“Vivere da cristiani in un mondo scristianizzato”. Lugaresi: «Il cristianesimo è sempre iniziale»

Nel pomeriggio di sabato 22novembre, nell’auditorium delle Acli di Cremona, si è svolto l’incontro promosso dal Centro culturale Sant’Omobono di Cremona con Leonardo Lugaresi, studioso e autore di Vivere da cristiani in un mondo scristianizzato. A dialogare con lui, il filosofo Sante Maletta. Un pomeriggio denso che ha offerto una lucida riflessione sulla condizione del Cristianesimo in Italia e in Europa.

«Il libro è nato da un ciclo di incontri di cinque anni fa, per mostrare la pertinenza del Cristianesimo antico ai problemi dell’uomo di oggi», ha spiegato Lugaresi. Chi appartiene alla sua generazione – ha osservato – ha vissuto la transizione da un Paese in cui esisteva un «cristianesimo ambientale» – fatto di tempi, ritmi, antropologia condivisa – a un mondo in cui «i segni cristiani restano visibili ma sono diventati indecifrabili. E un segno indecifrabile non è più un segno».

Per comprendere il presente, Lugaresi guarda ai primi secoli: i cristiani erano una minoranza irrilevante nella sterminata società romana: «Poche migliaia di cristiani dentro un impero di 60 milioni di abitanti. Queste persone sperdute che osa hanno fatto? Non si sono assimilate, né si sono arroccate o chiuse a riccio. Hanno esercitato la krisis e la kresis: discernere e valorizzare tutto ciò che nella vita e nella cultura del tempo è compatibile con Cristo».

Interrogato da Maletta sul significato oggi controverso della parola “giudizio”, Lugaresi ha ricordato una lezione di don Luigi Giussani: «Il giudizio è la parola più bella che ci sia. Non equivale a condanna: l’uomo giudica come respira. Si vive desiderando di essere giudicati bene». E ha evocato l’esempio di san Paolo ad Atene: Paolo, giunto in città, resta turbato dall’idolatria della gente, ma decide di dialogare con tutti, nelle sinagoghe e nelle piazze. Invitato all’Areopago dai sapienti dell’epoca, che sono colpiti da lui, parte dagli altari degli ateniesi e annuncia il “Dio ignoto” come il Dio vivente che ha risuscitato Cristo. Entra così nella posizione dell’altro, valorizzando ciò che trova e portandolo a compimento nella fede.Questa è la kresis».

Lugaresi è poi tornato a parlare del presente: di fronte al declino numerico della presenza cristiana, ha messo in guardia dalla tentazione di sentirsi «gli ultimi dei Mohicani» o «custodi di un museo». «Il Cristianesimo è sempre iniziale», ha detto: «Inizia ogni volta che uno è battezzato, reinizia quando ci si confessa. Tornassimo a essere pochi come nel primo secolo, non importa: noi siamo primi cristiani,  non i primi ma sempre primi». E la tradizione «non è un baule da conservare o da mettere in soffitta: è un rapporto – ha detto –. “Vi ho trasmesso ciò che ho ricevuto”, dice Paolo». Tradizione che è frutto di venti secoli di storia, perché è stata trasmessa dall’uno all’altro sempre con un qualcosa di nuovo.

Lugaresi ha criticato dunque l’idea di ridursi a una “arca di Noè” o a riserve indiane. «I primi cristiani erano pochi, ma rilevanti nella cultura dell’epoca. Vivevano una presenza capace di entrare nel dibattito pubblico». Lo studioso, rispondendo a una domanda del pubblico, ha ripreso un recente intervento del cardinale Zuppi: «La fine della cristianità non è una sconfitta, ma occasione di tornare all’essenziale. Il Vangelo non ha bisogno di protezione, ma di cuori che lo incarnino».

La fase attuale, per Lugaresi, è un kairós impegnativo. «Non dobbiamo essere ingenui: il cristianesimo ambientale in Occidente (in Italia e in Europa soprattutto) rendeva più facile essere cristiani. Non possiamo augurarci tempi difficili né compiacerci di essere “pochi ma buoni”: sarebbe mancanza di carità, perché rende l’annuncio più arduo». La testimonianza dell’amore, però, «deve essere un giudizio». In questo senso ha ricordato quanto sia imprescindibile rileggere gli Atti degli Apostoli, che ben mostrano tre volti del Cristianesimo: l’attrattività della prima comunità di Gerusalemme che viveva in unità; la dimensione critica; e la parresia di Paolo, «solo ma libero», che annuncia il Vangelo «senza impedimento». Vivere oggi la fede significa testimoniarla. Ed essere in qualche modo martiri perché «il martire è testimone in senso giuridico: la sua vita è la prova che stabilisce la verità».

A concludere l’incontro c’è stato un intervento di monsignor Franco Follo, sacerdote cremonese già osservatore permanente della Santa Sede presso l’UNESCO. Follo ha allargato lo sguardo alla missione della Chiesa nel mondo: «La crisi è qui, in Occidente. Ma abbiamo tanti segni nel resto del mondo dove vediamo una rinascita della fede. Perché davvero il cristianesimo non è solo inculturazione: è incarnazione». Un richiamo semplice e radicale, in sintonia con la prospettiva di Lugaresi: la fede come evento presente, capace di abbracciare tutta la storia e di trasformare l’oggi.