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Una nuova Casa per il clero

La vita del sacerdote è intensa, intensissima, un dono costante di sé al servizio della gloria di Dio e della propria comunità. Ma che cosa accade quando diventa anziano o quando si trova in una situazione di fragilità o malattia che gli rende impossibile continuare ad amministrare una parrocchia o servire una comunità a tempo pieno? Proprio per rispondere a queste necessità a Cremona nel 1991 è sorta, all’interno di una splendida dimora alla periferia della città, di proprietà della Società di mutuo soccorso e previdenza tra i sacerdoti diocesani, la residenza «Casa Flaminia». Villa Flaminia fu la storica dimora del colonnello Tonghini, dalla cui moglie prende il nome. Proprio le figlie Luisa e Cristina Tonghini, entrambe molto religiose e sempre molto generose con la Chiesa diocesana (tanto che fecero fondere l’oro di famiglia per realizzare un calice e una pisside per la Cattedrale) lasciarono villa e parco circostante alla Società di mutuo soccorso che trasformò la struttura con miniappartamenti per i sacerdoti anziani autosufficienti. A trent’anni dall’apertura di questo luogo di accoglienza le esigenze però sono cambiate. La Diocesi vuole promuovere sempre di più per un cammino di comunione tra i sacerdoti che accompagni tutta la vita. Nelle unità pastorali viene incoraggiata la condivisione di vita tra i presbiteri anche per far fronte all’isolamento che molti preti sperimentano. Per questo la Diocesi, in collaborazione con il Seminario vescovile, ha pensato a una nuova realtà di accoglienza, la «Casa del clero», realizzata all’interno dello stesso Seminario. Un’intera zona della struttura di via Milano è stata dunque destinata a questo scopo: qui i sacerdoti più anziani, ancora autosufficienti, o bisognosi di periodi di riposo, potranno rimanere in contatto non solo con i giovani seminaristi ma anche con gli studenti delle realtà educative presenti nel complesso, dalle scuole elementari al liceo. Condividendo gli spazi e la fraternità anche con altri sacerdoti più giovani, in servizio in realtà cittadine o del circondario e residenti in Seminario.

A raccontare che cosa significhi questa esperienza è proprio uno degli ospiti della struttura, don Bernardino Orlandelli: «Per me vuol dire bellezza, ma armonizzata nell’essenziale – afferma –. In questo contesto diventa importante il rapporto tra di noi, perché non siamo fatti di stelle ma di carne e sangue. Dunque un dialogo comune tra noi e la realtà dei seminaristi è una grande occasione. Possiamo aiutarci, se saremo capaci di realizzare una relazione che sia dono reciproco».

«La nuova Casa del clero permette a noi seminaristi – conferma Paolo Zuppelli – di ricevere da loro un dono di maturità e di esperienza sacerdotale e a loro di continuare a vivere quell’esperienza di comunità che hanno fatto nel corso di tutto il loro ministero, nel corso del loro servizio. In questo senso il Seminario viene visto sia come punto di formazione per i nuovi preti ma anche come luogo di accoglienza per chi ha terminato il proprio compito nelle realtà parrocchiali, perché possa continuare a vivere una vita di fraternità».

​​​​​​​«Riunire sacerdoti come noi che non svolgono più un servizio in  parrocchia è una buona iniziativa – sottolinea anche don Franco Morandi – perché così evitiamo di disperderci. È un modo nuovo di ritrovarsi, di essere come una famiglia. E il potersi ritrovare con i seminaristi, e non solo tra noi sacerdoti, contribuisce a farci sentire vivi. Quello che abbiamo ricevuto dobbiamo donarlo, non serve tenerlo per sé. Bisogna comunicarlo».

 

La presentazione della Casa del clero all’interno della seconda puntata del Giorno del Signore