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Università, le sfide di un nuovo anno che inizia in una Cremona non solo da abitare, ma da vivere

A fine agosto le sedi universitarie hanno riaperto i cancelli per un nuovo anno accademico. È l’occasione per qualche riflessione insieme a don Maurizio Compiani, incaricato diocesano per la Pastorale universitaria.

 

Terminano le lezioni a distanza

Gli Atenei della Lombardia hanno deciso che in questo nuovo anno le lezioni non saranno più accessibili via streaming. Di per sé è un buon segnale: pur con tutte le cautele del caso, il ritorno alla presenza in aula sembra indicare il superamento della fase pandemica.

Seguire le lezioni da casa si era rivelata una necessità, soprattutto nel primo anno della pandemia. Con un notevole investimento economico gli atenei hanno provveduto alla strumentazione e hanno impegnato i docenti a familiarizzare con i nuovi mezzi. In questo modo, nonostante la chiusura delle sedi, lo streaming ha permesso di continuare l’insegnamento e anche di svolgere gli esami. Già nel secondo anno, però, sono emerse alcune criticità: molte facoltà necessitano di ore di laboratorio o di un tipo di esercitazioni non attuabili attraverso lo streaming. Inoltre si è constatato un progressivo abbandono da parte degli studenti nel seguire le lezioni a distanza: indubbiamente le molte ore passate al computer risultavano essere più stancanti, con conseguenze negative sulla voglia di studiare, l’umore e la socializzazione. D’altra parte molti docenti hanno trovato serie difficoltà a “inventarsi” un nuovo modo di insegnare che la tecnologia richiede. Infine, lo streaming non ha comunque risolto le difficoltà a interagire durante le lezioni tra docente e più studenti e tra gli studenti fra di loro. È risultato così evidente che questo importante strumento in troppi casi ha facilitato un abuso, lasciando i docenti a fare lezioni davanti a uno schermo con tanti pallini vuoti, telecamere spente, e senza ottenere alcuna risposta.

Un ulteriore riscontro si è avuto la scorsa primavera. Il graduale e facoltativo ritorno in presenza, ancora modulato secondo le direttive sanitarie, se è stato salutato da molti come un ritorno a nuova vita, un tornare a respirare dopo un periodo di soffocamento, ha portato invece molti altri a restare comunque assenti dalla vita dell’ateneo, come ormai assuefatti a una misura che doveva essere solo emergenziale.

Dunque la scelta attuale degli atenei è motivata. Ma si tratta di un semplice ritorno al passato? Non credo. Pur rinunciando allo streaming, le attrezzature acquisite restano mezzi straordinari per la docenza e lo studio. Molti atenei hanno infatti optato per la registrazione delle lezioni, che potranno essere visionate in differita da studenti lavoratori, o in casi di malattia o comunque da tutte quelle situazioni di oggettiva difficoltà a cui finalmente è ora possibile far fronte. Resta evidente, comunque, il convincimento che “l’esperienza universitaria” non può ridursi a questione di mera “docenza” da impartire. L’universitas in cui si approda varcando le soglie di un ateneo implica una socialità e una prossimità che non collima con la realtà virtuale, per quanto vasta essa sia. È importante il “luogo” fisico, è importante la concretezza dell’“esserci” e del “viverci”, è importante il “tempo” che lì si dilata e che spinge a riflettere senza trovare sempre risposte immediate. È importante la comunità umana fatta di “carne” che lì si incontra. La meraviglia del web apre infinite possibilità ma non supplisce questo modo ritrovarsi e questo tipo di condivisione.

 

Questione alloggi: a che punto siamo?

