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Gli attentati di Parigi. Mons. Franzini: «Uomo europeo chi sei?»

Il 13 novembre scorso alcuni attentati da parte di fondamentalisti islamici hanno seminato morte e dolore a Parigi e nel mondo intero. A tal proposito abbiamo chiesto una riflessione a mons. Alberto Franzini, parroco della Cattedrale e apprezzato teologo.

Da anni i popoli dell’Occidente, e soprattutto dell’Europa, sono destinatari di azioni terroristiche, le ultime delle quali – e probabilmente non siamo ancora al traguardo – hanno insanguinato Parigi, colpendo a morte cittadini pacifici e inermi. Di fronte a questo gesto di follia, che dire? E quali strade intraprendere per fermare questa barbarie omicida e distruttiva? Certo, i responsabili della vita pubblica non possono  non mettere in campo tutti quei mezzi – senza escludere quelli militari, se fosse necessario, e se usati  con quella ponderazione suggerita anche dal Catechismo della Chiesa Cattolica –  per rispondere al dilagare della violenza e alle esigenze di sicurezza dei cittadini.

Queste azioni, però, suggeriscono la necessità di altre riflessioni, che stanno dentro alla storia e alla cultura del nostro Occidente. Ne propongo almeno due. La prima: che tipo di presenza nel mondo ha sviluppato l’Occidente negli ultimi decenni? La seconda: come sta l’Occidente al suo interno? Quale cultura, quale antropologia sono alla  base del pensiero dominante oggi nei nostri popoli?

LE COLPE DELL’OCCIDENTE
Alla prima questione, è fin troppo facile rispondere che l’azione politica degli Stati occidentali in questo secondo dopoguerra è stata sostanzialmente ispirata dagli interessi economici e finanziari, che hanno depauperato i popoli del terzo e del quarto mondo, così che si è andato creando un crescente  e scandaloso divario tra i popoli ricchi e i popoli poveri. La denuncia è degli stessi Papi, a partire dalla Populorum Progressio di Paolo VI (1967) e continuamente ribadita e aggiornata dai suoi successori fino a Papa Francesco. Il processo di concentrazione della ricchezza – non solo economica – nelle mani di pochi attori contribuisce significativamente alla persistenza delle disuguaglianze, sia all’interno delle società ricche, sia nei confronti dei popoli più deboli e più poveri. L’ingordigia della ricchezza e soprattutto del potere spinge alla violenza, per ribaltare situazioni ritenute insostenibili.

L’Occidente, bisogna ammetterlo con onestà intellettuale, ha i suoi torti nei confronti della comunità internazionale, perché non sempre ha messo le sue ricchezze – culturali, politiche, economiche – accumulate nel corso della sua storia, a disposizione di uno sviluppo integrale dei popoli sullo scenario mondiale. Certo, questa considerazione non giustifica e non deve essere intesa come una giustificazione della violenza jihadista verso l’Occidente, anche per il motivo che gli stessi responsabili del terrore fondamentalista sono a loro volta tutt’altro che spogli di ricchezza e di potere e non rappresentano certo la protesta dei popoli poveri verso i popoli ricchi. Comunque, I fattori politici, finanziari ed economici sono fra le cause principali della rincorsa ad una primazia mondiale che si vuole conquistare con tutti i mezzi, compresi quelli di natura religiosa, per scalzare i protagonisti attuali.

LA QUESTIONE CULTURALE
La seconda questione è più complessa e più profonda. Come sta l’Occidente al suo interno? Di fronte alla violenza di questi giorni, il presidente francese Holland ha fatto continuo riferimento ai “nostri valori”. Certo, l’Occidente ha i suoi valori, perché la sua storia – la nostra storia! – ha prodotto lungo i secoli una visione della persona umana e della società che sta al fondamento della nostra identità. Quali sono questi valori? La secolarizzazione e la laicizzazione odierne li condensano nel famoso trinomio, “libertà, uguaglianza, fraternità”, un motto nato al tempo della rivoluzione francese, ma diventato un caposaldo della moderne democrazie occidentali. Questo trinomio è sufficiente per offrire ad altre culture e ad altri popoli l’identità europea? O piuttosto si sta rivelando sempre più debole e sempre meno capace di affrontare le nuove sfide?

All’interno della cultura europea l’illuminismo ha finito per separare e per opporre  la laicità alla religione cristiana, che aveva plasmato, con la ricchezza delle sue istituzioni (monasteri, scuole, ospedali, parrocchie, arte, musica, letteratura….) l’uomo europeo. La laicità – che è realtà positiva se compresa bene – si è trasformata via via in laicismo. La secolarizzazione – altra realtà positiva se compresa bene – è diventata via via  secolarismo. E il secolarismo ha infettato la visione antropologica, mutilando l’uomo, ossia dichiarando inutile e dannosa l’apertura del cuore umano a Dio e alzando sempre più il sospetto che la religione, ogni religione e soprattutto quella cristiana, impedisce lo sviluppo della libertà, crea disuguaglianza fra gli uomini e quindi rende difficoltosa la fraternità. Si sostiene, così,  che l’estromissione di Dio dallo spazio pubblico sia la condizione per lo sviluppo di una autentica democrazia. Nasce così la “religione della laicità”, che, fondandosi sul famoso trinomio, si presenta come alternativa alle religioni tradizionali, soprattutto al cristianesimo, che di fatto sta diventando la religione meno stimata – a livello dei detentori del potere culturale e mediatico,  più che dei popoli – in Occidente, e la più perseguitata – lo affermano i rilevatori anche più “laici” – oggi nel mondo. E così – lo scrisse Giovanni Paolo II  nella sua esortazione apostolica Ecclesia in Europa, del 2003 – “molti europei danno l’impressione di vivere senza retroterra spirituale e come degli eredi che hanno dilapidato il patrimonio loro consegnato dalla storia” (n. 7).

I  “diritti” che oggi vengono abbondantemente e allegramente predicati dai pulpiti culturali – sui grandi temi della vita, della morte, della sofferenza, del matrimonio, della famiglia, della sessualità, dell’educazione dei figli… – vengono disinnestati dal tronco irrorato dalla linfa vitale del cristianesimo e fondati su dove? Ecco la questione seria di oggi. Su che base fondare i “nuovi diritti”? E alla domanda che ci viene posta  dalle grandi tradizioni culturali e religiose dell’Africa e dell’Asia: “tu, uomo europeo, chi sei?”, quale risposta siamo in grado di dare, se non un tragico e imbarazzato balbettio? Sembra che l’attuale vita dei popoli occidentali sia fondata su un grande vuoto culturale e su una drammatica desertificazione spirituale. L’uomo medio europeo concepisce la sua libertà e vive la sua vita rincorrendo la conquista di un  benessere “piccolo-borghese”, ma sostanzialmente privo di tensioni ideali e di robuste nervature culturali. Possiamo dirlo apertamente: tanta cultura del nostro Occidente è propugnatrice di un neutralismo valoriale che lambisce il relativismo, l’indifferentismo e il nichilismo. Viene alla mente l’espressione del salmo 48: “L’uomo nella prosperità non comprende, è come gli animali che periscono”.

