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Safer Internet Day 2019: essere umani vuol dire anche essere digitali

Non esiste paese al mondo privo di una connessione alla rete. Ci saranno certamente diverse modalità di utilizzo, apparecchiature obsolete o futuribili, censure nazionalistiche o accessi super aperti, ma è innegabile che una delle poche variabili che accomuna l’umanità, sia essa agiata o povera, colta o analfabeta, giovane o adulta, sia proprio internet.

Si tratta di un processo così incarnato nella vita delle persone, che, per essere spiegato, esige una (mai scontata) presa di coscienza interpretativa: internet non è uno strumento e non riflette la neutralità tipica di un artefatto tecnologico. È qualcosa di più: struttura le nostre esistenze, offre nuove opportunità di azione, modula le nostre scelte, orienta i nostri sentimenti. In una sola espressione, internet siamo noi.

Le logiche del digitale, infatti, destrutturano il tradizionale legame tra persona e tecnologia. In un certo senso lo normalizzano, determinando un avvicinamento mai visto prima. Essere umani, infatti, vuol dire anche essere digitali. E viceversa. Questa sorta di linea continua non è però sempre compresa e percorsa.

Sovente il web è visto come il demone di turno, come un fattore di contaminazione culturale, come uno spazio oscuro da cui stare lontani. Nonostante i numerosi tentativi di concepirlo come qualcosa di positivo, questo approccio (sbilanciato sugli aspetti negativi) non è, però, del tutto condannabile. Fenomeni come cyberbullismo, pedopornografia online, fake news, hate speech, non sono (sempre) leggende metropolitane o forzature giornalistiche, ma rappresentano quella zona franca del nostro comportamento online che possiamo definire “deviato”. E che necessità di un intervento educativo integrale che oltrepassi la semplice istruzione ai tecnicismi e agisca su quelle categorie, spesso trascurate, che qualificano l’uomo come persona in relazione autentica e rispettosa dell’altro. Anche per questo oggi, 5 febbraio, si celebra il Safer Internet Day, il consueto evento internazionale organizzato con il contributo della Commissione europea e finalizzato a promuovere un uso consapevole della rete e a prevenire e gestire i rischi a essa collegati.

Si tratta di un giorno in cui scuole, istituzioni, associazioni, organismi di vigilanza, genitori e semplici cittadini riflettono “insieme” sui pericoli e sulle potenzialità di internet per contribuire a renderlo “migliore”.

Non a caso il titolo della giornata di quest’anno (Together for a better internet) esplicita al meglio il ruolo attivo e responsabile di ciascuno, nel rendere i territori digitali luoghi positivi e sicuri. Anche la Chiesa cattolica, nelle sue diverse espressioni, ormai da tempo, si interroga su questa esigenza “migliorativa”. E lo fa non cedendo a facili moralismi o a rifiuti deresposanbilizzanti, ma mettendosi in gioco e assumendo un ruolo da protagonista. Anzitutto attraverso il Magistero ecclesiale che non manca, ormai da diversi anni, di porre l’accento sulla realtà digitale.

Ne sono dimostrazione, ad esempio, l’enciclica Laudato si’, nella quale Papa Francesco ci mette in guardia da quello che definisce “un dannoso isolamento” dovuto a uno distorto delle tecnologie. O il recente Sinodo, il cui documento finale evidenzia come web e social network siano occasioni “per raggiungere e coinvolgere i giovani, anche in iniziative e attività pastorali”. Ma è l’ultimo Messaggio per la 53ª Giornata mondiale delle comunicazioni sociali a compiere un ulteriore passo in avanti. Il Pontefice, infatti, ci aiuta a passare dalla diagnosi alla terapia, condividendo alcuni modelli di “better internet”. Tra questi, quello della “comunità ecclesiale [che] coordina la propria attività attraverso la rete, per poi celebrare l’Eucaristia insieme”. Ed è così che l’essere digitale diventa “essere in comunione”, “dove l’unione non si fonda sui ‘like’, ma sulla verità, sull’‘amen’, con cui ognuno aderisce al Corpo di Cristo, accogliendo gli altri”.

