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Una chiamata a seminare speranza

 

“Chiamati a seminare la speranza e a costruire la pace”. Questo il titolo del messaggio di Papa Francesco per la 61ª Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni che la Chiesa celebra domenica 21 aprile. “Creare casa” è poi lo slogan della giornata, con un chiaro riferimento al punto 217 della Christus Vivit. Un richiamo altrettanto evidente è alla quotidianità, dimensione ripresa più volte anche dal Pontefice nel suo augurio rivolto all’intera comunità cristiana.

L’attenzione alla vita di tutti giorni è stata messa in primo piano anche dagli ospiti della nuova puntata di Chiesa di casa, il talk settimanale di approfondimento della Diocesi.

«È nella vita e alla vita di tutti i giorni che il Signore chiama – ha raccontato il diacono don Valerio Lazzari, collaboratore dell’équipe diocesana di Pastorale vocazionale e che a giugno sarà ordinato sacerdote –. Se guardiamo ai primi discepoli è evidente: a semplici pescatori è chiesto di essere pescatori d’uomini». In questa dinamica, secondo Lazzari, «tutto fa parte del processo vocazionale. La nostra esperienza personale entra in gioco in modo deciso, perché i desideri e le aspirazioni si intrecciano con la nostra vocazione».

Il contatto con la realtà, dunque, risulta decisivo. Ed è questa la testimonianza del dottor Alberto Rigolli, medico cremonese con molte esperienze di missione all’stero con Medici per l’Africa Cuamm. «È bene tenere presente che parliamo di un cammino, quindi credo sia importante accorgersi che, nel proprio percorso di vita, ciò che si fa incontra, di giorno in giorno, desideri e aspirazioni. Il tutto senza porsi limiti eccessivamente rigidi e stretti, perché parliamo di qualcosa di dinamico».

Il cammino vocazionale, allora, è un percorso che prevede l’incontro con il mondo e, di conseguenza, con l’altro. «È innanzitutto nello sguardo del Signore – per suor Roberta Valeri, delle Suore Adoratrici del Santissimo Sacramento – che si comprende la propria vocazione e si affrontano gli ostacoli. Le relazioni vere e autentiche con chi ci sta intorno, però, sono un’occasione di apertura e confronto utile a superare le prove e le fatiche che fanno naturalmente parte del cammino».

E su quest’idea di condivisione si è articolata e conclusa l’intera riflessione degli ospiti, che la più volte hanno ribadito la centralità della presenza di compagni di viaggio con cui camminare. Una dinamica cui ha fatto riferimento proprio Papa Francesco, che nel messaggio per la giornata ha voluto sottolineare questo aspetto. “La Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni porta impresso il timbro della sinodalità: molti sono i carismi e siamo chiamati ad ascoltarci reciprocamente e a camminare insieme per scoprirli e per discernere a che cosa lo Spirito ci chiama per il bene di tutti”.

L’invito del Santo Padre è chiaro e netto, e fornisce una buona interpretazione di cosa significhi “creare casa”.




Con l’Università Cattolica una risposta alla domanda di futuro dei giovani

 

“Domanda di futuro. I giovani tra disincanto e desiderio”. È questo il titolo scelto per la Giornata nazionale per l’Università Cattolica 2024 che si celebra domenica 14 aprile nella sua edizione numero 100. Un richiamo forte, eloquente, alla realtà, che, però, non perde di vista il futuro, l’orizzonte verso cui i più giovani si dirigono.

Intervenuto alla nuova puntata di Chiesa di Casa, il talk di approfondimento della diocesi di Cremona, il professor Pierpaolo Triani – docente in Cattolica e membro dell’Osservatorio Giovani Istituto Toniolo – ha sottolineato come sia fondamentale «focalizzare l’attenzione sulle dinamiche giovanili di oggi per poterle comprendere: non possiamo pensare di lavorare con le nuove generazioni senza conoscerle davvero».

E alla luce di questo ha voluto più volte ribadire il ruolo dell’università e dei docenti, nel cammino formativo di ogni studente. «Il percorso universitario – secondo Triani – si caratterizza per un duplice movimento, di ampliamento e approfondimento. Da un lato vengono espansi gli orizzonti, dall’altro si scende nella specificità delle discipline. Nostro compito, come insegnanti, è quello di ricordare che l’università non è solo un fatto intellettuale, bensì un’esperienza di vita».

In questo senso il percorso formativo e di crescita ha una grande necessità a livello relazionale. Secondo il docente, infatti, «tutti noi portiamo fragilità emotive, che, talvolta, lo studio mette alla prova. Recuperare l’idea che, nelle relazioni, le fragilità possano essere sostenute è fondamentale. Anche noi docenti possiamo essere punti di riferimento, per dare la forza agli studenti di stare dentro l’impegno. L’obiettivo, allora, è riuscire a mettersi in sintonia con il cuore dell’altro».

