1

Il grazie dell’arcivescovo Delpini ai Famigliari del Clero: «Per un prete sapere di poter contare su di voi è un grande dono»

Una disponibilità che rappresenta un modo per stare vicino a Dio servendo i preti. Ad offrirla sono i collaboratori famigliari del clero. Martedì 11 ottobre al Santuario di Santa Maria del Fonte, a Caravaggio, si sono ritrovati in circa duecento, provenienti da tutta la Lombardia e anche dal Triveneto in occasione del 70° di costituzione dell’Associazione Collaboratori Famigliari del Clero della diocesi di Milano, per una giornata all’insegna della preghiera e della riflessione, ma anche della voglia di stare insieme dopo il lungo periodo di restrizioni dovute alla pandemia.

Invitato speciale l’arcivescovo di Milano Mario Delpini che alle 10, presso l’auditorium del centro di spiritualità, ha aperto la giornata guidando una meditazione. Prima del suo intervento, i saluti di rito a cura di Maria Pia Caccia, presidente dell’Associazione Collaboratori Famigliari del Clero della diocesi di Milano, e dell’assistente diocesano milanese don Giuseppe Aloisio. Presenti fra gli altri anche l’assistente nazionale don Piergiulio Diaco, quello regionale don Irvano Maglia e la presidente nazionale Brunella Campedelli.

«Sento sempre di dover esprimere della gratitudine – ha esordito monsignor Delpini – nei confronti di voi che attorno a noi preti create un clima di famigliarità e un’offerta di disponibilità. Per un prete sapere di poter contare su una o più persone come voi è un grande dono».

Tre gli spunti di riflessione, incentrati su Nazareth, su Gesù nel suo ministero itinerante e su san Paolo, che secondo l’arcivescovo possono spronare il cammino dei collaboratori famigliari del clero. «Il periodo di Nazareth – ha spiegato – accompagna il figlio di Dio nell’essere figlio dell’uomo. Possiamo immaginare che gli anni di vita nascosta di Gesù a Nazareth facciano anch’essi parte dell’opera di salvezza anche se in quel periodo non gli vengono risparmiati momenti di tensione nella più santa delle famiglie». Come Maria e Giuseppe che, pur non comprendendo la risposta che Gesù diede loro quando, bambino, venne ritrovato ad insegnare al tempio, accettarono la loro responsabilità, anche i famigliari del clero debbono quindi porsi su questo piano.

Per quanto riguarda il secondo spunto, relativo al ministero itinerante di Gesù, «i vangeli – ha sottolineato l’arcivescovo – parlano anche delle persone che erano con lui. Non solo gli apostoli, ma anche le donne, che lo accompagnano fino alla scena del Calvario e per questo sono emblema di perseveranza e di umiltà del servire che è un modo di essere discepoli che non rivendicano i primi posti». Sottinteso: come i collaboratori famigliari del clero.

Della figura di San Paolo l’arcivescovo ha parlato per dimostrare come la missione non sia mai un‘opera solitaria. «Ovunque vada – ha concluso – Paolo stabilisce delle famigliarità. Il rischio è che il sacerdote venga considerato come qualcuno che fa tutto da sé. In realtà nessuno è solo se vuole essere in missione per il Signore perché la missione è sempre principio di rapporti famigliari».

Alle 11.30 l’arcivescovo Delpini ha presieduto la Messa in basilica. Nel pomeriggio, dopo il pranzo comunitario, i collaboratori famigliari del clero si sono ritrovati al centro di spiritualità per alcune testimonianze prima della conclusione della giornata con la recita del Rosario.

 

L’annata 2022/23 dell’Associazione cremonese

Il tema scelto per gli incontri dell’Associazione in Diocesi di Cremona, guidata dal presidente Cesare Fontana, seguirà nell’anno 2022/23 le indicazioni pastorali del Vescovo: ripartire da Betania, dove l’ascolto della Parola genera un nuovo stile di servizio. Gli incontri si svolgeranno in Seminario, nel consueto stile di ascolto e preghiera che generano l’impegno, secondo il seguente programma: 13 dicembre (con scambio di auguri natalizi) e 25 marzo nella festa dell’Associazione con la consegna degli attestati ai Familiari che da 25 anni seguono i loro preti ordinati nel 1998 (don Massimo Cortellazzi, don Alberto Martinelli, don Andrea Spreafico e don Pier Altero Ziglioli). Ultimo incontro il 9 maggio presso il Centro di spiritualità Piccola Betania alla BADIA di Bozzolo.