Massimiliano Padula (AgenSir)




“La Santità di Francesco Spinelli forgiata nel fuoco dello Spirito” (AUDIO)

Come tradizione vuole, è toccato al vescovo Antonio chiudere, con la celebrazione di una messa solenne nel pomeriggio di mercoledì 6 febbraio, gli appuntamenti della festa che le suore Adoratrici del Santissimo Sacramento organizzano ogni anno ad inizio febbraio in ricordo di San Francesco Spinelli, fondatore del loro ordine.

Prima di celebrare l’Eucaristia nella chiesa della casa madre delle suore, monsignor Napolioni ha fatto visita alle suore anziane, ospiti della casa “Santa Maria” e lì ha celebrato i vespri. Poi, con il vescovo emerito di Cremona Dante Lafranconi, con le religiose ed i sacerdoti diocesani presenti (una quindicina i concelebranti), si è spostato nella chiesa di Casa madre, dove la messa è iniziata alle 17.30, con il saluto della madre generale Isabella Vecchio.

Ascolta il saluto di Madre Isabella Vecchio

“Abbiamo ancora nel cuore –ha detto madre Isabella- l’esperienza della canonizzazione di padre Francesco dell’ottobre scorso in San Pietro, un Santo sacerdote. Grazie a Sua Eccellenza, al vescovo emerito Dante, ai sacerdoti e a tutta la diocesi che ci è stata così vicino in quel momento così solenne ed importante per noi. La comunione fraterna –ha proseguito- genera la santità e per lei, Eccellenza, chiediamo questo dono. Fa, o Signore, che la chiesa cremonese si rinnovi nella luce del vangelo. Lo chiediamo per l’intercessione di San Francesco Spinelli. Grazie anche ai tanti sacerdoti ospiti qui oggi. È bello vederli in casa madre. E grazie anche alla fraternità eucaristica”.

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Come ha ricordato il vescovo all’inizio della sua omelia, a 106 anni dalla nascita, è stata questa la prima festa dedicata a padre Spinelli dopo la sua canonizzazione ad opera di papa Francesco. Santo lui, Santi anche noi. “Perché –ha sottolineato monsignor Antonio- la santità deve essere ora come un boomerang, cioè deve toccare a noi, e a questo compito ci educa la liturgia”.

Ascolta l’omelia del Vescovo Antonio Napolioni

Il vescovo ha invitato i presenti (chiesa gremita) a prendere esempio da San Francesco Spinelli, definito “Portatore del calore di Dio”. “Il suo non è un fuoco fatuo –ha proseguito- ma un fuoco basato sulla presenza attiva dello Spirito in tutta la sua realtà divina ed umana. Un fuoco nel quale è stato forgiato il suo cuore umile ed ubbidiente. Un cuore cui le prove che è stato sottoposto e le ostilità che incontrato nella sua esistenza non hanno rubato la gioia di una vita nel Signore e per il Signore. Tanti Santi del nostro tempo ci hanno insegnato a vivere con i poveri e così ha fatto anche Francesco Spinelli. Accogliamo come ha fatto lui –ha concluso- un Dio che si fa pane per noi affinché da nutriti possiamo diventare nutrienti e da deboli possiamo diventare forti ed attingiamo alla stessa fonte alla quale ha attinto lui per superare le prove lungo il nostro cammino”.

Non è mancato, da parte del vescovo, un pensiero per le suore Adoratrici: “Sappiate che la nostra non è una Chiesa che emargina la donna. Anzi, le conferisce un ruolo, senza scimmiottare alcuno”.

Al termine della funzione il vescovo stesso, il vescovo emerito ed i sacerdoti si sono recati in fondo alla chiesa, dove è custodita la teca con le spoglie di padre Francesco per la preghiera al Santo. È da lì che monsignor Napolioni ha impartito la benedizione finale a tutti i presenti.

 

Le parole e le immagini della Canonizzazione 




Religiose e religiosi, «custodi della grazia» (AUDIO)

Quest’anno la festa della vita consacrata è stata celebrata nel cuore dell’Istituto delle Suore Adoratrici del Santissimo Sacramento di Rivolta d’Adda. Un momento di comunione, di preghiera e di gioia ha riunito tutti attorno alla Parola, spezzata con amore dal Vescovo Antonio e condivisa nell’Eucarestia.

