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Venticinque anni di diaconato (permanente) in diocesi

Nel nuovo anno pastorale 2019, precisamente il 28 maggio 2019, il diaconato celebrerà il 25° anniversario della sua nascita in diocesi di Cremona. Dopo che il Concilio Vaticano II lo aveva ripristinato, mons. Enrico Assi avviò in diocesi il percorso vocazionale di discernimento e di preparazione dei candidati. Fu però mons. Giulio Nicolini a ordinare i primi sette diaconi, superando la breve sospensione di approfondimento richiesta dal Sinodo diocesano.

Attualmente i Diaconi ordinati nella nostra diocesi sono 13 (di cui 8 sposati e 5 celibi); cinque sono poi i candidati, di cui quattro sono già accoliti; cinque aspiranti, cioè persone orientate al percorso di discernimento vocazionale.

Negli ultimi anni, quattro sono i diaconi già tornati alla Casa de Padre.

Per stare al passo dei tempi della Chiesa Conciliare, questo ministero necessita di un rilancio nelle nostre comunità, come del resto tutti i ministeri laicali. Solo una più ricca articolazione della chiesa cremonese riuscirà a garantire la sua piena vitalità e favorire la sua multiforme missione.

Nei prossimi mesi si avrà sicuramente occasione di ripercorrere le tappe salienti del diaconato per conoscerne meglio il patrimonio nella storia della nostra diocesi, come anche ci sarà spazio per illustrare le prospettive future di consolidamento e rinnovamento, secondo le stesse intenzioni del nostro Vescovo Antonio.

Don Antonio Facchinetti
incaricato diocesano per il Diaconato

 

LO SPECIFICO DEL DIACONO NELLA DIAKONIA DELLA CHIESA

«Chi è il diacono? Qual è il suo ruolo specifico?»[1]: ecco le domande più frequenti fra la gente, ma anche fra i presbiteri. E, più a monte, sorgono gli interrogativi più impegnativi sulla “diaconia”, o «servizio», quindi «ministero» della Chiesa: a che cosa serve la Chiesa? Qual è la sua finalità? Qual è la sua «vocazione»? E, correla­tivamente: qual è la sua «missione»? Prima di trattare dei ministeri nella Chiesa, occorre precisare il ministero della Chiesa – in ge­nerale – e di ogni comunità ecclesiale – in particolare.

  1. Il ministero della Chiesa e la corresponsabilità battesimale di tutti

La Chiesa – ogni comunità ecclesiale – non ha il suo scopo in se stessa. Non serve a se stessa, si comprende solo in relazione con il re­gno di Dio – la sua sovranità, la sua proposta di alleanza, la pienezza di vita offerta dal Creatore all’umanità ecc. – e nel contempo in rela­zione con la storia, cioè con l’umanità nel mondo, peregrina attraverso i tempi. Dio si è manifestato, rivelato, per entrare in comunione con l’umanità, per fare alleanza con gli esseri umani, per comunicare loro la sua pienezza di vita: per entrare in conversazione con loro in un dialogo reciproco (cf. DV 2).[2]

Da una parte, va avanti la volontà salvifica universale di Dio; dall’altra, cammina nella storia il piccolo popolo messianico, sacramento, cioè germe, segno efficace della salvezza offerta a tutti. Proprio il Concilio Vaticano II ci ha aiutato a uscire da un rapporto dualista «Chiesa-Mondo» per avviarci a un rapporto ternano «Dio/Regno-storia/umanità-Chiesa» in una ten­sione escatologica, nel «già» e «non ancora», per portare a suo compimento la storia come storia di alleanza. La missione della Chiesa, come di ogni comunità ecclesiale, è di manifestare il Regno – la presenza di Dio, la sua «sovranità» paradossale – già presente nella nostra storia.

La Chiesa è per forza «in uscita»; non ha il suo scopo in se stessa. La sua natura è di per sé «rivolta» verso l’intera umanità, per aiutarla a compiersi secondo il progetto di Dio. A questa missione dell’ecclesia tutti i battezzati sono chiamati essendo stati visitati da Dio che è venuto incontro a loro nel Cristo e con il suo Spirito. Tutti partecipano alla comunione di grazia nella Chiesa; tutti sono stati resi partecipi del suo ministero, della sua diaconia, in virtù del loro battesimo e ognuno secondo i suoi carismi. Si può quindi parlare legittimamente di «corresponsabilità battesimale di tutti».