 

I 70 anni nell’Arcidiocesi di Milano

L’Associazione, presente in molte Diocesi italiane, a Milano è costituita da Gruppi che si ritrovano regolarmente a livello decanale o zonale per momenti di preghiera e di formazione, guidati dagli assistenti e dai responsabili.

L’Associazione sorse a Milano sorse nel lontano 1952. Fu legata all’opera di grandi sacerdoti ambrosiani che l’hanno accompagnata e seguita come padre Giuseppe Zanoni e monsignor Primo Gasparini. Essi assistevano e formavano i laici impegnati in un prezioso servizio ecclesiale accanto ai sacerdoti. Nel 1982 l’Associazione di Milano si unì alla nascente Associazione Nazionale, nata per l’impegno di laici – uomini e donne – che, rispondendo a una particolare chiamata, si dedicano al servizio delle molteplici realtà ecclesiali, in un rapporto di familiarità con il prete. La Chiesa approvò il primo Statuto dell’Associazione nel 1982.

Nel 2016, l’Associazione a livello nazionale ha concretizzato i primi risultati dell’impegno di revisione dello Statuto, adeguandolo ai cambiamenti culturali e sociali e mutando il nome in “Associazione dei Collaboratori Familiari del Clero”. Il testo è stato approvato dalla Conferenza Episcopale Italiana.




Caritas Cremonese, da 50 anni dalla parte degli ultimi

L’ascolto dell’altro sia lo stile di ogni comunità cristiana. In queste parole è racchiuso il cuore degli interventi di don Pierluigi Codazzi, incaricato diocesano per la pastorale caritativa, e Alessio Antonioli, del centro di ascolto di Caritas cremonese, durante la seconda puntata di Chiesa di Casa, il talk di approfondimento pastorale disponibile dal giovedì sera sui social diocesani e la domenica in tv su Cremona1 (ore 12.15) e TelePace (17.40). Ponendo il focus sul cinquantesimo anniversario della Caritas diocesana, è stato messo l’accento su tre questioni particolari: la tradizione, il territorio e il futuro.

«La nostra comunità ha una lunga storia di carità alle proprie spalle – ha esordito don Codazzi – e questo ci stimola a impegnarci in questa direzione». Un legame con la tradizione che è stato richiamato anche da Alessio Antonioli, che ha ricordato come «l’attenzione per l’altro, che tanti volontari e collaboratori ci hanno trasmesso, va di pari passo con un crescente bisogno di professionalità e impegno». L’impegno di Caritas sul territorio, d’altra parte, è davvero consistente «e non si limita semplicemente all’accoglienza di stranieri o senza tetto», ha sottolineato don Codazzi. Sono infatti molte le iniziative e proposte a livello diocesano, con un consistente numero di luoghi, e soprattutto persone, dedicati alla cura di persone fragili. «È l’ascolto dei bisogni del territorio – ha raccontato Antonioli – a portarci in questa direzione, perché spesso la nostra azione è una risposta a essi».

Proprio in questa direzione va l’apertura di Casa san Facio, con l’inaugurazione ormai alle porte. «Si tratta di una casa pensata per ospitare studenti universitari fuori sede – ha spiegato don Codazzi – che si pone come obiettivo quello di non essere un semplice studentato, ma un luogo di vera accoglienza e incontro». Una struttura per giovani, dunque, non può che stimolare ad alzare lo sguardo verso il futuro. «Per i prossimi cinquant’anni – ha concluso don Codazzi – ci auguriamo che quello della carità diventi sempre più lo stile delle nostre comunità cristiane». Alle sue parole hanno fatto eco quelle di Alessio Antonioli, che ha ribadito quanto «sia fondamentale la prontezza ad accogliere il domani, rendendosi disponibile a cogliere le necessità, sempre più complesse, di una società che cambia molto rapidamente».

Con la conclusione dei festeggiamenti per il cinquantesimo di Caritas cremonese, celebrati proprio nella seconda puntata di Chiesa di Casa – Il talk, per la Diocesi di Cremona è davvero il momento di guardare al futuro, con la consapevolezza che a fare la differenza sarà lo stile che ogni membro della comunità deciderà di adottare nelle proprie relazioni con i fratelli.




A Rivolta d’Adda la professione perpetua di suor Evelina Dabellani, il Vescovo: «Il trionfo della gratuità»

Una storia di dono, di gratuità e di bellezza. Una vocazione è tutto questo. Come quella di suor Evelina Dabellani, che nel pomeriggio di sabato 1 ottobre, nella chiesa della casa madre dell’Istituto della Suore Adoratrici del SS. Sacramento, a Rivolta d’Adda, ha emesso i voti perpetui di povertà, castità e obbedienza entrando definitivamente a far parte dell’ordine fondato da San Francesco Spinelli.