Lo smarrimento del popolo parigino di fronte a questa guerra inedita rivela anche e soprattutto lo smarrimento del nostro spirito, forse troppo acquiescente a modelli e stili esistenziali inediti, estranei alla nostra tradizione e che colpiscono al cuore la nostra identità. L’Occidente si presenta spiritualmente fragile di fronte a tradizioni culturali e religiose che si affacciano al suo orizzonte. E questa sua debolezza è forse la causa principale della difficoltà ad integrare i nuovi immigrati, che sono certo in cerca di casa e di lavoro, ma anche di una visione identitariamente convinta e convincente. Il pluralismo e la libertà offerti dall’Occidente appaiono spesso scatole vuote, perché nascondono un indifferentismo avalutativo che può diventare la sentina di violenze e di guerre.

Sì, oggi abbiamo paura dei nemici esterni e vogliamo e dobbiamo difenderci dalle violenze barbare. Ma dovremmo aver paura soprattutto del nemico interno, che è il nostro vuoto esistenziale, è l’abbandono delle nostre più autentiche radici, che abbiamo espunto dalla nostra carne perché considerate nemiche del progresso. Non sono certo le armi a vincere questa guerra. In una visione teologica della storia, forse i nemici di oggi possono diventare, paradossalmente,  lo strumento e l’occasione per una rinascita culturale, per una valutazione critica delle nostre false sicurezze e delle nostre ideologie progressiste, per una rifondazione spirituale dei popoli occidentali, oggi ammalati di quella brutta psicopatologia che  consiste nella perdita dell’autostima. Solo così può diventare possibile, fruttuoso e robusto il dialogo con chiunque, di qualunque cultura e di qualunque religione. Diversamente, il dialogo rischia di fondarsi sulle sabbie mobili di una resa.

Mons. Alberto Franzini




Inaugurato il «Centro donna» di Casa Famiglia Sant’Omobono

Nel 1197, Omobono Tucenghi, famoso mercante dal passaporto cremonese, moriva durante la celebrazione della messa nella chiesa di Sant’Egidio. Attorno alla sua figura si sono raccolte decine di storie di carità verso il prossimo e di prodigi miracolosi. Ma la traccia che Omobono ha lasciato è più profonda di quanto l’agiografia lasci intendere. Sull’opera esemplare del Santo si è costruito il braccio forte di una città votata a soccorrere chi è in difficoltà.

La Fondazione Sant’Omobono Onlus ne dà la dimostrazione portando alto il suo nome. Soccorre da anni le donne in difficoltà. Ci riesce grazie all’impegno sempre attivo di educatori e volontari, insieme all’intera collettività, cattolica e laica. La Casa Famiglia di via degli Ippocastani 14 accoglie ragazze con problematiche legate alla maternità e all’integrazione sociale; lo fa attraverso aiuti immediati, iniziative e stimoli sempre nuovi.

La festa del Santo patrono è stata l’occasione per inaugurare ufficialmente le attività del Centro Donna all’interno di uno spazio che per una singolare casualità numerica è situato al civico 13 di via degli Ippocastani, appena di fronte alla Casa Famiglia.

Si tratta di uno spazio aperto a tutte le donne, qualunque sia la loro etnia, estrazione sociale e credo religioso. Vengono realizzati, a cadenza settimanale, laboratori di ogni tipo: sono attivi già dal mese di ottobre due nuovi corsi di alfabetizzazione (di livello base e avanzato) che rispondono all’esigenza di accostare all’italiano scritto e orale le donne immigrate da poco e un corso di attivazione corporea che unisce la ginnastica dolce alla danza, per mezzo di esercizi collettivi utili a finalizzati a prendersi cura del proprio corpo. Sono infine in cantiere altre attività riguardanti l’educazione alla cittadinanza, la cucina e il teatro sociale.

L’accoglienza diventa la chiave di volta per un efficace scambio culturale con l’Altro-da-sé. E l’Altro non è necessariamente chi arriva da un altro paese e parla un’altra lingua; l’Altro è anche il conterraneo che ha perso la fiducia nelle proprie possibilità e ha bisogno di riconquistare la dignità.

Se però in questo periodo storico l’emergenza porta a soccorrere soprattutto a chi sfugge da una miseria più lontana, meno conosciuta ai nostri occhi, ecco che la Casa Famiglia allarga lo sguardo e le braccia, e lo fa senza indugiare.
A benedire il nuovo spazio non poteva mancare mons. Dante Lafranconi, al termine del suo incarico nella diocesi di Cremona.

Oltre al Presidente della Fondazione, Gabriele Panena, e alla Direttrice della Casa Famiglia, Paola Bignardi,  sono intervenuti alla manifestazione anche il Sindaco Gianluca Galimberti e Barbara Manfredini, Assessore alla Città Vivibile e alla Rigenerazione Urbana. Presente anche la prof. Silvia Corbari, presidente diocesana di Azione Cattolica. Con loro, oltre alla comunità religiosa e laica, anche le donne e le mamme ospiti della casa famiglia, provenienti dalle più diverse zone del mondo: dalla Somalia alla Costa d’Avorio, dalla Nigeria alla Cina passando per la Romania. Alcune sono state le protagoniste di un video di danza, altre hanno dato manforte in cucina, altre ancora si sono preoccupate di documentare l’evento scattando fotografie.

Tutte le ospiti si sono lasciate coinvolgere con entusiasmo. Una giovane nigeriana, arrivata da poco, ha chiesto impacciata e in inglese se per caso questo signore, Sant’Omobono, fosse ancora vivo. “Vivissimo”, è stata la risposta di qualcuno. E a giudicare dall’atmosfera di grande solidarietà e condivisione che si è respirata per tutto il giorno in Casa Famiglia, si direbbe che aveva proprio ragione.

Queste donne hanno partecipato, giocato, sorriso. Sono azioni minime, ma che rapportate alle loro storie difficili diventano segnali forti per la vita. Come a dire che loro, le donne, di sicuro non si arrenderanno.




Cremona: sì al registro del testamento biologico. Il parere di un dottore

Il consiglio comunale nella seduta di lunedì 16 novembre ha istituito il registro del testamento biologici, insieme al relativo regolamento. Una decisione, dal punto di vista etico, rilevante. A tal proposito riproponiamo uno stralcio della riflessione che il dottor Michele Ceruti aveva scritto per il nostro portale qualche giorno fa.

Secondo i proponenti del provvimento tutto questo darà finalmente attuazione piena all’articolo 32 della Costituzione, che al comma secondo recita: «nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario, se non per disposizione di legge». Giova ricordare che il medesimo articolo afferma subito dopo: «La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana».

La vicenda è in realtà molto complessa. Se ne potrebbe dibattere in lunghe dissertazioni, ma non è questa la sede e l’intenzione, specialmente perché tutte le iniziative sul biotestamento sono foriere di luoghi comuni, polemiche politiche, grandi proclami, scarsa attenzione e conoscenza degli aspetti scientifici. Tutte cose che interessano poco a chi, in prima persona o come familiare, si trova ad affrontare il dramma della malattia. Certamente imbarazzante è come, in tutta questa vicenda, la figura del medico sia ai margini, a dispetto della tanto necessaria alleanza terapeutica.