Tutti prendono così parte alla missione del corpo ecclesiale di cui Cristo è il capo (cf. CIC, c. 204). Tutti beneficiano dell’assi­stenza dello Spirito Santo e si nutrono della sua luce e della sua forza. Tutti sono formano la comunità di discepoli-missionari. Tutti sono Chiesa «in uscita», cioè la comunità di coloro «che prendono l’iniziativa, che si coinvolgono, che accompagnano, che fruttificano e festeggiano» (EG 24).

  1. La collaborazione ministeriale di alcuni: i ministeri, nella Chiesa e per la sua missione

I ministeri si iscrivono nella comune responsabilità di tutti, vale a dire nella comunione della Chiesa (in latino cum-munus, che sug­gerisce l’idea di partecipazione e responsabilità al dono-compito). Si situano come servizio di quanto la comunità è chiamata a essere e a fare. Sono da comprendere e da attuare nella Chiesa, per essa e da essa.

In questo senso, il legame tra corresponsabilità battesimale di tutti e collaborazione ministeriale di alcuni è costitutivo del dispiegarsi del mistero della Chiesa – mi­stero di alleanza per e con l’umanità -, cioè dello svolgimento della sua missione. Il legame fra tutti e alcuni è propriamente «simbolico» (in greco: συμβάλλειν, tenere insieme). L’unità viene però assicurata dal Cristo, capo del suo corpo ecclesiale di cui i fedeli sono mem­bra, con i loro pastori, nonché con i diaconi. Questo legame – tutti e alcuni – è paradigmatico perché offre il modello normativo che struttura ogni comunità ecclesiale.

Fra gli alcuni ci sono principalmente i ministri ordinati: vesco­vi, presbiteri e diaconi. Ma il ministero ordinato non esaurisce tut­ta la realtà ministeriale della Chiesa. Ci sono anche i ministeri affidati a dei laici, impegnati a titolo volontario nella vita ecclesiale oppure stipendiati come operatori pastorali: tutti partecipano «più da vicino» alla responsabilità pastorale (cf. AA 24; ChL 24). La di­versità e la complementarità dei ministeri fanno sì che la comunità ecclesiale possa assumere la sua missione nel mondo, il suo servizio, la sua diaconia.

L’ordinazione è un’investitura sacramentale, mediante l’imposi­zione delle mani e l’epiclesi accompagnata dalla preghiera consacratoria. Questa è specifica per ogni grado del sacramento dell’ordine. Ma tutti e tre i gradi sono istituiti nel ministero «apostolico», nel senso che s’iscrivono nella scia della missione affidata da Gesù Cri­sto ai dodici apostoli e in riferimento quindi alla fede apostolica, cioè l’apostolicità delle origini. Il sacramento dell’ordine conferisce la grazia per il ministero corrispondente ai rispettivi gradi, episco­pato, presbiterato e diaconato. Ma nei tre casi, coloro che la Chiesa chiama sono presi in tutta e per tutta la loro vita, in maniera irrever­sibile, essendo il dono di Dio senza pentimento (Rm 11,9).

Vengono collocati in modo nuovo nella Chiesa; rimangono membri del popolo di Dio, iscritti nella fraternità ecclesiale, e allo stesso tempo sono posti di fronte ai loro fratelli e sorelle, come in un faccia a faccia, al fine di significare loro che la Chiesa viene (si mantiene) da Cristo attraverso lo Spirito.

Il vescovo riceve il «ministero della comunità», che esercita con l’aiuto del presbiterio e dei diaconi (cf. LG 20). Mediante la pienez­za del sacramento dell’ordine, che ha ricevuto al momento della sua consacrazione episcopale, egli intreccia e unisce la duplice mediazione sacerdotale e diaconale al servizio della Chiesa in quel luogo, il sommo sacerdozio e la realtà totale (la somma) del ministero (cf. LG 21). A questo riguardo è significativo ricordare che, nel rituale delle or­dinazioni, i presbiteri e i diaconi vengono chiamati «com-ministri» in relazione al vescovo. È importante sottolineare l’articolazione del presbiterato e del diaconato con il ministero episcopale, tutti e tre al servizio della Chiesa locale, sotto la guida del suo pastore, il vescovo, il cui ministero è di legare, anzi di mettere in comunione, la Chiesa particolare a lui affidata con tutta la Chiesa.