Per le Adoratrici un’altra professione perpetua dopo quella di suor Roberta Valeri del giugno scorso, entrambe originarie della diocesi di Cremona. Suor Evelina, classe 1966, nata a Casalmaggiore ma di fatto originaria di San Giovanni in Croce, ex geometra ed ex disegnatrice meccanica presso ditte del settore metalmeccanico, un’esperienza di vita comunitaria nella Ianua Coeli di Stilo de’ Mariani, ha pronunciato la formula di rito davanti al vescovo Antonio Napolioni che ha presieduto la Messa, iniziata alle 16.30 ed animata nel canto dalle voci dei cantori della corale di Pessina Cremonese. Diversi i sacerdoti presenti.

Fra i banchi, oltre ai famigliari di suor Dabellani, anche una delegazione proveniente dalla Calabria, dalla diocesi di Cosenza, dove la religiosa, che attualmente presta servizio nella casa di spiritualità delle Adoratrici di Lenno, sul lago di Como, risiedeva fino all’anno scorso.

Per il vescovo «la professione di oggi è il trionfo della gratuità». «Se agli occhi del mondo farsi suora o farsi prete – ha affermato nell’omelia – non comporta nessun guadagno, il cuore degli uomini è sempre alla ricerca di qualcosa che non si compra e non si vende». E ha proseguito rivolto proprio alla religiosa: «La tua storia, Evelina, sia quindi una storia di gratuità, di stupore e di bellezza. Come disse San Paolo a Timoteo, ce la farai se ravviverai il dono che ti viene dato. Non te ne vergognare, siine fiera e custodiscilo per mezzo dello Spirito Santo il bene che ti è stato affidato».

Dopo l’omelia, i riti tipici della professione perpetua: le risposte della religiosa alle domande del vescovo; la recita, da parte di suor Evelina, della formula di rito accanto alla superiora generale madre Isabella Vecchio («Io suor Evelina Dabellani, davanti alle sorelle qui presenti faccio voto per tutta la vita di castità, povertà e obbedienza») e la consegna dell’anello, simbolo dell’assoluta fedeltà a Cristo, sposo celeste.

Al termine della Messa il saluto della superiora generale. «Mi piace pensare – ha detto madre Isabella Vecchio – alle parole pronunciate domenica scorsa da papa Francesco, che dice che è possibile sognare una Chiesa fatta di uomini e donne che sanno inginocchiarsi davanti all’Eucarestia, ma sanno anche piegarsi alle ferite di chi soffre. Che la tua professione, Evelina, ravvivi anche in noi il desiderio di continuare a sognare. Ti auguriamo di essere Adoratrice secondo il volere di Dio».

La preghiera a san Francesco Spinelli, il fondatore della Adoratrici, davanti alla sua tomba, nella cappella della chiesa ha concluso la cerimonia lasciando poi spazio al momento di festa che suor Evelina ha condiviso con le consorelle, i familiari e gli amici.

 

Sabato a Rivolta d’Adda la professione perpetua di suor Evelina Dabellani




“Fuori misura”. È l’amore che fa battere il cuore




Lì, dove batte il tuo cuore




Chiesa di Casa, la prima puntata guarda al nuovo anno pastorale

Dialogo e approfondimento. Saranno queste le dinamiche fondamentali della seconda stagione di Chiesa di casa, il talk di approfondimento pastorale della Diocesi di Cremona. L’obiettivo dichiarato è quello di avvicinare i fedeli agli aspetti più peculiari della vita ecclesiale. La programmazione seguirà dunque il calendario diocesano, così da poter fare conoscere attività e proposte di ogni ufficio.

Proprio per questo motivo, il primo ospite della seconda stagione di Chiesa di casa è stato don Gianpaolo Maccagni, vicario episcopale per il clero e il coordinamento pastorale. Insieme a lui, Paolo Penci, presidente del Consiglio pastorale della parrocchia di Sant’Abbondio, a Cremona, a testimoniare il forte legame con il territorio che il programma proposti in tv e sui social vuole mantenere.

Strutturata intorno a quattro parole chiave, la prima puntata si è soffermata sugli aspetti programmatici del nuovo anno, in particolare sulle linee pastorali. «Si tratta di indicazioni generali, che sono frutto di un lavoro condiviso – ha spiegato don Maccagni – tra il nostro vescovo e tutti gli altri organi che sostengono la vita della diocesi». Indicazioni che quindi hanno necessità di una declinazione pratica. «Concretizzare all’interno di una comunità le idee e le iniziative proposte a livello diocesano non sempre è semplice – ha commentato Penci – ma siamo tutti ben consapevoli che le linee pastorali non sono un business plan, bensì uno strumento utile per la vita delle parrocchie e della Chiesa cremonese».