Giova porre alcuni punti fermi. Il consenso informato del paziente autodeterminantesi è sempre fondamentale e vincolante: ciò è tuttavia frutto di una relazione di cura, espressione di volontà attuali e di un confronto tra medico e paziente, senza mai dimenticare la rete di relazioni familiari. Nel caso del paziente incapace di esprimere un consenso attuale la legislazione rimette ad oggi ogni decisione al medico: ciò non vuole fornire un potere assolutistico di vita o di morte, piuttosto istituisce il medico come garante della persona ammalata, in virtù della sua competenza specifica professionale.

Anche il nuovo Codice di Deontologia Medica, approvato nel maggio 2014, contiene importanti novità in tal senso: è vero che apre alle “Dichiarazioni Anticipate di Trattamento”, preferendo tuttavia il termine “Dichiarazioni” a “Direttive”: il medico, pur tenendo conto delle volontà “dichiarate” ora per allora, non le attua acriticamente ma sottopone ad una verifica tali dichiarazioni, in base alla “loro congruenza logica e clinica con la condizione in atto…” (art. 38 Codice deontologico).  A chi spera in spinte in avanti verso forme di eutanasia la classe medica, all’articolo 17 del nuovo codice ricorda che “il medico, anche su richiesta del paziente, non deve effettuare né favorire atti finalizzati a provocarne la morte”. Nessun medico per questo si ritiene onnipotente o cerca di andare contro la fisiologia del nostro corpo, quando morente.

La vicenda non è riducibile ad un foglio acquisito e posto in busta sigillata all’anagrafe. Bisogna ripartire dalla persona ammalata e sofferente, che vuole trovare ascolto, comprensione, cura: questa è l’esperienza di qualsiasi medico impegnato sul campo, quando si mette in gioco e cerca di instaurare una relazione vera con i propri pazienti. Tante volte la fretta, la burocrazia, le carenze organizzative, disumanizzano e impoveriscono la nostra professione.

Qualcuno, anche medico, potrebbe forse trovare più comodo non assumersi responsabilità, né dibattersi in questioni di appropriatezza e proporzionalità delle cure, demandando tutto a decisioni anticipate del paziente. È un approccio che non ci piace, poiché elimina tutta la relazione medico-paziente-familiari, basata su casi concreti, nel preciso momento in cui si attuano. L’esperienza insegna che si deve sempre passare dalla relazione di cura, in cui il medico può iniziare a presentare, con competenza e umanità, le possibili decisioni sul fine vita ai propri pazienti affetti da patologie degenerative o a prognosi infausta. 

Dobbiamo, come medici, riappropriarci del nostro ruolo di garanti a tutto campo della salute e della dignità della vita umana. Il medico, secondo scienza e coscienza, fedele al proprio codice deontologico, rifiuta sia l’accanimento che l’abbandono terapeutico e deve avvalersi delle cure palliative nelle fasi terminali della vita.

È necessario anche un recupero di fiducia nei confronti della professione medica, tante volte vittima di luoghi comuni e di un contenzioso economico-giudiziario senza precedenti. Deve passare inevitabilmente da questa strada ogni riflessione sul fine vita. A noi medici il compito di essere fedeli all’alta dignità umana della professione.

Dott. Michele Ceruti




Mons. Lafranconi nominato amministratore apostolico

Al termine dell’incontro per l’annuncio del nuovo vescovo di Cremona, mons. Mario Marchesi, vicario generale, ha dato lettura del decreto di nomina di mons. Lafranconi ad amministratore apostolico della diocesi, a firma del card. Marco Ouellet, prefetto della Congregazione per i vescovi. Mons. Marchesi ha altresì sottolineato che sono decaduti il consiglio presbiterale diocesano, il consiglio pastorale diocesano e anche il vicario generale. Questo il testo del decreto:

 

Per provvedere al governo della Chiesa Cremonese, vacante per la rinuncia dell’Eccellentissimo Dante LAFRANCONI, il Sommo Pontefice FRANCESCO, col presente Decreto della Congregazione per i Vescovi,

nomina e costituisce Amministratore Apostolico della Chiesa Cremonese

da oggi fino al giorno in cui il suo Successore prenderà possesso canonico, il medesimo Ecc.mo Dante LAFRANCONI , e gli conferisce i diritti, le facoltà e i doveri che competono, a norma di Legge, ai Vescovi diocesani, fatta attenzione tuttavia a quanto è contenuto nel n. 244 del Direttorio per il ministero pastorale dei Vescovi “Apostolorum Successores”.

Nonostante qualunque disposizione in contrario.

Dato a Roma, dalla sede della Congregazione per i Vescovi, il giorno 16 Novembre 2015

Marco card. Ouellet
Prefetto

+ Ilson de Jesus Montanari
Segretario

 

 

Cosa dice il n. 233 del Direttorio per il ministero pastorale dei Vescovi “Apostolorum Successores”.:

L’Amministratore Apostolico “sede vacante”. La Santa Sede può provvedere al governo della diocesi (758) nominando un Amministratore Apostolico. Anche se gli sono concesse tutte le facoltà del Vescovo diocesano, il regime della diocesi è quello della sede vacante, pertanto cessano gli uffici del Vicario Generale e dei Vicari episcopali, nonché la funzione dei Consigli presbiterale e pastorale. L’Amministratore Apostolico può però confermare, in forma delegata, il Vicario Generale e i Vicari episcopali, fino alla presa di possesso della diocesi da parte del nuovo Vescovo, ma non può prorogare i compiti dei Consigli, in quanto le loro funzioni sono svolte dal Collegio dei consultori.




Mons. Antonio Napolioni, prete di Camerino, nuovo vescovo di Cremona

Lunedì 16 novembre, alle ore 12, nella cappella di Santo Stefano del Palazzo vescovile, mons. Dante Lafranconi ha annunciato la nomina del nuovo vescovo di Cremona: si tratta di mons. Antonio Napolioni, classe 1957, del clero dell’arcidiocesi di Camerino-San Severino Marche, finora parroco della parrocchia di San Severino Vescovo, in San Severino Marche, e vicario episcopale della medesima arcidiocesi. L’annuncio è stato dato in contemporanea anche presso la sala stampa della Santa Sede e nel Museo diocesano  di Camerino dall’ordinario locale mons. Francesco Giovanni Brugnaro.

Photogallery

All’annuncio dato dal Vescovo Lafranconi erano presenti i canonici del Capitolo, gli officiali di Curia, alcuni parroci e gli operatori della comunicazione sociale. Il presule, dopo la recita dell’Ora media, ha svelato il nome del suo successore, ha letto una biografia essenziale e alcuni stralci del messaggio di mons. Napolioni alla diocesi.  E proprio nel suo messaggio l’85° vescovo di Cremona ammette di non essere mai stato nella nostra città, ma di conoscere di bene gli scritti di don Primo Mazzolari: “Seguirò con passione l’iter della sua auspicata beatificazione. Profeticamente egli affermava che ‘niente è fuori della paternità di Dio, niente è fuori della Chiesa’: con grande rispetto per il pluralismo contemporaneo, sarà questa la ragione di un dialogo schietto con gli uomini e le donne del territorio, della cultura, delle Istituzioni”.