È una riflessione seria e profonda quella del professor Triani, frutto di una lunga esperienza sul campo e nell’Osservatorio Giovani. A conferma del suo punto di vista, anche le parole di un giovane studente, Luca Fedele: «Il confronto con gli altri aiuta molto a vivere bene l’università, così come l’esperienza che sto vivendo nella Consulta Universitaria. Incontrare colleghi di altri atenei è sicuramente utile ad arricchire il mio bagaglio personale e relazionale».

Il cuore dell’Università Cattolica batte ormai da più di un secolo per i giovani e per l’intera società. La vera sfida sembra dunque quella di intercettare i desideri dei giovani per comprenderne il disincanto proponendo un cammino di crescita umana a trecentosessanta gradi.

 

Il 14 aprile la Giornata dell’Università Cattolica. Presidenza Cei: “I giovani cercano luoghi in grado di alimentare i loro desideri e che non soffochino la loro speranza”




Crescere insieme con “il bello dello sport”

 

“Mens sana in corpore sano”. Un detto latino sempre attuale, che richiama a una dimensione umana particolare, ovvero quella dell’attività fisica, sportiva. Molto spesso la si pensa legata quasi esclusivamente al mondo dei giovani, bambini e ragazzi, o dei professionisti. A ricordarne il valore autentico e profondo sono stati gli ospiti della nuova puntata di Chiesa di Casa, il talk settimanale di approfondimento della diocesi di Cremona, interamente dedicata allo sport.

«È certamente un impegno – ha spiegato Veronica Signorini, triatleta e nutrizionista – ma porta un valore aggiunto. Incentiva alla costanza, alla dedizione; aiuta ad organizzarsi e a fare ordine nella propria vita, a qualsiasi livello venga praticato».

L’attenzione all’impegno che lo sport porta con sé è certamente una questione fondante per qualsiasi disciplina. La dedizione che richiede è seria, soprattutto quando si hanno degli obiettivi. Da questa considerazione è nato, qualche anno fa, il libro Se aveste fede come un calciatore, di don Marco D’Agostino, rettore del Seminario di Cremona. L’idea dopo un incontro: «Osservando la grande motivazione che ho sempre visto in Alessandro Bastoni, che è stato mio alunno, ho notato alcuni parallelismi tra l’esperienza sportiva e quella di fede: la passione che lui ha sempre dimostrato, insieme al suo impegno, era sostenuta da una motivazione e un richiamo molto forti. Questi aspetti non sono particolarmente dissimili da alcuni aspetti della vita cristiana».

E sulla stessa lunghezza d’onda si è articolata anche la riflessione di Andrea Devicenzi, atleta paralimpico – celebre per le sue imprese in giro per il mondo –, coach e formatore. «La pratica sportiva prevede un cammino costante, ma fatto di piccoli passi, come la fede. Non si può pretendere di avere tutto subito, perché serve cura, attenzione, disponibilità ad accogliere imprevisti e fatiche. Ed è il cammino stesso a migliorare la performance e la vita dell’atleta, non semplicemente il raggiungimento dell’obiettivo».

Secondo gli ospiti di Chiesa di Casa, dunque, la vera essenza dello sport non risiede nel traguardo. Per Veronica Signorini, anzi, «quello di assolutizzare il fine è un rischio concreto. Penso soprattutto al mio lavoro da nutrizionista: c’è chi si fa prendere dalla smania del peso, dimenticando che quel valore in sé non conta nulla. Dietro a quella cifra c’è un insieme di cose che, invece, fa la differenza».

Il richiamo, dunque, è a uno sguardo più ampio, capace di cogliere il legame stretto tra attività sportiva, cura del corpo e vita. «Ho la fortuna di fare sport da quando ero piccolo – ha raccontato Devicenzi – e sono convinto che questo mi renda, giorno dopo giorno, un uomo, un marito e un padre migliore, perché mi dà la forza di affrontare i problemi, mi spinge a conoscermi meglio e mi stimola a cercare la parte migliore di me».

In questo senso, don Marco D’Agostino ha concluso con un appello al mondo adulto: «I nostri ragazzi hanno bisogno di vedere che ci interessiamo a loro, che la scuola ha a cuore, oltre alla didattica, anche lo sport che praticano. In questo modo capiranno che non si vivono vite diverse in base alla situazione, ma che tutti noi siamo chiamati a essere persone intese nella loro totalità, pur abitando realtà differenti».