L’attenzione è stata subito richiamata sulla coincidenza, che quest’anno, vede festeggiare insieme “la giornata della vita consacrata” e “la giornata per la vita”. In un momento in cui il mondo sembra essersi disorientato, l’invito del Vescovo per i consacrati, è quello di non lasciarsi trascinare dal pessimismo, ma di farsi “custodi della grazia”, accolta dal Vangelo e dall’Eucarestia.

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Dopo questa premessa lo sguardo è sceso ancora più in profondità sui personaggi del Vangelo, che sembrano richiamare, in modo quasi spontaneo e naturale, la bellezza della famiglia in tutta la sua completezza: il bambino Gesù, i genitori Giuseppe e Maria e i due anziani personaggi Simeone e la profetessa Anna. Questo fermo immagine sui personaggi risalta l’importanza dello scambio generazionale, uno scambio di affetto e di umanità che umanizza, perché la consacrazione è proprio far fiorire tutta l’umanità che Dio ci dà da vivere.

Dalla preghiera di Simeone, il nostro vescovo raccolto i 3 ingredienti essenziali su cui addormentarci tutte le sere, per riprendere ogni giorno il nostro cammino:

  • LA PAROLA: per essere dei consacrati autentici e fecondi bisogna trovare pace nella Parola del Signore, sorgente di luce per la mente e per il cuore, per i pensieri e per i sentimenti e per tutto quello che succede.
  • VEDERE LA SALVEZZA: vedere la salvezza di Dio anche dove gli altri non la vedono; e per creare la possibilità di far emergere questa salvezza basta volersi bene e vivere nella carità.
  • LUCE DA RIVELARE ALLE GENTI: la luce di Gesù è per rivelarsi alle genti, al mondo intero, non è una luce riservata solo ad alcuni.

Ascolta l’omelia del vescovo Antonio

Per finire, è ancora un’immagine forte che il Vescovo usa per delineare il profilo del consacrato: punta di diamante affinato a caro prezzo. Davanti a questa immagine si capisce la necessità di essere custodi della grazia: solo con la grazia il consacrato, come Gesù, può avere la forza di essere segno di contraddizione luminoso, eloquente e credibile nel mondo e nella storia e trovare il suo primato non tanto nell’abito, ma nel servizio, nella carità, nella comprensione e nella misericordia.

Dopo aver nutrito lo spirito attorno al banchetto eucaristico, il clima di comunione si è concluso con la condivisione di un rinfresco, con cui si sono festeggiati i diversi anniversari e i piccoli grandi SI di ogni giorno.




Un saggio di Isabella Guanzini e Kurt Appel nella collana dedicata alla teologia di Papa Francesco

La categoria di “nuova gnosi” ritorna in maniera costante, come bersaglio critico, nel magistero di papa Francesco. Il neognosticismo, spesso associato a un’altra tendenza oggi diffusa, il neopelagianesimo, viene infatti considerato dal Papa come una deriva pericolosa della vita di fede dell’uomo contemporaneo, caratterizzata da una logica fredda e dura che vuole dominare tutto e da una spiritualità disincarnata, in cui si cerca di addomesticare il mistero di Dio e della sua grazia.

L’analisi di questa categoria, e delle sue inevitabili ricadute antropologiche e pastorali, può contribuire in modo decisivo alla comprensione della visione teologica di papa Francesco. Come ben dimostra questo volume, alla sfida del possibile ritorno di quest’antica eresia il Papa risponde con l’accorato invito alla Chiesa ad essere profondamente incarnata nel proprio tempo, a farsi promotrice di una «rivoluzione della tenerezza», a non lasciarsi sedurre dal «ragionamento logico e chiaro», ad avere come “dottrina” il Vangelo di Gesù Cristo.

ISABELLA GUANZINI è professore ordinario di Teologia Fondamentale presso la Karl-Franzens Universität di Graz. La sua ricerca si concentra in modo particolare sulla categoria di “traduzione” fra l’ambito religioso e quello secolare nel contesto contemporaneo. Fra le sue ultime pubblicazioni in italiano, Tenerezza. La rivoluzione del potere gentile, Ponte alle Grazie, Milano 2017.

