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Una riflessione vocazionale da una giovane

Una ragazza delle superiori, partendo dal tema dell’ingratitudine, proposto come spunto per un elaborato di religione a scuola, ha sviluppato una riflessione dalle sfumature vocazionali, che merita di essere condivisa.

Un gesto d’affetto non riconosciuto, un atto di bene non corrisposto e dimenticato. Chi non ha mai sperimentato su di sé il profondo dispiacere che sorge dinanzi all’ingratitudine di chi aiutiamo e sosteniamo? Eppure chi tra quelle stesse “vittime” non si è mai fatto a sua volta in-gratus, dimenticando l’aiuto del compagno, non riconoscendo il bene che lo circonda, non rispondendo con gratitudine a un dono ricevuto da un maestro, un amico, un genitore. Da figlia, sorella, amica, tante volte mi sono ritrovata cadere in quell’abisso quasi inevitabile che è l’ingratitudine. In molte relazioni sociali ci siamo abituati oggi a dare sempre più per scontati e per dovuti la presenza, il sostegno e l’aiuto dell’altro.

E’ dovere del maestro insegnare.

E’ compito del fratello starci vicino.

E’ il ruolo del genitore aiutarci e sostenerci.

E’ ruolo del genitore sopportare le nostre lamentele, accettare i nostri limiti, guidarci ed indicarci la via da seguire.

E’ ruolo del genitore.

Ma qual è il nostro di ruolo in quanto figli?

Non è certo quello di voltare le spalle, di rispondere con rancore al dono che ci viene dato, di essere ciechi e non vedere il bene che viene dall’altro. E’ forse questa la più bassa e meschina forma di egoismo.

Eppure sta dall’altra parte proprio nel dare senza aspettarsi un ricambio uno dei più grandi segni di altruismo. E’ solo in questo modo che ci si vaccina dall’ingratitudine: donando, dando gratuitamente, a prescindere dalla risposta emozionale che ne avremo in cambio.

Un genitore più di tutti è chiamato a confrontarsi con questo atteggiamento, con il saper dare in modo gratuito e pieno, lasciando al proprio figlio il tempo di crescere e capire che ogni cosa che riceviamo è un dono, che niente è dovuto o scontato.

E come va letto questo tipo di atteggiamento e di rapporto, se presa in considerazione la relazione più alta che si possa instaurare, quella con Dio?

Dio è un padre.

Dio è Il padre, che si dona in ogni sua forma a noi.

E’ un padre benevolo che cammina al nostro fianco. Una voce silenziosa ma sempre presente, che ci viene incontro e che aspetta paziente il nostro ascolto e la nostra risposta. Dio stesso, in quanto padre, è però esposto alla nostra ingratitudine.

L’ingratitudine di chi non è cieco, ma non vuole vedere. Di chi non si mette in ascolto e nega la voce che non sente. Di chi non si interroga, ma aspetta risposte. Di chi non riconosce il bene, la ricchezza, il dono che il Padre e il rapporto con Esso portano all’uomo. Eppure Dio non si arrende di fronte al silenzio, al nostro non rispondere a lui che ci chiama.

Dio è un padre, e in quanto tale sa perdonare l’ingratitudine dei suoi figli, che ancora devono crescere e comprendere la vera ricchezza del donare e del donarsi, che ancora devono imparare ad essere grati e riconoscenti per ogni singolo giorno, sguardo, abbraccio che viene a loro donato.

Una studentessa delle superiori