa cattolica ad entrare nella chiesa di Borgo Loreto dove ogni domenica la comunità rumena si ritrova per la celebrazione comunitaria. Un momento gioioso e suggestivo dal profondo significato ecumenico, che si colloca significativamente all’interno della settimana di preghiera per l’unità dei cristiani.

Il vescovo si è recato alla chiesa della comunità ortodossa accompagnato da don Pietro Samarini, parco di Borgo Loreto, al termine della Messa celebrata in parrocchia in occasione della visita pastorale che si sta svolgendo nelle comunità della nascente unità pastorale con San Francesco e San Bernardo.

Calorosa l’accoglienza della comunità ortodossa rumena riunita per la celebrazione eucaristica, nella chiesa decorata magnificamente con le icone tipiche della tradizione ortodossa e colorata dagli abiti tradizionali indossati da alcuni fedeli.

«Il 2 febbraio – ha ricordato padre Fuciu – saranno 19 anni che la Chiesa ortodossa rumena è a Cremona. Ringrazio la Chiesa cattolica cremonese per che ci ha accolti. Ricordo al mio arrivo quando vidi nell’armadio della sacrestia i paramenti cattolici accanto a quelli ortodossi – ha aggiunto – Pensavo: oggi iniziamo dai vestiti poi l’unità sarà delle persone».

Il saluto del Vescovo Napolioni inizia con una richiesta di scuse: «Sono in ritardo – ha esordito -. Sono qui da sei anni, dovevo venire prima». In un clima di cordiale amicizia monsignor Napolioni è stato invitato sull’altare per l’ultima parte della celebrazione e al termine del rito il suo saluto è stato un messaggio sentito di unità nel nome di Cristo: «Dio è più grande di tutte le chiese. Abbiamo lingue diverse qualche divisione ma non sul Signore che è davvero uno. E noi siamo vicini, abitiamo la stessa terra e Dio ci chiede di dare testimonianza con le opere. La pandemia – ha aggiunto – ci mette alla prova tutti e ricorda che ci salveremo solo insieme. La possibilità di questo incontro – ha poi concluso – è un grande segno di quello che potremmo fare ancora di più per essere una cosa sola come ci ha chiesto Gesù». E poi, guardando all’assemblea e alla chiesa con i segni e i colori della tradizione ortodossa: «In questa unità la diversità abbellisce. Il mondo è a colori e anche la chiesa lo deve essere».

Dopo la benedizione l’incontro è proseguito con lo scambio dei doni: al Vescovo, invitato a spezzare il pane con il sale, simbolo evangelico di comunione, un’icona mariana e un mazzo di fiori in segno di amicizia, oltre ad un canto di augurio intonato dall’assemblea. In conclusione anche un omaggio al segretario episcopale don Flavio Meani in occasione del suo 70° compleanno.




Don Roberto Pasetti parroco di Belforte, Gazzuolo e Commessaggio

Come annunciato alle comunità interessate durante le celebrazioni di domenica 23 gennaio, Don Roberto Pasetti, già parroco di Commessaggio, diventa parroco anche delle parrocchie di Belforte e Gazzuolo, sostituendo don Marco Tizzi, del quale il vescovo ha accettato la rinuncia per motivi di salute. Don Marco Tizzi tuttavia resterà a servizio delle comunità, assumendo l’incarico di collaboratore parrocchiale di tutte e tre le parrocchie, ruolo che dal 2017 ricopre anche don Virginio Morselli.

Per le tre parrocchie della zona pastorale 5, in territorio mantovano, un’ulteriore tappa nel cammino già avviato verso la piena realizzazione dell’unità pastorale, per la quale a don Pasetti è affidato il ruolo di moderatore.

 

Profilo dei sacerdoti delle tre parrocchie

Don Roberto Pasetti, classe 1963, originario di S. Martino dall’Argine, è stato ordinato sacerdote il 18 giugno 1994. Ha iniziato il proprio ministero come vicario a Caravaggio; nel 2000 il trasferimento a Viadana, presso la parrocchia di Santa Maria Assunta e San Cristoforo. Nominato parroco di Scandolara Ripa d’Oglio nel 2002, nel 2012 ha assunto la guida anche delle parrocchie di Grontardo e Levata. Dal settembre 2018 il Vescovo gli ha affidato la cura pastorale della comunità di Commessaggio, prendendo il testimone da don Marco Tizzi, a cui oggi subentra anche nell’incarico di parroco di Belforte e Gazzuolo. Le tre comunità sono in cammino verso l’Unità pastorale di cui don Pasetti ricopre il ruolo di moderatore.

 

Don Marco Tizzi, nato a Sabbioneta nel 1948, è stato ordinato sacerdote il 18 luglio 1971. Ha svolto il suo ministero come vicario a Viadana (S. Maria Assunta e S. Cristoforo) dal 1971 al 1979 e a Casalmaggiore (S. Stefano) dal 1979 al 1994, quando ha assunto l’incarico di parroco di Belforte al quale si è aggiunto dal 2012 quello di parroco di Gazzuolo. Dal 2015 al 2018 ha guidato anche la parrocchia di Commessaggio. Ora assume l’incarico di collaboratore parrocchiale delle tre parrocchie.