KURT APPEL è professore ordinario di Teologia Fondamentale e direttore del centro interdisciplinare di ricerca “Religion and Transformation in Contemporary Society” presso l’Università di Vienna. Fra le sue recenti pubblicazioni in italiano: Tempo e Dio. Aperture contemporanee a partire da Hegel e Schelling, Queriniana, Brescia 2018; Apprezzare la morte.Cristianesimo e nuovo umanesimo, EDB, Bologna 2015.




“Chiamati col due”, un libro per riflettere sulla formazione dei seminaristi

Sarà consegnato ai sacerdoti cremonesi durante il ritiro del clero del 7 febbraio il libro «Chiamati col “due”». Un volume di 200 pagine che propone pensieri e proposte per la formazione dei seminaristi. Un testo “operativo” curato dal rettore don Marco d’Agostino e destinato ai preti perché – come scrive il vescovo nell’introduzione – il presbiterio «non sia lasciato spettatore» di ciò che accade in Seminario, e «a quelle famiglie e a quei laici credenti che ci stanno aiutando a rendere pienamente ecclesiale il progetto formativo del Seminario»

Chiamati col “due”

La formazione dei futuri uomini–preti del nostro tempo è una partita troppo importante. So che la metafora del gioco delle carte non è biblica, ma credo possa essere efficace in quanto la partita si gioca tutta sul costruire la persona, in modo solido, autentico, senza imbrogli, né per Dio, né per se stessi, né per gli altri, tantomeno per la Chiesa. «La cura del presbiterio», espressione che il vescovo Napolioni ripete ormai da tre anni, va posta nel cuore delle questioni. Non per narcisismo, ma per un’effettiva attenzione che oggi il mondo affettivo, relazionale, spirituale, di fede del presbiterio desidera e vuole costruire.

Il «due di briscola» che ciascuno di noi tiene in mano e che Dio chiama non deve spaventare. Anche se è l’unica briscola dobbiamo aver fiducia che insieme, solo insieme, si può vincere la partita. Nessuno ha le ricette per formare i preti di oggi e di domani. Il testo «Chiamati col due», affidato al cuore dei presbiteri e ai laici che operano insieme per la formazione dei giovani incamminati verso il ministero, è un tentativo che potrebbe essere fecondo se sposiamo la realtà e accogliamo la sfida sempre bella di amare i giovani che Dio ci dona. «Ai preti giovani – diceva il mio vecchio parroco – bisogna voler bene». E aveva ragione. In quell’espressione c’è una saggezza fatta di vicinanza, di condivisione nella preghiera, di compassione, anche di rimprovero se necessita, ma sempre nell’ottica di chi cammina insieme.

Sottolinea il domenicano Timothy Radcliffe : «Quando dovevo valutare i candidati all’Ordine, una delle domande che mi ponevo era: sono appassionati di qualcosa? Non ha importanza di cosa: potrebbe essere giustizia e pace, o lo studio, il lavoro pastorale, la poesia, la musica, magari anche le rubriche liturgiche, benché io trovi difficile immaginarlo. Ma deve esserci una passione profonda che è aperta alla fame di Dio» (Alla radice la libertà, pag. 49).

La Chiesa, oggi come ieri, ha bisogno di servi appassionati e affamati di Dio, umili e sobri, docili e miti, che provino a ricominciare ogni volta da se stessi, si aprano a quella Parola di Dio che parla anzitutto a noi, ci fa male dentro, ci chiede di cambiare e convertirci continuamente. C’è bisogno di preti che amino la gente come amano il Vangelo. Servono il più piccolo e il più anziano come servono il Corpo e Sangue di Cristo. Il Papa, parlando ai gesuiti dei Paesi Baltici così si è espresso: «Sono tre linguaggi che vanno tenuti insieme. Il giovane è chiamato a pensare quello che sente e fa, deve sentire quello che pensa e fa, deve fare quello che sente e pensa. La nostra è un’unità umana, e lì entra tutto, entra l’inquietudine per gli altri, il coinvolgimento».