E quando si parla di comunità cristiana, ovviamente, non si possono trascurare i giovani, ai quali Chiesa di casa dedica uno spazio particolare. «La finestra» è infatti il nome della rubrica che farà da leit motiv di tutte le puntate: ad essa si affaccerà idealmente un giovane con una domanda per gli ospiti in studio.

A inaugurarla è stata Giulia Ghidotti, di Pandino, che ha posto, di fatto, il quesito sulla sinodalità: nella progettazione diocesana c’è spazio per i giovani, o è tutto demandato all’ufficio di Pastorale giovanile? «Non possiamo pensare di lavorare a compartimenti stagni – ha risposto don Maccagni – tanto più che i giovani sono una risorsa preziosissima per la nostra comunità e, di conseguenza, abbiamo bisogno di coinvolgerli ancor di più all’interno della vita della Chiesa».

Lo stile, allora, non può essere che quello del dialogo serio e condiviso. Quello stesso dialogo che, ogni settimana, si concretizza insieme agli ospiti di Chiesa di casa in televisione e sui canali social della Diocesi di Cremona.




A Caravaggio inaugurata la processione aux flambeaux che si svolgerà il 26 di ogni mese

26 maggio 1432. La data dell’apparizione di Maria a Giannetta presso il prato Mazzolengo tra Caravaggio e Misano. Da allora il 26 a Caravaggio ha un suono dolce. Ricorda proprio quel gesto di tenerezza infinita della Madre verso un’umanità che, allontanatasi da Dio, aveva rischiato di cadere nel baratro. Ma lei, Madre di misericordia, era scesa da quella giovane contadina, come messaggera di conversione e riconciliazione. In un tempo in cui sembra che l’umanità si stia ancora allontanando un po’ troppo da Dio, è la preghiera a poter toccare i cuori. Per questo, il vescovo Antonio Napolioni ha sostenuto con forza la proposta di un momento di preghiera ogni 26 del mese, proprio a memoria di quel primo 26 maggio. Si tratta del rosario pregato sotto i 800 metri di portici che abbracciano il Santuario di Caravaggio, con i flambleux a illuminare il cammino, luci che si alzano a lode di Maria mentre il coro intona il ritornello dell’Inno alla Madonna di Caravaggio. Una preghiera semplice, talmente umile nella sua ripetitività che nessuno può dirsene incapace.

È iniziato così lunedì 26 settembre quello che vorrebbe diventare un appuntamento fisso, forse una tradizione. Alle 21 di ogni 26 del mese il ritrovo è sul piazzale antistante il santuario.

Silenzio e fiaccole accese, i fedeli si sono messi in processione guidati dalla croce di Cristo. Con il canto dell’organo suonato da Marco Bianchi e dal coro animato da Roberta Saleri, i pellegrini hanno snocciolato le Ave Maria camminando nel buio. Le note di “Maria, Maria, speranza nostra” vedevano alzarsi i flambeux luminosi verso l’alto, verso Maria, per rendere ancora più visibile la preghiera alla Madonna del Fonte.

Al termine del rosario le litanie cantate da don Gabriele Filippini hanno lodato Maria per la sua fede, lei, “beata perché ha creduto!”. Quindi la benedizione, impartita dal rettore del Santuario, mons. Amedeo Ferrari, che ha presieduto la celebrazione.

Davanti alla statua di Maria il numeroso gruppo di fedeli accorsi al santuario ha potuto ancora una volta, come dice la preghiera finale della benedizione, “essere raccomandato all’amore di una così grande Madre”.

Appuntamento al prossimo 26 di ottobre, con la certezza che scandire il tempo, il passare dei mesi al ritmo dell’Ave Maria non è solo un segno esteriore, ma è risposta di figli all’invito che quasi 600 anni fa è risuonato nei cieli di Caravaggio: “Pregate, digiunate e restate con me”.




Congresso eucaristico, Papa Francesco nella Messa conclusiva: «Eucaristia è profezia di un mondo nuovo, dall’egoismo all’amore»

«Non sempre sulle tavole del mondo il pane è condiviso; non sempre emana il profumo della comunione; non sempre è spezzato nella giustizia». A conclusione del Congresso eucaristico nazionale svoltosi a Matera, città del pane, di fronte a circa 12mila fedeli, nella mattinata di domenica 25 settembre, Papa Francesco esorta a «vergognarsi» per le quotidiane ingiustizie, disparità, soprusi compiuti ogni giorno verso i deboli, l’indifferenza nei riguardi dei poveri. Lo fa commentando il Vangelo offerto dalla liturgia del giorno,  un testo che presenta da una parte il ricco che sfoggia opulenza e banchetta, dall’altra il povero, Lazzaro, coperto di piaghe e in attesa che qualche mollica cada da quella mensa per sfamarsi.