 

Don Virginio Morselli è nato a Cividale Mantovano nel 1939 ed è stato ordinato sacerdote il 27 giugno 1964. Dal 1964 al 1978 è stato vicario di Gazzuolo, quindi dal 1978 al 1988 è stato parroco di Salina. Dal 1988 al 1987 ha guidato la comunità di Rivarolo del Re e dal 1997 al 2014 quella di Viadana “San Pietro Apostolo”. Dal 2014 al 2017 è stato collaboratore delle parrocchie di Vicomoscano, Casalbellotto, Quattrocase e Fossacaprara; quindi il trasferimento con l’incarico di collaboratore parrocchiale di Belforte, Commessaggio e Gazzuolo.




“Beato chi ascolta la Parola di Dio”, con don Compiani a “Chiesa di Casa” i temi e il senso della Domenica della Parola

In occasione della Domenica della Parola, che la Chiesa celebra il 23 gennaio questa settimana, Chiesa di Casa ha incontrato don Maurizio Compiani, biblista cremonese e incaricato diocesano per l’apostolato biblico. Nel dialogo con Riccardo Mancabelli, don Maurizio ha introdotto il significato della «iniziativa voluta da papa Francesco nel 2019, perché tutta la comunità cristiana si concentri sul valore della Parola di Dio. Non solo catechisti, sacerdoti e coloro che direttamente hanno a che fare con il ministero della Parola – ha spiegato – ma tutti i fedeli si devono nutrire del continuo rapporto con la Parola di Dio».

“Beato chi ascolta la Parola di Dio”: questo il tema scelto per la giornata nel 2022: «Richiamando questo passaggio evangelico, il Papa ci indica che il mettere in opera la Parola di Dio è fondamentale, però

occorre stare attenti a cosa si mette in opera: ciò presuppone ascolto attento e fedele della parola, altrimenti metto in pratica le mie strategie e non mi lascio realmente nutrire dalla Parola» spiega don Compiani.

Tuttavia, si potrebbe pensare che le nostre comunità non siano sempre educate ad un ascolto sincero della Parola. Don Compiani, invece, fa notare come «il fatto che la Domenica della Parola cada in questo periodo non è casuale: stiamo vivendo la Settimana dell’unità dei cristiani ma siamo anche molto vicini alla Giornata di preghiera per il dialogo fra cattolici ed ebrei, che è stata il 17 gennaio: è come dire che stiamo facendo un cammino proprio della comunità cattolica, che pone attenzione alla Parola di Dio».

Se dal Concilio di Trento si è verificata una sorta di «disaffezione alla Parola di Dio» – ripercorre il biblista cremonese – il Concilio Vaticano II va a sottolineare il fatto che «la Parola di Dio, per la comunità cristiana, è anche nutrimento diretto». Questa familiarità con la Parola, secondo l’incaricato diocesano, è ultimamente accresciuta: «Sicuramente ci sono state una serie di iniziative per aiutare a conoscere la Parola, come gruppi biblici, gruppi di ascolto della Parola, incontri di preghiera, scuole della Parola». È anche vero, però, come specifica don Compiani, che «la familiarità non nasce in poco tempo. Fa fatica a prendere piede quando nasce da iniziative sporadiche. Ha bisogno di forme più stabili.

Lo scoglio maggiore è forse questo: riuscire a sanare la frattura fra la vita pastorale della Chiesa e la Parola di Dio».

Capita, infatti, che «la Parola sia un riferimento, ma fintanto che non siamo tenuti a fare delle scelte; quando dobbiamo scegliere, spesso ci muoviamo a partire da logiche che poco hanno a che fare con la Parola di Dio». Come l’ospite in studio specifica, «la Parola di Dio deve essere il principio vitale che va ad animare ogni aspetto della vita del credente, sia personale che comunitario. Bisogna tornarci continuamente». 

Familiarità non significa, però, cercare nella Parola le soluzioni che preferiamo, oppure, di fronte ad un brano “scomodo”, scegliere di ignorarlo. Il rischio è quello di adottare «un approccio a volte utilitaristico: vado a cercare ciò che ho già in mente. In tal caso, però, sono io che costringo la parola di Dio entro i miei pregiudizi. Oppure cerco solo la pagina che conferma le mie idee, eliminando le altre». Don Compiani ha dunque rimarcato che tale problematica è sintomo della «necessità di un rapporto continuativo».

Alla Parola bisogna accostarsi «con domande, ma in modo libero: non solo devo scrutare la Parola di Dio, ma devo permettere alla parola di scrutare me, così che mi parli in modo più ampio rispetto alle mie certezze».

Dunque, una Parola che va oltre i nostri pensieri e le nostre immagini. «La riforma liturgica va proprio in questo senso. Secondo quanto ci insegnano i Padri della Chiesa, la Parola di Dio è come una sposa per il suo sposo: cerca il suo coniuge!». Per questo è sempre più auspicabile un ascolto leale e disponibile, nella certezza che la persuasività della Parola non sia frutto di una nostra abilità o delle nostre idee, ma nel contenuto della Parola stessa.