Se i giovani che si preparano ad essere preti si lasciano coinvolgere, amare, appassionare, se usano tutti i linguaggi della mente, del cuore, del corpo, allora non avranno paura di «amare troppo».Che non significa essere «imprudenti», ma capaci di sciogliere il cuore. Permettere che gli altri ci avvicinino, entrino nella nostra vita e noi nella loro. Non per curiosare o rovistare. No. Ma per comunicare. Per annunciare un vangelo che non sfiora la nostra testa, ma bussa al cuore, cioè alle decisioni perché le reti ancora vengano lasciate, il banco delle imposte abbandonato e si possa seguire il Figlio di Dio con tutto noi stessi. La vocazione è chiamata alla santità, cioè a credere che tutta la nostra vita, se vuole, può ospitare il Signore. Servirlo. Esserne riflesso. Timido e reale. Con un cuore che batte. Una testa che progetta. Una fame di Lui che non si spegne. Anche se tra le mani abbiamo solo un due.

don Marco D’Agostino




Chiamiamolo figlio: parole chiare per non lasciare sole le donne di fronte alla tentazione dell’aborto (VIDEO e AUDIO)

“Un libro che non giudica, ma racconta l’accoglienza, la preferenza per la nascita”: così Paolo Emiliani, presidente del Movimento per la Vita di Cremona introduce il libro “Donne in cerca di guai” di Gianni Mussini, presentato a palazzo Cittanova a Cremona il 3 febbraio con gli interventi dell’autore e della giornalista e scrittrice Lucia Bellaspiga.

Il volume è una raccolta di storie, interviste e testimonianze che parlano della vita di donne che si sono trovate di fronte alla scelta tra la continuazione di una gravidanza e la sua interruzione. Non è però un libro “contro”, come dimostra la presenza tra le sue pagine di interventi anche di personaggi noti che – pur partendo da posizioni molto lontane da quelle del MpV – confermano la “preferenza per la nascita”.

Le interviste ai protagonisti 

“Per trovare un incontro con chi considera la legge 194 come una legge intoccabile – osserva Mussini – occorre forse tornare a chiamare la realtà per ciò che è: se lo chiamiamo omicidio è implicito che la vittima sua una persona. Se chiamiamo mamma la donna che ospita dentro di sé un bambino, partiamo da un pilastro indispensabile per discutere della Vita”.

Un invito dunque a tornare ai fatti della realtà che chiama in causa Lucia Bellaspiga, giornalista di Avvenire e scrittrice che sottolinea l’urgenza di porre l’attenzione sulla comunicazione, sul linguaggio della comunicazione su un tema così delicato e centrale come quello del valore della vita: “E’ storia molto vecchia nell’umanità che per manipolare la realtà la prima cosa da fare e svuotare le parole del loro significato. E’ un’operazione che continuamente viene fatta nei media oggi. Quando si discute di aborto il primo scoglio è quando uso la parola bimbo, figlio. O la parola madre”.

Ascolta l’audio integrale degli interventi

I due relatori, stimolati dalle domande di Paolo Emiliani, partono dall’esperienza del proprio impegno volontario e professionale sul fronte della difesa della vita. Un fronte sempre caldo che chiama anche oggi a tenere alta la soglia di attenzione perché mentre i Centri di aiuto alla Vita continuano nella loro quotidiana opera di sostegno alle donne e ai bambini prima e dopo la nascita, mentre il Papa usa parole di misericordia per le donne pur senza rinunciare a definire l’aborto come un peccato, “altri muri si alzano”. Sono i muri della mentalità comune che oggi sempre più parla dell’aborto come di un “diritto”: “Di fronte a questo – commenta Mussini – non possiamo indignarci, ma dobbiamo cercare di mantenere i nervi saldi e trovare tra le maglie del potere reale quegli spazi che ci consentano di modificare anche tanto così della realtà. Abbiamo la strada della carità dei Cav, la strada delle idee belle…”.

“Il dibattito – aggiunge Lucia Bellaspiga – eviterebbe inutili perdite di tempo se tutti leggessero questo libro. Anche chi la pensa diversamente”. Anche un certo femminismo che oggi – riflette la giornalista “è al nostro fianco nella battaglia sulla pratica dell’utero in affitto, ma vede ancora come un tabù il tema dell’aborto”.

“Chiamiamolo figlio”, ripete. E chiamiamole mamme. “Perché questo è un libro dalla parte delle donne”.