Mons. Napolioni sarà ordinato nella nostra Cattedrale, dal vescovo Dante e dal suo vescovo di Camerino mons. Brugnaro nelle prossime settimane. Proprio mercoledì 18 novembre, una delegazione ufficiale, guidata da mons. Lafranconi, incontrerà il nuovo pastore della Chiesa cremonese per decidere la data dell’ordinazione che, dunque, coinciderà con quella dell’ingresso in diocesi.

Mons. Lafranconi, che si è riservato di fare un bilancio del suo episcopato più avanti, è apparso particolarmente contento per la nomina, anche se ha confessato di non aver mai incontrato mons. Napolioni. Per lui si prospetta il meritato riposo in diocesi: il vescovo Dante, infatti, ha deciso di continuare a risiedere in città.

Mons. Marchesi ha quindi annunciato che il Papa ha nominato mons. Lafranconi amministratore apostolico della chiesa di Cremona: lo sarà fino alla presa di possesso canonica di mons. Napolioni. Per questo motivo i sacerdoti, nel canone della Messa, continueranno a pregare per il vescovo Dante.

Il vicario generale, che secondo le norme canoniche è decaduto insieme ai consigli presbiterale e pastorale diocesani, ha voluto ringraziare il vescovo Dante per il generoso servizio pastorale annunciando che ci saranno altre occasioni più solenni e corali per manifestare la gratitudine dell’intera Chiesa cremonese.
 
Biografia di mons. Napolioni

Mons. Antonio Napolioni è nato a Camerino, provincia di Macerata e arcidiocesi di Camerino-San Severino Marche, l’11 dicembre 1957.

Dopo la maturità classica e due anni di Giurisprudenza all’Università Statale di Camerino, è entrato nel Seminario Regionale di Fano, dove ha compiuto gli studi ecclesiastici. Ha proseguito la formazione accademica a Roma, presso la Pontificia Università Salesiana, conseguendo il Dottorato in Teologia, con specializzazione in Pastorale Giovanile e Catechetica.

È stato ordinato sacerdote il 25 giugno 1983 per l’arcidiocesi di Camerino-San Severino Marche.

È stato Direttore dell’Ufficio Catechistico Diocesano dal 1983 al 1993; Assistente Ecclesiastico Regionle AGESCI dal 1986 al 1992; Assistente Nazionale AGESCI dal 1992 al 1998; Vicario Episcopale per la Pastorale dal 1991 ad oggi; Vice-Rettore del Pontificio Seminario Regionale Marchigiano “Pio XI”, in Ancona, dal 1993 al 1998; Rettore del medesimo Seminario Regionale Marchigiano dal 1998 al 2010; Direttore del Centro Regionale Vocazioni delle Marche dal 2006 al 2010; dal 1993 ad oggi è Docente di Teologia Pastorale e Catechetica nell’Istituto Marchigiano di Ancona; Docente di Teologia Pastorale e Catechetica nel Pontificio Istituto di Pastorale della Pontificia Università Lateranense dal 1993 al 2001.

Dal 2010 ad oggi è Parroco della parrocchia di San Severino Vescovo in San Severino Marche.

Dal 5 gennaio 2005 è Cappellano di Sua Santità.




Il vescovo eletto Antonio alla diocesi: «Teniamo fisso lo sguardo su Gesù”

Carissimi fratelli e sorelle della Chiesa di Dio che è in Cremona,

credo che tutti voi siate stupiti quanto me! Papa Francesco, il successore di Pietro, ha chiamato un parroco dall’antica Chiesa di Camerino-San Severino Marche per guidare nella carità la bella diocesi di Cremona. Sembra incredibile! Veramente la realtà è sempre superiore alle nostre idee, ai nostri schemi. Specie quando si lascia fecondare dalla fantasia dello Spirito, che sempre ama e guida la sua Chiesa, anche in questo tempo. Allora lo sconcerto umano può scomparire, e il dono della fede apre all’obbedienza, in un abbandono cordiale a quella che, per me e per voi, oggi è certamente la volontà di Dio.

Condivido con voi alcuni pensieri e sentimenti di questa delicata ora della mia vita.

Innanzitutto l’esigenza di tenere fisso lo sguardo su Gesù, che ci viene incontro, ci precede sempre. Lui è il Pastore, Lui l’unico Sacerdote, Lui il Vangelo sempre vivo, Lui il nostro presente e il nostro futuro. So che Lui mi si mostrerà nei vostri volti, nella ricchissima vicenda umana e cristiana di tante comunità.

Lui, il Risorto, ci chiama alla gioia del Vangelo, e siamo grati al Santo Padre Francesco per come la comunica con la parola, con la vita, con le sue scelte pastorali, con questa missione che mi affida: “servire il Signore nella gioia” (Salmo 99,2). Dietro questo motto, ripenso a quando, giovane educatore scout, scoprii che la gioia del servizio traeva il suo fascino proprio dal Signore Gesù, indicandomi un percorso di vita che poi ho condiviso con tanti. E che ora si ripropone, esigente e attraente, anche con voi.

Sono grato alla Chiesa che mi ha generato alla fede e ha fatto sbocciare la vocazione sacerdotale. Una storia ricca di santità e di valori umani è alle nostre spalle, e spero che abbia anche segnato la mia formazione. Sperimento la crescente paternità dell’Arcivescovo Francesco Giovanni, che ringrazio per la stima e l’affetto, sulla scia di quanti l’hanno preceduto nel medesimo servizio pastorale.

Oggi vengo inviato alla Chiesa di Cremona, in cui sono felice di succedere al Vescovo Dante, di cui conosco la saggezza, l’affabilità e la passione per la famiglia, tratti nei quali vorrei essergli discepolo fecondo. Penso con trepidazione a voi sacerdoti: fratelli con cui “essere presbiterio”, in costante ascolto del Signore e dei segni dei tempi. Ammiro già la fede con cui mi vorrete accogliere. Annunceremo in ogni modo che la vita è dono, vocazione e missione. Con voi ci impegneremo ancora a sviluppare il seminario. Un abbraccio colmo di venerazione dedico ai sacerdoti anziani e infermi, che più attualizzano il sacrificio di Cristo. Chiedo scusa da subito al popolo di Dio se dedicherò tanto del mio tempo ai preti, ai diaconi, ai seminaristi: la loro vitalità interiore e la loro fraterna comunione sono decisive per il bene di tutto il popolo di Dio.

La recente esperienza parrocchiale a San Severino Marche, che lascio con sincero dolore ma anche con serena fiducia, mi ha insegnato a partire dalla famiglia, facendo della comunità cristiana una “famiglia di famiglie”. So di trovarvi avanti in questo cantiere, che rinnova la Chiesa nella luce del Concilio, generandola nelle case e negli altri ambienti della vita quotidiana. Una vicinanza speciale, per ora nella preghiera, offro alle famiglie ferite, ai malati e agli anziani, a tutti coloro che soffrono disagio ed emarginazione. Grande speranza ci daranno i bambini, se sapremo offrire loro contesti educativi armonici e propositivi.