Il Papa agli adolescenti a Roma: «Possiate essere “pietre vive” per costruire la comunità cristiana»

 

«Con la forza dello Spirito Santo, che nella Cresima vi conferma come battezzati, figli di Dio e membri della Chiesa, possiate essere “pietre vive” per costruire la comunità cristiana». L’augurio diretto di Papa Francesco ai quattrocento adolescenti delle diocesi di Cremona durante l’udienza generale di mercoledì 3 aprile in piazza San Pietro ha concluso il pellegrinaggio diocesano di tre giorni sulle orme dei primi cristiani e sulla bellezza di testimoniare la propria fede.

«Partecipare alla catechesi con il Papa è stata un’occasione preziosa come sempre», ha commentato don Francesco Fontana, incaricato diocesano per la Pastorale giovanile e vocazionale e guida del grande gruppo arancione che ha colorato le strade antiche e affascinanti della capitale. Per molti di questi ragazzi si è trattato della prima l’opportunità di vedere il Pontefice non soltanto da vicino ma anche di ascoltare la sua parola dal vivo e di farlo insieme a una piazza gremita di persone.

Proprio la sua breve riflessione è stata accolta con attenzione dagli adolescenti che hanno concluso gli anni della Mistagogia accompagnati dai loro sacerdoti e catechisti.

 

© Foto Vatican Media / Sir

 

Il Papa ha continuato il ciclo di catechesi sui vizi e le virtù, e ha incentrato la sua riflessione sul tema della giustizia, «la virtù sociale per eccellenza». Infatti, secondo Francesco, essa «non riguarda solo le aule dei tribunali, ma anche l’etica che contraddistingue la nostra vita quotidiana; stabilisce con gli altri rapporti sinceri: realizza il precetto del Vangelo, secondo cui il parlare cristiano dev’essere: sì, sì, no, no; il di più viene dal Maligno».

Prima della conclusione dell’udienza generale, con la recita del Pater Noster e la Benedizione Apostolica, Francesco ha rinnovato l’auspicio e la preghiera per la fine dei conflitti nel mondo raccontando la storia di giovane soldato morto in guerra in Ucraina a 23 anni e di cui aveva tra le mani il suo piccolo vangelo tascabile, invitando la piazza ad un momento di silenzio. 

 

Photogallery completa del terzo e ultimi giorno

 

Al termine dell’udienza generale, il Papa ha salutato di persona alcuni dei pellegrini presenti e tra loro don Francesco Fontana insieme ad alcuni collaboratori di Federazione Oratori Cremonesi, don Valerio Lazzari e don Giuseppe Valerio (i due diaconi che saranno ordinati sacerdoti l’8 giugno prossimo), il seminarista Leone Maletta e la novizia Bianca Donida, i quali gli hanno consegnato il libretto e la bandana arancione del pellegrinaggio.

«È stato un incontro molto cordiale: ha ascoltato chi eravamo e quando ha scoperto che eravamo di Cremona, ci ha ricordato che siamo bravi a fare il torrone – racconta don Fontana –. Gli abbiamo risposto che la prossima volta non mancheremo di portarglielo».

 

Il testo integrale della catechesi di Papa Francesco

 

I gruppi, infine, si sono ritrovati nel piazzale o all’interno della basilica di San Pietro per l’ultimo gesto: la professione di fede, accompagna dalla consegna ai ragazzi delle croci benedette da Francesco.

Poi l’inizio del viaggio di rientro e i primi bilanci. «Il camminare è il gesto tipico dei cristiani, i quali cercano di mettere le proprie orme su quelle di Gesù. L’itinerario, dal titolo “germogli di fede”, oltre a muoversi fisicamente in diverse tappe lungo Roma, puntava ad arrivare qui per accompagnare i ragazzi a pronunciare la loro fede, proprio in questo luogo della testimonianza dei primi cristiani e dove oggi la voce del papa risuona» riassume don Francesco Fontana.

Per Andrea, uno dei referenti del gruppo di Sospiro, «da questa esperienza spero di portare a casa la quantità necessaria di acqua per far sì che questi germogli possano rimanere in vita e, chissà, magari un giorno sbocciare». Lorenzo, educatore degli adolescenti di Maristella: «Li ho visti molto presi dalle iniziative della Focr e girando Roma abbiamo messo alla prova il nostro il nostro fisico e il nostro spirito. È stato molto interessante pregare insieme, accompagnati dalle parole e dall’esempio dei nostri don».

Grande soddisfazione tra i ragazzi per tutte le attività svolte e per il programma dei tre giorni; tratto comune tra le emozioni degli adolescenti è la visita alle splendide chiese della capitale.

«Mi è piaciuto tutto quello che abbiamo fatto – dice Gianluca di Viadana – perché siamo stati tutti insieme e abbiamo vissuto la parola di Gesù. Torno a casa con più cultura e con più spiritualità da coltivare».