“Se una donna si trova di fronte al pensiero dell’aborto – riflette ancora Mussini – deve avere la libertà di non farlo. Oggi gli unici a darle questa libertà sono i centri di aiuto alla vita. Perché la scelta della nascita e una scelta di cui non ci si pentirà mai”.

Al termine degli interventi Alfeo Garini ha consegnato a Gianni Mussini l’assegno del premio dedicato alla moglie Mariolina assegnato quest’anno dal MpV alla Fondazione Vita Nova, di cui lo scrittore è consigliere, per il Progetto Gemma, a cui sono devoluti anche i fondi ricavati dalla vendita del libro “Donne in cerca di guai”.

 




Vanna, Barbara, Elisa: storie di donne testimoni dell’amore per la Vita

“Vivere la vita è l’avventura più stupenda dell’amore”. Cantano, con lo sguardo all’insu rivolto allo schermo, i partecipanti alla Veglia per la vita, nel salone Bonomelli del Seminario di Cremona.

Convocati dalla Zona pastorale 3 e introdotti alla preghiera dal Vicario zonale don Pier Codazzi, nella serata di sabato 2 febbraio si sono ritrovati volti noti, quelli del Centro Aiuto alla vita di Cremona e del Movimento per la Vita, e quelli meno noti di giovani coppie e piccoli gruppi provenienti da parrocchie della città e della periferia.

Ascolta l’audio della serata

Una veglia dai toni domestici, nella sua semplicità, ma dal vissuto intenso: sosta di ascolto della vita e della Parola che, per i credenti, illumina i tratti più indecifrabili ed impegnativi.

Nel segno dell’alleanza tra generazioni la Zona 3 ha scelto di affidare a Mattia Cabrini, educatore professionale, la conduzione di un dialogo tra tre donne, condividendo passaggi e consapevolezze che l’esistenza e la storia personale hanno fatto emergere.

Vanna Rossetti, mamma e nonna, conosciuta anche per il lungo impegno in campo ecumenico accanto al marito Mario Gnocchi, ha offerto i ricordi di famiglia proponendo una sua riflessione sulla dimensione del dono inscritta nella vita, in ogni istante e accadimento, compresi quelli apparentemente meno significativi o gratificanti che si comprendono solo nello scorrere del tempo.

Barbara Guarneri, logopedista neolaureata di 24 anni ha invece testimoniato, non senza commozione, la fatica di accogliere la fragilità che la vita rivela nelle stagioni della malattia e della debolezza. Quei giorni i cui la domanda di senso non accetta scorciatoie ideologiche o religiose e si confronta con la verità cruda del dolore che chiede condivisione, prossimità, forza di ricostruire la vita in altra prospettiva.

Elisa Favalli, mamma e segretaria in una scuola, ha invece portato i volti e i nomi raccolti in un album di fotografie cariche di emozioni, la ferialità della casa e della famiglia condite dagli immancabili imprevisti. Una dimensione concreta del vivere che solo la speranza è capace di sostenere.

Nell’intreccio delle storie e delle riflessioni, l’eco della Parola di Dio ha ricondotto i frammenti all’unità. “Ancora informe mi hanno visto i tuoi occhi, tutto era scritto nel tuo libro” (Salmo 138) dice il credente al Dio in cui confida. E la parola di Isaia proclama che il progetto di Dio fa germogliare continuamente “una cosa nuova” tra le briciole del vissuto.

Molto efficace, nella conduzione della Veglia, la scelta di circondare la personale risonanza della Parola all’armonia della musica, con la partecipazione di un gruppo di 9 giovani musicisti, parte della “Mauro Moruzzi Junion Band” legata alla Scuola “Sacra Famiglia” di Cremona. Le esecuzioni del gruppo di fiati, molto apprezzate e applaudite, si sono inserite con delicatezza nel clima raccolto della serata, conclusasi con il saluto del dott. Paolo Emiliani , Presidente del Movimento per la Vita di Cremona e la proposta di un gesto solidarietà a favore del “Progetto Gemma”, da tanti anni sostegno concreto della maternità.