Alle solenne celebrazione, che si è svolta nello Stadio comunale XXI Settembre, ha preso parte anche la delegazione diocesana guidata dal vescovo Antonio Napolioni e composta, insieme a lui, dall’incaricato diocesano per la Pastorale liturgica don Daniele Piazzi, i seminaristi Alberto Fà, Valerio Lazzari e Giuseppe Valerio, suor Luisa Ciceri e suor Mariagrazia Girola dell’Istituto delle Suore Adoratrici di Rivolya d’Adda e Massimo Tomasoni, ministro straordinario della Comunione della parrocchia di Caravaggio.

 

 

Il primato è di Dio

L’Eucaristia ricorda che il primato è di Dio, sottolinea il Vescovo di Roma. Il ricco infatti non è in relazione con Dio, nella sua vita non c’è posto per Lui, pensa solo al proprio benessere e alla ricchezza mondana. Di quest’uomo nel brano evangelico non si ricorda neanche il nome: Com’è triste anche oggi questa realtà, quando confondiamo quello che siamo con quello che abbiamo, quando giudichiamo le persone dalla ricchezza che hanno, dai titoli che esibiscono, dai ruoli che ricoprono o dalla marca del vestito che indossano. È la religione dell’avere e dell’apparire, che spesso domina la scena di questo mondo, ma alla fine ci lascia a mani vuote.

Dio è il centro, non la vanità

Il povero invece ha un nome: Lazzaro, significa “Dio aiuta”. “Pur nella povertà – osserva Papa Francesco – può conservare integra la sua dignità perché vive nella relazione con Dio”, “speranza incrollabile della sua vita”. Questa è la sfida posta dall’Eucaristia alla vita di ciascuno: “adorare Dio e non sé stessi, mettere Lui al centro e non la vanità del proprio io”. Perché se adoriamo noi stessi, moriamo nell’asfissia del nostro piccolo io; se adoriamo le ricchezze di questo mondo, esse si impossessano di noi e ci rendono schiavi; se adoriamo il dio dell’apparenza e ci inebriamo nello spreco, prima o dopo la vita stessa ci chiederà il conto.

Uno sguardo nuovo sulla vita

L’adorazione di Gesù presente nell’Eucaristia ci dona invece uno sguardo nuovo sulla nostra vita: Io non sono le cose che possiedo e i successi che riesco a ottenere; il valore della mia vita non dipende da quanto riesco a esibire né diminuisce quando vado incontro ai fallimenti e agli insuccessi.

Eucarestia chiama ad amare i fratelli

L’Eucaristia – ricorda il Santo Padre – ci chiama anche all’amore dei fratelli: un compito a cui il ricco del Vangelo vieno meno. Egli si accorge di Lazzaro solo quando il Signore rovescia le sorti, ma tra loro ormai l’abisso è incolmabile. “È stato il ricco – aggiunge il Pontefice – a scavare un abisso tra lui e Lazzaro durante la vita terrena e adesso, nella vita eterna, quell’abisso rimane”. Il nostro futuro infatti dipende da questa vita presente: “se scaviamo un abisso con i fratelli, ci scaviamo una fossa per il dopo; se alziamo dei muri adesso contro i fratelli, restiamo imprigionati nella solitudine e nella morte anche dopo”.

Ingiustizie non lascino indifferenti

Questa parabola è infatti anche storia dei nostri giorni, ammonisce Francesco: Le ingiustizie, le disparità, le risorse della terra distribuite in modo iniquo, i soprusi dei potenti nei confronti dei deboli, l’indifferenza verso il grido dei poveri, l’abisso che ogni giorno scaviamo generando emarginazione, non possono lasciarci indifferenti. E allora oggi, insieme, riconosciamo che l’Eucaristia è profezia di un mondo nuovo, è la presenza di Gesù che ci chiede di impegnarci perché accada un’effettiva conversione: dall’indifferenza alla compassione, dallo spreco alla condivisione, dall’egoismo all’amore, dall’individualismo alla fraternità.