Anche per don Giuseppe Valerio, dopo l’emozione della “benedizione speciale” del Papa in vista della sua ormai prossima ordinazione, è fondamentale la condivisione di quest’esperienza di fede con gli adolescenti: «Abbiamo pregato, riso e camminato insieme e questo fa bene a loro, ma fa bene anche soprattutto a noi che ci prepariamo a vivere questo ministero: perché non è un ruolo solo per te stesso ma è qualcosa che tocca la vita di tante persone e di tanti ragazzi. Qualcosa che mi è stato donato e che a mia volta devo donare agli altri».

Una fonte d’ispirazione per coltivare, curare e far crescere quei germogli verdi di fede delle giovani generazioni nella Chiesa cremonese.

 

 

Il video integrale dell’udienza (Vatican Media)

 

 

Adolescenti a Roma, la seconda giornata alla riscoperta dei Sacramenti

Adolescenti a Roma. La carica dei 400 sulle orme degli apostoli: il primo giorno tra pioggia, giochi e preghiera




In una Pasqua senza tregua, l’invito del vescovo Napolioni a «Fare Pasqua senza tregua!»

Una giornata di festa, nonostante il tempo uggioso e ventoso, con il cielo coperto dalle nubi di pioggia. Una giornata di felicità, malgrado il clima di guerra. Si è gioiosi perché si festeggia un nuovo inizio: «celebrare la Pasqua significa ricevere l’onnipotenza dell’amore che tutto rigenera», ha detto il vescovo Antonio Napolioni nell’introdurre la Messa Pontificale di Pasqua presieduta nella Cattedrale di Cremona nella mattinata di domenica 31 marzo. Insieme a lui hanno concelebrato i canonici del Capitolo con gli studenti di Teologia del Seminario diocesano che hanno prestato servizio all’altare.

Una domenica nella quale si invita a guardare al futuro e non più al passato; perché «le cose di prima sono passate e ne sono nate di nuove», come ha ricordato il Salmo nella Veglia di Pasqua. Si spiega così la visita nel mattino di monsignor Napolioni alla Casa circondariale di Cremona per la Messa di Pasqua concludendo idealmente l’inizia diocesana di carità per la Quaresima – “Dare speranza alla giustizia” – dedicata proprio al carcere di Cremona che al pranzo di Pasqua potrà contare anche sulla generosità di tanti che hanno voluto donare alcuni dolci pasquali alle persone detenute.

Lo stesso spirito con cui si è vissuta l’indulgenza plenaria concessa al termine della solenne celebrazione in Cattedrale e il rito dell’aspersione che ha aperto la celebrazione: «un nuovo inizio – ha affermato il vescovo – di cui il mondo intero ha bisogno. A cominciare da noi credenti».

L’energia di ricominciare a vivere si esprime con la musica e la lode: ecco, dunque, il ritorno dell’Alleluia già intonato nella Veglia notturna, il Gloria e i canti accompagnati dal maestro Fausto Caporali all’organo Mascuoni e dalla tromba di Giovanni Grandi, insieme al Coro della Cattedrale diretto da don Graziano Ghisolfi. «Siamo grati ai nostri musicisti e ai nostri cantori – ha detto il Vescovo nell’omelia – e immaginiamo quanta altra bellezza in queste ore si stia sprigionando nella liturgia cristiana, dalla più solenne alla più semplice, con quell’Alleluia instancabile che vogliamo vinca i rumori di guerra e metta a tacere le nostre passioni violente».

Eppure, nonostante risuoni l’annuncio della Risurrezione dal Vangelo di Giovanni, «le nostre speranze di vivere una Pasqua di pace non si sono realizzate», ha aggiunto subito dopo il Vescovo. «Abbiamo fatto una “Pasqua senza tregua”: senza rispetto per i luoghi santi per le memorie dei cristiani, per il Ramadan dei fratelli musulmani, per lo Shabbat in cui i figli di Israele hanno imparato a condividere il riposo stesso di Dio». Questo cupo denominatore è la guerra. «Quando c’è la guerra si giustifica tutto, si dimentica tutto, si è accecati. C’è un odio e una violenza senza tregua. Ma non nascondiamo che anche nelle nostre vite personali e familiari questa Pasqua può essere stata senza tregua – ha continuato deciso il vescovo –. Le malattie non vanno in vacanza; le croci che si portano nel silenzio, magari nel giorno della festa, si sentono di più; certe solitudini o certe separazioni, la tristezza non può essere cancellata da uno squillo di tromba per quanto entusiasmante».