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A Vailate la veglia per la Vita con il vescovo Antonio

Canti, preghiere, la riflessione del vescovo e la testimonianza di vita di una coppia di sposi. Si è svolta sabato sera (2 febbraio), nella chiesa parrocchiale dei Santi Pietro e Paolo, la veglia di preghiera della zona pastorale 1 in occasione della 41^ giornata per la vita, presieduta dal vescovo Antonio con il vicario zonale don Marco Leggio, parroco di Antegnate, a scandirne i vari momenti.

Il primo è stato incentrato sul tema del dono. “La vita è un’opportunità, coglila”, “La vita è bellezza, ammirala” e ancora “La vita è vita, difendila”, frasi di un dialogo fra lettore ed assemblea per sottolineare quanto sia preziosa la vita.

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Seconda parte: l’accoglienza. Accoglienza cui siamo chiamati prima e dopo la nascita, in ogni condizione e circostanza in cui essa è debole. È qui che si è inserita la testimonianza di Dulio e Greta, due coniugi della comunità Giovanni XXIII di don Oreste Benzi di Crema. Ad esordire è stato Duilio. “Io sono cresciuto a Como, in un oratorio molto attivo –ha raccontato- ma quelle attività non mi bastavano più. Con il mio parroco andavamo a Milano ad incontrare i senza dimora e in quei frangenti ho incontrato il Signore. Tornando a casa però mi sentivo a disagio nel caldo del mio letto. Così ho deciso di andare a vivere a contatto cogli ultimi in una casa di accoglienza, dove sarei dovuto rimanere tre mesi ma in realtà sono passati quasi sei anni nei quali si sono creati forti legami coi tanti senza dimora che ho conosciuto. Molti di loro sono stati invitati al nostro matrimonio”. Greta in una casa-famiglia, per scelta dei suoi genitori, ci è nata e cresciuta, assieme ad Alessio, un diversamente abile che quando arrivò in comunità sembrava avere pochi giorni di vita ma che martedì scorso ha festeggiato i 27 anni, che lei chiama “fratello” e che per lei ha significato, e significa tuttora moltissimo. In comunità Greta fa la terapista, ma segue anche i casi di maternità difficile “Con la preghiera –ha precisato- ma anche con un sostegno fisico”. “Il giorno del matrimonio fra me e Greta –ha spiegato Duilio riprendendo la parola- il nostro responsabile ci ha proposto di prenderci cura di Michele, un ragazzo di 18 anni ferito dalla vita. Una proposta che ci ha spiazzati ma Dio ci ha sostenuti. La convivenza con Michele non è facile ma ci rende pieni e ricchi”. Non finisce qui, perché i due coniugi accolgono anche una ragazza marocchina. E da poco è arrivato il loro primo figlio, Giona. “Don Oreste–ha concluso Duilio- diceva sempre che le membra più deboli della società sono le più necessarie ma sono anche le protagoniste della storia della chiesa”.

L’ultima parte della veglia, dedicata al concetto di speranza, ha introdotto la riflessione del vescovo Antonio che si è aperta con un omaggio a don Oreste Benzi (“Ce ne vorrebero di preti così”). “Signore, tutto appartiene a te –ha proseguito monsignor Napolioni-, ogni essere vivente, ogni creatura umana, tutte le cose sono tue, Signore amante della vita. Siamo abituati a considerare quelli che si possono permettere una bella vita ma è un tranello. Dio, invece, nel suo Figlio crocifisso ci mostra un paradosso: un Dio che ama la vita sempre e comunque, al punto da farla risorgere sempre dal peccato. Ancora oggi –ha proseguito- questo è possibile: tocca a noi vegliare per la vita, scegliere di allearci con il Signore per la vita. È necessario avere nuovi bambini, genitori, nonni, famiglie, amori: la vita che scorre all’infinito e non si inceppa. Per fare ciò dobbiamo impegnarci a seminare parole e sguardi per la vita”.

La benedizione ed il canto finale hanno concluso la veglia, allietata dalla musica del flauto di Giorgia Radavelli e della chitarra di Marta Trapattoni, entrambe di Antegnate. Le offerte raccolte dai presenti in chiesa a fine celebrazione saranno devolute alla comunità Giovanni XXIII. 

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«Donne in cerca di guai», presentazione del libro di Gianni Mussini

Si terrà domenica 3 febbraio alle ore 16.30 presso Palazzo Cittanova a Cremona la presentazione del libro di Gianni Mussini «Donne in cerca di guai», organizzato dal Movimento per Vita e dal Cav di Cremona nell’ambito delle celebrazioni della Giornata per la vita.