Il sogno di una Chiesa eucaristica

Da qui l’esigenza di sognare una Chiesa eucaristica: “che si inginocchia davanti all’Eucaristia e adora con stupore il Signore presente nel pane; ma che sa anche piegarsi con compassione davanti alle ferite di chi soffre, sollevando i poveri, asciugando le lacrime, facendosi pane di speranza e di gioia per tutti. Da questa città di Matera, “città del pane”, vorrei dirvi: ritorniamo a Gesù, ritorniamo all’Eucaristia. Torniamo al gusto del pane, perché mentre siamo affamati di amore e di speranza, o siamo spezzati dai travagli e dalle sofferenze della vita, Gesù si fa cibo che ci sfama e ci guarisce. Torniamo al gusto del pane, perché mentre nel mondo continuano a consumarsi ingiustizie e discriminazioni verso i poveri, Gesù ci dona il Pane della condivisione e ci manda ogni giorno come apostoli di fraternità, di giustizia e di pace.

Torniamo a Gesù

Francesco invita a tornare a Gesù, ad adorarlo e ad accoglierlo quando la speranza si spegne e la solitudine del cuore, la stanchezza interiore, il tormento del peccato, la paura di non farcela prendono il sopravvento. Tornare al “gusto del pane”: solo Gesù vince la morte e rinnova sempre la vita.

Il Congresso Eucaristico nella ‘città del pane’

Ad accogliere il Pontefice in questa visita lampo nella Città dei Sassi, a 31 anni da quella compiuta da san Giovanni Paolo II, il presidente della Cei, cardinale Matteo Maria Zuppi, l’arcivescovo di Matera-Irsina monsignor Antonio Giuseppe Caiazzo e le autorità civili locali. Il Congresso Eucaristico Nazionale si è svolto dal 22 settembre scorso ad oggi sul tema “Torniamo al gusto del pane. Per una Chiesa eucaristica e sinodale”. Circa 800 delegati, giunti da 166 diocesi italiane hanno condiviso, con un’ottantina di vescovi, quattro giorni di preghiera, riflessione e confronto sulla centralità dell’Eucaristia.

Il grazie della Chiesa italiana

Nel suo saluto il cardinale Zuppi ha voluto ringraziare Francesco per la “fatica” intrapresa, volentieri e “sempre con il sorriso” per essere a Matera. “È una grazia – ha detto il presidente della Cei – iniziare il secondo anno del nostro Cammino sinodale con questa tappa. Ci mettiamo in cammino e camminiamo insieme solo se siamo con Gesù, se ci nutriamo del Verbum Domini e del Corpus Domini, solo se prendiamo sul serio il suo “seguimi” rivolto a ognuno di noi, oggi”.

Zuppi: individualismo è virus che toglie gusto di comunione

“Quando si perde il gusto non si sentono i sapori, le cose si fanno senza voglia, impersonali, senza trovarvi quello che piace. Molti che hanno preso il COVID sono rimasti un tempo privati del gusto.  Perdiamo il gusto del pane per colpa di un altro insidioso virus, l’individualismo”. L’individualismo, specifica Zuppi, porta a dividersi e sfocia nella guerra che genera morte.

Guerra trasforma i fratelli in nemici

“La guerra brucia i campi di grano, toglie il pane e fa morire di fame, trasforma i fratelli in nemici. In un mondo così abbiamo trovato il gusto del pane che ci dona sempre l’Eucaristia, frutto dell’amore pieno di Cristo che diventa amore per i fratelli. Tornare al gusto del pane, conclude il porporato, significa “nutrirci dell’amore concreto e infinito di Cristo, ritrovare la gioia di amore semplice e gratuito, povero e vero, personale e per tutti”.

Paolo Ondarza (VaticanNews)

 




Congresso eucaristico, il vescovo Napolioni: «Una sosta di riflessione, di contemplazione, di preghiera che dà ancora più senso cammino sinodale»

Dopo la Via Lucis nel pomeriggio del 23 settembre, il secondo momento liturgicamente “corale” del Congresso eucaristico che è stato vissuto nella città di Matera dagli 800 delegati, accompagnati da 80 vescovi, in rappresentanza di 116 diocesi, è stato nel pomeriggio di sabato 24 settembre: la processione eucaristica. A presiederla mons. Antonio Giuseppe Caiazzo, arcivescovo di Matera-Irsina.

Poco prima della partenza, dalla parrocchia San Pio X, in piazza Giovanni XXIII, arriva il videomessaggio del vescovo Antonio Napolioni, che ha voluto condividere quanto la delegazione diocesana sta vivendo nella città dei sassi.

«Abbiamo riscoperto il gusto del pane e quindi l’impegno a vivere l’Eucarestia a 360 gradi», ha affermato il vescovo. Il tutto vissuto grazie a «un cammino di avvicinamento fatto di dialogo, di incontro con le persone nella loro realtà quotidiana» e «con la testimonianza che ne deve scaturire poi nei vari ambienti in cui i cristiani vivono la loro quotidianità».