E allora quale risposta scaturisce dal celebrare la morte e risurrezione del Signore Gesù? Che cosa significa recarci anche noi alla tomba vuota e sentire l’invito a farci testimoni della sua risurrezione? La risposta è altrettanto netta: «È fare Pasqua senza tregua!» afferma con forza monsignor Napolioni. «Quello che sembrava un fallimento, per noi cristiani diventa un compito! Pasqua non è questo giorno, questo pranzo o questo pontificale. Pasqua e l’agire incessante di Dio dentro la miseria umana per rigenerare vita, amore e speranza!» Questo straordinario evento e appello «è il metodo di Dio e di coloro che credono in lui. Davvero ce la faremo insieme a lui se faremo Pasqua tutti i giorni». Quel sentimento di rinnovamento, «la possibilità di rigenerare il tempo, i cammini, le relazioni attingendo tutte le volte che vogliamo a quel mistero di corpo e di sangue che è il Cristo vivente tra noi», è prima di tutto «un cambiamento del cuore e della prospettiva interiore».

Fare “Pasqua senza tregua”, allora, è «mettere mano al cambiamento con pazienza, coraggio, umiltà, con lo Spirito Santo che ci viene donato con la comunità che ci circonda». Insomma, «il nostro destino è la trasfigurazione della vita». E ancora: «Ciò che è iniziato in noi è la fioritura dell’amore, è la possibilità di lasciare una traccia che non venga lapidata, ma venga valorizzata da coloro che hanno incontrato un briciolo d’amore nella nostra esistenza». Da qui la grande sfida, il compito dei cristiani: «se il mondo ci ha fatto fare una “Pasqua senza tregua”, faremo noi “Pasqua senza tregua” – ha affermato ancora il vescovo –, senza smettere di credere, di sperare, di amare, di ricominciare a cercare le cose di lassù e a farci plasmare dallo spirito del Signore ad andare incontro gli uni agli altri, a ricominciare relazioni di pace, partendo da chi ci sta accanto».

L’augurio pasquale di monsignor Napolioni, in definitiva, è quello di benedire il Signore anche in questo tempo, «perché egli ci è fedele, egli è misericordioso, egli è creativo e ci coinvolge in questa sua nuova creazione. Facciamolo con obbedienza, fiducia ed entusiasmo infantile innocente e disarmato e disarmante. E allora la pace verrà; a caro prezzo, come è avvenuto per Cristo Gesù, ma verrà».

La Messa si è conclusa con l’indulgenza plenaria annessa alla solenne Benedizione apostolica.

 

Il video integrale della celebrazione

 

 

«Siamo fatti per lodare Dio»: nella Veglia di Pasqua l’Alleluia diventa colonna sonora della vita

Colombe per la casa circondariale dalla Quaresima di Carità: «Non dimentichiamoci di chi vivrà la Pasqua da solo»

Gli auguri del Vescovo per la Pasqua: «Passioni da far morire e risorgere»




A Chiesa di Casa una Pasqua di rinascita

 

«La Resurrezione non è un avvenimento improvviso, ma è frutto di tanti piccoli passi che conducono dall’ombra della morte a una nuova vita». Con queste parole padre Francesco Zambotti, camilliano fondatore della associazione La Tenda di Cristo, ha sintetizzato quel grande desiderio di rinascita che la Pasqua porta con sé durante la nuova puntata di Chiesa di Casa, il talk di approfondimento della diocesi di Cremona. Alla luce della sua esperienza con le fragilità umane, il sacerdote ho sottolineato come «il buio non identifica una persona, ma spesso si è chiamati ad attraversarlo per giungere nuovamente alla luce».

Alle sue parole hanno fatto eco quelle di Silvia Corbari, coordinatrice di Casa famiglia Sant’Omobono, struttura dell’Azione Cattolica che a Cremona accompagna donne e madri in situazioni di difficoltà. «Chi arriva da esperienze di sofferenza e abbandono si sente circondato dalle tenebre, quindi non si aspetta di essere accolto e amato; non pensa di potersi fidare. Noi cerchiamo di dare speranza a chi l’aveva persa».

E proprio di speranza ha parlato Alessio Antonioli, del centro d’ascolto della Caritas diocesana. «È un cammino tortuoso, ma da percorrere insieme. Nel nostro piccolo, vediamo che le persone che incontriamo nutrono desideri concreti per il futuro, sognano un nuovo domani, sia per loro stessi, che, spesso, per le loro famiglie».

Ancora una volta, allora, la Pasqua diventa occasione per cogliere i segni di Risurrezione e rinascita nel mondo circostante, dando senso al cuore dell’esperienza di fede cristiana, ossia il Mistero dell’Incarnazione, di un Dio che abita la realtà in totale pienezza.