Oltre all’autore, parteciperanno Lucia Bellaspiga, giornalista di Avvenire e scrittrice, e il presidente della Fondazione «Vita nova» Gianni Vezzani. Sarà lui a ritirare l’annuale premio dedicato alla memoria di Mariolina Giudici in Garini e assegnato quest’anno proprio alla Fondazione «Vita Nova», organismo che gestisce a livello nazionale il Progetto Gemma, il servizio per l’adozione prenatale a distanza di madri in difficoltà. «Vita nova» è nata nel 1994 e oggi collabora sul territorio con la rete degli oltre 331 centri di aiuto alla vita che offrono in tutta Italia accoglienza e sostegno alle maternità più contrastate. Il progetto offre ad una mamma un sostegno economico per portare a termine con serenità il periodo di gestazione, accompagnandola poi nel primo anno di vita del bambino, grazie al contributo di chiunque voglia partecipare.

Tutte le iniziative diocesane per la Giornata della Vita

Scarica qui la locandina




«E’ una Chiesa per giovani?», il 3 febbraio presentazione a Sant’Ilario

Nell’ambito della Settimana dell’educazione, tra gli eventi organizzati dall’Ufficio di Pastorale Giovanile diretto da don Paolo Arienti, è in programma domenica 3 febbraio alle ore 21 presso l’oratorio di Sant’Ilario la presentazione del libro «E’ una Chiesa per giovani?» alla presenza dell’autore Alberto Galimberti.

Nell’anno in cui papa Francesco ha indetto l’appuntamento sinodale, incoraggiando l’incontro fra la Chiesa e giovani, Alberto Galimberti prova a mettersi in ascolto di un mondo che ha bisogno, soprattutto, di speranza per il futuro. Tra gli intervistati, Alessandro D’Avenia, Franco Garelli, Chiara Giaccardi, Alessandro Rosina.

Chi sono i giovani? Quali desideri coltivano? La fede religiosa e la Chiesa hanno ancora un ruolo nella loro vita? La tesi che va per la maggiore disegna scenari apocalittici. I giovani di oggi sono nichilisti, sprecati e sdraiati. Disillusi su tutto, non credono più a nulla, assuefatti a un presente accartocciato su se stesso. Vittime designate di un sistema culturalmente ostile ai cambiamenti, che incatena speranze e ideali. Preludio di un futuro opaco, poco promettente.

Ma è davvero così?

Alberto Galimberti prova a ribaltare il punto di vista, ascoltando i suoi coetanei e provando a smantellare pezzo per pezzo la mole di luoghi comuni cuciti loro addosso. Questo libro è un viaggio scandito dall’incontro di giovani impegnati, tra mille peripezie, a scovare il senso della propria esistenza, a non disertare il destino cui sono chiamati, coscienti che a volte le paure sono solo speranze in controluce.

Armato di penna e taccuino, un loro coetaneo è andato a stanarli, in Italia e all’estero. Credenti e atei, studenti e lavoratori, sposati e conviventi. I giovani e il lavoro. I giovani e l’amore. I giovani e la morte. I giovani e la vocazione. I giovani e la Chiesa. Tra queste storie, voci autorevoli che emergono dal «rumore di fondo» del dibattito pubblico attuale, si inseriscono le interviste ad Alessandro D’Avenia, Franco Garelli, Chiara Giaccardi, Alessandro Rosina, capaci di cogliere e decifrare e illuminare le sfaccettature di un mondo complesso come quello giovanile, ma al quale è senza dubbio possibile offrire una chiave di lettura aperta alla speranza.

 

L’autore

Alberto Galimberti, 28 anni, giornalista, si è laureato in Scienze politiche all’Università Cattolica di Milano, dove collabora con la Cattedra di Politica e comunicazione. Scrive sul quotidiano La Provincia (Como, Lecco e Sondrio), nella sezione delle pagine culturali e dei commenti, e per il mensile dell’Azione Cattolica Segno nel Mondo.

 

Le altre iniziative della Settimana dell’educazione

Il convegno diocesano di pastorale giovanile