«Una sosta di riflessione, di contemplazione, di preghiera – ha precisato il vescovo – che dà ancora più senso cammino sinodale che stanno facendo le Chiese in Italia che qui vedete unita anche nella compresenza di tanti vescovi e di tanti fedeli».

A portare l’Eucaristia in processione mons. Francesco Savino e da mons. Erio Castellucci, vicepresidenti della Cei, mons. Giuseppe Baturi, segretario generale della Cei, e mons. Gianmarco Busca, presidente della Commissione episcopale per la liturgia. La conclusione del rito in piazza San Francesco d’Assisi.

Per il gruppo cremonese guidato dal vescovo Napolioni e che vede la presenza a Matera dell’incaricato diocesano per la Pastorale liturgica don Daniele Piazzi insieme ad alcuni seminaristi diocesani, alcune suore Adoratrici di Rivolta d’Adda e un ministro straordinario della Comunione, la prima parte della giornata era stata caratterizzata dalla partecipazione ad alcune meditazioni.

In serata in piazza Vittorio Veneto uno spettacolo fondato su tre elementi: terra, acqua e fuoco, che rimandano ai sacramenti dell’iniziazione cristiana. È “Il gusto del pane”, prodotto dalla Cei in collaborazione con Tv2000, che caratterizzerà la serata conclusiva del Congresso eucaristico nazionale di Matera, in attesa della Messa di Papa Francesco domenica mattina allo stadio.

Dopo l’intervento di mons. Antonio Giuseppe Caiazzo, arcivescovo di Matera-Irsina, che ripercorrerà i momenti salienti del Congresso eucaristico, sarà la volta della cantante Amara, accompagnata alla chitarra da Simone Cristicchi. I luoghi descritti da Carlo Levi in “Cristo si è fermato a Eboli” saranno rievocati da Sebastiano Somma, mentre Isabel Russinova leggerà “Pane casalingo” di Grazia Deledda. Mimmo Muolo, vaticanista di Avvenire e autore della trasmissione (assieme a Fabrizio Silvestri, Donatella Gimigliano e Cristina Monaco), intervisterà il giovane scrittore Francesco Musolino e Giovanni Baglioni presenterà una sua composizione – “Radici” – per poi riflettere su un verso di “Avrai”, la celebre canzone di papà Claudio: “e sentirai di non avere amato mai abbastanza, se amore, amore avrai”. Poi Cristicchi rientrerà sul palco per cantare “Abbi cura di me” e “La cura” di Franco Battiato. Sul tema dell’acqua, Sebastiano Somma leggerà la poesia “La Sorgente” di Karol Wojtyla, mentre la giornalista Donatella Bianchi si soffermerà sull’importanza dei beni ambientali e la ballerina Anastasia Kusmina, proveniente dall’Ucraina, interpreterà una danza. Per la sezione dedicata al fuoco, Somma leggerà del “Roveto ardente”, mentre a Russinova è affidata la “Pentecoste”. In collegamento da Roma, la direttrice dei Musei Vaticani, Barbara Jatta, rileggerà l’opera di grandi pittori, come Raffaello e Leonardo, dedicata al tema eucaristico. Giovanni Baglioni canterà “Dolce sentire”, mentre l’attrice e conduttrice televisiva Beatrice Fazi racconterà la sua esperienza sull’Eucaristia. Il cantautore siciliano Mario Incudine canterà “Tutti abbiamo bisogno di lu granu”, prima del commento del card. Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, in chiusura di serata.




La Via Lucis tra i Sassi di Matera momento culminante della seconda giornata del Congresso eucaristico nazionale. Mons. Castellucci: «Siamo un popolo che cammina»

La Chiesa non è «un popolo ritagliato a parte, un popolo già arrivato alla meta, un popolo seduto in attesa della conversione del resto del mondo, ma un popolo che cammina». Mons. Erio Castellucci, vicepresidente della Cei, ha concluso con questa immagine uno dei momenti finora più intensi del Congresso eucaristico nazionale: la Via Lucis che ha portato il “popolo” degli 800 delegati e 80 vescovi, in rappresentanza di tutta la Chiesa italiana (presente anche una delegazione cremonese con il vescovo Antonio Napolioni), in cammino dalla Madonna de Idris – una delle 150 chiese rupestri che nell’arco di 150 chilometri si estendono lungo il territorio materano – fino alla piazza di San Pietro Caveoso, luogo scelto anche da molti set cinematografici per ambientare episodi legati alla vita di Gesù. «La Chiesa nasce itinerante», ha ricordato Castellucci: «Il cammino sinodale trova il suo paradigma nella celebrazione eucaristica», e il pane eucaristico è «un pane che la Chiesa, resa a sua volta Corpo dall’Eucaristia, deve spezzare con tutti – specialmente con i troppi Lazzaro esclusi dalle mense dei ricchi, se vuole essere fedele alla chiamata del suo Signore».