Ai giovani dò l’appuntamento a Cracovia, per la GMG 2016, e a tutte le occasioni in cui vorranno dialogare con me e con gli adulti della comunità cristiana. Saluto con stima le comunità di vita consacrata, maschili e femminili, grato per i carismi di contemplazione e servizio che sanno mettere in comunione con tutti.

Non sono mai stato a Cremona, né in alcun altro luogo della diocesi, ma una certa geografia padana mi è familiare dagli anni della formazione, in cui mi accompagnarono a lungo gli scritti di don Primo Mazzolari. Seguirò con passione l’iter della sua auspicata beatificazione. Profeticamente egli affermava che “niente è fuori della paternità di Dio, niente è fuori della Chiesa”: con grande rispetto per il pluralismo contemporaneo, sarà questa la ragione di un dialogo schietto con gli uomini e le donne del territorio, della cultura, delle Istituzioni. Il Vescovo non è certo un’autorità mondana, ma un umile segno della passione cristiana per tutto ciò che è umano. La figura di Sant’Omobono continui ad ispirare la formazione di un laicato che sappia spendersi anche nella cura della casa comune, in quell’alta forma di carità che è il servizio della politica, senza il quale si perdono il senso della democrazia e della giustizia sociale.

Sono stato chiamato all’Episcopato non per un onore alla mia persona, ma per un servizio sponsale alla Chiesa cremonese. Sento davvero che la mia vita ora vi appartiene, anche con le sue fragilità. Ho sempre pregato con le parole del Beato Charles de Foucauld, che ora si compiono ulteriormente: “mi abbandono a Te, rimetto la mia anima nelle Tue mani”. Lo dico al Signore vivente in voi, suo corpo.

Voglio dirlo anche col desiderio di ricevere l’ordinazione episcopale nella vostra-nostra splendida cattedrale, dalle mani del Vescovo Dante, perché sia massimamente evidente la continuità sacramentale della successione apostolica. Perché l’unica storia d’amore che Dio da sempre intreccia col suo popolo, scriva in noi le sue prossime pagine.

Sarò così nuovamente generato dalla Madre Chiesa, la cui bellezza splende in Maria, che nella mia diocesi di origine veneriamo come Madonna della Via e della Luce, e che nella mia nuova terra pregherò, con voi, come Santa Maria del Fonte, sorgente inesauribile di misericordia.

So che, soprattutto nell’Avvento e intraprendendo il cammino del Giubileo, pregherete tanto per me e per il mio futuro servizio in mezzo a voi, e questo mi colma di pace.

Vogliate ricevere, attraverso la mia povera preghiera, la benedizione del Signore.

don Antonio, vostro Vescovo eletto

San Severino Marche, 16 novembre 2015

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Alla Casa dell’Accoglienza pranzo per mons. Cavalleri

A conclusione della Settimana della Carità non poteva mancare un omaggio a mons. Mario Cavalleri, che proprio il 9 novembre scorso ha raggiunto l’invidiabile traguardo dei cento anni di vita. Don Mario, che attualmente si trova ricoverato presso la casa di cura Ancelle della Carità per una brutta caduta, è stato invitato ad un grande pranzo, sabato 14 novembre, nella tensostruttura che la Caritas cremonese ha allestito nel cortile della Casa dell’Accoglienza. Presenti oltre 300 persone.

Mons. Cavalleri, è noto in tutta la città per essere stato un vero e proprio antesignano dell’accoglienza: la sua famosa “casetta”, prima nella casa vicariale della Cattedrale e poi in via Patecchio, è sempre stata aperta per i più poveri: dagli alcolisti ai tossicodipendenti fino ai primi immigrati dell’Africa. Il Continente Nero poi è stato meta di almeno una ventina di viaggi del sacerdote cremonese: in Costa D’Avorio don Mario ha realizzato molti progetti di solidarietà, sia in campo educativo sia sanitario. Un vero e proprio uomo di carità, che non ha mai tenuto niente per sè, ma ha sempre da tutto! La sua opera instancabile è stata ricordato dal vescovo Dante durante la Messa di ringraziamento celebrata nella Cappella delle Ancelle domenica 8 novembre.

Don Mario, pur mostrandosi affaticato, si è mostrato molto lucido e contento della festa preparata in suo onore. Al tavolo con lui oltre il vescovo Dante, il vicario generale mons. Marchesi e diversi sacerdoti amici, anche il cardinale Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento e presidente della Caritas italiana. Il porporato era infatti reduce del convegno dedicato all’immigrazione che ha suggellato la conclusione della Settimana della Carità.

Al pranzo hanno partecipato diversi africani aiutati da mons. Cavalleri in questi anni, così come i profughi e gli altri ospiti di Casa dell’Accoglienza e delle altre opere segno di Caritas cremonese. ottimo e abbondante il menù preparato dai cuochi della Casa: antipasto di mare con verdure pastellate,  lasagne, arrosto con patate e dolce.

Photogallery del pranzo

La Messa di ringraziamento celebrata dal Vescovo Dante




L’ammissione agli ordini sacri di Arrigo Duranti

La giornata di festa dedicata al patrono Sant’Omobono si è conclusa alle 17 in Cattedrale con il canto dei Secondi Vespri Pontificali e l’ammissione agli ordini del diaconato e del presbiterato di Arrigo Duranti, classe 1990, originario della parrocchia Santa Maria Assunta e San Giacomo apostolo in Soncino.

 

Mentre decine di cremonesi continuavano a scendere in Cripta per una preghiera davanti all’urna del Santo Patrono, molti altri hanno seguito la preghiera vespertina animata dal coro delle «Voci virili di Cremona» diretto da don Graziano Ghisolfi e accompagnato all’organo dal maestro Fausto Caporali che sempre stupisce con le sue improvvisazioni.

 

Al suono della campana è dunque partita la processione introitale composta da seminaristi, sacerdoti, canonici del Capitolo e dal vescovo Lafranconi. Mentre tutti sono saliti in presbiterio, Duranti, accompagnato dal suo parroco don Mario Marinoni, si è posto tra l’assemblea, in prima fila, con alle spalle la propria famiglia e diversi parrocchiani di Soncino che nonostante la giornata lavorativa non gli hanno voluto far mancare la vicinanza, l’amicizia e la preghiera. Presenti anche il sindaco della città murata Gabriele Gallina in fascia tricolore e l’assessore ai servizi sociali Roberto Gandioli, padre di don Francesco che il prossimo 11 giugno sarà ordinato presbitero.
Dopo il canto dei tre salmi e la proclamazione della lettura breve mons. Lafranconi, rivestito di un prezioso pivale dorato, ha pronunciato l’omelia dalla cattedra.