Quaresima di carità, oltre 500 colombe donate al carcere per dare speranza nella giustizia

Una giornata all’insegna della giustizia e della speranza. Nell’ambito delle iniziative promosse dalla Diocesi di Cremona in occasione della Quaresima di carità, che guarda alla Casa circondariale di Cremona, nella mattinata di mercoledì 27 marzo presso l’oratorio della Beata Vergine di Caravaggio, in viale Concordia a Cremona, Caritas Cremonese ha affidato agli agenti della polizia penitenziaria più di 500 colombe donate da venti parrocchie o unità pastorali della diocesi. Destinazione: carcere. I dolci pasquali, infatti, corredati da messaggi scritti da alcuni gruppi di catechismo, saranno consegnati alle persone detenute e al personale della struttura penitenziaria al pranzo di Pasqua quale testimonianza della vicinanza della Chiesa cremonese a chi trascorrerà la Pasqua in cella o al lavoro nelle diverse sezioni. Un gesto che farà seguito alla celebrazione che, proprio la mattina di Pasqua, il vescovo Antonio Napolioni presiederà presso la struttura di Ca’ del Ferro.

Nella stessa giornata don Pierluigi Codazzi, direttore di Caritas Cremonese e di Servizi per l’Accoglienza, e la direttrice della Casa Circondariale di Cremona Rossella Padula, hanno firmato un protocollo d’intesa per la promozione di lavori di pubblica utilità da parte dei detenuti che hanno i requisiti presso le strutture della Caritas diocesana. Il medesimo protocollo nei prossimi giorni sarà sottoscritto anche dalla Garante provinciale delle persone private della libertà personale, Ornella Bellezza.

Alla firma erano presenti anche il cappellano don Roberto Musa, suor Mariagrazia Girola di Servizi per l’Accoglienza e un rappresentante degli agenti della polizia penitenziaria. L’obiettivo dell’intesa è favorire, attraverso il lavoro, la formazione e il tutoring all’esterno del carcere, percorsi di rieducazione, recupero e reinserimento sociale dei soggetti detenuti in espiazione di pena definitiva. Queste attività, infatti, consentono di ridurre il rischio di recidiva, poiché pongono attenzione alla riparazione del danno conseguente alla commissione del reato, nei confronti della comunità, della vittima e dello stesso detenuto. Le persone detenute coinvolte potranno così svolgere attività di aiuto a soggetti fragili presso la Casa dell’accoglienza di Cremona attraverso la somministrazione di pasti, pacchi alimentari e di vestiario e collaborare con la Isla de Burro di Zanengo accudendo gli animali per la pet-therapy e pulendo e riordinando gli spazi. Per coordinare gli interventi, è stato costituito un apposito tavolo di coordinamento.

«I lavori di pubblica utilità – le parole della direttrice della Casa circondariale di Cremona, Rossella Padula, al momento della sottoscrizione del protocollo – sono importanti per i detenuti perché significa che hanno fatto una riflessione sul reato e sulla necessità di riparare al reato. Sono importanti anche per gli enti in cui i lavori si svolgono, in questo caso le strutture di Caritas cremonese, e per tutta la comunità».

«Si tratta di una bellissima opportunità – ha affermato don Pier Codazzi – perché offre la possibilità a chi ha commesso atti gravi e penalmente perseguiti di entrare in un circolo virtuoso, in un percorso positivo personale e di comunità. Quello che abbiamo firmato oggi è un atto importante di apertura, già sperimentato in passato, che viene reso ancora concreto e fattibile. Si inserisce nel contesto più ampio della Quaresima di carità che quest’anno pone al centro il tema della Giustizia. Grazie a tutte le persone e tutte le comunità che si sono fatte coinvolgere e in particolare a quelle che hanno donato ai detenuti un numero inaspettato di colombe. Un bel gesto verso povertà su cui non sempre viene posta attenzione».

 

 

Colombe per la casa circondariale dalla Quaresima di Carità: «Non dimentichiamoci di chi vivrà la Pasqua da solo»

“Dare speranza alla giustizia” per una Quaresima di carità




Giornata mondiale dell’acqua, uno dono e una necessità che chiede rispetto e responsabilità

 

È dedicata all’acqua, di cui il 22 marzo ricorre la Giornata mondiale, la nuova puntata di Chiesa di Casa, il talk di approfondimento diocesano. Un tema su cui si è riflettuto con il rettore del Santuario di Caravaggio, mons. Amedeo Ferrari, Alessandro Lanfranchi, amministratore delegato di Padania Acque, il gestore idrico del territorio, e il canottiere Simone Raineri, campione olimpico a Sidney 2000 e medaglia d’argento a Pechino 2008.

«L’acqua è un bene importantissimo: senz’acqua non ci sarebbe vita sul pianeta – ha ricordato l’olimpionico –, per questo bisogna rispettarla e darle il giusto valore. Purtroppo ultimamente non la si rispetta più». Un elemento prezioso, paragonato, seppur con costi nettamente differenti, al valore dell’oro, guadagnandosi così l’appellativo di “oro blu”.