«C’è bisogno di questo pane nel momen­to storico più brutto, difficile e sofferto che le nostre genera­zioni stanno vivendo: prima la pandemia e poi la guerra»,

le parole di mons. Antonio Giuseppe Caiazzo, arcivescovo di Matera-Irsina, che ha curato le meditazioni delle otto stazioni:

«Da Matera, vogliamo portare e spezzare il Pane, cibo di vita eterna, nelle nostre Chiese, nelle nostre parrocchie, nelle nostre famiglie, nel mondo del lavoro, nel mondo della politica».

A sfilare in processione tra i delegati, il Crocifisso ligneo del Seicento restaurato grazie alla Cooperativa “Oltre l’arte”, che ha anche lanciato una campagna di fund raising per sensibilizzare tutta la comunità nell’opera di recupero di un simbolo della devozione popolare materana.

Venerdì 23 settembre la seconda giornata del Congresso eucaristico nazionale era iniziata per il gruppo cremonese con l’Eucaristia nella chiesa di Sant’Agnese, nella periferia della città, con la liturgia presieduta proprio dal vescovo Antonio Napolioni.

A seguire spazio alle catechesi.

Un «viaggio del pane», passando di tavola in tavola, attraverso le tavole della creazione, della casa, dell’altare, della chiesa, della città, del Regno.

A proporlo è stato mons. Gianmarco Brusca, vescovo di Mantova, nella prima meditazione di questa edizione del Congresso eucaristico nazionale, tenuta in Cattedrale. «Niente nel cosmo è profano, ma tutto può essere profanato e reso volgare», ha spiegato. E ancora: «Sulla tavola della creazione non c’è solo il gusto del pane buono; entra anche il retrogusto del pane di sudore che ha il cattivo sapore del lavoro sottopagato, dello sfruttamento minorile, del lavoro insicuro o fatto in condizioni non dignitose».

«L’Eucaristia fa la Chiesa perché genera una gamma di relazioni di cui la comunità vive:

relazioni filiali, fraterne e sororali, paterne e materne, relazioni sacerdotali verso il creato. Dio comunica sé stesso a noi e noi entriamo in comunione con lui; nello stesso tempo coloro che partecipano al sacramento entrano in comunione gli uni con gli altri e la creazione entra, attraverso l’uomo, in comunione con Dio».

«Il gusto profondo del pane è gusto delle relazioni ma anche il gusto della nostra originale personalità», ha osservato Busca, secondo il quale «è falsa l’alternativa tra vivere per la comunione e perdere sé stessi oppure vivere per sé, una sorta di autoaffermazione di sé. L’Eucaristia santifica l’unità, ma santifica anche la vocazione originale a diventare ciò che Dio vuole che io sia, ciò che egli ha amato in me da tutta l’eternità. La chiesa è sì un corpo, ma formato dalla sinfonia di personalità differenti, originali e uniche. Nell’Eucaristia la differenza smette di essere fonte di divisione e diventa buona».

«Il mondo, purtroppo, sembra diviso tra chi non ha fame perché ha troppo cibo e chi ha fame perché non ne ha»,

la denuncia: «In virtù di questa perversa situazione, molti sono esclusi dalla società in cui vivono e diventano ben più che sfruttati: diventano avanzi, scarti, rifiuti». «Il paradosso dell’abbondanza in cui credevamo di vivere, con la crisi economica di questi ultimi anni – la tesi del vescovo, sulla scorta del Papa – ha mostrato che la miseria può essere tra di noi e colpire qui, nelle nostre terre, uomini e donne che vivono tra la penuria e la fame, faticando ad avere ciò che è necessario per vivere e dovendo così ricorrere all’aiuto di istituzioni caritative». «Anche come comunità cristiana – l’invito del presule – impegniamoci in una conversione alimentare, a operare dei mutamenti dei nostri comportamenti verso il cibo:

combattiamo gli sprechi, gli eccessi, la pornografia alimentare

che esibisce senza ritegno cibi raffinatissimi senza capire che si offende chi non si può permettere neppure la razione minima giornaliera. Fare comunione al pane spezzato non ci può lasciare tranquilli. Una sana inquietudine eucaristica porta i credenti che sono cittadini del mondo globale, nostra casa comune, a denunciare disuguaglianze e ingiustizie, e promuovere piani politici ed economici per riaffermare che i beni della terra sono per tutti».