 

Il presule ha evidenziato che la carità di Sant’Omobono non consisteva solo nelle opere di misericordia corporale, ma anche in quelle spirituali come consigliare i dubbiosi, insegnare agli ignoranti o ammonire i peccatori. Per il presule, soprattutto in questo tempo, oltre agli aiuti materiali sono altrettanto preziosi atteggiamenti di cordialità, di gentilezza, di ascolto delle persone che tendono la mano per un aiuto: “Se è vero – ha spiegato – che un uomo ha bisogno di vestirsi, cibarsi o scaldarsi è anche vero che ha bisogno di sentirsi accolto, apprezzato, amato. Il nuovo umanesimo che si ispira a Gesù è fatto di tutti questi gesti semplici, ma importanti”. Per il Presule la società cambia non attraverso l’imposizione di tante leggi o norme, ma con la consapevolezza “del sentirsi tutti fratelli e di sapere che se oggi io ha la grazia di aiutare un’altro, domani sarà l’altro che potrà aiutare me”.

 

In secondo luogo Omobono ricorda a tutti che la vita è vocazione, è chiamata ad un progetto che Dio ha posto nel cuore di ciascuno: “Fin dal nostro concepimento – ha puntualizzato – Dio è il nostro interlocutore privilegiato. Egli, come buon educatore, ha cura di noi, si preoccupa del nostro futuro e attraverso tanti avvenimenti e tante voci ci svela quello che ha pensato per la nostra felicità”. Mons. Lafranconi ha insistito sul fatto che la vocazione è per tutti, non solo per i preti o le suore: “Al Sinodo dei vescovi sulla famiglia più di un intervento spiegava che la crisi di tanti matrimoni è dovuta proprio al fatto che non si intende più la propria vita come una vocazione. Si costruisce il proprio futuro senza Dio, solo con le proprie forze e così arrivano i fallimenti”.

Terminata l’omelia è iniziato il rito di ammissione. Dopo una monizione introduttiva di mons. Lafranconi che ha spiegato il senso del gesto liturgico, Duranti è stato chiamato dal diacono e, per la prima volta, ha risposto il suo “Eccomi” dinanzi a Dio e alla Chiesa. Salito in presbiterio si è posto dinanzi al Vescovo che ha riconosciuto la sua idoneità a diventare prete. Poi mons. Lafranconi, con al fianco il rettore del Seminario don Enrico Trevisi e il direttore spirituale don Primo Margini, ha chiesto al govane soncinese se fosse stato disponibile a continuare la sua preparazione al sacerdozio: ricevuta risposta affermativa, ha recitato una preghiera e benedetto il giovane e il suo proposito di consacrarsi a Dio nel servizio dei fratelli.

 

Il Vespro è quindi continuato con il canto del Magnificat, le intercessioni e la benedizione episcopale. Prima del ritorno in sagrestia non è mancata la classe foto di rito del neo ammesso con il vescovo, il parroco e i superiori del Seminario.

 

Biografia del neo ammesso

Arrigo Duranti, classe 1990, originario della parrocchia Santa Maria Assunta e San Giacomo Apostolo in Soncino. Duranti ha vissuto l’esperienza del Seminario Minore dal 2004 al 2010 frequentando un anno il liceo Vida e successivamente l’istituto tecnico Einaudi ad indirizzo sociale. Rientrato nel 2012 nella classe propedeutica ha svolto il suo servizio pastorale presso la B.V. del Roggione (Pizzighettone). In prima e seconda teologia ha servito la comunità di Spinadesco. L’anno scorso ha animato anche le attività del Centro Diocesano Vocazioni. Quest’anno è a servizio presso la parrocchia Casalbuttano. Duranti fa parte dell’Unitalsi e come barelliere ha prestato il suo aiuto agli ammalati in diversi pellegrinaggi a Lourdes.

Ascolta l’omelia del Vescovo

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In Sant’Omobono l’esempio del nuovo umanesimo

Omobono come modello di quel nuovo umanesimo che la Chiesa italiana sta ricercando attraverso le riflessioni del Convegno di Firenze e che senza dubbio mostra i tratti della vita di Gesù nell’intensa preghiera, nell’instancabile carità e nella continua opera di pace. Così mons. Lafranconi, reduce dalla grande assise del capoluogo toscano che si conclude proprio oggi, ha tratteggiato la figura del patrono della città nel Pontificale solenne presieduto in mattinata in Cattedrale  e concelebrato da una cinquantina di sacerdoti, tra i quali il vicario generale, mons. Mario Marchesi, i delegati episcopali e i canonici del Capitolo. Ad impreziosire la celebrazione i canti del coro della Cattedrale diretto da don Graziano Ghisolfi e accompagnato all’organo dal maestro Fausto Caporali. Come al solito il servizio liturgico è stato assicurato dai seminaristi diocesani e dai diaconi permanenti coordinati dal cerimonieri don Flavio Meani. Il Vangelo è stato proclamato da don Francesco Gandioli, di Gallignano, che il prossimo  11 giugno sarà ordinato sacerdote.

In prima fila le massime autorità del territorio con in testa il prefetto Picciafuochi, il sindaco Galimberti con buona parte della giunta, il questore Bonaccorso, il vicepresidente della Provincia Davide Viola e i rappresentanti delle forze di polizia e di quelle armate. In seconda fila i rappresentanti dei sarti che, come ogni anno, all’offertorio, hanno offerto al Cescovo, oltre che una cospicua offerta, anche delle stoffe da donare alla Caritas diocesana. Molti i cremonesi presenti in una Cattedrale sfavillante di colori e di fiori: nessuno, prima o dopo la celebrazione, ha rinunciato a scendere in cripta dove, nella preziosa urna, è conservato il corpo di Santo, primo laico non nobile ad essere elevato agli onori degli altari. Il notevole afflusso di pellegrini è stato ben regolato dai membri dell’Associazione Nazionale Carabinieri che hanno assicurato il servizio di vigilanza per l’intera giornata.
Particolarmente attesa l’omelia di mons. Lafranconi che ha ricordato il Convegno nazionale di Firenze che si è chiuso proprio il 13 novembre dal titolo: “In Cristo Gesù un nuovo umanesimo”. Come il Papa, che nel suo discorso di martedì 11 novembre ha additato i santi come modelli di un vero umanesimo, così il vescovo Dante ha richiamato alcuni tratti fondamentali di Omobono che possono aiutare le persone e la società tutta a ritrovare il senso ultimo del vivere e del vivere bene.

Il primo è la sua radicale conversione al Vangelo avvenuta già in età avanzata: «Prima – ha ricordato il celebrante – non è che fosse una persona iniqua o un delinquente, ma certamente in quel momento di svolta egli ha preso coscienza della sua condizione di discepolo di Cristo». Così pur non abbandonando il suo lavoro e la sua famiglia egli si è lasciato afferrare dai poveri ed ha continuato a vivere nel mondo “senza però lasciarsi catturare dalla logica mondana”.

Un secondo tratto, conseguente al primo, è la sua intensa e continua preghiera: “In questo modo – ha spiegato il presule – Omobono ha messo in capo alla sua vita e alle sue scelte Cristo e il suo Vangelo”. Grazie alla preghiera egli ha riposto la sua totale fiducia nella Provvidenza e ha assimilato gli stessi sentimenti che furono di Cristo: umiltà, spirito di servizio, donazione di sé. A tal proposito mons. Lafranconi ha rivolta alla folta e attenta assemblea alcune domande a bruciapelo sul tempo della settimana dedicato alla preghiera e alla Messa: “Ricordiamoci che i momenti che doniamo alla preghiera ci permette di ritrovare la nostra vera umanità”.