E l’acqua ha un significato ancor più particolare al Santuario di Caravaggio, «perché ci rimanda al valore materiale, ma anche al senso della vita, e a qualcosa di più alto ancora», ha sottolineato il rettore del Santuario regionale della Lombardia citando le parole di Gesù: «Io sono acqua che sgorga». E se l’acqua è preziosa perché necessaria, «che cosa c’è di necessario, se non Dio?!».

«Le nostre terre sono terre d’acqua. La quantità di acqua che abbiamo è rilevantissima e non ci rendiamo conto di che cosa significhi esserne privi», ha evidenziato Lanfranchi. Con il pensiero rivolto poi ai circa 2 miliardi di persone che non hanno diritto e accesso a questo bene, ma anche al lavoro di chi, sul territorio, garantisce che arrivi nelle case di tutti. «L’obiettivo che abbiamo come azienda – ha aggiunto l’ad di Padania Acque– è quello di restituire l’acqua ai fiumi meglio di come l’abbiamo prelevata», «preservando la biodiversità delle nostre terre e garantendo il servizio a tutti».

Il fiume Po caratterizza la provincia di Cremona e la sua vita. Il Grande Fiume «ha sempre rappresentato pace e tranquillità», ha raccontato Raineri: «Va amato e rispettato. E dobbiamo insegnarlo anche alle nuove generazioni».

«L’acqua è un esempio di rigenerazione: è un fondamentale diluente, ma ha una capacità propria di rigenerarsi – ha detto ancora Lanfranchi –. Questo concetto lo abbiamo voluto applicare in Fondazione Banca dell’Acqua, che da un lato garantisce a chi è in situazione di morosità incolpevole di avere un diritto fondamentale come l’acqua, e dall’altra educa le persone al fatto che l’acqua è un diritto, ma non è gratuita». Uno scambio equivalente, attraverso il quale ogni persona, che magari non può pagare con i soldi, può farlo attraverso il proprio impegno e attraverso i propri talenti, sentendosi gratificata, coinvolta nella comunità e si vede ricambiata con il diritto a usufruire di questo bene fondamentale.

L’acqua come necessità, ma anche come dono. E allora, come ha sottolineato il rettore del Santuario di Caravaggio, proprio perché ricevuto chiede rispetto e responsabilità.




La visita pastorale a Malagnino ha aperto una strada lungo cui incontrarsi durante il cammino

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«L’importante non è camminare in mille direzioni diverse e disperdersi, bensì camminare per incontrarsi: con i piccoli, con i grandi, con le famiglie» verso quella meta da dove tutto è cominciato, «ovvero la grande festa della Pasqua e il desiderio di vedere Gesù».

Il vescovo Antonio Napolioni riassume con queste parole, durante la messa conclusiva, la sua Visita Pastorale nelle comunità di Malagnino avvenuta nell’ultimo fine settimana. Una serie di giornate «belle, intense ed emozionanti», ha commentato il parroco moderatore delle due parrocchie di San Michele Sette Pozzi e San Giacomo Lovara don Paolo Fusar Imperatore, nelle quali «c’è stata una serie di ottimi incontri e relazioni, sebbene “alla maniera di Malagnino”, coinvolgendo a poco a poco diversi gruppi di persone, che si sono lasciate attirare e coinvolgere». 

Filo conduttore della visita alle comunità, dunque, è stata l’esigenza di camminare insieme cercando di capire come discernere le azioni intraprese nel tentativo di allargare il proprio raggio di azione e trovare una direzione più funzionale alle proprie esigenze. «Un tema comune per le associazioni, per l’amministrazione e anche per i catechisti e volontari della parrocchia – ha ricordato don Paolo – e nello stesso tempo è emersa la ricerca di un sempre maggiore coinvolgimento delle famiglie giovani, tenendo conto di tutte le fatiche necessarie in questo impegno». 

I momenti più significativi di questi tre giorni in compagnia di monsignor Antonio sono stati l’incontro con i genitori e i bambini al sabato e l’appuntamento con le realtà sociali e di volontariato del territorio del venerdì sera. «Ogni associazione ha presentato il suo operato e ciò che ne è uscito è stata una maggior conoscenza anche da parte del vescovo dei numerosi legami territoriali; alcune di esse sono nate altrove o trovano energia altrove proprio nella necessità di allargarsi di tener vivo un loro progetto» ha spiegato il parroco. 