L’episcopato e il presbiterato sono ministeri pastorali di pre­sidenza del corpo ecclesiale. Come il vescovo, i preti significano e realizzano la sola e unica mediazione sacerdotale di Cristo, capo del corpo ecclesiale edificato dallo Spirito Santo. Mediante il loro ministero sacerdotale, il vescovo e i presbiteri sono al servizio del sacerdozio di Cristo che porta i battezzati a diventare un popolo sacerdotale. La loro presidenza è di conseguenza eucaristica. Ma il corpo ecclesiale loro affidato è chiamato a essere profetico e regale. Tutti i fedeli sono stati segnati dallo Spirito Santo come discepoli missionari per portare la storia al suo compimento nella riconcilia­zione di tutta l’umanità.

  1. Il ministero apostolico dei diaconi a servizio della fede vissuta

«In comunione con il vescovo e il suo presbiterio» (LG 29), i diaconi compiono così il loro ministero in qualità di ausiliari del ministero sacerdotale di presidenza del vescovo e dei presbiteri (CCC 1997, n. 1554) e, allo stesso tempo, sono a servizio del sacerdozio comune per tutto il corpo ecclesiale. Secondo la bella formula del rituale di ordinazione, i dia­coni sono chiamati a compiere la loro funzione «con carità e sempli­cità di cuore, per aiutare i vescovi e i suoi sacerdoti e fare progredire il popolo cristiano».[3] Essi esercitano il loro ministero nei tre ambi­ti o «diaconie» della Parola, della liturgia e della carità. Lo fanno in funzione delle necessità locali a giudizio del vescovo diocesano. Operano nella pastorale ordinaria o negli avamposti della missione, laddove lo richiede la sollecitudine pastorale.

D’altronde, uno dei frutti dell’evoluzione dottrinale postconciliare[4] è stato l’affermazione chiara e netta della sacramentalità del diaconato all’interno del sacramento dell’ordine. Questa affermazio­ne è il risultato dell’approfondimento di temi quali il carattere inerente al sacramento dell’ordine e alla configurazione a Cristo servo. Come gli altri ministeri ordinati – e, in fondo, tutti i ministeri nella Chiesa -, il diaconato contribuisce così alla strutturazione gerarchica della Chiesa che si mantiene nel rappor­to simbolico esposto prima: alcuni significano e realizzano ciò che tutti sono chiamati a vivere.

Ora, il sacramento dell’ordine è legato a un’istituzione da par­te di Cristo, attestata e trasmessa dagli apostoli. Con questo sacra­mento, dei battezzati vengono posti dalla Chiesa in riferimento alla scelta e all’invio dei Dodici per opera di Cristo e al contempo dotati della grazia «per servire la Chiesa e per radunarla nello Spirito Santo per mezzo del vangelo e dei sacramenti».[5] Nella successione del compito degli apostoli, i vescovi – e i loro col­laboratori nel ministero [com-ministri] presbiteri e diaconi – non creano l’apostolicità della fede: la ricevono dalla Chiesa, la atte­stano, la garantiscono.

Ma l’apostolicità della Chiesa che confessiamo è realtà pre­cedente: è la Chiesa che vive della fede degli apostoli non solo in riferimento all’apostolicità della fede delle origini – a monte – ma nella tensione del compimento della testimonianza evangeli­ca – a valle -, essendo già la Chiesa apostolica, ma non ancora pie­namente, perché il vangelo è sempre da annunciare in circostanze nuove, a seconda delle necessità della missione. L’apostolicità del ministero presuppone quindi l’apostolicità della fede e della Chiesa che l’annuncia, la celebra e ne rende te­stimonianza al servizio del mondo. Il sacramento dell’ordine custo­disce l’apostolicità dell’annuncio che fa Chiesa: questo annuncio si svolge «tra le due venute del Cristo».

Come gli altri gradi del sacramento, in virtù dell’ordinazione, occorre riconoscere anche il diaconato come «sacramento del mini­stero apostolico» (CCC, n. 1536). Esso fa parte integrante del mi­nistero della successione apostolica: i diaconi partecipano a modo loro alla missione che gli apostoli e i loro successori ricevettero da Cristo.[6] Ecco una prima conseguenza dell’affermazione della sacra­mentalità del diaconato.