Un terzo tratto è l’ardente carità: Omobono visse un’epoca segnata da grandi carestie che hanno creato folle di poveri: “Egli ha risposta a delle vere e proprie emergenze sociali e si è piegato sui poveri perché in essi vedeva il volto di Cristo”.  Mons. Lafranconi ha quindi ricordato il capitolo 25 di Matteo dove si parla del giudizio finale e dove si ricorda che il cristiano sarà giudicato sulla sua capacità di seminare amore attraverso le cosiddette opere di misericordia corporale: “Quel brano evangelico ci dice che il povero ricopre le fattezze di questo Dio che facendosi uomo si è svuotato e ha umiliato se stesso”. Il presule, molto concretamente, ha elencato quelle che sono le emergenze di oggi: la continua disoccupazione – da qui l’invito ad utilizzare i contratti di solidarietà -, il fenomeno dei padri separati e divorziati spesso ridotti sul lastrico per mantenere la famiglia,   l’immigrazione che dovrebbe spingere a costruire ponti e non dei muri, gli anziani nelle case di riposo spesso lasciati soli anche dai figli.
Non è mancato un plauso al mondo del volontariato e a quella carità spicciola, quotidiana, che spesso sopperisce le istituzioni: “Apriamo gli occhi” ha concluso mons. Lafranconi.

Infine un quarto aspetto di Omobono è la sua costante opera di pace non solo tra i nobili e la nuova classe emergente, i mercanti appunto, ma anche tra i cattolici e gli eretici che a Cremona avevano trovato terreno fertile.

Mons. Lafranconi ha quindi concluso riprendendo ancora la bella e tremenda pagina di Matteo dedicata al giudizio finale: “Come nell’affresco della cupola del Duomo di Firenze il Cristo giudice rimanda all’Ecce homo della passione, così noi dobbiamo sempre ricordare che ogni volta che incontriamo un uomo sfigurato, umiliato, fuggiasco, pellegrino o senza lavoro noi incrociamo Gesù. Egli ci riconoscerà suoi discepoli se nel corso della nostra vita lo avremo riconosciuto nei tratti del povero”.

La celebrazione si è conclusa con la benedizione apostolica con annessa indulgenza plenaria e con l’inno di Sant’Omobono, tanto caro alla devozione popolare.

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Ascolta l’omelia




Lettera del Vescovo Lafranconi alla diocesi nell’imminenza dell’apertura del Giubileo

A poco meno di un mese dall’apertura del Giubileo della misericordia, fortemente voluto da Papa Francesco, mons. Dante Lafranconi ha scritto una lettera alla diocesi con indicazioni di carattere pastorale e spirituale per vivere al meglio questo anno di grazia. Il Pontefice aprirà la Porta santa in San Pietro martedì 8 dicembre, mentre il Vescovo inaugurerà il Giubileo domenica 13 dicembre, alle ore 16, aprendo la porta della misericordia in Cattedrale. Contemporaneamente i suoi più stretti collaboratori presiederanno solenni Eucaristie nelle altre tre chiese giubilari: il Santuario di Santa Maria del Fonte presso Caravaggio, il Santuario della Beata Vergine della Misericordia a Castelleone, il Santuario della Fontana di Casalmaggiore. Da segnalare che giovedì 26 novembre, alle ore 10, si terrà in Seminario un incontro di carattere teologico-pastorale sul sacramento della Confessione a cui sono invitati tutti i sacerdoti. Due i relatori: il biblista don Maurizio Compiani tratterà il tema: “La confessione sacramento della misericordia”, mentre don Alberto Franzini, teologo e parroco della Cattedrale si soffermerà su “I confessori segno della misericordia del Padre”. Di seguito il testo integrale della lettera di mons. Lafranconi.

 

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Si avvicina l’inizio del Giubileo straordinario della Misericordia, che, come sapete, sarà aperto da papa Francesco l’8 Dicembre, festa dell’Immacolata Concezione di Maria. La Domenica successiva (13 Dicembre), il Santo Padre ha stabilito che “in ogni Chiesa particolare, nella Cattedrale che è la Chiesa Madre per tutti i fedeli, si apra per tutto l’Anno Santo una uguale Porta della Misericordia. A scelta dell’Ordinario, essa potrà essere aperta anche nei Santuari, mete di tanti pellegrini, che in questi luoghi sacri spesso sono toccati nel cuore dalla grazia e trovano la via della conversione. Ogni Chiesa particolare, quindi, sarà direttamente coinvolta a vivere questo Anno Santo come un momento straordinario di grazia e di rinnovamento spirituale. Il Giubileo, pertanto, sarà celebrato a Roma così come nelle Chiese particolari quale segno visibile della comunione di tutta la Chiesa” (Bolla di indizione “Misericordiae vultus”, n. 3).

 

1) L’obiettivo del Giubileo

L’intento del Papa è chiaro: mettere in luce che la misericordia di Dio vuole raggiungere tutti gli uomini, in ogni parte del mondo, nelle periferie geografiche che sono le Chiese particolari non meno che nelle periferie esistenziali che sono le situazioni umane dell’indifferenza religiosa e relazionale. Per questo motivo il Papa chiama all’impegno tutti i cristiani perché “nelle nostre parrocchie, nelle comunità, nelle associazioni e nei movimenti, insomma, dovunque vi sono dei cristiani, chiunque deve poter trovare un’oasi di misericordia” (Misericordiae vultus, n. 12).

Il Giubileo, quindi, non deve limitarsi a quei momenti specifici e significativi delle celebrazioni, delle proposte spirituali forti, delle iniziative di meditazione e di cultura che si svolgeranno durante l’anno, ma deve ricondurci ad un modo di pensare misericordioso come quello di Gesù (conversione) e deve pervadere tutte le nostre relazioni perché siano espressioni di misericordia. E’ il tessuto quotidiano della vita che deve essere impregnato dalla rugiada della misericordia offerta da Gesù Cristo “per una feconda storia da costruire con l’impegno di tutti nel prossimo futuro” (Misericordiae vultus, n. 5). In questo senso siamo chiamati tutti ad usufruire del dono della misericordia che sperimentiamo nel sacramento della Penitenza vissuto non come momento a sè stante, ma inserito in un cammino di continua e progressiva conformazione a Gesù sulla scia del Vangelo e in comunione con la Chiesa.