Circa ottanta persone, invece, tra adulti e bambini hanno poi partecipato «in modo molto sentito ed emozionato» alla serata con il vescovo, nel quale ha svolto un momento di riflessione animato da qualche attività e confronto. «Anche con i membri del consiglio pastorale e della parrocchia c’è stato l’ascolto della Parola in chiesa con contributi interessanti» sottolinea don Paolo. La scelta poi di lasciare molto tempo libero al vescovo tra un appuntamento e l’altro del programma si è rivelata vincente perché, secondo il parroco, «questo ha permesso a monsignor Napolioni di dialogare con tante persone; durante gli spostamenti a piedi in paese infatti molti che avevano voglia di parlare o salutare senza la fretta dell’orologio si sono fermati per scambiare qualche parola con lui». 

 

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Questo sentimento di unità nella quotidianità di una realtà “fresca” è stato ribadito dal vescovo come “appello” durante la Santa Messa conclusiva di domenica, concelebrata nella chiesa di San Giacomo Lovara da don Paolo Fusar Imperatore e dal parroco in solido don Eugenio Pagliari, autore dei volumi sulla storia di San Giacomo del Campo, strumenti preziosi per conoscere e conservare la memoria della comunità.

«Vi auguro di proseguire il cammino delle comunità e di amicizia con quelle vicine –  ha detto nell’omelia monsignor Napolioni – ci sono delle belle idee semplici, umili ma concrete, da portare avanti coi vostri sacerdoti, con le famiglie appassionate e giovani che avete la fortuna di avere in questo territorio. Facciamo davvero esperienza della vicinanza di Gesù, della Sua presenza viva». L’invito, dunque, è quello di creare legami più proficui in vista dell’orizzonte della gioia comune. «Il vescovo non dà certo una pagella o un giudizio alle parrocchie. Ho visto tante persone che servono la comunità cristiana, sociale e di paese; c’è quasi una gara a chi ne fa di più». Perciò «attenti che questa competizione non crei problemi: mettetevi d’accordo e fate sì che ci sia un guadagno per tutti» perché «si risvegli in me e in voi lo stupore per i segni nascosti, umili ma realissimi, della presenza di Gesù come il chicco di grano del Vangelo di oggi».

 

Il video integrale della Messa conclusiva




A Chiesa di Casa una riflessione sulla paternità: in famiglia, nella società e nella chiesa

 

«Il mio papà è un supereroe» è una frase che molti bambini, nel corso della loro vita, hanno pronunciato almeno una volta. Nei giorni che precedono san Giuseppe – la festa del papà – anche Chiesa di casa, il talk di approfondimento della Diocesi di Cremona, ha dedicato una puntata alla figura del padre.

«Una volta il mio primo figlio mi ha chiesto se fossi l’incredibile Hulk – ha scherzato Luca Maffi, papà e coordinatore a S. Giovanni in Croce della comunità Tenda 2 – ma non penso di rappresentare un eroe. Più che altro cerco di essere un esempio per i miei figli. Il mio esserci, il sostegno che cerco di dare loro vuole essere la testimonianza di una presenza che c’è ed è pronta ad accompagnare il loro cammino di crescita. A volte facendo anche un passo indietro».

Come per tante altre figure educative, anche per quella paterna vale allora un discorso di equilibrio tra presenza e assenza. Quest’ultima, talvolta, può diventare buio. A raccontarlo è Maria Acqua Simi, giornalista cremonese che ha perso il padre quando era al liceo. «È stato uno strappo violento, che ci ha fatto male. Eppure, in quella situazione è emersa un’attenzione particolare che i miei genitori hanno avuto nei confronti di noi figli: papà e mamma, insieme, hanno saputo affidarci a una provvidenza ancor più grande, a un amore che sapevano di non poter eguagliare. Molti volti, tra cui diversi sacerdoti, ci sono stati vicini, dimostrandoci cura e affetto paterni».

L’idea di una paternità che superi quella biologica è dunque molto rilevante. Nel caso dell’esperienza cristiana, si parla a tutti gli effetti di padri spirituali, ossia «compagni di viaggio che condividono una parte di cammino con coloro che sentono il bisogno di essere affiancati», secondo monsignor Dante Lafranconi, vescovo emerito di Cremona. «Il rimando immediato è all’unico vero Padre, di cui noi uomini cerchiamo di essere strumenti per il bene dei fratelli. La sfida più grande, spesso, è quella di saper aspettare, perché i tempi di Dio non sono i nostri. In questo senso Giuseppe è un grande esempio: in una situazione molto particolare, come quella che si è trovato a vivere, da uomo di fede ha saputo fidarsi della sua sposa e affidarsi pienamente al Signore».

Parlare di padri, allora, non significa solo celebrare dei supereroi. Le riflessioni emerse dalla nuova puntata di Chiesa di casa suscitano una riflessione seria e profonda sulla paternità – in tutte le sue forme – e sul suo ruolo nella famiglia e nella società.