Don Maurizio Compiani

La domanda supera le offerte disponibili. Preoccupano inoltre i rincari che si prospettano. Il rischio è che molti giovani debbano rinunciare non semplicemente a raggiungere Cremona per gli studi, ma a frequentare una qualunque università. Succede sempre così: le università seguono inevitabilmente le contrazioni dell’economia. Quando si vivono momenti di grave crisi economica le famiglie faticano e per molti l’università cessa di essere una opzione percorribile. Quando invece l’economia cresce anche le università divengono terreno più appetibile e raggiungibile. Una tale condizione richiede politiche sapienti e a lungo termine. In grandi città, come Milano, gli atenei cercano di intervenire in questo ambito sostenendo convenzioni e accordi con varie realtà per un housing sociale – come si usa dire oggi – di edilizia universitaria. Cioè, grazie ad agevolazioni per il recupero e la valorizzazione del patrimonio immobiliare esistente tese a creare nuove comunità di studentati, cercano di promuovere servizi abitativi basati sulla sostenibilità dei costi di locazione, con affitti calmierati. Se non a tutti, una tale misura permette per lo meno a molti (famiglie di reddito medio-basso) di affrontare una tale spesa che diversamente non potrebbero permettersi. In città minori come la nostra, dove le sedi universitarie sono più piccole e hanno minore forza d’azione, la questione si fa più complessa e richiede una maggiore concertazione tra atenei, pubblico e privato non facile da costruire e spesso con tempi lunghi. Mentre a Cremona proseguono i lavori di ristrutturazione della ex caserma Manfredini, nei cui spazi approderà la nuova sede del Politecnico e un convitto di circa centocinquanta posti, la Diocesi si è mossa con sollecitudine. Attraverso alcuni enti che a lei fanno capo, si sono realizzati alcuni “segni”: opere concrete che, entro il mercato e le dinamiche che lo agitano, pur non avendo la pretesa di risolvere il problema abitativo degli universitari in città, sono indicatori per tutti di una direzione che è possibile intraprendere: valida economicamente, valida socialmente e perfino eticamente se fatta seriamente. Alle ormai storiche residenze universitarie (Collegio Quartier Novo in via santa Maria in Betlem, i Barnabiti in viale Trento Trieste, il pensionato Figlie del Sacro Cuore in via Gerolamo da Cremona e Casa di Nostra Signora in via Ettore Sacchi), infatti, gestita dal Seminario si aggiunge la Residenza Sant’Angelo, in via Sabotino, che prossimamente aprirà anche una mensa per universitari esterni. L’unità pastorale Mazzolari ha risistemato un appartamento di proprietà nel convento di Sant’Ambrogio adeguandolo alle necessità di sei studenti e, inoltre, ha allestito una aula-studio, gestita dai giovani stessi in accordo con il parroco. Infine, nella linea dell’housing, Caritas Cremonese a giorni aprirà la Casa San Facio in via Martiri di Sclemo: composta da nove appartamenti di diverse metrature, la casa verrà ufficialmente inaugurata il 13 novembre, festa di sant’Omobono.

 

Non solo abitare, ma vivere a Cremona!

Per un giovane universitario non si tratta semplicemente di “abitare” a Cremona, ma di “vivere” la città. Ma quanto e cosa essa sa offrire? Complice la pandemia prima e ora le minacciose nuvole dei rincari, pur guardando con interesse alla crescita di questo settore giovanile, il mercato, l’industria del tempo libero, le dinamiche tra pubblico e privato, appaiono ancora restie a investire con coraggio su tale fronte in progetti diversificati e ad ampio raggio. Soprattutto fatica a emergere una regia autorevole in grado di far dialogare e interagire fra loro gli operatori degli ambiti sportivi e ricreativi, gli enti culturali e sociali, i commercianti e i ristoratori, gli atenei e gli stessi universitari perché emergano proposte condivisibili e attuabili per meglio “vivere” la città e rendere al contempo i nuovi venuti coprotagonisti di tale processo. Cremona ha certamente il fascino della città tranquilla e un po’ sorniona, fatto di abitudini che si ripetono e di tempi rallentati, ma agli occhi di un giovane un tale panorama ha bisogno, per lo meno, di qualche guizzo fatto di proposte belle, fresche, innovative, alla portata delle tasche di studente e, possibilmente di valore. In tale ambito anche la dimensione religiosa non è trascurabile. Per ora la questione è stata sottoposta in alcune occasioni alla riflessione dei sacerdoti delle parrocchie cittadine cercando un qualche coinvolgimento degli oratori e della pastorale giovanile. I risultati non sono stati molto incoraggianti, ma forse è la stessa pastorale zonale che, più in generale, necessita di una rifondazione. D’altra parte bisogna riconoscere che il clima un po’ rassegnato, i cali numerici e i problemi che di continuo emergono sui tanti fronti delle nostre comunità cristiane non aiutano a porre l’attenzione su una “nuova” questione la cui problematica viene ad aggiungersi alle tante in corso. Del resto rimane la domanda: ma cosa può fare concretamente una parrocchia da sola? I giovani universitari che approdano a Cremona da tutta Italia e dall’estero non conoscono e non sanno che farsene dei confini parrocchiali, di calendari pastorali fatti di orari consoni ai ritmi di un tempo che fu, di iniziative per i soliti (quando ancora ci sono…), eppure nella loro nuova esperienza cercano punti di riferimento significativi, amano momenti di incontro alla loro portata, aspirano a tessere relazioni informali più che istituzionali. Non vogliono che qualcuno “organizzi” la loro vita, hanno già un trend impegnativo dettato dagli studi. Sanno invece apprezzare persone e opportunità che contribuiscono a rendere il loro “abitare” un “vivere” familiare. Ed è questo stile di accoglienza oggi ad interpellarci.

Don Maurizio Compiani
Incaricato diocesano Pastorale Universitaria