 

2) L’apertura del Giubileo nella nostra Chiesa particolare

La celebrazione di apertura del Giubileo in Diocesi è fissata per la Domenica 13 Dicembre alle ore 16. Si svolgerà contemporaneamente nelle quattro chiese giubilari: in Cattedrale presieduta dal Vescovo inizierà col rito di apertura della “Porta della Misericordia” cui seguirà la celebrazione dell’Eucaristia; nel Santuario di Santa Maria del Fonte in Caravaggio presieduta da mons. Mario Marchesi, Vicario generale; nel Santuario della Beata Vergine della Misericordia in Castelleone presieduta da mons. Mario Barbieri, Delegato episcopale per il clero; nel Santuario della Fontana in Casalmaggiore presieduta da don Irvano Maglia, Delegato episcopale per la pastorale, con la celebrazione della Santa Messa. In queste tre parrocchie e in tutte le parrocchie della città di Cremona sono sospese tutte le celebrazioni pomeridiane dell’Eucaristia dando rilievo alla solenne apertura del Giubileo a cui possa partecipare una rappresentanza dei fedeli delle altre parrocchie della Zona o delle Zone pastorali limitrofe. La celebrazione della Cattedrale avrà inizio con la processione che prenderà l’avvio dalla chiesa di Santa Maria Maddalena in via 11 Febbraio. Raccomando ai sacerdoti e ai fedeli di partecipare anche alla processione, riconoscendo il valore simbolico e spirituale del pellegrinaggio come “segno peculiare dell’Anno Santo, perché icona del cammino che ogni persona compie nella sua esistenza… e segno del fatto che anche la misericordia è una meta da raggiungere che richiede impegno e sacrificio” (Misericordiae vultus, n. 14).

In tutte queste chiese per la durata dell’Anno Santo sarà sempre possibile negli orari stabiliti trovare dei sacerdoti per le confessioni, come pure nelle chiese della Città (Barnabiti e Cappuccini) che sono tradizionalmente un punto di riferimento per tanti fedeli che chiedono il sacramento della Riconciliazione.

Ai sacerdoti – tutti – che, sia pure in misura diversa, esercitano questo ministero, il Papa ricorda di essere “un vero segno della misericordia del Padre” (Misericordiae vultus, n. 17). Il Giubileo, pertanto, è, per noi sacerdoti, occasione provvidenziale per una sosta di riflessione e di preghiera che favorisca un rinnovamento spirituale, teologico e pastorale nello svolgere il nostro compito delicato e prezioso a servizio dei penitenti.

Per questa ragione ho ritenuto utile un incontro che si terrà in Seminario Giovedì 26 Novembre alle ore 10 a cui sono invitati tutti i sacerdoti e particolarmente coloro che saranno a disposizione per le confessioni nelle chiese giubilari. A questo incontro seguirà una ripresa del tema nelle Zone pastorali Giovedì 10 Dicembre per un confronto più ristretto sulla base di una scheda che verrà predisposta.

 

3) I luoghi esistenziali del Giubileo

Assieme alle chiese giubilari, che rappresentano, per così dire, i luoghi “liturgici” dell’Anno Santo, vanno tenuti presenti i luoghi “esistenziali” che sono tutti quei luoghi e quelle situazioni del vivere in cui si fa reale e concreto l’esercizio della misericordia. E’ il variegato panorama delle relazioni quotidiane che deve essere innervato dalla misericordia: quella che riceviamo gratuitamente da Dio e che gratuitamente offriamo ai fratelli. Significativamente il Papa ha concentrato questo duplice aspetto della misericordia – ricevuta e donata – nel motto dell’Anno Santo: “Misericordiosi come il Padre” (Misericordiae vultus, n. 14).

In questa prospettiva, vorrei richiamare l’attenzione su alcuni ambiti della vita che richiedono particolarmente di essere abitati dalla misericordia.

a) La famiglia, troppo spesso messa a rischio da tensioni e incomunicabilità che, generando conflitti e  divisioni, la rendono inospitale per grandi e piccoli (sposi/genitori, figli, nonni, …). La misericordia risulta allora una componente assolutamente necessaria a rigenerare l’amore e quella complicità affettiva che consente una serena vita quotidiana e favorisce la buona educazione dei figli.

b) Ci sono categorie di persone come gli anziani, i malati, i disabili, che spesso soffrono la solitudine e il disagio di molti e svariati limiti, a cui possiamo farci prossimi. Al di là del doveroso impegno dei familiari, sono preziose le relazioni di buon vicinato che non solo vincono la tentazione dell’indifferenza ma rinsaldano il tessuto della convivenza sociale.

c) Anche i carcerati e i profughi ci interpellano sul versante della misericordia. Senza disattendere le esigenze della giustizia, il Papa ci ricorda che questa è solo “il primo passo necessario e indispensabile”, ma incompleto se non approda all’accoglienza e al perdono che purtroppo è sempre più raro nella nostra cultura (cfr Misericordiae vultus, n. 10).

d) A tutte queste categorie si aggiunge quella dei nuovi poveri: persone che hanno perso o non trovano il lavoro; separati e divorziati che hanno dovuto abbandonare l’abitazione e non arrivano a coprire le spese col proprio stipendio, come si verifica anche per alcuni pensionati.

Queste situazioni, che ho ricordato a titolo esemplificativo, sono un incompleto spaccato delle “Opere di misericordia corporale”, a cui il mondo vasto e variegato del volontariato si dedica con encomiabile dedizione, offrendo una bella testimonianza di misericordia. Mi auguro che il Giubileo veda moltiplicarsi la schiera di questi volontari anche tra i giovani; segno che esso perdura oltre l’Anno Santo.

Non dimentichiamo neanche le “Opere di misericordia spirituale”. Nella vita quotidiana non è raro incontrare persone che hanno bisogno di essere consolate, o che sono in ricerca di verità e vanno sostenute col consiglio, col dialogo paziente, con la parola incoraggiante della fede, o persone amareggiate da offese e umiliazioni che anelano a ritrovare la pace interiore e forse anche la forza di perdonare. Non cadiamo nell’indifferenza, e, se non possiamo fare altro, preghiamo per loro. Anche pregare per i vivi e per i defunti è un’Opera di misericordia spirituale.

 

4) L’Anno giubilare e… dopo

Durante l’Anno Santo non mancheranno iniziative e proposte per comprendere meglio e vivere intensamente la misericordia. Di volta in volta se ne darà informazione attraverso i mezzi della comunicazione sociale. Ma ciò che rende vero l’Anno Santo è che lo stile di vita a tutti i livelli – personale e comunitario, familiare e sociale, ecclesiale e civile – sia ispirato dalla misericordia che nelle parole e nell’opera di Gesù trova il modello più vero e il fondamento più sicuro. Ciò che conta soprattutto è che il Giubileo sia un passo di conversione che tocca la vita.

L’Anno Santo si chiuderà il 20 Novembre 2016, solennità di Gesù Cristo Signore dell’universo. Ma la misericordia non ha termine. Né quella di Dio, né quella degli uomini. L’Anno Santo è un’occasione straordinaria per riscoprire la misericordia di Dio verso di noi e per adeguare ad essa i nostri pensieri e le nostre opere. Potremmo definirlo un “tirocinio” per imparare ad essere “misericordiosi come il Padre” (Misericordiae vultus, n.14). E’ il bisogno di tutti e forse anche il desiderio, magari inconsapevole o inespresso, di molti. Certamente di papa Francesco interprete acuto e sapiente delle aspirazioni più profonde dell’uomo: “come desidero che gli anni a venire siano intrisi di misericordia per andare incontro ad ogni persona portando la bontà e la tenerezza di Dio! A tutti, credenti e lontani, possa giungere il balsamo della misericordia come segno del regno di Dio già presente in mezzo a noi” (Misericordiae vultus, n. 5).

Cremona, 1 Novembre 2015

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