Se il vescovo e i presbiteri custodiscono l’apostolicità nella presidenza della comunità loro affidata, sul fondamento della fede professata, essendo l’eucaristia da loro presieduta espressione sa­cramentale della comunione ecclesiale, già avviata ma non ancora pienamente compiuta, i diaconi contribuiscono, per la loro parte, all’annuncio che fa Chiesa essendo garanti dell’apostolicità della fede vissuta mediante la «triplice diaconia della Parola, della liturgia e della carità». Esercitano il loro ministero laddove lo richiede la sollecitudine pastorale a seconda delle necessità della missione in quel luogo – nella pastorale ordinaria o negli avamposti della missio­ne – per condurre l’insieme del popolo di Dio alla diaconia. Ciò che specifica il loro ministero, in rapporto ai servizi o ai ministeri assunti dai laici, è proprio la loro qualità di garanti dell’apostolicità della fede vissuta.

Certo, la triplice diaconia non si riduce al servizio liturgico, an­che se in esso principalmente, ma non esclusivamente, il ministero trova la sua visibilità come servizio del sacerdozio comune dell’assem­blea – stimolando la partecipazione di tutti e animando la preghiera dei fedeli – e come servizio al ministero sacerdotale del vescovo e dei presbiteri, essendo i diaconi loro ausiliari nel servizio dell’altare affinché l’eucaristia sia celebrata in verità, per giungere alla diaconia di tutti nell’attesa del compimento del Regno.

Il ministero dei diaconi si iscrive nel dono di sé che il Cristo fa di se stesso nella forza dello Spirito, venuto non per essere servito, ma per servire e dare la sua vita (cf. Mc 10,45). È una conse­guenza della configurazione sacramentale mediante il carattere al Cristo «servo». E, ad essere precisi, la radice dei termini diakonia/diakonos in greco rimanda all’idea di essere e agire nel nome di un altro, «in­termediario tra», «al servizio di altri». In tal senso conviene tradurre diakonos non con «servo» o «servitore», ma con «dispensatore» o meglio ancora con «inserviente», colui che intraprende un’azione in nome di un altro mettendo a disposizione di altri ciò che ha rice­vuto.

Il Cristo è per eccellenza questo servo nella sua missione di mediatore dell’amore del Padre nei confronti del mondo: trasmette certo ciò che lui stesso ha ricevuto – la vita o comunione di grazia del Padre -, ma nel contempo trasmette se stesso dando la sua vita, anzi donando se stesso. Mette così in risalto l’origine (il Padre) e i destinatari (gli uomini), invitati da parte loro a entrare nel dono del Figlio mediante il suo Spirito. Serve così – donando se stesso – la ri­velazione di colui che, in virtù del suo Spirito, l’ha mandato e l’ha investito con la sua autorità. Configurati al Cristo «inserviente», i diaconi «servono» come lui donandosi con la grazia dello Spirito;[7] manifestano anche loro la logica del dono. Il «servizio» portato avanti dai diaconi suggerisce l’originalità del loro ministero, che s’incrocia con quello sacerdotale dei pastori. Non c’è eucaristia senza lavanda dei piedi.

[1] Cfr. Alphonse Borras, professore emerito all’Università Cattolica di Lovanio.

[2] Ecco il suo «mistero» svelato nella storia dall’alba della creazione, poi nell’Anti­co Testamento attraverso alleanze successive, per essere manifestato nell’incarnazione di suo Figlio – sua Parola -, cioè nella vita, morte e risurrezione di Gesù, e con la comunicazione del suo Spirito di santità. Ecco la «buona novella»: l’umanità è stata visitata da Dio per (ri)stabilire gli esseri umani nella loro dignità e per renderli partecipi della sua divinità. Era la sua volontà dall’inizio della creazione.

[3] E’ la seconda domanda che il vescovo fa nell’ordinazione agli ordinandi diaconi; cf. pontificale romano, L’Ordinazione del vescovo, dei presbiteri, dei diaconi.

[4] Si sono ormai chiariti temi come il carattere (Sacrum diaconatus ordinem nel 1967 Ad pascendum nel 1972), la configurazione al Cristo o il ministero nel nome di Cristo (CCC del 1997; Direttorio e Ratio fundamentalis nel 1998), per cui i diaco­ni ricevono la forza per servire il popolo di Dio (CCC e nuovi canoni 1008 e 1009) in modo che non ci sono più motivi gravi per contestare la sacramentalità del diaconato.

[5] Questa bella espressione proviene dall’esortazione apostolica post-sinodale Christifideles laici, n. 22.

[6] Cf. commissione teologica internazionale (CTI), II diaconato. Evoluzione e prospettive.

[7] Cf. LG 29a. Si veda la preghiera consacratoria dell’ordinazione dei diaconi che chiede che sia mandato su di loro lo Spirito per fortificarli nell’esercizio fedele del ministero.